domenica 12 ottobre 2025

Poesia in-corso: Archivio delle otto Edizioni del concorso (2017-2024)

 








CONCORSO DI POESIA “POESIA IN-CORSO”

a cura de Le Cicale Operose

Archivio delle otto Edizioni del concorso (2017-2024)

 



Poesia in-corso I Edizione (2017)

Giurate/i: Anna Bertini, Aldo Galeazzi, Alessandro Granata Seixsas, Anna Segre.

 

Per la Giuria esperta

 

Prima classificata: Ti ho vista guardare, di Paolo Melai

Motivazione di Aldo Galeazzi: La poesia centra perfettamente l'appuntamento con il Destino, il treno di parole era in orario ed io sono saltato a bordo trascinato dall'onda emotiva che sprigiona. In carrozza Signori, la meta è una visione di sogno e il treno ha fischiato!

 

Ti ho vista guardare

Gli orari dei treni

Già passati.

Il fiato sul vetro

Era l'opaco di cui ti vesti

Quando c'è gente.

Avessi la chiave di tutto

La detenessi

Su quel tiepido alone

Scriverei il nome

Di un privato

Intrepido

Mago delle ferrovie.

Corri al binario!

 

 

Seconda classificata: Last year_laboratorio il senso del tempo, di Martina De Domenico

Motivazione di Anna Bertini: Una riflessione lieve e profonda sul tempo e la percezione soggettiva che ne abbiamo, resa poetica dal ritmo dato alla composizione, un ritmo che conferisce musicalità alla parola. Ne risulta una poetica scevra di luoghi comuni e non enfatica, naturale, che colpisce favorevolmente.

Motivazione di Anna Segre: Tic tac, e in mezzo una pausa. Il tempo è curvo, indominabile, qui c'è l'astrazione metaforizzata dall'oggetto che a sua volta metaforizza ogni eventuale personale contenuto che è la nostra vita nel tempo che sfugge la definizione e rimane l'unico elemento prezioso non restituibile.

 

Last year _ laboratorio il senso del tempo

Me l'hanno sussurrato in un orecchio

Il sole e la sua amica ombra

Che il tempo non lo so

A volte sì , a volte no....

E è dall'incontro di quei due

Che è nato il gioco assai curioso

Di disegnare forme sulla terra

A volte lunghe, a volte oblunghe

Ed altre invece pari a niente.

Mi immagino così..... anticamente

Prima osservando, poi inseguendo

E mai afferrando

Che l'uomo poi

Con l'illusione di sapere, controllare,

Un po' scandire

Ha trasformato , mettendoli ad un polso

il sole in cerchio

L'ombra in due lancette

Una più lunga, un'altra oblunga

E al centro pari a niente.

La risultante è diventata

Un cuore assai rinchiuso,

Un ticchettìo

Che grida corri!

Sei in ritardo, gran bastardo!

Ma in fondo resta

Il gran segreto che io so

Cioè che il tempo è

A volte sì, a volte no.

 

 

 

Terza classificata: Una figura speculare, di Emiliano Bianconi

Motivazione di Alessandro Granata: Il doppio triste e la sua maschera ancor più triste che non si scolla dal volto inossidabile e malinconica, ci ricorda la poesia esprimibile e quella ineffabile mormorata nelle coronarie tra un battito e l'altro, istanti buttati sprecati o immolati nel sogno di essere, ci ricorda Pessoa Corazzini e l'odio di Stecchetti languente sul letto di morte. Bravissimo Bianconi

Motivazione di Anna Segre: È una domanda interessante quella su chi sei, chi sei davvero. Si può eliminare lo sguardo dell'altro? Si esiste senza lo sguardo dell'altro? Si cambia perché l'altro ci guarda? Si esiste in funzione di ciò che l'altro dirà? La domanda sull'identità non può essere evasa per intero. Mi è piaciuto l'argomento e l'attualità della relazione web, che è la rappresentazione di una relazione, che sembra vera, così vera che forse lo è. Ma chi può dire di sapere davvero dove finisce lui e dove iniziano gli altri?

 

Una figura speculare

 

Un tempo il tuo fu un ruolo immortale,

con le comiche giuste a irridere le cose serie,

non per sminuire,

ma per sollevare l'asprezza al cospetto del sorridere.

Dalla strada lanciavi il tuo pronto teatro,

al ritmo d'un canovaccio marchiano

e mentre ammirati i passanti tiravano monete nel cappello,

ignoravano che schernivi l’ipocrisia del mondo da sotto la maschera,

fiero d' essere diverso nel tuo soffocato sorriso,

pagato per far vezzo di chi ti pagava.

Poi il mondo, d'un tratto, è mutato fatalmente,

le invenzioni hanno spinto le rivoluzioni,

avvelenando l'esistere della tua arte.

Oggi la gente si perde e si diverte in altri modi,

i tuoi numeri a quest' ora sono più vecchi della noia,

così ti sei arreso a quel traditore che una volta era il pubblico

e la maschera adesso serve a nascondere la tua delle ipocrisie,

quando ambiguo ti esibisci in quel grande dramma sociale,

dove al posto delle monetine nel cappello, ci sono i “mi piace”.

La sera rincasi esausto dal fingerti vivo in una realtà morta,

di riflesso il trucco si scioglie e cala a tempo pure la bautta,

un lampo!

E il pavimento dell’anima scricchiola sotto ai piedi, ovunque.

Cosa sei diventato?

Che uomo sei ?

Una figura speculare,

un pagliaccio che non fa più sorridere gli altri,

ma che sa solo deridere e triste,

è già incapace di ridere di se stesso.

Per un pagliaccio,

non c’è fine più atroce,

di scomparire tra le assordanti risa,

del silenzio.

 

 

Per la Giuria popolare

Prima classificata: Grigi sonni, di Giordano Brozzi  

 

Menzione speciale per Eleonora Nigiotti. Motivazione: Una bambina in grado di scrivere poesie alla sua età merita una menzione speciale. Quando gli animi sensibili scrivono in versi, regalano al mondo gioia, emozioni, speranza per un futuro migliore.

 




 

Poesia in-corso II Edizione (2018)

Giurate/i: Anna Bertini, Adua Biagioli Spadi, Aldo Galeazzi, Paolo Lago.

Letture: Simonetta Filippi; musica: Alessia Anastassopulos (violino)

 

Per la Giuria esperta

 

Prima classificata: Non credo, di Chiara Myriam Novelli.

Motivazione di Paolo Lago: La lirica si pregia di un ritmo fluido ottenuto attraverso abbinamenti lessicali efficaci, fortemente figurati e dotati di originalità. Il valore metaforico appoggia la scansione della parola senza espedienti usurati e inutili arricchimenti del discorso, che diventa intenso e allo stesso tempo rarefatto.

Non credo

Non credo alle vostre leggi

sono una donna soltanto etrusca

chiusa in galera, seduta in camera,

rimasta in piedi sotto il cielo vuoto

al suono del denaro che nevica.

Scendo allora, in ascensore,

senza dolermi dell’inverno.

E, a quel punto, vedrai la mia foto sul giornale,

e dirai che sono pulita,

vecchia, madre e padre,

procreatrice, oceano, verme, orecchio,

che sono il serpente

che avvolge attorno il tronco,

che sono il riso che graffia dalla pietra.

Resto ferma, divengo carne di quercia

e nessuno mi sveglierà, nessuno,

tranne le mie predizioni e i miei profeti,

gli spiriti e le mie visioni.

Perché io ricevo tutti mentre scompaio,

caduta su me stessa,

rotolata nella grande ruota della pioggia,

dove le macchine stridono,

le gatte gemono musica di basso,

le memorie svaniscono nel cervello di solitudini

che, ora, hanno odore di acqua.

 

 

Seconda classificata ex aequo: In questa piccola strada, di Laura Bertolini

Motivazione di Adua Biagioli Spadi: Colpisce il verso limpido e pulito della poesia che rende omaggio alla forza dell’anima a seguito del distacco dal porto sicuro degli affetti, si cosparge di un vissuto malinconico riverberante nelle cose della quotidianità, dove ogni aspetto rivisto si riassetta naturalmente, così come naturalmente si ricompone l’interiorità umana,  per volgersi oltre il ricordo, in un futuro  lasciato alla spontaneità della vita.

 

In questa piccola strada

Innanzi ai bocci delle rose che ho piantato

cade in ginocchio il vento di Santa Anna,

a questa casa con un pezzo di giardino,

casa straniera diventata nido.

Una forza germoglia

sabotando cocciniglie

la terra dura strozza le radici,

ma la mia pianta non perisce.

 

Riassetto le foglie e do un ultimo sguardo

mentre con le mie valigie passo.

Saluto la via, il cielo si apre,

volo avanti nel tempo,

mi sveglia l’odore dell’aeroporto.

Un attimo a un vetro riassetto i capelli,

uno sguardo al vestito, poi prendo coraggio

e la porta si schiude.

 

Mia madre, mio padre

tremando mi afferrano.

È un sussulto di cuori,

l’autostrada è già casa,

San Giovanni mi aspetta

con dei mazzi d’iperico,

in questa piccola notte,

in questa piccola strada.

 

Cicale invisibili chiamano il giorno,

sull’ombroso sentiero dei pini,

violette e ciclamini fanno capolino.

Innanzi alla culla di Madre Tirreno

cado in ginocchio ed è brace di rena

mentre mi sbocciano le vene

e mi trasformo in essenza,

cavalco una fiamma di sole.

 

Chi torna rivede, ma l’aria s’annuvola

di disumanesimo e desolazione.

Sul barroccio delle cianfrusaglie

ciondola un piede morto.

Sono ovunque straniera,

riunisco i miei semi dispersi

e li rimpiatto nelle cerniere.

 

Poi l’ultimo petalo tocca la terra.

Tocca la terra l’ultima rosa.

Mia madre, mio padre tremando,

richiudono l’uscio di casa.

Un aereo che passa nel cielo

è senz’altro il mio volo,

forse si abbracciano,

forse sospirano

 

e mi lasciano andare.

 

 

Seconda classificata ex aequo: Ci sono palazzi, di Serenella Menichetti

Motivazione di Aldo Galeazzi: La poesia si basa su un solido fondamento visivo. Vengono presentate, in ritmo anaforico, immagini evocative che si situano nella percezione del lettore come tanti flash della memoria. La sintassi è efficace nel presentare, in un ritmo spezzato e quasi privo di enjambement, tante immagini che, appunto, sembrano emergere dal tempo immobile della memoria.

 

 

Ci sono palazzi

Ci sono palazzi che di notte vengono a catturarci.
Tentiamo di salire al piano, dove nessuno ci aspetta.
L’ascensore si mostra privo di basi.
Nell’anima della vecchia radio ha fatto il nido la solitudine.

Sul terrazzo, la gabbia spalancata dei pappagalli.
Nella camera i fiori appassiti della poltrona.
In fila sul comò, volti di ogni epoca, sgomitolano la storia.
C’è una gatta cieca, su una sedia impagliata
davanti ad un frigorifero sbrinato.

Di giorno il palazzo resta immobile.
Tutto sembra regolare.
Ad altri piani, i suoni tagliano la gola al silenzio.
Fuori le farfalle volano i colori dell’aurora.
Al quarto piano il tarlo dell’assenza non si stanca di rosicchiare.
Un pezzo dei nostri cuori è diventato polvere.

 

Terza classificata ex aequo: Un film vivente, di Ketty D’Echabur

Motivazione di Anna Bertini:  È una lirica “visiva” che rafforza le immagini per mezzo della metafora su cui è costruita, quella del teatro della vita. Lo spostamento temporale passato/presente, usato per ottenere un back and forward tra il ricordo e il qui/ora mette in atto un estraniamento del soggetto dal proprio sentimento, rendendolo “recitato”. Asciutta e forte la chiosa, che nella sua essenzialità raggiunge connotazione universale.

 

Un film vivente

Spesso accade,

si accendono le luci,

il palcoscenico dei ricordi:

        tira su il sipario.

 

Succede che è strappato,

ha versato l’anima

nel blu di un drappo

del passato.

 

Succede sentire in lontananza

       gli applausi....

 

le scene erano bellissime

la recitazione

spennellate di profumo

le voci e i canti si

vestirono di rosa.

 

 

Ancora accade,

si alzano in piedi

guardano,

si congratulano,

sorridono

come farfalle

grondanti di colori.

 

Poi piangono il vento

piangono la luna

piangono anche i sassi

alla deriva.

 

 

Un sussulto a fior di pelle,

accade che il film è finito.

 

La nostra vita è stata recitata

 

 

Terza classificata ex aequo: Razzo di nuvole 10 marzo, di Laura Faucci

Motivazione di Adua Biagioli Spadi: Testo composito, con immagini e metafore ricche e ben ritagliato che, attraverso il rimarcare di parole e di opposti sentimenti, in una sintesi particolare e personale, evidenzia il momento dell’accadere di un evento forte, vitale, quanto più reale, dal quale emerge un pensiero antico e universale che cerca il senso dell’esistenza, per chi assiste qui e ora allo ‘spettacolo senza sconti’ della natura vita-creazione e chi si è perduto per sempre.

 

Razzo di nuvole 10 marzo

 

Bagnato
tutto bagnato dappertutto.
Risuonano grida di echi conosciuti

tra le pieghe antiche del tappeto di bandiera,
unica superstite
dalla cucitura salda
e i colori,
gli ardenti colori che impavidi regnano
oltre l’ammissibile dissenso,
oltre la lunga strada
dalle angosce orizzontali.
Fatica in cammino
di esseri inarcati in milioni,
son puzzle
di dolore e speranza.
A est, si leva borotalco di acqua
E Soffio di Spirito Segreto,
in qua e là,
a caso sembra,
ma è un Disegno partorito da MadreTerra,
preciso, affinato,
parallelo
come la fila atavica di carni e fumi.
Un’ implosione rimbomba
di tuoni dal basso,
un vulcano rovescio
seduto sulla sua stessa lava
si lava di sé
erompendo magma, pire di fuochi, caos in fiamme
e parte !!
Parte un fulmine straziante di potenza
come totem arcaico,
eccolo,
eccolo, lo vedo
nella magia fotografica
scevra di riserve
ed esplode !!!

Esplode maestoso
Un Razzo di Nuvole,
elegante,
originale “Mandala” verticale,
inedito
nella sua snella compostezza.

È un canovaccio.
Un canovaccio gravido di tumulate voci.

 

 

Per la Giuria popolare

Prima classificata: Portami nel cuore, di Marinella Vasile

 




Poesia in-corso III Edizione (2019)

Giurate/i: Floriana Coppola, Aldo Galeazzi, Paolo Lago

Letture: Simonetta Filippi; musica: Alessia Anastassopulos (violino)

 

 

Per la Giuria esperta

 

Prima classificata: senza titolo, di Luca Cristiano

Motivazione di Floriana Coppola: Il testo poetico si distingue per la grande forza utilizzata nell'uso sapiente e maturo delle figure retoriche, per l'intreccio delle metafore usate con esatto equilibrio e per la potenza lirica e simbolica delle immagini evocate. I versi hanno ritmo interno e profondo significato, evidenziando ciò che la poesia vuole: tradurre in parole le immagini e le emozioni generate da una particolare riflessione sull'esistenza, suscitando sgomento e smarrimento in chi legge , pur costruendo un canto che vuole essere condiviso.

Motivazione di Aldo Galeazzi: In quest’opera, di chiara matrice Majakowskiana, si leva uno sguardo, un volo radente, che abbraccia e inchioda l’esistenza nei suoi tormenti quotidiani, il piccolo diventa epico, l’infimo assurge a rivoluzionario. Un’alba rabbiosa getta il suo raggio di luce negli angoli bui delle nostre vite, ma nulla può se mandiamo in frantumi l’illusorio “sogno di vetro”, se diventiamo consapevoli agenti di bellezza compiendo il gesto assoluto: se danzi la morte non viene.

 

eccola, di nuovo,

l’amica dei ricchi,

è l’alba che incrocia

i bisogni e i doveri come

un prete mezzo gemendo

incrocia le dita invecchiate

così il mattino compone

le strade degli esseri umani

come ciocche raccolte e annodate

sul cranio tranquillo

di una morta, eccola, arriva

di nuovo, la serva dei giorni

infedeli, è l’alba

che increspa le tende

premendoti addosso il chiarore

è l’alba che squarcia

le palpebre degli impiegati

come il gancio d’acciaio è sospinto

da mani gelate nei corpi

dei cari animali sperduti

eccola: è l’alba è una stringa

di luce cattiva, una madre

che tortura gli ammalati

è l’alba che mangia i confini

separa le onde del lago

che il buio tingeva

di fango, arriva a cacciare

dal nero, gentile incosciente

riparo, carogne viventi e operai

arriva sui volti già stanchi

poi brucia le ciglia alle spose

ti arrendi ti svegli ti muovi

ti vesti la maschera ride

la indossi nel passo affrettato

la pena che porti sia lieve

diventi mitezza il tuo odio

pietà il disprezzo che senti

arriva, di nuovo, è l’ancella

dei grossi ministri bugiardi

è l’alba che stinge tra i pini

lavora per i generali

di notte la guerra è sospesa

la guerra non ama la luna

eccola, dice di nuovo:

sei schiavo combatti marcisci

incurvati piega la schiena

c’è un astro imbevuto di brina

nell’occhio del tuo cameriere

è l’alba, bambina crudele,

non viene se piangi abbastanza

se urli nel sogno di vetro

se danzi

se danzi

non viene

 

 

Seconda classificata: Lusty man, di Luca Falorni

Motivazione di Floriana Coppola: "Il testo poetico seduce per l'originale capacità di miscelare più registri, il narrativo e il lirico, il descrittivo e il dialogico, aprendosi a una sperimentazione attuale e moderna che ricorda gli esiti della migliore poesia carveriana. Il tracciato linguistico lavora con ritmo e brio, seguendo effetti cinematografici che attraggono chi legge, creando una poesia visiva e in movimento che richiama la forza magnetica di un fotogramma filmico".

 

Lusty man

 

Nick ha ancora ambedue gli occhi buoni,

il suo sigaro cubano fumante

occupa tutta la sua smorfia,

fa mettere su un grandangolo

chiama Bob con un gesto secco :

 

“Cammini, alla fine di tutto,

giusto la cartaccia che vola

nel prato vuoto dopo il rodeo

sei da solo con la tua sella e

guardi diritto senza pensare”

 

Bob non sorride e non pensa

sullo schermo arriverà l'Altro

nel suo passo pesa la Strada,

mille voli nella polvere

Jeff Mc Cloud scompare in dissolvenza.

 

Bob alza gli occhi acquosi :

“Mr Mitchum? Ha capito la domanda?

Se non va al cinema- ha detto-

Cosa fa tutto il santo giorno?

Chiede garrula la miss di Canale 5

 

Bob pesca dalla mente quel ghigno,

Jeff, Cody, Marlowe,...

“I Cry, Miss....”

Ride, in macchina, perfido

“CUT! “ E' sempre buona la prima…

 

 

Terza classificata ex aequo: senza titolo, di Francesca Fiorentin

Motivazione di Paolo Lago: “Il componimento, per mezzo di tenui pennellate poetiche che si reggono su una solida struttura paratattica, riesce a comunicare in modo sintetico e chiaro una situazione di angoscia che si dipana in una atmosfera rarefatta e silenziosa, intessuta di dinamiche quotidiane. La forza della poesia sta proprio in questo: nel saper trasformare momenti, gesti e dolori quotidiani in un tenue e solido canto che diviene, prima di tutto, inesausta aspirazione alla libertà e lotta contro qualsiasi oppressione".

 

Riempiono vuoti
i silenzi mattutini
scivolano nell’onda del gesto passato
hanno occhi sulla nuca
e la nuca poggia stanca sul letto
non si alzano in vedetta sono
vortici di congelamento
aggrappata al sonno come chi teme un risveglio doloroso
e ogni volta lo stesso cosmico silenzio

 

Terza classificata ex aequo: La nave, di Rossella Paolicchi

Motivazione di Aldo Galeazzi: Nel vano tentativo di tracciare la rotta, una vita si fa destino, un destino diventa destino comune. La memoria restituisce le coordinate di un’esistenza in bilico tra l’immaginario e il reale, il ricordo perfeziona la strada di casa. Questo canto di Sirena ci restituisce perfettamente il senso effimero, eppure così profondamente segnante, del nostro passaggio sulla terra, un “battello ebbro” che ha bisogno di uno sforzo collettivo per immaginare la prossima meta

 

 

La nave

 

Qualcuno guarda da lontano.

La nave .

Che succede ?

Perché tutto si è fermato ? Perché tutto è silenzio ?

Hanno visto una donna camminare sul ponte della nave.

Ha lunghi capelli

canta a bassa voce una canzone ,

richiamo per gli insonni .

Cammina sicura e lenta

al braccio

una grande borsa rossa.

Era l’alba o il tramonto ?

Nella nave gli uomini si sono fermati.

La nave si è chiusa non ci sono più aperture.

Guardano qualcosa senza vedere.

I grandi occhi smarriti

cercano qualcosa

nel mare divenuto pietra .

Forse dormono.

Forse hanno iniziato a sentire che sono stati depredati del viaggio.

Qualcuno dice

avete sentito ? il canto della donna era più forte del canto della nave ,

ora solo silenzio .

Ora solo il rumore di ragni che tessono ruggine.

Hanno visto la donna

gettare qualcosa nel mare.

Un uccello dalle grandi ali bianche venuto da una notte infinita.

No, ha gettato via

l’annuncio della partenza,

ha gettato l’approdo .

Niente può partire ora.

Qualcuno aveva scritto con pazienza sentieri acquatici

nelle bianche ali,

le rotte ed il destino dei viaggiatori.

L ’ inchiostro delle mappe

si è disciolto nel mare

le lettere sono piccoli pesci

fuggitivi nell’acqua bassa della riva

le loro piccole ombre

non le potranno leggere i marinai i viaggiatori .

Un sortilegio .

Non ci sono più porti

nè moli nè correnti

nè venti che spazzano i fianchi della nave.

È stata lei .

Poi non l’hanno più vista ,

solo la coda di un grande pesce dava colpi secchi

sulla superficie del mare ,

si é ascoltato

come il suono di un tamburo .

Poi anche la coda del pesce è scomparsa.

È stata lei.( Una sirena ?)

 

 

Per la Giuria popolare

Prima classificata: La montagna dell’odio, di Adriano Pierulivo

 

 



 

Poesia in-corso IV Edizione (2020)

Giurate/i: Floriana Coppola, Aldo Galeazzi, Paolo Lago, Wanda Marasco.

Letture: Simonetta Filippi; musica: Mariano Di Nunzio (tromba, electronics).

 

 

Per la Giuria esperta

 

Prima classificata ex aequo: Meuamor, di Piera Ventre.

 Motivazione di Paolo Lago: Lirica di grande effetto sonoro e metafisico, costruita dal profondo intreccio tra afflato panico e nodi riflessivi esistenziali di speciale respiro introspettivo. L’Io poetante usa l’elemento naturale, il bios, per costruire un dialogo con il tu, oggetto d’amore e di desiderio, alterità che accoglie il significato della cura e dell’abbandono, legame simbiotico e totalizzante che diventa idioma segreto e criptico della relazione. Il verso di apertura delle due strofe e la chiusa finale, che indica una pluralità di voci, sono indizi di un dialogo interiore pressante. L’oscillazione nella versificazione tra l’io, il tu e il mondo naturale diventa movimento sacro e trascendentale fino alla dichiarazione finale del noi, suggello conclusivo di un moto verticale che si allarga in uno sguardo universale. Le allitterazioni presenti e le metafore sono diffuse in modo sapiente e che ne scaturisce offre una percezione visionaria e pacificatrice, fino a determinare il senso di una alchimia meditativa.

 

 

Meuamor

 

La cura è un atto di lentezza.

Semi da passare labbra a labbra

latte di pettirosso, ed i miei seni.

L’anima roca ti dico e ti aggrappi come se da me dipendesse la caduta. Una

meridiana sul muro, il nostro tempo.

Un petalo di carne si stacca dalla tua corolla e, nudo, mi finisce nella bocca.

 

La cura è atto di resa.

Chiudo gli occhi e fra le palpebre sedimenta un raso verde.

Candele di preghiere e incensi freddi, accendo. Alla luce do la voce di un

canto.

La mia pelle è fango minerale, divento iguana, libero le serpi dei capelli.

Senza sorridere lo faccio.

Scavo una buca nel tuo petto ed è quello il punto esatto del ritorno. Un sipario

tagliente, le mie costole, la tua custodia. Diventi battito liquido e la mia sete.

Sono colei che cura.

Veglio il tuo dormire, respiro del tuo fiato.

Tu, mappa e terra sconosciuta.

 

Siamo qualcosa che senza sosta muta.

Solo il restare si può far finta di sapere.

 

 

 

Prima classificata ex aequo: Stokrotnie, di Barbara Serdakowski

Motivazione di Floriana Coppola: Il suono spigoloso di queste “cento volte”; le lingue come territori del ricordo, la parola straniera è un varco pericoloso nel quale entrare per chi la sente, un esotismo che ci vuole coraggiosi all'ascolto, mentre per chi la pronuncia è esperienza, una lingua non la si impara a memoria la si incide coi fatti e perfino coi fatti dell'immaginario; la lingua è uno spazio fisico da attraversare e che ci attraversa e ci cambia, l'uso di una lingua porta con sé il modo di un popolo, il verso di un territorio e questa poesia spiega le ali sulla vastità della Nazione Poetica e ne usa i suoni più diversi, quasi delle ecolalie, per evocare una narrazione intima, che scivola nel tempo fuori fuoco, di una memoria.

 

Stokrotnie

 

stokrotnie wracam

cento volte ritorno

stokrotnie jeszcze nie

cento volte ancora no

 

le distanze sono passi ignoti

confusi nel tempo

sono falle a tratti

doglie o nausee improvvise

 

let me in the pockets of time

fammi  entrare nelle sacche del tempo

and plant nails in walls and grounds

e piantare chiodi in muri e terre

once mine and then no more

una volta miei e poi non più

 

no supiera ser la que regresa

no saprei essere quella che ritorna

decir las cosas que cuentan

dire le cose che contano

 

parole zoppe e frammenti

stokrotnie stokrotnie

cento volte cento volte

 

sono angoli da girare

mentre ridete  senza suono

sono sguardi e afrori

when we hug

quando ci abbracciamo

and we count some fifty years

e contiamo una cinquantina d’anni

 

è casa mobile

tasti da premere

patria senza matrice

 

c’est des livres d’histoire ancienne

sono libri di storia antica

l’oncle sur le scooter en blanc et noir

lo zio sul motorino in bianco e nero

 

avanti e indietro nel tempo allungato

arando tracce, cercando orme

 

“masz oczy mojego ojca, ciociu”

“hai gli occhi di mio padre, zia”

e questo ti rende felice

raccogli distanze e tempi mobili

come buche di strada e singhiozzi

 

todo se allana

tutto si spiana

todo se tuerce

tutto si distorce

 

stokrotnie

cento volte.

 

 

Seconda classificata: Su questa terra dove vivo, di Francesca Sensini

Motivazione di Aldo Galeazzi:  Ecco qual è lo sguardo della Poeta, molto prima della tecnologia, ella è già in possesso della “realtà aumentata”, ovvero della possibilità di cogliere di uno stesso luogo le molteplici verità e “vederle” simultaneamente, sovrapposte, stratificate. Il paesaggio conserva la tensione emotiva del ricordo intatto ma ne restituisce una vista disfatta, passata, avariata, quasi postuma. È l'architettura stessa del ricordo che si deteriora, si sceglie di non restaurare una memoria e se ne assiste al crollo sentimentale.”.

 

Su questa terra dove vivo

 

una svolta della strada basta

e tutto cambia:

senza un grido

il mare annega alle mie spalle,

galleggia ancora la bottiglia

di un messaggio ostinato

mentre si avvitano le salite

lungo pareti rocciose,

antiche sollevazioni

di viscere che riconosco:

le promesse sulla sabbia

sedimentano tra le righe

di queste alte voragini.

È qui che abiti oramai,

questa zona di sconforto,

sublime passeggero,

dietro i vetri rotti della dogana,

oltre la porta marcia con la catena,

di una casa che crolla eternamente

nel burrone, nel torrente

la memoria del ghiaccio scorre a valle,

a monte si spacca il cuore di pietra.

Su questa terra sola la natura

imita l’arte nostra di disfarci.

 


Terza classificata ex aequo: Un ultimo, di Luca Falorni

Motivazione di  Paolo Lago: La poesia presenta una serie di immagini efficaci e suggestive caratterizzate da termini aulici e colti ("psicopompo", "sulfureo", "bruma") che entrano in contrasto con parole di uso tecnico e quotidiano ("marmitta", "leasing"), venate di una tenue malinconia. L'ambientazione milanese, rappresentata con tinte fosche e cupe, come in un romanzo di Scerbanenco riambientato ai nostri giorni, è però attraversata da un sincero sentimento di affetto che riveste di assolutezza tante azioni quotidiane legate al luogo che, probabilmente, proprio in quel luogo, vengono compiute per l'ultima volta.


Un ultimo

 

Autunno a Milano,

emigrati i sogni,

sboccano

in Darsena

Momenti smemorabili :

Un lampo in Galleria

flette il corpo

imbevuto di Grigio

 

Maledetta ingenuità

inventario incredulo

di un passato in leasing,

perdi l'anima se

sbigottisci sulla metro

la Domenica alle 18.40

l'ora del Cielo di Piombo,

quando sciama nella bruma

lo Sciocco in Blu .

 

 

Aggredisci una

delle tue ultime folle,

zigzagando in strada,

mentre turisti orientali

inebetiscono lieti

in un angolo del

Quadrilatero

sfiorato

dall'Acquerugiola

 

Sfinisci quatto quatto

la rincorsa tra i semafori

di un rondò in Circonvalla :

l'Inferno si proclama

nell'ingorgo delle otto e un quarto.

Nessun possibile psicopompo, ma

l'arcigno sulfureo morso

di una marmitta forata,

avvia la finale discesa

verso l'ultimo happy hour

 


 

Terza classificata ex aequo: Miserere, di Giuseppina Geraldina Riccobono

Motivazione di Floriana Coppola:Il punto di forza del componimento sta nella giusta e sapiente mescolanza tra forma e contenuto. Sbozzate entro un impianto formale caratterizzato dal rispetto della metrica e dell'alternanza delle rime, incontriamo le descrizioni di immagini e azioni non scontate ma caratterizzate dalla capacità di trasferire sulla pagina sensazioni e emozioni.”.






Menzione speciale per la poesia Sulle nuvole, di Ketty D’Echabur:

Con Irene. Per la storia che racconta, la persona alla quale è dedicata, l’afflato doloroso e affettivo che la pervade”.

 

Per la Giuria popolare

 

Prima classificata: Operosa, di Enrica Notarfrancesco

 Il primo sguardo
partorito dallo spigolo della notte
scorge processioni di pensieri.

Inquietanti formiche operose
sul soffitto
della neonata coscienza.

Qualcuno
addenta la coda dell'urgenza.

Fugge
sulla proiezione luminosa di un taxi
gentilmente offerta 
dagli scuri,
sguardi socchiusi della finestra,
lusso di evasione.

Ubbidiente alla legge del giorno
mi alzo.

Devo cucinarmi la minestra.

 

 







 

Poesia in-corso V Edizione (2021)

Giurate/i: Floriana Coppola, Luca Cristiano, Paolo Lago, Francesca Sensini

Letture: Simonetta Filippi; Musica: Mariano Di Nunzio (tromba, electronics)

 

Prima classificata: 1iperteso, di Aldo Galeazzi.

Motivazioni

Luca Cristiano: Il testo presenta una serie di caratteristiche che identificano una voce autoriale consapevole ma non frusta. Passano, attraverso le sue associazioni ritmiche e semantiche, una serie di caratteristiche che inducono a trovare nella poesia: - Rivalsa dall’insufficienza del quotidiano rispetto all’intensità della vita interiore e della vita in genere. - Rivendicazione di una possibilità di pensiero inconciliato. - Ottima resa della contemporanea necessità/impossibilità del conflitto. - Intenzione utopica e sarcastica, rivolta dall’autore a un tempo contro sé stesso e contro il lettore: a entrambi sembra si ricordi (senza dirlo direttamente) che non si danno soluzioni retoriche per fastidi fisiologici, sociali, politici. - Senso della necessità della lotta. Per tutti questi tratti e per altri che sicuramente saranno sottolineati dagli altri giurati, sono felice che venga un premiato un testo che si oppone al suo tempo.

Floriana Coppola: Eccellente testo di poesia in prosa o prosa poetica, dove il dosaggio tra ironia e surrealismo trova la sua giusta misura e il suo equilibrio perfetto. Lo spaesamento dell’io poetante viene rinforzato da anafore e da allitterazioni che danno alle due strofe una grande ritmicità. Testo di grande potenza drammaturgica e di forte espressività contemporanea. L’uso stravolto dei campi semantici crea un effetto straniante, che amplifica ogni allegoria. Linguaggio originale e spiazzante per le metafore utilizzate, che si rincorrono e si intrecciano, utilizzando oggetti di vita comune ma risvoltati, rivoluzionati da simbolismi esistenziali che alludano ai sentimenti di perdita, di lutto, di stupore e al disagio esistenziale. Il sentimento del tempo, che passa e ci travolge trasformando ogni cosa, si sposa con una malinconia soffusa, che ricorda il teatro surreale di Antonin Artaud.

 

1iperteso

 

“È un miracolo se non ci sciogliamo nella vasca come una saponetta”,

così disse il vecchio, scampato all’eroina, al mio attore inglese preferito in quella commedia sofisticata.

E’ un miracolo se non evaporiamo nel gelido vento degli sguardi.

Approfitto per gettarmi subito in un elenco, così tanto mi divertivano.

E’ un miracolo se non bruciamo nell’incendio di un tacco o di un almanacco.

E’ un puro miracolo se non si scompare tra le foglie delle tue mani.

Sarà un miracolo non rimanere paralizzati tra le ombre dei corridoi del tuo cappotto.

Sono esiliato dalla meraviglia tanto sono consapevole che tutto è un miracolo.

E’ un miracolo se non mi trovano avvolto nello scotch alla stanghetta degli occhiali.

Mi divertivano perché non mi divertono più.

Legami familiari.

I più fortunati, i più sfortunati.

Gli orfani, le madri.

L’amore.

 

Caro amico mio, ti vedo spesso.

Con la coda dell’occhio ti vedo e guardando meglio svanisci, non sei tu è un altro.

È il tuo scherzo.

Oggi ho visto una fotografia che ti ritraeva,

eri già magro e reggevi un ombrello colorato e

avevi quell’espressione tua irresistibile.

E la radio, la radio! Intervistano una e sai che lavoro dice di fare?

Macchinista – ferroviere! La tua battuta.

Classica.

Passo sempre sotto casa di tua madre e oggi mi chiedevo se parlarle, avere una scusa per parlare un po’ di te ma non potrei essere sboccato e neanche tuo fratello capirebbe.

 

Gli orfani, le madri, i miracoli.

E Paolo, il mio amico.

 


Seconda classificata ex aequo: Danae, di Doris Bellomusto.

Motivazione di Paolo Lago: La poesia dal titolo "Danae" propone alcune immagini suggestive che vengono offerte al lettore come tante inquadrature poetiche ("cielo", "tempesta"; "mare"; "tramonto") che rimandano al mito greco che racconta come Danae fu rinchiusa in una cassa e affidata alle onde del mare dal padre, il re Acrisio. La suggestione appare sottolineata dalla presenza di una significativa figura di suono come l'allitterazione (arricchita da una rima interna) che si concentra sul nesso "tr" e sulla liquida "l": "La trama e l'intreccio scritti sulla pelle, le stelle cullate nel ventre molle del mio presente indicativo". L'intera narrazione poetica è poi suggellata da una sapiente e efficace brevità che offre queste tali suggestive immagini in forma immediata e diretta.

Danae

Indosso cielo

e tempesta,

mare e tramonto.

La trama e l'intreccio

scritti sulla pelle,

le stelle cullate

nel ventre molle

del mio presente

indicativo,

la luna nascosta

sotto la lingua.

Camminando piano,

sono puntuale

all'appuntamento

e adesso so

che il tempo non esiste.

 

 


Seconda classificata ex aequo: a grace Paley, di Nadia Chiaverini.

Motivazione di Francesca Sensini: La poeta ha bisogno di farsi mondo, di annodare fili di un dialogo con altre voci, di dedicare la sua voce e farsi doppia, molteplice. Quando le circostanze le impediscono questa declinazione singolarmente plurale di sé, implode: nutre e cova il mostro/meraviglia che, ad un certo punto, dovrà rompere il silenzio, i fili che chiudono le labbra della sua genitrice. La rottura si esprime nella polisemia, nel cortocircuitare delle parole: spiegare per essere spiegata, liberare mostri e meraviglie per essere liberata dal peso di una prigionia. 

In tutto questo sforzo la poeta ha parole piane, comprensibili, sonore, perché vuole che tutte e tutti si spieghino attraverso di lei, lei attraverso di loro. 

 

 

a  Grace Paley

 

Mi cuciono le labbra

sempre vorrei spiegare                                  

spiegare  e parlare di tutto

fare grandi salti  nell’analogia 

nei sogni, vissuti, epopee  e miti

Spiegare / per essere spiegata

ma mi cuciono le labbra

e un mostro mi cresce nel ventre 

 

 

Terza classificata: Sabato all’Ikea, di Lorenzo Mandalis

Motivazione di Paolo Lago: La poesia dal titolo "Sabato all'Ikea" dimostra una non banale capacità di mitologizzazione del quotidiano che, probabilmente, incontra la sua vetta più alta in alcune poesie di Montale. Come nella poesia montaliana, il quotidiano, sempre uguale nella sua scontata ripetitività, viene rivestito di alcuni bagliori poetici che lo elevano assurgendolo quasi ad una dimensione mitica e letteraria. L'ingresso e la visita all'Ikea si trasformano in un inusitato viaggio attraverso l'Inferno dantesco (l'ingresso è la selva infernale, i mobili esposti gli alberi di quella stessa selva), guidato forse da un novello Virgilio, l'addetto del grande magazzino che indica l'uscita utilizzando una efficace figura etimologica: "... dopo i taglieri / tagliate passando per le posate...". E questo viaggio viene offerto al lettore per mezzo di una capacità di organizzazione del discorso poetico decisamente abile e fuori dal comune.

 

Sabato all’Ikea

 

 

I

 

Nessuno di noi due credeva d’essere nel mezzo

del cammino della vita. La selva

però c’era. E noi ce la ritrovammo

davanti come un imprevisto.

Non come le solite strade

che eravamo abituati a percorrere

fianco a fianco lungo il mare

coi piedi affondati nelle conchiglie

e isole lontane che ci osservavano

come giganti rospi in uno stagno

siamo arrivati da un’entrata secondaria

e abbiamo fatto in fretta a perderci.

Gli alberi erano mobili bianchi

cassettiere taglieri posate frullatori ombrelloni.

Io ero molto confuso. Non mi orientavo.

Tutti gli altri sapevano benissimo

dove andare e come arrivarci.

Famiglie che costruivano così il loro futuro

e discutevano di comfort e design,

indicavano prezzi, confrontavano valori.

Progettavano vite riempiendo angoli della casa

e la commedia umana passava

 

anche per quelle strette vie

tra set di coltelli, cenci e pela patate.

Ero smarrito. E lei dov’era?

Tra la folla. Poco distante.

Si era fermata a guardare una cameretta:

una tenera scatola col letto a castello

scrivania e qualche sparso scaffale.

Mi sorrise.

Fu la solita dolcezza a ritrovarmi

tra le radure delle mie distrazioni.

Alla fine – mi sono detto –

c’è più futuro in uno dei miei divani

che in tutte le mie malcerte visioni

di ombre e cose scadute. Sono questi oggetti

le nostre allegorie, gli scenari a cui aspirare:

la sera, il divano, la televisione, i cuscini

le lampadine da spegnere

prima dei sogni.

 

II

 

Carichi di roba abbiamo chiesto poi dove fosse l’uscita:

-          Prendete la prima a destra dopo i taglieri

tagliate passando per le posate,

quando arrivate alle lavatrici

dirigetevi verso i materassi.

Lì vedrete il cartello con scritto Casse/uscita.

Seguitelo. Tranquilli, sembra complicato, ma ce la farete.

Tutto andrà per il meglio. -

 

 

 

Menzione speciale: ritmo circadiaco, di Anna Bertini.

Motivazione di Maristella Diotaiuti: Per aver dato voce poetica alla propria personale cognizione del dolore, fatta diventare universale condizione dell’umano, condivisa fragilità e finitezza.

Versi pervasi da sotterranee inquietudini esistenziali, una scrittura poetica forgiata dall’esistenza che dice di un tempo esogeno e di un tempo interiore in un rapporto non più dialogico e dialettico ma discronico e aritmico. E’ il tempo del non-esserci, o del non-esserci più, il tempo come deriva, come naufragio, in cui affiorano, come relitti, le perdite, le assenze, le cadute.

Il periodare accompagna e realizza questa percezione di capitolazione, di resa, attraverso parole esauste, parole reduci, come dopo una battaglia, e l’uso di immagini metaforiche che concretano efficacemente la non-coincidenza, l’andatura distonica rispetto al proprio presente.

La versificazione restituisce il dolore di un tempo che incarna la violenza di un taglio tra un prima e un dopo, ma anche la necessità di imparare a sostare nel taglio, perché è in questa frattura che nasce un altro tempo, un tempo innocente in cui rifondare il respiro, risintonizzare il ritmo.

L’occhio della poeta si affissa, così, in quel doppio orizzonte, splendida metafora finale di un oltre inaccessibile e pure possibile. Lì, in quel vedere l’invisibile, mira all’infinito, un infinito privato che quasi nessuno vede, eppure è in esso che vive ed esiste, ed esiste e vive un altro da sé, un doppio salvifico e catartico. Attraverso lo sguardo che muta muta anche l’oggetto guardato, non sarà più lo stesso ma sarà il nuovo che satura la rottura e lascia un segno di permanenza nel tempo. In quel doppio arco dell’orizzonte rifrangente c’è un buio speciale che non è però separabile dalle luci, luci dirette verso di noi che si allontanano infinitamente da noi.

 

Ritmo circadiano

Ho un arresto
non è il cuore è la volontà.
Fugge da perdite e vuoti a perdere
protesi e proteine, vecchie domande mai risposte,

mai riposte.

Dove sono le fate che vennero alla culla
quando salvai la mia piccola umanità
dal suo nulla?


Sono sgolate
a forza di cantare litanie noiose,
cercano note dentro anfore sorde
lampare spente e reti rammagliate
su un fondale di mare secco,
nemmeno acqua per galleggiare.

Ho un arretramento,
il tempo ha smesso di scorrere
dentro, scorre solo fuori
in mezzo ai motori spenti
nell’autoscontro, fermi
senza un gettone che metta la tensione
che faccia ripartire,
giusto per sbattere contro qualcosa.

Il ritmo è circadiaco,
davanti alla piena dell'orizzonte curvo,
un orizzonte che sta lontano, dorato
 - se lo guardi fisso si drizza
e se ne va, lasciando il posto a un gemello
curvo anche lui, quasi un arco  -

le ore si dimenticano di trascorrere.

Si fanno vento, e polvere.

 

 

 

Menzione speciale: A mio padre, di Francesco Papallo.

Motivazione di Maristella Diotaiuti: Delicato e intenso dialogo-ricordo, reso attraverso un’atmosfera raccolta e intima e immagini potenti e pur lievi che non nascondo le asperità di un dolore irrisolvibile. Una lirica commossa e commovente nella quale si intreccia una inintaccata e velata confidenza tra padre e figlio, in un continuo rivelarsi e nascondersi, fino al catartico capovolgimento dei ruoli. Il dolore trattenuto si risolve e stempera nella metafora finale del grumo di resina che imprigiona e protegge, nasconde e svela, segno e promessa di una lontananza irrecuperabile e risanabile.

Versi tutti giocati sul filo del canto, in un accordo felice tra l’essenzialità della parola e la sua modulazione musicale e allusiva, tra le arditezze analogiche e le arcane prospettive della memoria, fino a estreme rarefazioni di echi e nostalgie.

 

A mio padre

 

Venivi a prendermi dopo la scuola,

un piccolo tragitto di singhiozzi,

poi accostavi e sparivi dietro l’angolo

per nascondermi i conati di vomito.


Come se nulla fosse, tornavi

forte delle tue rêverie

che spaziavano tra nuvole e stelle

in dissolvenze incrociate di mondi.


Io non riuscivo a sollevare lo sguardo al cielo,

a trapuntarlo di minimi motivi.

Tu invece, l’occhio allenato ai principi d’incendio,

scorgendo anche solo una bava lontana di fumo

pensavi a cosa fare

venisse l’eruzione, e camminavi curvo

come sotto una pioggia di pietrisco.

Ti distraevo allora dal dovere di cercare riparo

sfregando la tua mano di corteccia,

chiedendoti cosa trattiene il sole resinoso

sul tronco abbattuto dell’orizzonte,

e se nell’ambra incapsulate sono per un uomo

vita e felicità,

quale sollievo o agguato le rifonde.

 

 


Per la Giuria popolare

Prima classificata: Divento foglia, di Angela Zavettieri

 

 

Divento foglia

 

Sto diventando foglia
e, non crediate,
c'è un viaggio
da fare!
Bisogna essere seme
e restare coraggiosamente
nel terreno buio
quanto basta a farsene
intaccare.
Non puoi spuntare così,
da oggi a domani,
ed essere foglia.
C'è un viaggio
che parte
dall'essere radici e
crescere tronco,
rifare tutte
le volte il percorso
per rimanere ben piantati
e, nel frattempo,
aumentare i propri anelli
e protendersi
in rami sempre
più lunghi
a cercar la luce.
Ci vuole che il sole
ti osservi con costanza,
e che l'aria sia mite...
Sto diventando foglia
e, credete!, c'è un viaggio,
ma nulla mi potrà
impedire
di assottigliarmi in lamina
di verde luminosità
e fare vela
a ogni alito di vento.

 

 





Poesia in-corso VI Edizione (2022)

Giurate/i: Floriana Coppola, Alessandra Corbetta, Emanuela Dalla Libera, Aldo Galeazzi, Paolo Lago.

Letture: Aldo Galeazzi; musica: Mariano Di Nunzio (tromba, electronics)

 

 

Per la Giuria esperta

 

Prima classificata: Aironi rossi, di Lorenzo Mandalis.

Motivazioni

Floriana Coppola: Frammento poetico denso di immagini e di significato, eccellente nella sua stesura carveriana, dove la simbologia della natura riprende la percezione interiore dell’io poetante. Le voci degli umani si interrogano sul senso della migrazione. Ciò che abita il cielo e va altrove risuona in chi guarda dal basso, fermo e dolente sulla terra devastata e grigia. Terra desolata, citando Eliot. Gli interrogativi si susseguono inquieti. La scrittura del testo risulta compatta ed efficace nella sintonia tra pensiero, forma e poesia. Pur non essendo palesi figure retoriche di suono, è nell’intreccio metaforico che si sostanzia la poeticità del testo. Esistenziale e crepuscolare la chiusa che allude anche a una citazione contemporanea di contesto domestico familiare così intimo, autentico.

Emanuela Dalla Libera: La lirica si apre con un ricordo che si condensa attorno a macchie di colore, rosso o nero, non importa. Importa che l’apparire improvviso di un volo d’uccelli distolga da qualcosa di grave, una via di fuga da un pensiero che chiama e non si vuole ascoltare. Il tempo si interrompe, fa deviare  dalla propria personale imperfezione, si arresta nella dimensione ripetuta dei tramonti (di tramonto in tramonto) a cercare al di fuori di sé qualcosa che abbia un ritmo, un obiettivo certo, come lo ha il migrare, quasi nel volo degli uccelli si possa rinvenire un segno, un presagio, come nelle antiche divinazioni, o un senso che in se stessi non si riesce a trovare perché si finisce per cedere alla ripetizione rassegnata delle stesse cose (sparecchiare, guardare un film). La lirica sembra quasi voler tracciare un percorso: dalla infinitezza del cielo nel cui spazio senza confini gli aironi inseguono la loro sorte, all’interno chiuso e circoscritto di un’anima che non sa risolversi, non ha un destino prefissato né deciso e precipita perciò nell’inconcludenza. La stesura è piana, equilibrata, l’amarezza dell’incompiuto vi traspare velata di leggero fastidio ma sostanzialmente scevra di inquietudini.

 

 

Aironi rossi


Credo fossero aironi rossi.

Gli unici tra i migranti estivi

a poter sembrare neri così in alto.

Me li indicasti dal nostro terrazzino

mentre parlavi di scelte da prendere.

Responsabilità da assumere.

Guardai verso quella breve migrazione:

il tempo continuava a sfuggirmi di mano

a trascolorare di tramonto in tramonto;

e le ore passavano

con la stessa esattezza geometrica

della mia infinita incertezza.

Ma che suggerimenti potevano venire

da una migrazione?

Che era ora di partire? O forse di tornare?

Che il tempo è un cerchio? O magari una retta?

Li guardammo sparire oltre le nubi della sera,

irrisolvibili teoremi alati.

Invidiai la sicurezza del loro procedere avanti

del tutto incuranti del mio grigiore.

Non ho mai trovato nulla di biunivoco

in natura. Sbuffai. Rinviammo

tutto a date più lontane. Quel che venne dopo

fu il solito finire del giorno. Un assioma

scontato: sparecchiare, guardare un film,

aspettare che il sonno spegnesse

le nostre risa al di là del buio

 

 

 

Seconda classificata: cors’Amedeo, di Diego Barsotti

Motivazioni

Alessandra Corbetta: La poesia, sappiamo bene, sa trasformare anche il paesaggio in un organismo vivente, fare dei luoghi interlocutori attenti e rendere cittadine o spazi apparentemente qualunque dimore simboliche deputate a significare molto e altro; basti pensare, ad esempio, a Verso le correnti del cinghio dove Attilio Bertolucci riversa la sua attenzione su un torrente, per molti anonimo,

dell’appenino parmense.

In questo inedito Diego Barsotti fotogramma tramite i propri versi un punto preciso della città di Livorno, facendola diventare crocevia tra presente e passato ma anche tra letteratura e realtà, come bene ci indica il diretto riferimento a Caproni, che molto su e per Livorno ha scritto. Barsotti, trasformandosi coscientemente in fingitore, immortala il luogo e sottrae al perituro corso della vita i passaggi che in esso si sono compiuti e che lì continueranno ad animarsi tra le vie.

Paolo Lago: La poesia riesce a rendere, con una certa maestria, l’atmosfera e l’anima popolare di Livorno. Ad arricchire il testo si notano delle metafore e dei termini particolarmente ricchi di significato, che hanno anche una discreta forza allitterante come, ad esempio, “grugniti”, “granisce”, “refoli acri”. La caratterizzazione popolare e multietnica (che sa di felice bozzetto), intrisa di una povertà e di una miseria che vengono presentate come delle ricchezze, è solcata da notazioni paesaggistiche legate agli elementi naturali che la riempiono di una dimensione assoluta, come “il maestrale” che “sale” “in questo ferragosto che granisce fiele”, o i “refoli acri di porto” che “saltellano sui tetti”. La presenza del mare e del porto giunge perciò come un elemento salvifico e catartico, ad accarezzare quei cuori perduti negli anfratti più popolari della città. Sono da rilevare, inoltre, alcuni echi caproniani che, nel testo, si rivestono di senso nuovo, fino alla chiusa, in cui emerge la stessa, delicata figura di un Caproni bambino che aspetta la madre Annina in bicicletta (il riferimento è a Ultima preghiera ne Il seme del piangere, in cui invece Caproni si immagina di tornare a Livorno da vecchio). E il vento che giunge dal mare e dal porto e si insinua in quei popolari anfratti, a noi lettori sembra di sentirlo scorrere sulla pelle.

 

Cors’Amedeo

Livorno è una vallata
Di bivacchi ventosi
Su sedie dozzinali
davanti a bar cinesi.

Grugniti s'accalcano
Di lingue sconosciute
Con facce appuntite
Che il gottino già caldo
Non rende più morbidi.

Vetri scotchati e tristi
Pisciate di cani ignari
vecchi portoni adusi
ai perenni “vendesi”
ammucchiano essenze
su muri stanchi e soli.

Ma ora sale il maestrale
in questo ferragosto
Che granisce fiele

E refoli acri di porto
Saltellano sui tetti
Antichi e in Cors’Amedeo
Verso questa finestra
Da cui mi fingo veder
Caproni ancora bimbo
Che trepidante aspetta
Annina in bicicletta.

 

 

 

Terza classificata: Santa Giulia, di Adriano Pierulivo

Motivazione di Aldo Galeazzi: La poesia è anche latrice di fatti. In questo componimento si rivivono le vicende della Santa Giulia, con tutto il loro portato storico, la propria via Crucis, l’Odissea che il corpo, anche da morto, subisce fino alla trasformazione reliquiaria. Terzine non rimate ma contraddistinte da voci ed echi interni che sublimano il viaggio della Santa, domande che ci interrogano sulla questione del possedere i corpi, sul potere di vita e di morte, sulla qualità delle anime mai salve. Così, questa poesia che rinnova la testimonianza del martirio di Giulia, si pone come rinnovato sguardo sugli accadimenti che dal V secolo attraversano il sentimento popolare e religioso del consorzio umano e pone il proprio granello di sale sulla strada della Storia con la esse maiuscola.

 

Santa Giulia

 

C'erano gli specchi ,Giulia,

nella casa signorile di Cartagine

quando la fortuna ti girò le spalle?

 

E tu,avevi il vezzo da ragazza

di scioglierti i capelli e di monili

luccicanti adornarti gli occhi?

 

Senza spada venne Eusebio, il siriano,

mercante di carne e di speranze

perdute, e fosti schiava priva di catena.

 

Di cosa piange una ragazza rapita,

cosa sfinisce il cuore di una bimba

che giocava all'ombra di un patio?

 

Quando sulle coste scure  e còrse,

s'arenò l'armo d'Eusebio, di vino ebbro,

fosti di Felice, il governator pagano

Cos'è che voleva da te , Giulia,

che non potesti e non volesti dargli?

Un bacio? Un inchino? Una nuova fede?

 

Poi ti iniziò al supplizio più feroce;

 ci sono epoche bastarde, come ora,

dove la storia rinnega la voglia d'amore.

 

Tramortita dai colpi avesti la carne,

strappate con le mani le tue lunghe

ciocche di capelli, davanti al mare.

 

Infine alzarono una croce sul dirupo,

con te trafitta come Cristo nel legno;

dov'è Nonza si perpetrò l'infamia.

 

Fu allora che i frati della Gorgonia

da un sogno oscuro messi sull'avviso,

videro la tua croce,errante tra i flutti.

 

Era un ventidue maggio e il mare calmo

quando la Tuscia t'accolse e ti protesse

nella sua terra, come il più bel fiore.

 

Poi, Ansa, la longobarda,di Desiderio sposa,

conosciuto il tuo fato e mossa da passione,

traslandoti ti fece di Brescia regina,

 

dove il tuo corpo giace ancora nel conforto;

ma il tuo cranio ritornò su sponda còrsa

 

e un dito anche noi lo conserviamo;

 

che poi, di chi saranno mai quest'ossa

smosse? Le tue o di altri ancora, persi,

come te,in un sommovimento della storia?

 

Proteggano ,Giulia, le tue ossa sparse,

le nostra ossa gravide di sogni e speme;

proteggano braccia e gambe di ogni livornese.

 

Proteggi, Giulia, questa che è la città del vento,

proteggi, Giulia, questa che è la città della luce

proteggici ,Giulia, quando a noi toccherà la croce.

 

 

 

 

Per la Giuria popolare

 

Prima classificata: Il grande viaggio, di Carlo Chionne


Il grande viaggio

 

Su, via! Partiamo, per il grande viaggio:

nei nostri bagagli, un po’ di coraggio,

qualche speranza, appena imballata

ma non sprechiamola, alla prima fermata…

Lasciamole a casa, le nostre illusioni:

ne troveremo, nelle altre stazioni !

Magari, portiamoci qualche ricordo:

è sempre bene tenerne a bordo !

 

Sì, un buon ricordo portiamolo pure:

ci servirà nelle ore più dure

e per voltarci indietro ogni tanto,

portiamoci anche qualche rimpianto…

 

Su! Via salutiamo il babbo e la mamma,

ma non è il caso di farne un dramma,

anche se soli poi resteremo,

qualche altro dolore lo incontreremo

 

e ci faremo un po’ di compagnia

con la tristezza e la nostalgia…

ma prima di giungere a destinazione:

lasciamola scendere… la disperazione…

 

Si! Prima di giungere al traguardo finale:

Su! Via, liberiamoci di tutto il male

Che abbiamo fatto, subìto, incontrato:

portiamoci il bene che abbiamo operato

 

insieme a quello che abbiam ricevuto

tutte le volte che abbiam chiesto aiuto

e, se c’è stato qualche rifiuto

buttiamolo a mare… facciamo uno sforzo…

 

sarà più leggero il nostro percorso

Così, una volta toccata la meta

Adagiamo la testa su un cuscino di…pietra

E dopo tante battaglie e lotte,

 

chiudiamo gli occhi e…buonanotte !

 

 






Poesia in-corso VII Edizione (2023)

Giurate/i: Alessandro Fo, Gianni Antonio Palumbo, Rosa Pierno, Silvia Rosa.

Presenti l’Editrice Cristina Daglio (Puntoacapo Editrice) e l’Editore Elio Scarciglia (Terra d’ulivi Edizioni)

Musica: Mariano Di Nunzio (tromba, electron ics)

 

 

Per la Giuria esperta

 


Prima classificata: Senza titolo, di Annamaria Giannini

Motivazioni

Alessandro Fo: La poesia di Annamaria Giannini ci porta all’interno del microcosmo carcerario: e non solo e non tanto per il linguaggio, che recupera tratti di quello specifico lessico, come «concelline» per le compagne di cella e «liberante» per chi si accinga a lasciare la detenzione: tratti espressivi di un universo speciale che restano comunque suggestivi per quelli che Adriano Sofri ha chiamato «i chiusi fuori». Ma soprattutto perché delle prospettive di chi esce e di chi resta «dentro» offre in breve uno spaccato efficace: le minime cose irrilevanti per gli esterni e vitali per gli interni, le prospettive interiori di chi va e di chi resta. E il recupero (il «nome») di un’identità che la struttura detentiva fa il possibile per obliterare. Al «bivio» da cui se n’è usciti si può tornare alla (vera) vita.

Gianni Antonio Palumbo:  La lirica si apre su una notazione lessicale apparentemente asettica e invece strettamente connessa al rischio della dismissione dell’identità individuale che la carcerazione può comportare. La prospettiva vira sull’immagine delle “concelline” e qui colpisce la segnalazione del passaggio dalla struggle for life all’ipotesi che quell’esperienza di convivenza forzata possa condurre addirittura alla nascita di un vincolo quasi sororale. Il senso di straniamento è costante, soprattutto nella prospettiva del riadattamento a un mondo che, inevitabilmente, dovrà essere scrutato con occhi diversi. Il dettato è nitido, comunicativo, percorso da un’emozione sottesa e sempre dominata.

 


Quando esci di prigione

ti chiamano "liberante"

 

alle tue concelline

lasci le piccole cose

e la promessa di scrivere

 

fino a un'ora prima

avresti difeso coi denti

la vecchia caffettiera

una pentola grande

il mestolo di legno

la penna che scorreva bene

 

invece porti via solo il coraggio

di guardare dritto negli occhi

un mondo diverso da prima

 

sarà la forza di ritrovare il tuo nome 

al bivio dove è stato dismesso

 

 

 

Seconda classificata: Senza voce, di Gabriella Cinti

 Motivazioni:

Rosa Pierno: La spola tra la realtà e l’impensato corre fra le fratture causate da una sensibilità poetica prorompente. Dalla fredda asfissia del quotidiano, da cui si vorrebbero mungere nuovi modi di vedere a partire dal conosciuto, erompe dall’”interiorità” del cosmo, in forza di un’analogia, qualcosa che proviene, niente di meno, che dal passato, dai miti greci, finendo col legare ciò che si conosce con ciò che non si può rappresentare.

Gianni Antonio Palumbo: Quella di Cinti è una visione poetica che affiora come “una folata di scompiglio / sull'ordine freddo delle carte”. L’immagine giunge sospinta da “da remi di luce” e finisce con l’essere vessillifera di un “altrove” in cui gelo e bellezza coesistono e il paradosso sembra chiave di volta esperienziale. L’autrice arabesca suggestivamente, con soluzioni interessanti quali “la freschezza / dell’impensato” o ancora “la leggerezza del paradosso senza artigli”, espressioni che – accanto allo “sguardo equatoriale / con le parole verdi tra le pupille” e ai “remi di luce” iniziali – concorrono all’incanto misterioso e alla grazia epifanica del componimento.”

 

Senza voce

 

Per aver invocato

una folata di scompiglio

sull'ordine freddo delle carte,

 

tu affiori all'improvviso

sospinto oltre le parole

da remi di luce,

 

dagli interni stellari dell'altrove,

tua segreta dimora,

imprevisto messaggero di neutrini

 

prendi stanza nel patto disarmato

del mio presente

con la sconcertante freschezza

dell'impensato,

la leggerezza del paradosso senza artigli

 

e il tuo sguardo equatoriale

con le parole verdi tra le pupille,

l’acanto corinzio tra le tue mani

 nei capitelli apparsi nel bosco

 in lampi di visione.

 



Terza classificata: Senza titolo, di Ksenja Laginja

Motivazioni

Gianni Antonio Palumbo: Il testo di Laginja colpisce per il carattere paradossale e l’aura di ambiguità che lo connota. Straniante il contrasto iniziale tra l’“Adesso” e il passato remoto del “fu”, che sembra proiettare l’asserzione dell’incipit in una sorta di tempo ontologico. Efficace la gnome racchiusa nell’idea dell’“inganno del viaggio”, poi esplicitato sibillinamente (forse con echi danteschi). Incisiva anche l’icona del lupo, il cui sguardo – per tradizione – ha potere immobilizzante sull’individuo; in questo caso, a contribuire al fascino del componimento, c’è proprio la pervasività di tale icona. Il lupo è in ciascuno di noi e – come Plauto e Hobbes insegnano – è nel mondo che ci circonda, rappresentabile quale vasto e gelido scenario venatorio.

Silvia Rosa: La poesia di Ksenja Laginja ci conduce fin dall'incipit al centro di una scena perturbante, ambigua ed evocativa, nella zona liminale che traduce un enigmatico "noi" al di là della sua condizione consueta, in viaggio, oltre la soglia del suo esistere abituale, colto da un'improvvisa trasformazione - coincidente con l'epifania di un nuovo livello di consapevolezza - che ha avvicinato l'umano al lupo, in un gioco di specchi in cui non è più netta alcuna distinzione. Il testo si compone di nove versi (un numero forse non casuale?), asciutti e limati fino a perdere la componente aggettivale, precisi ed essenziali eppure gravidi di molteplici significati, che si aprono a ulteriori letture di senso, e generano una costellazione di dubbi in aumento via via che la conclusione del testo è prossima. Allo spaesamento, allora, si aggiunge anche una sensazione di insicurezza, un vago alone di spavento che finisce per coinvolgere il lettore, spingendolo in prossimità delle proprie segrete zone d'ombra.

 

 

Adesso che non eravamo più lì

fu evidente l'inganno del viaggio

che l'altezza si potesse misurare

attraverso l'apertura della bocca.

 

Capimmo così il senso della fame

come il lupo era entrato in noi

aveva indossato nomi e abitudini

si era seduto alla nostra tavola

e il perché ci davano la caccia.

 


Per la Giuria popolare

Prima classificata: Nero da morire, di Valeria Cipolli.

 

Troppi colori son morti,

addormentati nel campo del nero.

Che ci sia nel catrame, la torba

di ognuno,

nella pece, nel buio nettuno

uno spazio di mietitura,

un terreno di semina

oltre che sepoltura.

Uno sfregio,

un peccato d’oblio è il nero.

I cadaveri più silenziosi

non hanno scelto

il loro morirsene fuori,

eppure non fanno

così tanto rumore

come chi piantato nel cuore,

eretto dritto in suo centro,

decide invece

di morirti da dentro.

Fatti vivo.

 




 

 

Poesia in-corso VIII Edizione (2024)

Giurate/i: Alessandro Fo, Gianni Antonio Palumbo, Lucia Papaleo, Chiara Serani.

Presente Cristina Daglio, Editrice Puntoacapo.

Letture: Letizia Gori, Marcello Marciani.

 

Per la Giuria esperta

 

Prima classificata: Senza titolo, di Marco Bini

Motivazione di Lucia Papaleo: La poesia comprende tutto, abbraccia l’umano e il fantastico, presente e passato in uno stesso verso, condensando ossimori, notizie trapassate in pochi giorni, leggende celtiche, druidi che lasciano presagire superpoteri e saggezza.

Eppure l’incipit è umano, molto umano, se ti sperdi… riduciti.

Di fronte allo sgomento della deflagrazione di elementi incontrollati, il poeta ci offre una possibile soluzione: concentrarsi su ciò che si può controllare, sul dettaglio, quello che si salva dopo il passaggio del rasoio dalle parti della gola.

È il taglio di cui necessita la poesia per essere tale, la reliquia è qualcosa che manca è la purificazione, l’assenza, gli oggetti che si privano dei legami fino a diventare aria, essenza.

La sequenza di nomi propri – il Carlino, il Mauser, il Kamarade, Asterix - sparsi nelle diverse parti del verso, come misteriosa architettura dell’intero testo, punteggia la poesia di una calviniana molteplicità.

Ma, come sassi di guado per un fiume tumultuoso di pensieri che appartengono al poeta, transitano anche il lettore in un mondo interiore che si colloca tra l’onirico e la rivelazione, attraverso processi di identificazione, anche dove la materia dovesse rimanere incognita.

 

 

Se ti sperdi, riduciti al dettaglio

e torna umano, affettivo, popolare.

Io ad esempio attendo il turno per il taglio

col telefono che prende male

e il Carlino di due giorni tra i muri vecchi

di quello che sembra un recinto immanente,

il cerchio del druido nel villaggio di Asterix.

 

Fa’ caso a rotture, spacchi, sfondamenti:

sono macchine disarmoniche del tempo.

Qui la reliquia è qualcosa che manca,

lo sbecco nella sedia dove si dice sfregassero

il Mauser e che senza fare forza

amo misurare con le dita,

scanalatura da sfregare come un oggetto magico:

 

evoca pochi uomini di passaggio da tosare,

la precedenza al Kamarade

la paura del rasoio dalle parti della gola.

 

 

 

 

Seconda classificata: Miracolo ferroviario, di Goffredo Serrini

Motivazione di Alessandro Fo: Miracolo ferroviario ferma le impressioni di un istante di viaggio còlto in quel momento incantato in cui, chi giunga a Venezia con il treno, si trova come sospeso fra terra e mare, in attesa dell’approdo a una delle più stupefacenti città del mondo. La persona che parla è su una «freccia», seduta «al contrario» rispetto al senso di marcia. Ne scaturisce la fantasticheria di una potenziale ‘inversione’ della direzione sbagliata che ha preso da tempo il rapporto dell’uomo con l’ambiente, per come si manifesta nelle ferite inferte al paesaggio. E, di conseguenza, si materializza il sogno che l’acqua possa ribellarsi e cancellare le brutture, e che, mentre siamo giunti ormai alle soglie di un dies irae, qualcosa possa ancora salvare tutto il popolo che rubando il verso a un antico canto popolare antiaustriaco gridava pietà. Così, mentre i freni del treno sembrano già fischiare il game over, precipita il miracolo: quel viaggiare all’incontrario ha generato un’improvvisa speranza di invertire la rotta del «destino sbagliato», e il giudizio universale lo rivela l’altoparlante mutuando il gergo dei consueti annunci «subirà un ritardo previsto di circa un secolo». Memorie storiche (la resistenza di Venezia agli Austriaci) e militanza ecologica si intrecciano in un testo che gioca a presentarsi come platealmente semplice (le rime participiali), e a riprodurre, in una brillante e suggestiva fantasmagoria, i fuochi d’artificio che un’accesa fantasia ricava da un viaggio in treno.

 

Miracolo ferroviario

 

Seduto sulla Freccia al contrario

all’incontrario viaggiavo

 

sognante

guardavo il paesaggio di lato                

immaginando anche lui rivoltato

di bruttezza svuotato

di bellezza rinato

 

poi all’improvviso mi sono specchiato                          

nel riflesso della laguna, Venezia!

 

O Venezia che sei la più bella

ho cantato

lasciando che l’acqua girasse e coprisse per sempre

il passato

che lavasse la terra                                                          

il destino sbagliato.        

 

Mentre il treno planava e fischiava il «dies irae» 

il vento invertiva la rotta del mondo

e tutto il popolo gridava pietà.

 

Venezia Santa Lucia

Annuncio ritardo!

 

[informiamo i viaggiatori che il Giudizio Universale

partirà dal binario 13 con un ritardo previsto di circa un secolo

diversamente da quanto già annunciato]

 

Ci scusiamo per il disagio.

 

 


 

Terza classificata ex aequo: Degli spettri, di Rosa Caramassi.

Motivazione di Gianni Antonio Palumbo: Il testo di Caramassi colpisce per la forza di germinazione della parola, nel continuo rincorrersi di echi fonici, di termini che scaturiscono gli uni dagli altri per esempio in omeoarco o talora anche per la semplice riproposizione di un gruppo consonantico. Non mancano giochi di catafore e un uso della ripetizione al servizio di un’operazione di graduale disvelamento delle radici del disagio. Il malessere vibra nell’andamento perplesso del verso: un’allure che rispecchia quella delle vite “spezzettate”, con il passaggio dal verso monoverbale a quello torrentizio che, in inarcatura, apre alla delineazione – parziale, perché incombe il non detto – del bisogno. L’autrice intreccia continue connessioni tra la collettività, che emerge in apertura, e il microcosmo dell’individuo e della sua famiglia, movimento ripreso in un cenno, nel finale, in cui si intravede come la “spettralità” del titolo ibseniano paia riverberarsi su ogni cosa e sul mondo.

 

Degli spettri

 

 Nostre vite spezzate

Spezzettate

Di case spietate

Sputanti macigni

Dai secoli masticati

Santi nostri protettori

Che non lo sapevamo

Non sapevamo del bisogno

Di dormire otto ore la sveglia alle sette di mattina la doccia prima di cena

i fiori la domenica babbo a capotavola il vestitino buono

Il mutuo

Il primo

Il secondo col contorno

Per poca prudenza e alcuna attenzione

Al male d’amore

Agli uomini in guerra

Ai colpi di sole



Terza classificata ex aequo: Venere al supermercato, di Lucio Macchia

Motivazione di Lucia Papaleo: Un ricordo che ritorna su se stesso, assumendo sembianze divine e una voce forse immutata, è l’occasione per descrivere, gli ossimori del quotidiano, le vite frenetiche e prolifiche di merci, contrapposte alla sterilità della bellezza uguale a se stessa, dove tutto si ripete, alimentata dal rammarico per le non-scelte che imprigionano nei non-luoghi e trattiene anche lo scorrere del tempo tra le merci e il viavai: qui dove non s’invecchia mai .

Ma, al contempo, il testo ci restituisce visivamente un segno di fertilità (il profilo grafico della poesia ricorda una gravidanza avanzata o un carrello ricolmo) come volesse metterci in guardia o rassicurarci che nella poesia il vero può nascondersi nel suo contrario. Brandelli di vita reale rimasta fissata nello spazio e nel tempo dove l’amore accadde ma non ci fu la scelta, non fu salvato dalle reti dove era rimasto impigliato.

 

Venere al supermercato

Ti ho incontrata all’angolo

del supermercato, tra i carrelli

ti ho riconosciuta con stupore:

«Sei davvero tu? Ma così giovane...

Sei come allora – e io mutato, invece».

Mi hai sorriso e mi hai detto: «Sai, vivo

da quei giorni in questo luogo, tra le merci

e il viavai: qui, dove non s’invecchia mai.

Il tempo si è impigliato, tra la corsia

dei detersivi e le conserve – mi trattiene.

Così, sempre qui mi troverai, o vicino,

confusa tra la gente che cammina,

giovane com’ero, ma anch’io

ormai sola: un’Afrodite triste,

una dea – strana – dei carrelli».

 


Terza classificata ex aequo: La neve fragile, di Massimiliano Marconi.

Motivazione di Gianni Antonio Palumbo: La neve fragile si basa sulla constatazione del crollo delle illusioni, nel recupero della metafora dello scioglimento delle nevi che fu cara a Villon. Nulla più sembra persistere: le orme non si imprimono, gli equilibri si sfarinano; l’ubi consistam non trova risposta. Una possibile reazione a questo stato di cose è individuata nella “forza inversa” dell’Arte; far “indietreggiare il ghiacciaio” significa reagire al gelo ma anche all’impersistenza; far “risvegliare” ciò che resta e radicarsi. Bello l’incipit, che – pur nelle differenze – pare richiamare, per antitesi, un verso del Faust di Goethe (“die Erde hat mich wieder!”); efficace anche la chiusura, che vive dell’accostamento di elementi contrastanti, accentuati dalla dipendenza da un unico verbo causativo.


La neve fragile

Più nessuna terra mi possiede,

in questo luogo

dove la notte illumina

i vecchi racconti

e dove ogni singolo passo

non produce più orma,

nell’ombra crescente di una luna debole

ho gettato ogni equilibrio,

e sciolta ogni illusione

nel tempo breve di una neve fragile.

Nell’opera compiuta dall’artista

transitano lucidi i sentimenti di genesi

ed è solo nostra la forza inversa

che fa indietreggiare il ghiacciaio

e risvegliare la pietra.

 

 

 

Terza classificata ex aequo: La città invisibile, di Camilla Ziglia.

Motivazione di Chiara Serani: Scrive Italo Calvino, ne Le città invisibili , che «[l’]inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni», e questo testo di Camilla Ziglia, che a Calvino inevitabilmente rimanda, sembra proprio voler evocare una moderna geenna, una sotterranea città immondezzaio, una segreta anatomia urbana di materiali sintetici e nocivi, un formicaio disumanizzato. A metterla a nudo è uno sradicamento-scoperchiamento immaginativo, un’epifania improvvisa che apre all’invisibile e che poi ricompone, come in un edificio che venga distrutto ed eretto di nuovo, il velo della realtà sull’irriducibile e scompaginante reale, quello che mina, come le formiche-operaie in grado di fare e disfare incredibili ponti viventi, le strutture del quotidiano – e si pensi al surrealismo di Buñuel e Dalì, col sobillante brulicare di questi insetti. D’altro canto si realizza nel testo, con l’irrompere dell’immagine delle necropoli «fuori mappa» e le loro defixiones , un’ulteriore discesa stratigrafica verso il sottosuolo, dunque verso il buio e le camere formicolanti dell’inconscio (metropolitano, sociale, individuale): un cambio di prospettiva e un movimento catamorfo che per un attimo fanno saltare ogni coordinata spazio-temporale prima che il varco si chiuda e «la città visibile» ricada , paradossalmente, su sé stessa. Il testo di Ziglia colpisce per misuratezza linguistica oltre che per immediatezza e visionarietà, condensando inoltre riferimenti cólti e riuscendo al fine a rivitalizzare in maniera originale e creativa il topos della città-formicaio, spogliato dei suoi attributi più consueti e riconoscibili.

 

La città invisibile

 

Dalle torri si afferrano i ponti degli svincoli

un tiro di polso solleva la città come zolla:

parchi sradicati fondazioni strappi di fili elettrici.

 

Franano calcinacci e pattume, penzolano lingue d’asfalto

fiotti di percolato in capillari di iniezione.

 

Stride il richiamo dei cavi rimasti nella conca

fibre ottiche si affacciano e reti a più livelli

attorno a sacche tumorali di amianto.

 

Necropoli fuori mappa scoperchiano maledizioni

scattano tagliole sui soffitti dei caveaux

dalla camera in fondo al formicaio la regina

sguinzaglia masse frenetiche addestrate a minare i ponti

 

di peso ricade ̶ illesa ̶ la città visibile.

 

 

 

Poesie menzionate dalla Giuria esperta/quarte classificate

 

Poesia di Erika Signorato

Padiglione 21

sai che la pioggia non giunge

sotto l’insonnia del leccio

- quando 21 era un multiplo,

ora il 3 è 15:00, una lacrima

a rivoli, campanello, cancellata –

 

mi invitano bianchi sudari

col sorriso sulla processione

- parenti a riflessi, la borsa,

il cambio, due monete,

le quindici e trenta - 15:30 -

 

mezz’ora di mani, al seno

i capelli e due passi sospesi -

 

eppure si corteggiano i germani,

di qua e di là sopra le sbarre

quel volo sacro ogni primavera

 

- tu non dormi, del 21 sapevi

come inesausto piove l’amore.

Psichiatria, Padiglione 21 (visite ad A.)

 

 

 

Poesia di Silvia Secco

 

Il fatto io credo sia plurale: sono la madre e la bambina. Il fatto

sono il corpo nell’incolto, il dito che ha indicato il luogo.

Il coltello (si presume), l’immaginazione della scusa, la bambina

morta. Mentre la bambina muore - io credo - la bambina smette.

Mentre rondini, cicale, le automobili, sterpaglie che si sfregano

nel secco                  proseguono il rumore.

 

Allora, mentre la bambina muore, smette anche la madre d’essere

concetto. Viene dismesso il dovere (smette di graffiare), smette

il sacrificio: il fiato che di notte monta il latte (piangere e spavento).

Smette il sentimento della madre che non era pronta

della madre che era sola nel deserto,

nella pietrarsura del deserto dell’istinto delle buone madri.

 

Allora, mentre la bambina muore, forse disperatamente è questa

madre che recide - forse è la rete di gabbia che smette - forse

disperatamente (la madre che dopo si calma, ritorna ragazza com’è,

ragazzina). Mentre la bambina muore forse a lei si chiude il cuore.

Annega, e dopo si scorda                  (non sa, non trattiene).

Non si può mai tornare indietro.

 

 

Poesia di Isabella Moretti

 

Hortus conclusus

Siliqua aperta, sguscio le parole,

semi rotondi e lisci di legume,

elidendo i peduncoli sottili

che le legano al cielo del palato,

 

mentre la lingua dorme

un sonno di lumaca

mollemente adagiata

nel recinto dei denti.

 

Le cavo su dal buco della gola,

le salvo dalla glottide tagliola.

Affacciate sul ciglio,

oltre la scorza secca del torace,

prendono a rotolare come perle

come gocce di resina, di linfa.

 

La saliva le rolla, le accarezza,

nell’attesa che il senso del discorso

si dipani da solo,

 

filo di bava argento

brillante nella luna.

 

 

 

Poesia di Teresa Mariniello

 

Irragionevole stanza

 

Sono uscita dalla cruna d’ago.

Nel grembo mi fa nido il cielo

di tanti miei viaggi,

porta il giallo dell’oro il rosa della carne.

Si fa strada e lievita

lievita bianco sotto la cappa dell’azzurro.

 

Nel segno della madre

e poi del padre

ho ascoltato la voce degli antenati

battermi nel costato

a farsi accorta preghiera.

Perché tornassi qui,

sciolta dal peso degli amori,

alla tua irragionevole stanza,

mia poesia.

 

 

Poesia di Pasquale Lenge

 

Non lo sai se è lo scroscio del fiume

d’acqua poco lontano al di là del poggio

o il vento nero che si ghiaccia in gola

l’aria che tira

per le funi i cipressi albini legati in cima

piegandoli rivolti verso la Qibla

o l’esoscheletro in carbonio

dei castagni mostruosi

gettato nelle fiamme di fuoco

il miracolo del frutto del riccio

 

che nella piana dove c’era una palude e una tabacchera

campi e campi uguali di ettari e ettari

i tedeschi o gli alleati mitragliarono

per ventotto minuti ogni fiore blu di cicoria

 

questa la storia della sintassi d’ogni discorso

rotta di rosso – i rami vizzi, dicevano l’ulivo e il deserto -

il sentiero si macchia e torni indietro di strada nei fossi

resta la voglia di more di gelso sotto le ginocchia

nell’attaccatura del braccio: nel pallore di polvere

di quando esplode la luna alla faccia dei poveri

 

non c’è un erbaio per i bovi a trainare la giornata

un ranghino rugginoso è incapace di dire fieno

 

ti inginocchi sopra una manciata petrosa

di sassi più grossi di ceci – chiamatela pure terra-

a mani in alto disgiunte lontane dal petto

chiami la pace preghi o chiedi scusa

che il fiume o il vento e la guerra

 

come il battito d’ali di una farfalla

nell’arcobaleno riflesso nel Canaan

non calpestate le aiuole di iris ovunque

come il battito d’ali di una colomba

 

 

Poesie segnalate dalla Giuria esperta/quinte classificate:

 

Poesia di Angela Zavettieri

Mia madre andò via

 

Mia madre andò via

una mattina

sul presto

in un giorno d'inverno

senza fare rumore.

Non aveva bagagli

ma prese con sé la mia pelle.

È da allora che sento ogni cosa.

 

 

Poesia di Giovanni Nolfe

Una sventagliata dal Nord

 

Che sarà di noi

Mio complicato

Amore enciclopedico

Quando

Una sventagliata dal Nord

Ci taglierà la testa?

Dove finiranno

I nostri pensieri

Le discussioni

I baci? Dove rotoleranno

Le carezze per il cane?

Cosa faranno i figli

Di tutti quanti i libri

Dell’opera omnia

E tutte le poesie?

Dove se ne andranno

Le medaglie di guerra

Dei vecchi genitori?

Chi curerà il giardino?

Dove moriranno i viaggi

Che ne sarà di tutti quanti i passi

Del sole negli occhi

Delle giornate di vento?

La mia pigrizia

La tua esuberanza?

Dove andranno, quando

Una sventagliata dal Nord

Ci taglierà la testa?

 


Poesia di Claudio Dal Pozzo

Negli occhi dei miei figli tondi o allungati

negli occhi dei miei figli tondi o allungati
c’è un punto di domanda uno sbadiglio
un articolo di legge una corda e un appiglio
un diario personale un plettro consumato
la fame delle scarpe che divorano la strada
la sete dei capelli che tracannano gli specchi

un album di fotografie con le prime smorfie
un’agenda di dieci anni avanti da riempire
costruzioni Lego spaiate le istruzioni perse
un tavolo bislungo di un consiglio di amministrazione
un palcoscenico in provincia un bivacco ad alta quota

il mio tramonto solido che in tre sorrisi trova soluzione

 

 

Per la Giuria popolare


Prima classificata: Ballata per un’isola, del collettivo di Donne “Le sammule”,coordinato da Simonetta Filippi.

 

 Ballata per un’isola

 

Notte stellata di navigazione,

occhi semichiusi di bimbe appena sveglie, alba rosa, delfini…

un sogno

qualcosa di bello in mezzo al mare

uno spazio finito in un orizzonte infinito

è l’improbabile

una balena gigante che bacia il cielo

sembra lontana anche quando è vicina

meraviglia mistero

pirati onde minacciose pericoli e fantasmi da sconfiggere

mi fa un po’ paura, ne ho timore

è l’improbabile

blu blu oltremare zaffiro e azzurro

verde verde smeraldo acqua menta

uno scoglio

la salvezza

il paradiso?

 

 

Un’isola

 

distaccamento di terra in mezzo al mare

una radice nel mare

una minuscola pietra dura di salsedine

un mondo fuori dal mondo

 

natura che ti accoglie ti coccola ti rigenera

ti avvolge di bellezza

un organismo vivo

energia pura

vite animali vegetali e minerali, aliene fra loro, che si toccano

culla di profumi e tempesta di pace

è dove il tempo sembra si fermi ad ogni tramonto

 

L’isola

 

è casa...è tutto

è un cuore che batte in mezzo al mare

silenzio poca gente tranquillità

oasi di pace e libertà dove ognuno ritrova sé stesso

per l’ennesima volta!

è una terra promessa e mantenuta

che ti fa sentire al centro dell’universo

l’isola è magica!

un luogo incantato

dove il tempo rallenta al ritmo delle onde

l’isola è una finestra sul mondo

luogo di arrivo e partenza

andare e ritornare

l’isola è il mio porto

è l’approdo alla vita dopo un viaggio tempestoso

la fermata dove scendere prima del capolinea

è il mio nido

 

l’isola è tempo

è uno spazio di libertà

la libertà di una storia d’amore lunga tutta una vita

l’isola dà forti radici

io: isolana al cento per cento!

 

L’isola è il ricordo di una vacanza felice di tanti anni fa…

i profumi i tramonti le risate i sogni di un gruppo di amici pieni di speranza…

ecco: ritrovare ogni tanto piccoli attimi di quell’atmosfera

nella vita di tutti giorni,

per me, è un’isola

 

La mia famiglia è la mia isola: io sono la vecchia terra, ì miei figli con amore e tanta pazienza sono le acque che mi circondano e mi proteggono

 

l’isola è come la mia valle: difficile da raggiungere, difficile da lasciare, aspra e selvaggia ma accogliente e protettiva

l’isola è come un figlio, legata alla terra Madre da un filo invisibile

è come un gomitolo: in ogni gomitolo c’è un mondo da scoprire

l’isola è un posto dove poter leggere quanto ti pare

 

la mia isola di tutti ì giorni è un caffè prima del lavoro, da sola, per iniziare la giornata partendo da me stessa

 

isola: croce e delizia di chi ci abita

è la terra che quando ci sei desideri lasciare e sulla quale, quando sei lontano, brami di tornare

 

l’isola è il cuore a metà

 

Io sola

 

A volte vedo, tra le nuvole, un’isola

ecco una palma

ecco dei gabbiani

e sulla spiaggia un bel forziere

che fa tesoro dei miei sogni

 

Isola

getta ì tuoi ponti

verso di me

io sono sulla mia isola

 

l’isola è un luogo della mente

spazio sacro

 

Togli all’isola il mare: resta un’isola?

è l’improbabile

l’isola è un luogo di ascolto in cui abito solo io

è il mio viaggio interiore

è solitudine che trabocca di emozione

è dove i ricordi hanno un peso

il posto sicuro dove il pensiero vola!

 

l’isola circonda, è anima profonda

è rifugio dell’anima

il luogo dove riesci a sentirla, la tua anima

 

l’isola è una forma di meditazione

è una zattera che naviga sul filo del racconto

è ritrovarsi: silenzio sterminato

incanto connessione

è uno stato d’animo

è una dimensione

restare uno

 

Vieni isola resta con me, chiudimi in te. Costruiamoci un mondo tutto per noi, mettiamoci dentro quello che ci piace di più: il sole, la luna, le nuvole, il cielo, il mare, la musica, i libri, il teatro e gli occhi che ci appartengono…

 

l’isola è la parte migliore di me

 

e dentro… tutto è poesia.