CONCORSO
DI POESIA “POESIA IN-CORSO”
a cura de Le Cicale
Operose
Archivio delle otto Edizioni del concorso
(2017-2024)
Poesia
in-corso I Edizione (2017)
Giurate/i: Anna Bertini, Aldo Galeazzi, Alessandro Granata
Seixsas, Anna Segre.
Per la
Giuria esperta
Prima classificata: Ti ho
vista guardare,
di Paolo Melai
Motivazione di Aldo Galeazzi: La poesia centra perfettamente l'appuntamento con il Destino, il treno
di parole era in orario ed io sono saltato a bordo trascinato dall'onda emotiva
che sprigiona. In carrozza Signori, la meta è una visione di sogno e il treno
ha fischiato!
Ti ho vista guardare
Gli orari dei treni
Già passati.
Il fiato sul vetro
Era l'opaco di cui ti vesti
Quando c'è gente.
Avessi la chiave di tutto
La detenessi
Su quel tiepido alone
Scriverei il nome
Di un privato
Intrepido
Mago delle ferrovie.
Corri al binario!
Seconda classificata: Last
year_laboratorio il senso del tempo, di Martina De Domenico
Motivazione di Anna Bertini: Una riflessione lieve e profonda sul tempo e la percezione soggettiva
che ne abbiamo, resa poetica dal ritmo dato alla composizione, un ritmo che
conferisce musicalità alla parola. Ne risulta una poetica scevra di luoghi
comuni e non enfatica, naturale, che colpisce favorevolmente.
Motivazione
di Anna Segre: Tic tac, e in mezzo una pausa. Il tempo è curvo, indominabile, qui c'è
l'astrazione metaforizzata dall'oggetto che a sua volta metaforizza ogni
eventuale personale contenuto che è la nostra vita nel tempo che sfugge la
definizione e rimane l'unico elemento prezioso non restituibile.
Last year _
laboratorio il senso del tempo
Me l'hanno sussurrato in un orecchio
Il sole e la sua amica ombra
Che il tempo non lo so
A volte sì , a volte no....
E è dall'incontro di quei due
Che è nato il gioco assai curioso
Di disegnare forme sulla terra
A volte lunghe, a volte oblunghe
Ed altre invece pari a niente.
Mi immagino così..... anticamente
Prima osservando, poi inseguendo
E mai afferrando
Che l'uomo poi
Con l'illusione di sapere, controllare,
Un po' scandire
Ha trasformato , mettendoli ad un polso
il sole in cerchio
L'ombra in due lancette
Una più lunga, un'altra oblunga
E al centro pari a niente.
La risultante è diventata
Un cuore assai rinchiuso,
Un ticchettìo
Che grida corri!
Sei in ritardo, gran bastardo!
Ma in fondo resta
Il gran segreto che io so
Cioè che il tempo è
A volte sì, a volte no.
Terza classificata: Una
figura speculare,
di Emiliano Bianconi
Motivazione di Alessandro Granata: Il doppio triste e la sua maschera ancor più
triste che non si scolla dal volto inossidabile e malinconica, ci ricorda la
poesia esprimibile e quella ineffabile mormorata nelle coronarie tra un battito
e l'altro, istanti buttati sprecati o immolati nel sogno di essere, ci ricorda
Pessoa Corazzini e l'odio di Stecchetti languente sul letto di morte.
Bravissimo Bianconi
Motivazione di Anna Segre: È una domanda interessante quella su chi sei, chi sei davvero. Si può
eliminare lo sguardo dell'altro? Si esiste senza lo sguardo dell'altro? Si
cambia perché l'altro ci guarda? Si esiste in funzione di ciò che l'altro dirà?
La domanda sull'identità non può essere evasa per intero. Mi è piaciuto
l'argomento e l'attualità della relazione web, che è la rappresentazione di una
relazione, che sembra vera, così vera che forse lo è. Ma chi può dire di sapere
davvero dove finisce lui e dove iniziano gli altri?
Una figura speculare
Un tempo il tuo fu un ruolo immortale,
con le comiche giuste a irridere le cose serie,
non per sminuire,
ma per sollevare l'asprezza al cospetto del sorridere.
Dalla strada lanciavi il tuo pronto teatro,
al ritmo d'un canovaccio marchiano
e mentre ammirati i passanti tiravano monete nel cappello,
ignoravano che schernivi l’ipocrisia del mondo da sotto la maschera,
fiero d' essere diverso nel tuo soffocato sorriso,
pagato per far vezzo di chi ti pagava.
Poi il mondo, d'un tratto, è mutato fatalmente,
le invenzioni hanno spinto le rivoluzioni,
avvelenando l'esistere della tua arte.
Oggi la gente si perde e si diverte in altri modi,
i tuoi numeri a quest' ora sono più vecchi della noia,
così ti sei arreso a quel traditore che una volta era il pubblico
e la maschera adesso serve a nascondere la tua delle ipocrisie,
quando ambiguo ti esibisci in quel grande dramma sociale,
dove al posto delle monetine nel cappello, ci sono i “mi piace”.
La sera rincasi esausto dal fingerti vivo in una realtà morta,
di riflesso il trucco si scioglie e cala a tempo pure la bautta,
un lampo!
E il pavimento dell’anima scricchiola sotto ai piedi, ovunque.
Cosa sei diventato?
Che uomo sei ?
Una figura speculare,
un pagliaccio che non fa più sorridere gli altri,
ma che sa solo deridere e triste,
è già incapace di ridere di se stesso.
Per un pagliaccio,
non c’è fine più atroce,
di scomparire tra le assordanti risa,
del silenzio.
Per la
Giuria popolare
Prima
classificata: Grigi sonni, di
Giordano Brozzi
Menzione speciale per Eleonora
Nigiotti. Motivazione: Una
bambina in grado di scrivere poesie alla sua età merita una menzione speciale.
Quando gli animi sensibili scrivono in versi, regalano al mondo gioia,
emozioni, speranza per un futuro migliore.
Poesia
in-corso II Edizione (2018)
Giurate/i:
Anna Bertini, Adua Biagioli Spadi, Aldo Galeazzi, Paolo Lago.
Letture: Simonetta Filippi; musica:
Alessia Anastassopulos (violino)
Per la
Giuria esperta
Prima
classificata: Non
credo, di Chiara Myriam Novelli.
Motivazione di Paolo
Lago: La lirica si pregia di un ritmo
fluido ottenuto attraverso abbinamenti lessicali efficaci, fortemente figurati
e dotati di originalità. Il valore metaforico appoggia la scansione della
parola senza espedienti usurati e inutili arricchimenti del discorso, che
diventa intenso e allo stesso tempo rarefatto.
Non
credo
Non
credo alle vostre leggi
sono
una donna soltanto etrusca
chiusa
in galera, seduta in camera,
rimasta
in piedi sotto il cielo vuoto
al
suono del denaro che nevica.
Scendo
allora, in ascensore,
senza
dolermi dell’inverno.
E,
a quel punto, vedrai la mia foto sul giornale,
e
dirai che sono pulita,
vecchia,
madre e padre,
procreatrice,
oceano, verme, orecchio,
che
sono il serpente
che
avvolge attorno il tronco,
che
sono il riso che graffia dalla pietra.
Resto
ferma, divengo carne di quercia
e
nessuno mi sveglierà, nessuno,
tranne
le mie predizioni e i miei profeti,
gli
spiriti e le mie visioni.
Perché
io ricevo tutti mentre scompaio,
caduta
su me stessa,
rotolata
nella grande ruota della pioggia,
dove
le macchine stridono,
le
gatte gemono musica di basso,
le
memorie svaniscono nel cervello di solitudini
che,
ora, hanno odore di acqua.
Seconda
classificata ex aequo: In
questa piccola strada, di
Laura Bertolini
Motivazione di Adua
Biagioli Spadi: Colpisce il verso
limpido e pulito della poesia che rende omaggio alla forza dell’anima a seguito
del distacco dal porto sicuro degli affetti, si cosparge di un vissuto
malinconico riverberante nelle cose della quotidianità, dove ogni aspetto
rivisto si riassetta naturalmente, così come naturalmente si ricompone
l’interiorità umana, per volgersi oltre
il ricordo, in un futuro lasciato alla
spontaneità della vita.
In
questa piccola strada
Innanzi
ai bocci delle rose che ho piantato
cade
in ginocchio il vento di Santa Anna,
a
questa casa con un pezzo di giardino,
casa
straniera diventata nido.
Una
forza germoglia
sabotando
cocciniglie
la
terra dura strozza le radici,
ma
la mia pianta non perisce.
Riassetto
le foglie e do un ultimo sguardo
mentre
con le mie valigie passo.
Saluto
la via, il cielo si apre,
volo
avanti nel tempo,
mi
sveglia l’odore dell’aeroporto.
Un
attimo a un vetro riassetto i capelli,
uno
sguardo al vestito, poi prendo coraggio
e
la porta si schiude.
Mia
madre, mio padre
tremando
mi afferrano.
È
un sussulto di cuori,
l’autostrada
è già casa,
San
Giovanni mi aspetta
con
dei mazzi d’iperico,
in
questa piccola notte,
in
questa piccola strada.
Cicale
invisibili chiamano il giorno,
sull’ombroso
sentiero dei pini,
violette
e ciclamini fanno capolino.
Innanzi
alla culla di Madre Tirreno
cado
in ginocchio ed è brace di rena
mentre
mi sbocciano le vene
e
mi trasformo in essenza,
cavalco
una fiamma di sole.
Chi
torna rivede, ma l’aria s’annuvola
di
disumanesimo e desolazione.
Sul
barroccio delle cianfrusaglie
ciondola
un piede morto.
Sono
ovunque straniera,
riunisco
i miei semi dispersi
e
li rimpiatto nelle cerniere.
Poi
l’ultimo petalo tocca la terra.
Tocca
la terra l’ultima rosa.
Mia
madre, mio padre tremando,
richiudono
l’uscio di casa.
Un
aereo che passa nel cielo
è
senz’altro il mio volo,
forse
si abbracciano,
forse
sospirano
e
mi lasciano andare.
Seconda
classificata ex aequo: Ci
sono palazzi, di Serenella Menichetti
Motivazione di Aldo
Galeazzi: La poesia si basa su un
solido fondamento visivo. Vengono presentate, in ritmo anaforico, immagini
evocative che si situano nella percezione del lettore come tanti flash della
memoria. La sintassi è efficace nel presentare, in un ritmo spezzato e quasi
privo di enjambement, tante immagini che, appunto, sembrano emergere dal tempo
immobile della memoria.
Ci
sono palazzi
Ci sono palazzi che di notte vengono a catturarci.
Tentiamo di salire al piano, dove nessuno ci aspetta.
L’ascensore si mostra privo di basi.
Nell’anima della vecchia radio ha fatto il nido la solitudine.
Sul terrazzo, la gabbia spalancata dei pappagalli.
Nella camera i fiori appassiti della poltrona.
In fila sul comò, volti di ogni epoca, sgomitolano la storia.
C’è una gatta cieca, su una sedia impagliata
davanti ad un frigorifero sbrinato.
Di giorno il palazzo resta immobile.
Tutto sembra regolare.
Ad altri piani, i suoni tagliano la gola al silenzio.
Fuori le farfalle volano i colori dell’aurora.
Al quarto piano il tarlo dell’assenza non si stanca di rosicchiare.
Un pezzo dei nostri cuori è diventato polvere.
Terza classificata ex aequo: Un
film vivente, di
Ketty D’Echabur
Motivazione di Anna Bertini: È una
lirica “visiva” che rafforza le immagini per mezzo della metafora su cui è
costruita, quella del teatro della vita. Lo spostamento temporale
passato/presente, usato per ottenere un back and forward tra il ricordo e il
qui/ora mette in atto un estraniamento del soggetto dal proprio sentimento,
rendendolo “recitato”. Asciutta e forte la chiosa, che nella sua essenzialità
raggiunge connotazione universale.
Un
film vivente
Spesso
accade,
si
accendono le luci,
il
palcoscenico dei ricordi:
tira su il sipario.
Succede
che è strappato,
ha
versato l’anima
nel
blu di un drappo
del
passato.
Succede
sentire in lontananza
gli applausi....
le
scene erano bellissime
la
recitazione
spennellate
di profumo
le
voci e i canti si
vestirono
di rosa.
Ancora
accade,
si
alzano in piedi
guardano,
si
congratulano,
sorridono
come
farfalle
grondanti
di colori.
Poi
piangono il vento
piangono
la luna
piangono
anche i sassi
alla
deriva.
Un
sussulto a fior di pelle,
accade
che il film è finito.
La nostra vita è stata recitata
Terza classificata ex aequo: Razzo
di nuvole 10 marzo, di
Laura Faucci
Motivazione di Adua Biagioli Spadi: Testo composito, con immagini e metafore
ricche e ben ritagliato che, attraverso il rimarcare di parole e di opposti
sentimenti, in una sintesi particolare e personale, evidenzia il momento
dell’accadere di un evento forte, vitale, quanto più reale, dal quale emerge un
pensiero antico e universale che cerca il senso dell’esistenza, per chi assiste
qui e ora allo ‘spettacolo senza sconti’ della natura vita-creazione e chi si è
perduto per sempre.
Razzo di nuvole
10 marzo
Bagnato
tutto bagnato dappertutto.
Risuonano grida di echi conosciuti
tra le pieghe antiche del tappeto di bandiera,
unica superstite
dalla cucitura salda
e i colori,
gli ardenti colori che impavidi regnano
oltre l’ammissibile dissenso,
oltre la lunga strada
dalle angosce orizzontali.
Fatica in cammino
di esseri inarcati in milioni,
son puzzle
di dolore e speranza.
A est, si leva borotalco di acqua
E Soffio di Spirito Segreto,
in qua e là,
a caso sembra,
ma è un Disegno partorito da MadreTerra,
preciso, affinato,
parallelo
come la fila atavica di carni e fumi.
Un’ implosione rimbomba
di tuoni dal basso,
un vulcano rovescio
seduto sulla sua stessa lava
si lava di sé
erompendo magma, pire di fuochi, caos in fiamme
e parte !!
Parte un fulmine straziante di potenza
come totem arcaico,
eccolo,
eccolo, lo vedo
nella magia fotografica
scevra di riserve
ed esplode !!!
Esplode maestoso
Un Razzo di Nuvole,
elegante,
originale “Mandala” verticale,
inedito
nella sua snella compostezza.
È un canovaccio.
Un canovaccio gravido di tumulate voci.
Per la
Giuria popolare
Prima
classificata: Portami
nel cuore, di Marinella Vasile
Poesia in-corso III Edizione (2019)
Giurate/i: Floriana Coppola, Aldo
Galeazzi, Paolo Lago
Letture: Simonetta Filippi; musica:
Alessia Anastassopulos (violino)
Per la Giuria esperta
Prima classificata: senza titolo, di Luca Cristiano
Motivazione di Floriana Coppola: Il testo poetico si distingue per la grande forza utilizzata nell'uso sapiente
e maturo delle figure retoriche, per l'intreccio delle metafore usate con
esatto equilibrio e per la potenza lirica e simbolica delle immagini evocate. I
versi hanno ritmo interno e profondo significato, evidenziando ciò che la
poesia vuole: tradurre in parole le immagini e le emozioni generate da una
particolare riflessione sull'esistenza, suscitando sgomento e smarrimento in
chi legge , pur costruendo un canto che vuole essere condiviso.
Motivazione di Aldo
Galeazzi: In quest’opera, di chiara
matrice Majakowskiana, si leva uno sguardo, un volo radente, che abbraccia e
inchioda l’esistenza nei suoi tormenti quotidiani, il piccolo diventa epico,
l’infimo assurge a rivoluzionario. Un’alba rabbiosa getta il suo raggio di luce
negli angoli bui delle nostre vite, ma nulla può se mandiamo in frantumi
l’illusorio “sogno di vetro”, se diventiamo consapevoli agenti di bellezza
compiendo il gesto assoluto: se danzi la morte non viene.
eccola,
di nuovo,
l’amica
dei ricchi,
è
l’alba che incrocia
i
bisogni e i doveri come
un
prete mezzo gemendo
incrocia
le dita invecchiate
così
il mattino compone
le
strade degli esseri umani
come
ciocche raccolte e annodate
sul
cranio tranquillo
di
una morta, eccola, arriva
di
nuovo, la serva dei giorni
infedeli,
è l’alba
che
increspa le tende
premendoti
addosso il chiarore
è
l’alba che squarcia
le
palpebre degli impiegati
come
il gancio d’acciaio è sospinto
da
mani gelate nei corpi
dei
cari animali sperduti
eccola:
è l’alba è una stringa
di
luce cattiva, una madre
che
tortura gli ammalati
è
l’alba che mangia i confini
separa
le onde del lago
che
il buio tingeva
di
fango, arriva a cacciare
dal
nero, gentile incosciente
riparo,
carogne viventi e operai
arriva
sui volti già stanchi
poi
brucia le ciglia alle spose
ti
arrendi ti svegli ti muovi
ti
vesti la maschera ride
la
indossi nel passo affrettato
la
pena che porti sia lieve
diventi
mitezza il tuo odio
pietà
il disprezzo che senti
arriva,
di nuovo, è l’ancella
dei
grossi ministri bugiardi
è
l’alba che stinge tra i pini
lavora
per i generali
di
notte la guerra è sospesa
la
guerra non ama la luna
eccola,
dice di nuovo:
sei
schiavo combatti marcisci
incurvati
piega la schiena
c’è
un astro imbevuto di brina
nell’occhio
del tuo cameriere
è
l’alba, bambina crudele,
non
viene se piangi abbastanza
se
urli nel sogno di vetro
se
danzi
se
danzi
non
viene
Seconda
classificata: Lusty
man, di Luca Falorni
Motivazione di Floriana
Coppola: "Il testo poetico
seduce per l'originale capacità di miscelare più registri, il narrativo e il
lirico, il descrittivo e il dialogico, aprendosi a una sperimentazione attuale
e moderna che ricorda gli esiti della migliore poesia carveriana. Il tracciato
linguistico lavora con ritmo e brio, seguendo effetti cinematografici che
attraggono chi legge, creando una poesia visiva e in movimento che richiama la
forza magnetica di un fotogramma filmico".
Lusty
man
Nick ha ancora ambedue gli occhi buoni,
il suo sigaro cubano fumante
occupa tutta la sua smorfia,
fa mettere su un grandangolo
chiama Bob con un gesto secco :
“Cammini, alla fine di tutto,
giusto la cartaccia che vola
nel prato vuoto dopo il rodeo
sei da solo con la tua sella e
guardi diritto senza pensare”
Bob non sorride e non pensa
sullo schermo arriverà l'Altro
nel suo passo pesa la Strada,
mille voli nella polvere
Jeff Mc Cloud scompare in dissolvenza.
Bob alza gli occhi acquosi :
“Mr Mitchum? Ha capito la domanda?
Se non va al cinema- ha detto-
Cosa fa tutto il santo giorno?
Chiede garrula la miss di Canale 5
Bob pesca dalla mente quel ghigno,
Jeff, Cody, Marlowe,...
“I Cry, Miss....”
Ride, in macchina, perfido
“CUT! “ E' sempre buona la prima…
Terza
classificata ex aequo: senza titolo, di Francesca Fiorentin
Motivazione di Paolo Lago: “Il componimento, per mezzo di tenui pennellate poetiche che si reggono
su una solida struttura paratattica, riesce a comunicare in modo sintetico e
chiaro una situazione di angoscia che si dipana in una atmosfera rarefatta e
silenziosa, intessuta di dinamiche quotidiane. La forza della poesia sta
proprio in questo: nel saper trasformare momenti, gesti e dolori quotidiani in
un tenue e solido canto che diviene, prima di tutto, inesausta aspirazione alla
libertà e lotta contro qualsiasi oppressione".
Riempiono vuoti
i silenzi mattutini
scivolano nell’onda del gesto passato
hanno occhi sulla nuca
e la nuca poggia stanca sul letto
non si alzano in vedetta sono
vortici di congelamento
aggrappata al sonno come chi teme un risveglio doloroso
e ogni volta lo stesso cosmico silenzio
Terza classificata ex aequo: La nave, di Rossella Paolicchi
Motivazione di Aldo Galeazzi: Nel vano tentativo di tracciare la rotta, una vita si fa destino, un
destino diventa destino comune. La memoria restituisce le coordinate di
un’esistenza in bilico tra l’immaginario e il reale, il ricordo perfeziona la
strada di casa. Questo canto di Sirena ci restituisce perfettamente il senso
effimero, eppure così profondamente segnante, del nostro passaggio sulla terra,
un “battello ebbro” che ha bisogno di uno sforzo collettivo per immaginare la
prossima meta
La nave
Qualcuno guarda da lontano.
La nave .
Che succede ?
Perché tutto si è fermato ? Perché tutto è silenzio ?
Hanno visto una donna camminare sul ponte della nave.
Ha lunghi capelli
canta a bassa voce una canzone ,
richiamo per gli insonni .
Cammina sicura e lenta
al braccio
una grande borsa rossa.
Era l’alba o il tramonto ?
Nella nave gli uomini si sono fermati.
La nave si è chiusa non ci sono più aperture.
Guardano qualcosa senza vedere.
I grandi occhi smarriti
cercano qualcosa
nel mare divenuto pietra .
Forse dormono.
Forse hanno iniziato a sentire che sono stati depredati del viaggio.
Qualcuno dice
avete sentito ? il canto della donna era più forte del canto della nave ,
ora solo silenzio .
Ora solo il rumore di ragni che tessono ruggine.
Hanno visto la donna
gettare qualcosa nel mare.
Un uccello dalle grandi ali bianche venuto da una notte infinita.
No, ha gettato via
l’annuncio della partenza,
ha gettato l’approdo .
Niente può partire ora.
Qualcuno aveva scritto con pazienza sentieri acquatici
nelle bianche ali,
le rotte ed il destino dei viaggiatori.
L ’ inchiostro delle mappe
si è disciolto nel mare
le lettere sono piccoli pesci
fuggitivi nell’acqua bassa della riva
le loro piccole ombre
non le potranno leggere i marinai i viaggiatori .
Un sortilegio .
Non ci sono più porti
nè moli nè correnti
nè venti che spazzano i fianchi della nave.
È stata lei .
Poi non l’hanno più vista ,
solo la coda di un grande pesce dava colpi secchi
sulla superficie del mare ,
si é ascoltato
come il suono di un tamburo .
Poi anche la coda del pesce è scomparsa.
È stata lei.( Una sirena ?)
Per la
Giuria popolare
Prima classificata: La montagna dell’odio, di Adriano Pierulivo
Poesia in-corso IV Edizione (2020)
Giurate/i: Floriana Coppola, Aldo
Galeazzi, Paolo Lago, Wanda Marasco.
Letture: Simonetta Filippi; musica:
Mariano Di Nunzio (tromba, electronics).
Per
la Giuria esperta
Prima
classificata ex aequo: Meuamor, di Piera Ventre.
Meuamor
La
cura è un atto di lentezza.
Semi
da passare labbra a labbra
latte
di pettirosso, ed i miei seni.
L’anima
roca ti dico e ti aggrappi come se da me dipendesse la caduta. Una
meridiana
sul muro, il nostro tempo.
Un
petalo di carne si stacca dalla tua corolla e, nudo, mi finisce nella bocca.
La
cura è atto di resa.
Chiudo
gli occhi e fra le palpebre sedimenta un raso verde.
Candele
di preghiere e incensi freddi, accendo. Alla luce do la voce di un
canto.
La
mia pelle è fango minerale, divento iguana, libero le serpi dei capelli.
Senza
sorridere lo faccio.
Scavo
una buca nel tuo petto ed è quello il punto esatto del ritorno. Un sipario
tagliente,
le mie costole, la tua custodia. Diventi battito liquido e la mia sete.
Sono
colei che cura.
Veglio
il tuo dormire, respiro del tuo fiato.
Tu,
mappa e terra sconosciuta.
Siamo
qualcosa che senza sosta muta.
Solo
il restare si può far finta di sapere.
Prima
classificata ex aequo: Stokrotnie, di
Barbara
Serdakowski
Motivazione di Floriana
Coppola: Il suono spigoloso di queste “cento volte”; le lingue come
territori del ricordo, la parola straniera è un varco pericoloso nel quale
entrare per chi la sente, un esotismo che ci vuole coraggiosi all'ascolto,
mentre per chi la pronuncia è esperienza, una lingua non la si impara a memoria
la si incide coi fatti e perfino coi fatti dell'immaginario; la lingua è uno
spazio fisico da attraversare e che ci attraversa e ci cambia, l'uso di una
lingua porta con sé il modo di un popolo, il verso di un territorio e questa
poesia spiega le ali sulla vastità della Nazione Poetica e ne usa i suoni più
diversi, quasi delle ecolalie, per evocare una narrazione intima, che scivola
nel tempo fuori fuoco, di una memoria.
Stokrotnie
stokrotnie wracam
cento
volte ritorno
stokrotnie jeszcze nie
cento
volte ancora no
le
distanze sono passi ignoti
confusi
nel tempo
sono
falle a tratti
doglie
o nausee improvvise
let me in the pockets of time
fammi entrare nelle sacche del tempo
and plant nails in walls and grounds
e piantare chiodi in muri e terre
once mine and then no more
una volta miei e poi non più
no
supiera ser la que regresa
no saprei essere quella che ritorna
decir
las cosas que cuentan
dire le cose che contano
parole
zoppe e frammenti
stokrotnie
stokrotnie
cento volte cento volte
sono
angoli da girare
mentre
ridete senza suono
sono
sguardi e afrori
when
we hug
quando ci abbracciamo
and we count some fifty years
e contiamo una cinquantina d’anni
è
casa mobile
tasti
da premere
patria
senza matrice
c’est des livres d’histoire ancienne
sono
libri di storia antica
l’oncle sur le scooter en blanc et noir
lo zio sul motorino in bianco e
nero
avanti
e indietro nel tempo allungato
arando
tracce, cercando orme
“masz oczy mojego ojca, ciociu”
“hai gli occhi di mio padre, zia”
e
questo ti rende felice
raccogli
distanze e tempi mobili
come
buche di strada e singhiozzi
todo
se allana
tutto si spiana
todo
se tuerce
tutto si distorce
stokrotnie
cento volte.
Seconda
classificata: Su questa terra dove vivo, di Francesca Sensini
Motivazione di Aldo Galeazzi: “Ecco qual è lo sguardo della Poeta, molto prima della tecnologia, ella è già in possesso della “realtà aumentata”, ovvero della possibilità di cogliere di uno stesso luogo le molteplici verità e “vederle” simultaneamente, sovrapposte, stratificate. Il paesaggio conserva la tensione emotiva del ricordo intatto ma ne restituisce una vista disfatta, passata, avariata, quasi postuma. È l'architettura stessa del ricordo che si deteriora, si sceglie di non restaurare una memoria e se ne assiste al crollo sentimentale.”.
Su
questa terra dove vivo
una svolta della strada basta
e tutto cambia:
senza un grido
il mare annega alle mie spalle,
galleggia ancora la bottiglia
di un messaggio ostinato
mentre si avvitano le salite
lungo pareti rocciose,
antiche sollevazioni
di viscere che riconosco:
le promesse sulla sabbia
sedimentano tra le righe
di queste alte voragini.
È qui che abiti oramai,
questa zona di sconforto,
sublime passeggero,
dietro i vetri rotti della dogana,
oltre la porta marcia con la catena,
di una casa che crolla eternamente
nel burrone, nel torrente
la memoria del ghiaccio scorre a valle,
a monte si spacca il cuore di pietra.
Su questa terra sola la natura
imita
l’arte nostra di disfarci.
Terza classificata ex aequo: Un ultimo, di Luca Falorni
Motivazione di Paolo Lago: La poesia presenta una serie di immagini efficaci e suggestive caratterizzate da termini aulici e colti ("psicopompo", "sulfureo", "bruma") che entrano in contrasto con parole di uso tecnico e quotidiano ("marmitta", "leasing"), venate di una tenue malinconia. L'ambientazione milanese, rappresentata con tinte fosche e cupe, come in un romanzo di Scerbanenco riambientato ai nostri giorni, è però attraversata da un sincero sentimento di affetto che riveste di assolutezza tante azioni quotidiane legate al luogo che, probabilmente, proprio in quel luogo, vengono compiute per l'ultima volta.
Un
ultimo
Autunno a Milano,
emigrati i sogni,
sboccano
in Darsena
Momenti smemorabili :
Un lampo in Galleria
flette il corpo
imbevuto di Grigio
Maledetta ingenuità
inventario incredulo
di un passato in leasing,
perdi l'anima se
sbigottisci sulla metro
la Domenica alle 18.40
l'ora del Cielo di Piombo,
quando sciama nella bruma
lo Sciocco in Blu .
Aggredisci una
delle tue ultime folle,
zigzagando in strada,
mentre turisti orientali
inebetiscono lieti
in un angolo del
Quadrilatero
sfiorato
dall'Acquerugiola
Sfinisci quatto quatto
la rincorsa tra i semafori
di un rondò in Circonvalla :
l'Inferno si proclama
nell'ingorgo delle otto e un quarto.
Nessun possibile psicopompo, ma
l'arcigno sulfureo morso
di una marmitta forata,
avvia la finale discesa
verso l'ultimo happy hour
Terza
classificata ex aequo: Miserere, di
Giuseppina Geraldina Riccobono
Motivazione di Floriana Coppola: “Il punto di forza del componimento sta nella giusta e sapiente mescolanza tra forma e contenuto. Sbozzate entro un impianto formale caratterizzato dal rispetto della metrica e dell'alternanza delle rime, incontriamo le descrizioni di immagini e azioni non scontate ma caratterizzate dalla capacità di trasferire sulla pagina sensazioni e emozioni.”.
Menzione speciale per la poesia Sulle nuvole, di Ketty D’Echabur:
“Con Irene. Per la storia che racconta, la persona alla quale è dedicata, l’afflato doloroso e affettivo che la pervade”.
Per la Giuria popolare
Prima classificata: Operosa, di Enrica Notarfrancesco
Il
primo sguardo
partorito dallo spigolo della notte
scorge processioni di pensieri.
Inquietanti formiche operose
sul soffitto
della neonata coscienza.
Qualcuno
addenta la coda dell'urgenza.
Fugge
sulla proiezione luminosa di un taxi
gentilmente offerta
dagli scuri,
sguardi socchiusi della finestra,
lusso di evasione.
Ubbidiente alla legge del giorno
mi alzo.
Devo cucinarmi la minestra.
Poesia in-corso V Edizione (2021)
Giurate/i: Floriana Coppola, Luca
Cristiano, Paolo Lago, Francesca Sensini
Letture: Simonetta Filippi; Musica:
Mariano Di Nunzio (tromba, electronics)
Prima
classificata: 1iperteso, di Aldo Galeazzi.
Motivazioni
Luca Cristiano: Il testo presenta una serie di caratteristiche che identificano una voce autoriale consapevole ma non frusta. Passano, attraverso le sue associazioni ritmiche e semantiche, una serie di caratteristiche che inducono a trovare nella poesia: - Rivalsa dall’insufficienza del quotidiano rispetto all’intensità della vita interiore e della vita in genere. - Rivendicazione di una possibilità di pensiero inconciliato. - Ottima resa della contemporanea necessità/impossibilità del conflitto. - Intenzione utopica e sarcastica, rivolta dall’autore a un tempo contro sé stesso e contro il lettore: a entrambi sembra si ricordi (senza dirlo direttamente) che non si danno soluzioni retoriche per fastidi fisiologici, sociali, politici. - Senso della necessità della lotta. Per tutti questi tratti e per altri che sicuramente saranno sottolineati dagli altri giurati, sono felice che venga un premiato un testo che si oppone al suo tempo.
Floriana
Coppola: Eccellente testo di poesia
in prosa o prosa poetica, dove il dosaggio tra ironia e surrealismo trova la
sua giusta misura e il suo equilibrio perfetto. Lo spaesamento dell’io poetante
viene rinforzato da anafore e da allitterazioni che danno alle due strofe una
grande ritmicità. Testo di grande potenza drammaturgica e di forte espressività
contemporanea. L’uso stravolto dei campi semantici crea un effetto straniante,
che amplifica ogni allegoria. Linguaggio originale e spiazzante per le metafore
utilizzate, che si rincorrono e si intrecciano, utilizzando oggetti di vita
comune ma risvoltati, rivoluzionati da simbolismi esistenziali che alludano ai
sentimenti di perdita, di lutto, di stupore e al disagio esistenziale. Il
sentimento del tempo, che passa e ci travolge trasformando ogni cosa, si sposa
con una malinconia soffusa, che ricorda il teatro surreale di Antonin Artaud.
1iperteso
“È
un miracolo se non ci sciogliamo nella vasca come una saponetta”,
così
disse il vecchio, scampato all’eroina, al mio attore inglese preferito in
quella commedia sofisticata.
E’
un miracolo se non evaporiamo nel gelido vento degli sguardi.
Approfitto
per gettarmi subito in un elenco, così tanto mi divertivano.
E’
un miracolo se non bruciamo nell’incendio di un tacco o di un almanacco.
E’
un puro miracolo se non si scompare tra le foglie delle tue mani.
Sarà
un miracolo non rimanere paralizzati tra le ombre dei corridoi del tuo
cappotto.
Sono
esiliato dalla meraviglia tanto sono consapevole che tutto è un miracolo.
E’
un miracolo se non mi trovano avvolto nello scotch alla stanghetta degli
occhiali.
Mi
divertivano perché non mi divertono più.
Legami
familiari.
I
più fortunati, i più sfortunati.
Gli
orfani, le madri.
L’amore.
Caro
amico mio, ti vedo spesso.
Con
la coda dell’occhio ti vedo e guardando meglio svanisci, non sei tu è un altro.
È
il tuo scherzo.
Oggi
ho visto una fotografia che ti ritraeva,
eri
già magro e reggevi un ombrello colorato e
avevi
quell’espressione tua irresistibile.
E
la radio, la radio! Intervistano una e sai che lavoro dice di fare?
Macchinista
– ferroviere! La tua battuta.
Classica.
Passo
sempre sotto casa di tua madre e oggi mi chiedevo se parlarle, avere una scusa
per parlare un po’ di te ma non potrei essere sboccato e neanche tuo fratello
capirebbe.
Gli
orfani, le madri, i miracoli.
E
Paolo, il mio amico.
Seconda classificata ex aequo: Danae, di Doris Bellomusto.
Motivazione
di Paolo Lago: La poesia dal
titolo "Danae" propone alcune immagini suggestive che vengono offerte
al lettore come tante inquadrature poetiche ("cielo",
"tempesta"; "mare"; "tramonto") che rimandano al
mito greco che racconta come Danae fu rinchiusa in una cassa e affidata alle
onde del mare dal padre, il re Acrisio. La suggestione appare sottolineata
dalla presenza di una significativa figura di suono come l'allitterazione
(arricchita da una rima interna) che si concentra sul nesso "tr" e
sulla liquida "l": "La trama e l'intreccio scritti sulla pelle,
le stelle cullate nel ventre molle del mio presente indicativo". L'intera
narrazione poetica è poi suggellata da una sapiente e efficace brevità che
offre queste tali suggestive immagini in forma immediata e diretta.
Danae
Indosso cielo
e tempesta,
mare e tramonto.
La trama e
l'intreccio
scritti sulla
pelle,
le stelle cullate
nel ventre molle
del mio presente
indicativo,
la luna nascosta
sotto la lingua.
Camminando piano,
sono puntuale
all'appuntamento
e adesso so
che il tempo non esiste.
Seconda classificata ex aequo: a grace Paley, di Nadia Chiaverini.
Motivazione di Francesca Sensini: La poeta ha bisogno di farsi mondo, di annodare fili di un dialogo con altre voci, di dedicare la sua voce e farsi doppia, molteplice. Quando le circostanze le impediscono questa declinazione singolarmente plurale di sé, implode: nutre e cova il mostro/meraviglia che, ad un certo punto, dovrà rompere il silenzio, i fili che chiudono le labbra della sua genitrice. La rottura si esprime nella polisemia, nel cortocircuitare delle parole: spiegare per essere spiegata, liberare mostri e meraviglie per essere liberata dal peso di una prigionia.
In tutto questo sforzo la poeta ha parole piane,
comprensibili, sonore, perché vuole che tutte e tutti si spieghino attraverso
di lei, lei attraverso di loro.
a Grace Paley
Mi
cuciono le labbra
sempre
vorrei spiegare
spiegare e parlare di tutto
fare
grandi salti nell’analogia
nei
sogni, vissuti, epopee e miti
Spiegare
/ per essere spiegata
ma
mi cuciono le labbra
e
un mostro mi cresce nel ventre
Terza classificata: Sabato all’Ikea, di Lorenzo
Mandalis
Motivazione di Paolo Lago: La poesia dal titolo "Sabato all'Ikea" dimostra una non banale capacità di mitologizzazione del quotidiano che, probabilmente, incontra la sua vetta più alta in alcune poesie di Montale. Come nella poesia montaliana, il quotidiano, sempre uguale nella sua scontata ripetitività, viene rivestito di alcuni bagliori poetici che lo elevano assurgendolo quasi ad una dimensione mitica e letteraria. L'ingresso e la visita all'Ikea si trasformano in un inusitato viaggio attraverso l'Inferno dantesco (l'ingresso è la selva infernale, i mobili esposti gli alberi di quella stessa selva), guidato forse da un novello Virgilio, l'addetto del grande magazzino che indica l'uscita utilizzando una efficace figura etimologica: "... dopo i taglieri / tagliate passando per le posate...". E questo viaggio viene offerto al lettore per mezzo di una capacità di organizzazione del discorso poetico decisamente abile e fuori dal comune.
Sabato
all’Ikea
I
Nessuno
di noi due credeva d’essere nel mezzo
del
cammino della vita. La selva
però
c’era. E noi ce la ritrovammo
davanti
come un imprevisto.
Non come
le solite strade
che
eravamo abituati a percorrere
fianco a
fianco lungo il mare
coi
piedi affondati nelle conchiglie
e isole
lontane che ci osservavano
come
giganti rospi in uno stagno
siamo
arrivati da un’entrata secondaria
e abbiamo
fatto in fretta a perderci.
Gli
alberi erano mobili bianchi
cassettiere
taglieri posate frullatori ombrelloni.
Io ero
molto confuso. Non mi orientavo.
Tutti
gli altri sapevano benissimo
dove
andare e come arrivarci.
Famiglie
che costruivano così il loro futuro
e
discutevano di comfort e design,
indicavano
prezzi, confrontavano valori.
Progettavano
vite riempiendo angoli della casa
e la
commedia umana passava
anche
per quelle strette vie
tra set
di coltelli, cenci e pela patate.
Ero
smarrito. E lei dov’era?
Tra la
folla. Poco distante.
Si era
fermata a guardare una cameretta:
una
tenera scatola col letto a castello
scrivania
e qualche sparso scaffale.
Mi
sorrise.
Fu la
solita dolcezza a ritrovarmi
tra le
radure delle mie distrazioni.
Alla
fine – mi sono detto –
c’è più
futuro in uno dei miei divani
che in
tutte le mie malcerte visioni
di ombre
e cose scadute. Sono questi oggetti
le
nostre allegorie, gli scenari a cui aspirare:
la sera,
il divano, la televisione, i cuscini
le
lampadine da spegnere
prima
dei sogni.
II
Carichi
di roba abbiamo chiesto poi dove fosse l’uscita:
-
Prendete la
prima a destra dopo i taglieri
tagliate passando per le posate,
quando
arrivate alle lavatrici
dirigetevi
verso i materassi.
Lì
vedrete il cartello con scritto Casse/uscita.
Seguitelo.
Tranquilli, sembra complicato, ma ce la farete.
Tutto
andrà per il meglio. -
Menzione speciale: ritmo circadiaco, di Anna Bertini.
Motivazione di Maristella
Diotaiuti: Per aver dato voce poetica alla propria personale
cognizione del dolore, fatta diventare universale condizione dell’umano,
condivisa fragilità e finitezza.
Versi pervasi da sotterranee inquietudini esistenziali, una scrittura
poetica forgiata dall’esistenza che dice di un tempo esogeno e di un tempo
interiore in un rapporto non più dialogico e dialettico ma discronico e
aritmico. E’ il tempo del non-esserci, o del non-esserci più, il tempo come
deriva, come naufragio, in cui affiorano, come relitti, le perdite, le assenze,
le cadute.
Il periodare accompagna e realizza questa percezione di capitolazione,
di resa, attraverso parole esauste, parole reduci, come dopo una battaglia, e
l’uso di immagini metaforiche che concretano efficacemente la non-coincidenza,
l’andatura distonica rispetto al proprio presente.
La versificazione restituisce il dolore di un tempo che incarna la
violenza di un taglio tra un prima e un dopo, ma anche la necessità di imparare
a sostare nel taglio, perché è in questa frattura che nasce un altro tempo, un
tempo innocente in cui rifondare il respiro, risintonizzare il ritmo.
L’occhio della poeta si affissa, così, in quel doppio orizzonte,
splendida metafora finale di un oltre inaccessibile e pure possibile. Lì, in
quel vedere l’invisibile, mira all’infinito, un infinito privato che quasi
nessuno vede, eppure è in esso che vive ed esiste, ed esiste e vive un altro da
sé, un doppio salvifico e catartico. Attraverso lo sguardo che muta muta anche
l’oggetto guardato, non sarà più lo stesso ma sarà il nuovo che satura la
rottura e lascia un segno di permanenza nel tempo. In quel doppio arco
dell’orizzonte rifrangente c’è un buio speciale che non è però separabile dalle
luci, luci dirette verso di noi che si allontanano infinitamente da noi.
Ritmo circadiano
Ho
un arresto
non è il cuore è la volontà.
Fugge da perdite e vuoti a perdere
protesi e proteine, vecchie domande mai risposte,
mai
riposte.
Dove sono le fate che vennero alla culla
quando salvai la mia piccola umanità
dal suo nulla?
Sono sgolate
a forza di cantare litanie noiose,
cercano note dentro anfore sorde
lampare spente e reti rammagliate
su un fondale di mare secco,
nemmeno acqua per galleggiare.
Ho un arretramento,
il tempo ha smesso di scorrere
dentro, scorre solo fuori
in mezzo ai motori spenti
nell’autoscontro, fermi
senza un gettone che metta la tensione
che faccia ripartire,
giusto per sbattere contro qualcosa.
Il ritmo è circadiaco,
davanti alla piena dell'orizzonte curvo,
un orizzonte che sta lontano, dorato
- se lo guardi fisso si drizza
e se ne va, lasciando il posto a un gemello
curvo anche lui, quasi un arco -
le
ore si dimenticano di trascorrere.
Si
fanno vento, e polvere.
Menzione speciale: A mio padre, di Francesco Papallo.
Motivazione di Maristella
Diotaiuti: Delicato e intenso
dialogo-ricordo, reso attraverso un’atmosfera raccolta e intima e immagini
potenti e pur lievi che non nascondo le asperità di un dolore irrisolvibile.
Una lirica commossa e commovente nella quale si intreccia una inintaccata e
velata confidenza tra padre e figlio, in un continuo rivelarsi e nascondersi,
fino al catartico capovolgimento dei ruoli. Il dolore trattenuto si risolve e
stempera nella metafora finale del grumo di resina che imprigiona e protegge,
nasconde e svela, segno e promessa di una lontananza irrecuperabile e
risanabile.
Versi
tutti giocati sul filo del canto, in un accordo felice tra l’essenzialità della
parola e la sua modulazione musicale e allusiva, tra le arditezze analogiche e
le arcane prospettive della memoria, fino a estreme rarefazioni di echi e
nostalgie.
A mio padre
Venivi
a prendermi dopo la scuola,
un
piccolo tragitto di singhiozzi,
poi
accostavi e sparivi dietro l’angolo
per
nascondermi i conati di vomito.
Come se nulla fosse, tornavi
forte
delle tue rêverie
che
spaziavano tra nuvole e stelle
in
dissolvenze incrociate di mondi.
Io non riuscivo a sollevare lo sguardo al cielo,
a
trapuntarlo di minimi motivi.
Tu
invece, l’occhio allenato ai principi d’incendio,
scorgendo
anche solo una bava lontana di fumo
pensavi
a cosa fare
venisse
l’eruzione, e camminavi curvo
come
sotto una pioggia di pietrisco.
Ti
distraevo allora dal dovere di cercare riparo
sfregando
la tua mano di corteccia,
chiedendoti
cosa trattiene il sole resinoso
sul
tronco abbattuto dell’orizzonte,
e
se nell’ambra incapsulate sono per un uomo
vita
e felicità,
quale
sollievo o agguato le rifonde.
Per la
Giuria popolare
Prima classificata: Divento foglia, di Angela Zavettieri
Divento
foglia
Sto diventando
foglia
e, non crediate,
c'è un viaggio
da fare!
Bisogna essere seme
e restare coraggiosamente
nel terreno buio
quanto basta a farsene
intaccare.
Non puoi spuntare così,
da oggi a domani,
ed essere foglia.
C'è un viaggio
che parte
dall'essere radici e
crescere tronco,
rifare tutte
le volte il percorso
per rimanere ben piantati
e, nel frattempo,
aumentare i propri anelli
e protendersi
in rami sempre
più lunghi
a cercar la luce.
Ci vuole che il sole
ti osservi con costanza,
e che l'aria sia mite...
Sto diventando foglia
e, credete!, c'è un viaggio,
ma nulla mi potrà
impedire
di assottigliarmi in lamina
di verde luminosità
e fare vela
a ogni alito di vento.
Poesia in-corso VI Edizione (2022)
Giurate/i:
Floriana Coppola, Alessandra Corbetta, Emanuela Dalla Libera, Aldo Galeazzi,
Paolo Lago.
Letture:
Aldo Galeazzi; musica: Mariano Di Nunzio (tromba, electronics)
Per la Giuria esperta
Prima classificata: Aironi rossi, di Lorenzo Mandalis.
Motivazioni
Floriana Coppola: Frammento poetico denso di immagini e di significato, eccellente nella sua stesura carveriana, dove la simbologia della natura riprende la percezione interiore dell’io poetante. Le voci degli umani si interrogano sul senso della migrazione. Ciò che abita il cielo e va altrove risuona in chi guarda dal basso, fermo e dolente sulla terra devastata e grigia. Terra desolata, citando Eliot. Gli interrogativi si susseguono inquieti. La scrittura del testo risulta compatta ed efficace nella sintonia tra pensiero, forma e poesia. Pur non essendo palesi figure retoriche di suono, è nell’intreccio metaforico che si sostanzia la poeticità del testo. Esistenziale e crepuscolare la chiusa che allude anche a una citazione contemporanea di contesto domestico familiare così intimo, autentico.
Emanuela
Dalla Libera: La
lirica si apre con un ricordo che si condensa attorno a macchie di colore,
rosso o nero, non importa. Importa che l’apparire improvviso di un volo
d’uccelli distolga da qualcosa di grave, una via di fuga da un pensiero che
chiama e non si vuole ascoltare. Il tempo si interrompe, fa deviare dalla propria personale imperfezione, si
arresta nella dimensione ripetuta dei tramonti (di tramonto in tramonto)
a cercare al di fuori di sé qualcosa che abbia un ritmo, un obiettivo
certo, come lo ha il migrare, quasi nel volo degli uccelli si possa rinvenire
un segno, un presagio, come nelle antiche divinazioni, o un senso che in se
stessi non si riesce a trovare perché si finisce per cedere alla ripetizione
rassegnata delle stesse cose (sparecchiare,
guardare un film). La lirica sembra quasi voler tracciare un percorso:
dalla infinitezza del cielo nel cui spazio senza confini gli aironi inseguono
la loro sorte, all’interno chiuso e circoscritto di un’anima che non sa
risolversi, non ha un destino prefissato né deciso e precipita perciò
nell’inconcludenza. La stesura è piana, equilibrata, l’amarezza dell’incompiuto
vi traspare velata di leggero fastidio ma sostanzialmente scevra di
inquietudini.
Aironi rossi
Credo
fossero aironi rossi.
Gli
unici tra i migranti estivi
a
poter sembrare neri così in alto.
Me
li indicasti dal nostro terrazzino
mentre
parlavi di scelte da prendere.
Responsabilità
da assumere.
Guardai
verso quella breve migrazione:
il
tempo continuava a sfuggirmi di mano
a
trascolorare di tramonto in tramonto;
e
le ore passavano
con
la stessa esattezza geometrica
della
mia infinita incertezza.
Ma
che suggerimenti potevano venire
da
una migrazione?
Che
era ora di partire? O forse di tornare?
Che
il tempo è un cerchio? O magari una retta?
Li
guardammo sparire oltre le nubi della sera,
irrisolvibili
teoremi alati.
Invidiai
la sicurezza del loro procedere avanti
del
tutto incuranti del mio grigiore.
Non
ho mai trovato nulla di biunivoco
in
natura. Sbuffai. Rinviammo
tutto
a date più lontane. Quel che venne dopo
fu
il solito finire del giorno. Un assioma
scontato:
sparecchiare, guardare un film,
aspettare
che il sonno spegnesse
le
nostre risa al di là del buio
Seconda classificata: cors’Amedeo, di
Diego Barsotti
Motivazioni
Alessandra Corbetta: La poesia, sappiamo bene, sa trasformare anche il paesaggio in un organismo vivente, fare dei luoghi interlocutori attenti e rendere cittadine o spazi apparentemente qualunque dimore simboliche deputate a significare molto e altro; basti pensare, ad esempio, a Verso le correnti del cinghio dove Attilio Bertolucci riversa la sua attenzione su un torrente, per molti anonimo,
dell’appenino parmense.
In questo inedito Diego Barsotti fotogramma tramite i propri versi un punto preciso della città di Livorno, facendola diventare crocevia tra presente e passato ma anche tra letteratura e realtà, come bene ci indica il diretto riferimento a Caproni, che molto su e per Livorno ha scritto. Barsotti, trasformandosi coscientemente in fingitore, immortala il luogo e sottrae al perituro corso della vita i passaggi che in esso si sono compiuti e che lì continueranno ad animarsi tra le vie.
Paolo Lago: La poesia riesce a rendere, con una certa
maestria, l’atmosfera e l’anima popolare di Livorno. Ad arricchire il testo si
notano delle metafore e dei termini particolarmente ricchi di significato, che
hanno anche una discreta forza allitterante come, ad esempio, “grugniti”,
“granisce”, “refoli acri”. La caratterizzazione popolare e multietnica (che sa
di felice bozzetto), intrisa di una povertà e di una miseria che vengono
presentate come delle ricchezze, è solcata da notazioni paesaggistiche legate
agli elementi naturali che la riempiono di una dimensione assoluta, come “il
maestrale” che “sale” “in questo ferragosto che granisce fiele”, o i “refoli
acri di porto” che “saltellano sui tetti”. La presenza del mare e del porto
giunge perciò come un elemento salvifico e catartico, ad accarezzare quei cuori
perduti negli anfratti più popolari della città. Sono da rilevare, inoltre,
alcuni echi caproniani che, nel testo, si rivestono di senso nuovo, fino alla
chiusa, in cui emerge la stessa, delicata figura di un Caproni bambino che
aspetta la madre Annina in bicicletta (il riferimento è a Ultima preghiera ne Il seme del piangere, in cui invece
Caproni si immagina di tornare a Livorno da vecchio). E il vento che giunge dal
mare e dal porto e si insinua in quei popolari anfratti, a noi lettori sembra
di sentirlo scorrere sulla pelle.
Cors’Amedeo
Livorno è una vallata
Di bivacchi ventosi
Su sedie dozzinali
davanti a bar cinesi.
Grugniti s'accalcano
Di lingue sconosciute
Con facce appuntite
Che il gottino già caldo
Non rende più morbidi.
Vetri scotchati e tristi
Pisciate di cani ignari
vecchi portoni adusi
ai perenni “vendesi”
ammucchiano essenze
su muri stanchi e soli.
Ma ora sale il maestrale
in questo ferragosto
Che granisce fiele
E refoli acri di porto
Saltellano sui tetti
Antichi e in Cors’Amedeo
Verso questa finestra
Da cui mi fingo veder
Caproni ancora bimbo
Che trepidante aspetta
Annina in bicicletta.
Terza
classificata: Santa
Giulia, di Adriano Pierulivo
Motivazione di Aldo Galeazzi: La poesia è anche
latrice di fatti. In questo componimento si rivivono le vicende della Santa
Giulia, con tutto il loro portato storico, la propria via Crucis, l’Odissea che
il corpo, anche da morto, subisce fino alla trasformazione reliquiaria. Terzine
non rimate ma contraddistinte da voci ed echi interni che sublimano il viaggio
della Santa, domande che ci interrogano sulla questione del possedere i corpi,
sul potere di vita e di morte, sulla qualità delle anime mai salve. Così,
questa poesia che rinnova la testimonianza del martirio di Giulia, si pone come
rinnovato sguardo sugli accadimenti che dal V secolo attraversano il sentimento
popolare e religioso del consorzio umano e pone il proprio granello di sale
sulla strada della Storia con la esse maiuscola.
Santa Giulia
C'erano
gli specchi ,Giulia,
nella
casa signorile di Cartagine
quando
la fortuna ti girò le spalle?
E
tu,avevi il vezzo da ragazza
di
scioglierti i capelli e di monili
luccicanti
adornarti gli occhi?
Senza
spada venne Eusebio, il siriano,
mercante
di carne e di speranze
perdute,
e fosti schiava priva di catena.
Di
cosa piange una ragazza rapita,
cosa
sfinisce il cuore di una bimba
che
giocava all'ombra di un patio?
Quando
sulle coste scure e còrse,
s'arenò
l'armo d'Eusebio, di vino ebbro,
fosti
di Felice, il governator pagano
Cos'è
che voleva da te , Giulia,
che
non potesti e non volesti dargli?
Un
bacio? Un inchino? Una nuova fede?
Poi
ti iniziò al supplizio più feroce;
ci sono epoche bastarde, come ora,
dove
la storia rinnega la voglia d'amore.
Tramortita
dai colpi avesti la carne,
strappate
con le mani le tue lunghe
ciocche
di capelli, davanti al mare.
Infine
alzarono una croce sul dirupo,
con
te trafitta come Cristo nel legno;
dov'è
Nonza si perpetrò l'infamia.
Fu
allora che i frati della Gorgonia
da
un sogno oscuro messi sull'avviso,
videro
la tua croce,errante tra i flutti.
Era
un ventidue maggio e il mare calmo
quando
la Tuscia t'accolse e ti protesse
nella
sua terra, come il più bel fiore.
Poi,
Ansa, la longobarda,di Desiderio sposa,
conosciuto
il tuo fato e mossa da passione,
traslandoti
ti fece di Brescia regina,
dove
il tuo corpo giace ancora nel conforto;
ma
il tuo cranio ritornò su sponda còrsa
e
un dito anche noi lo conserviamo;
che
poi, di chi saranno mai quest'ossa
smosse?
Le tue o di altri ancora, persi,
come
te,in un sommovimento della storia?
Proteggano
,Giulia, le tue ossa sparse,
le
nostra ossa gravide di sogni e speme;
proteggano
braccia e gambe di ogni livornese.
Proteggi,
Giulia, questa che è la città del vento,
proteggi,
Giulia, questa che è la città della luce
proteggici
,Giulia, quando a noi toccherà la croce.
Per la Giuria popolare
Prima
classificata: Il grande viaggio, di Carlo Chionne
Il
grande viaggio
Su, via! Partiamo, per il grande
viaggio:
nei nostri bagagli, un po’ di
coraggio,
qualche speranza, appena imballata
ma non sprechiamola, alla prima
fermata…
Lasciamole a casa, le nostre
illusioni:
ne troveremo, nelle altre stazioni
!
Magari, portiamoci qualche ricordo:
è sempre bene tenerne a bordo !
Sì, un buon ricordo portiamolo
pure:
ci servirà nelle ore più dure
e per voltarci indietro ogni tanto,
portiamoci anche qualche rimpianto…
Su! Via salutiamo il babbo e la
mamma,
ma non è il caso di farne un dramma,
anche se soli poi resteremo,
qualche altro dolore lo
incontreremo
e ci faremo un po’ di compagnia
con la tristezza e la nostalgia…
ma prima di giungere a
destinazione:
lasciamola scendere… la
disperazione…
Si! Prima di giungere al traguardo
finale:
Su! Via, liberiamoci di tutto il
male
Che abbiamo fatto, subìto,
incontrato:
portiamoci il bene che abbiamo
operato
insieme a quello che abbiam
ricevuto
tutte le volte che abbiam chiesto
aiuto
e, se c’è stato qualche rifiuto
buttiamolo a mare… facciamo uno
sforzo…
sarà più leggero il nostro percorso
Così, una volta toccata la meta
Adagiamo la testa su un cuscino
di…pietra
E dopo tante battaglie e lotte,
chiudiamo gli occhi e…buonanotte !
Poesia in-corso VII Edizione (2023)
Giurate/i:
Alessandro Fo, Gianni Antonio Palumbo, Rosa Pierno, Silvia Rosa.
Presenti
l’Editrice Cristina Daglio (Puntoacapo Editrice) e l’Editore Elio Scarciglia
(Terra d’ulivi Edizioni)
Musica:
Mariano Di Nunzio (tromba, electron ics)
Per la Giuria esperta
Prima classificata: Senza
titolo, di Annamaria Giannini
Motivazioni
Alessandro Fo: La poesia di
Annamaria Giannini ci porta all’interno del microcosmo carcerario: e non solo e
non tanto per il linguaggio, che recupera tratti di quello specifico lessico,
come «concelline» per le compagne di cella e «liberante» per chi si accinga a
lasciare la detenzione: tratti espressivi di un universo speciale che restano
comunque suggestivi per quelli che Adriano Sofri ha chiamato «i chiusi fuori».
Ma soprattutto perché delle prospettive di chi esce e di chi resta «dentro»
offre in breve uno spaccato efficace: le minime cose irrilevanti per gli
esterni e vitali per gli interni, le prospettive interiori di chi va e di chi
resta. E il recupero (il «nome») di un’identità che la struttura detentiva fa
il possibile per obliterare. Al «bivio» da cui se n’è usciti si può tornare
alla (vera) vita.
Gianni
Antonio Palumbo: La lirica si apre su una notazione
lessicale apparentemente asettica e invece strettamente connessa al rischio
della dismissione dell’identità individuale che la carcerazione può comportare.
La prospettiva vira sull’immagine delle “concelline” e qui colpisce la
segnalazione del passaggio dalla struggle for life all’ipotesi che
quell’esperienza di convivenza forzata possa condurre addirittura alla nascita
di un vincolo quasi sororale. Il senso di straniamento è costante, soprattutto
nella prospettiva del riadattamento a un mondo che, inevitabilmente, dovrà
essere scrutato con occhi diversi. Il dettato è nitido, comunicativo, percorso da
un’emozione sottesa e sempre dominata.
Quando esci di prigione
ti chiamano "liberante"
alle tue concelline
lasci le piccole cose
e la promessa di scrivere
fino a un'ora prima
avresti difeso coi denti
la vecchia caffettiera
una pentola grande
il mestolo di legno
la penna che scorreva bene
invece porti via solo il coraggio
di guardare dritto negli occhi
un mondo diverso da prima
sarà la forza di ritrovare il tuo nome
al bivio dove è stato dismesso
Seconda classificata: Senza voce, di
Gabriella Cinti
Rosa Pierno: La spola tra la realtà e
l’impensato corre fra le fratture causate da una sensibilità poetica
prorompente. Dalla fredda asfissia del quotidiano, da cui si vorrebbero mungere
nuovi modi di vedere a partire dal conosciuto, erompe dall’”interiorità” del
cosmo, in forza di un’analogia, qualcosa che proviene, niente di meno, che dal
passato, dai miti greci, finendo col legare ciò che si conosce con ciò che non
si può rappresentare.
Gianni Antonio Palumbo: Quella
di Cinti è una visione poetica che affiora come “una folata di scompiglio /
sull'ordine freddo delle carte”. L’immagine giunge sospinta da “da remi di
luce” e finisce con l’essere vessillifera di un “altrove” in cui gelo e
bellezza coesistono e il paradosso sembra chiave di volta esperienziale.
L’autrice arabesca suggestivamente, con soluzioni interessanti quali “la
freschezza / dell’impensato” o ancora “la leggerezza del paradosso senza
artigli”, espressioni che – accanto allo “sguardo equatoriale / con le parole
verdi tra le pupille” e ai “remi di luce” iniziali – concorrono all’incanto
misterioso e alla grazia epifanica del componimento.”
Senza voce
Per
aver invocato
una
folata di scompiglio
sull'ordine
freddo delle carte,
tu
affiori all'improvviso
sospinto
oltre le parole
da
remi di luce,
dagli
interni stellari dell'altrove,
tua
segreta dimora,
imprevisto
messaggero di neutrini
prendi
stanza nel patto disarmato
del
mio presente
con
la sconcertante freschezza
dell'impensato,
la
leggerezza del paradosso senza artigli
e
il tuo sguardo equatoriale
con
le parole verdi tra le pupille,
l’acanto
corinzio tra le tue mani
nei capitelli apparsi nel bosco
in lampi di visione.
Terza classificata: Senza titolo, di Ksenja Laginja
Motivazioni
Gianni Antonio Palumbo: Il testo di Laginja colpisce per il carattere paradossale e l’aura di ambiguità che lo connota. Straniante il contrasto iniziale tra l’“Adesso” e il passato remoto del “fu”, che sembra proiettare l’asserzione dell’incipit in una sorta di tempo ontologico. Efficace la gnome racchiusa nell’idea dell’“inganno del viaggio”, poi esplicitato sibillinamente (forse con echi danteschi). Incisiva anche l’icona del lupo, il cui sguardo – per tradizione – ha potere immobilizzante sull’individuo; in questo caso, a contribuire al fascino del componimento, c’è proprio la pervasività di tale icona. Il lupo è in ciascuno di noi e – come Plauto e Hobbes insegnano – è nel mondo che ci circonda, rappresentabile quale vasto e gelido scenario venatorio.
Silvia Rosa: La poesia di Ksenja Laginja ci conduce fin
dall'incipit al centro di una scena perturbante, ambigua ed evocativa, nella
zona liminale che traduce un enigmatico "noi" al di là della sua
condizione consueta, in viaggio, oltre la soglia del suo esistere abituale,
colto da un'improvvisa trasformazione - coincidente con l'epifania di un nuovo
livello di consapevolezza - che ha avvicinato l'umano al lupo, in un gioco di
specchi in cui non è più netta alcuna distinzione. Il testo si compone di nove
versi (un numero forse non casuale?), asciutti e limati fino a perdere la
componente aggettivale, precisi ed essenziali eppure gravidi di molteplici
significati, che si aprono a ulteriori letture di senso, e generano una
costellazione di dubbi in aumento via via che la conclusione del testo è
prossima. Allo spaesamento, allora, si aggiunge anche una sensazione di
insicurezza, un vago alone di spavento che finisce per coinvolgere il lettore,
spingendolo in prossimità delle proprie segrete zone d'ombra.
Adesso
che non eravamo più lì
fu
evidente l'inganno del viaggio
che
l'altezza si potesse misurare
attraverso
l'apertura della bocca.
Capimmo
così il senso della fame
come
il lupo era entrato in noi
aveva
indossato nomi e abitudini
si
era seduto alla nostra tavola
e
il perché ci davano la caccia.
Per la Giuria popolare
Prima
classificata: Nero da morire, di Valeria Cipolli.
Troppi
colori son morti,
addormentati
nel campo del nero.
Che
ci sia nel catrame, la torba
di
ognuno,
nella
pece, nel buio nettuno
uno
spazio di mietitura,
un
terreno di semina
oltre
che sepoltura.
Uno
sfregio,
un
peccato d’oblio è il nero.
I
cadaveri più silenziosi
non
hanno scelto
il
loro morirsene fuori,
eppure
non fanno
così
tanto rumore
come
chi piantato nel cuore,
eretto
dritto in suo centro,
decide
invece
di
morirti da dentro.
Fatti
vivo.
Poesia in-corso VIII Edizione (2024)
Giurate/i: Alessandro Fo,
Gianni Antonio Palumbo, Lucia Papaleo, Chiara Serani.
Presente Cristina Daglio, Editrice Puntoacapo.
Letture: Letizia Gori, Marcello Marciani.
Per la
Giuria esperta
Prima classificata: Senza titolo, di Marco Bini
Motivazione
di Lucia Papaleo: La
poesia comprende tutto, abbraccia l’umano e il fantastico, presente e passato
in uno stesso verso, condensando ossimori, notizie trapassate in pochi giorni,
leggende celtiche, druidi che lasciano presagire superpoteri e saggezza.
Eppure
l’incipit è umano, molto umano, se ti sperdi… riduciti.
Di
fronte allo sgomento della deflagrazione di elementi incontrollati, il poeta ci
offre una possibile soluzione: concentrarsi su ciò che si può controllare, sul
dettaglio, quello che si salva dopo il passaggio del rasoio dalle parti della
gola.
È il
taglio di cui necessita la poesia per essere tale, la reliquia è qualcosa che
manca è la purificazione, l’assenza, gli oggetti che si privano dei legami fino
a diventare aria, essenza.
La sequenza
di nomi propri – il Carlino, il
Mauser, il Kamarade, Asterix - sparsi nelle diverse parti del verso,
come misteriosa architettura dell’intero testo, punteggia la poesia di una
calviniana molteplicità.
Ma,
come sassi di guado per un fiume tumultuoso di pensieri che appartengono al
poeta, transitano anche il lettore in un mondo interiore che si colloca tra
l’onirico e la rivelazione, attraverso processi di identificazione, anche dove
la materia dovesse rimanere incognita.
Se ti sperdi, riduciti al dettaglio
e torna umano, affettivo, popolare.
Io ad esempio attendo il turno per il taglio
col telefono che prende male
e il Carlino di due giorni tra i muri vecchi
di quello che sembra un recinto immanente,
il cerchio del druido nel villaggio di Asterix.
Fa’ caso a rotture, spacchi, sfondamenti:
sono macchine disarmoniche del tempo.
Qui la reliquia è qualcosa che manca,
lo sbecco nella sedia dove si dice sfregassero
il Mauser e che senza fare forza
amo misurare con le dita,
scanalatura da sfregare come un oggetto magico:
evoca pochi uomini di passaggio da tosare,
la precedenza al Kamarade
la paura del rasoio dalle parti della gola.
Seconda classificata: Miracolo ferroviario, di Goffredo Serrini
Motivazione di Alessandro Fo: Miracolo ferroviario ferma le impressioni di un istante di viaggio còlto in quel momento incantato in cui, chi giunga a Venezia con il treno, si trova come sospeso fra terra e mare, in attesa dell’approdo a una delle più stupefacenti città del mondo. La persona che parla è su una «freccia», seduta «al contrario» rispetto al senso di marcia. Ne scaturisce la fantasticheria di una potenziale ‘inversione’ della direzione sbagliata che ha preso da tempo il rapporto dell’uomo con l’ambiente, per come si manifesta nelle ferite inferte al paesaggio. E, di conseguenza, si materializza il sogno che l’acqua possa ribellarsi e cancellare le brutture, e che, mentre siamo giunti ormai alle soglie di un dies irae, qualcosa possa ancora salvare tutto il popolo che ‒ rubando il verso a un antico canto popolare antiaustriaco ‒ gridava pietà. Così, mentre i freni del treno sembrano già fischiare il game over, precipita il miracolo: quel viaggiare all’incontrario ha generato un’improvvisa speranza di invertire la rotta del «destino sbagliato», e il giudizio universale ‒ lo rivela l’altoparlante mutuando il gergo dei consueti annunci ‒ «subirà un ritardo previsto di circa un secolo». Memorie storiche (la resistenza di Venezia agli Austriaci) e militanza ecologica si intrecciano in un testo che gioca a presentarsi come platealmente semplice (le rime participiali), e a riprodurre, in una brillante e suggestiva fantasmagoria, i fuochi d’artificio che un’accesa fantasia ricava da un viaggio in treno.
Miracolo
ferroviario
Seduto
sulla Freccia al contrario
all’incontrario viaggiavo
sognante
guardavo il paesaggio di lato
immaginando
anche lui rivoltato
di
bruttezza svuotato
di
bellezza rinato
poi
all’improvviso mi sono specchiato
nel
riflesso della laguna, Venezia!
O Venezia che sei la più bella
ho
cantato
lasciando
che l’acqua girasse e coprisse per sempre
il
passato
che
lavasse la terra
il destino sbagliato.
Mentre
il treno planava e fischiava il «dies irae»
il
vento invertiva la rotta del mondo
e tutto il popolo gridava pietà.
Venezia
Santa Lucia
Annuncio
ritardo!
[informiamo i viaggiatori che il Giudizio Universale
partirà
dal binario 13 con un ritardo previsto di circa un secolo
diversamente
da quanto già annunciato]
Ci
scusiamo per il disagio.
Terza classificata ex aequo: Degli spettri, di Rosa Caramassi.
Motivazione
di Gianni Antonio Palumbo: Il
testo di Caramassi colpisce per la forza di germinazione della parola, nel
continuo rincorrersi di echi fonici, di termini che scaturiscono gli uni dagli
altri per esempio in omeoarco o talora anche per la semplice riproposizione di
un gruppo consonantico. Non mancano giochi di catafore e un uso della
ripetizione al servizio di un’operazione di graduale disvelamento delle radici
del disagio. Il malessere vibra nell’andamento perplesso del verso: un’allure che rispecchia quella delle
vite “spezzettate”, con il passaggio dal verso monoverbale a quello torrentizio
che, in inarcatura, apre alla delineazione – parziale, perché incombe il non
detto – del bisogno. L’autrice intreccia continue connessioni tra la
collettività, che emerge in apertura, e il microcosmo dell’individuo e della
sua famiglia, movimento ripreso in un cenno, nel finale, in cui si intravede
come la “spettralità” del titolo ibseniano paia riverberarsi su ogni cosa e sul
mondo.
Degli
spettri
Spezzettate
Di case spietate
Sputanti macigni
Dai secoli masticati
Santi nostri protettori
Che non lo sapevamo
Non sapevamo del
bisogno
Di dormire otto ore la
sveglia alle sette di mattina la doccia prima di cena
i fiori la domenica
babbo a capotavola il vestitino buono
Il mutuo
Il primo
Il secondo col contorno
Per poca prudenza e
alcuna attenzione
Al male d’amore
Agli uomini in guerra
Ai colpi di sole
Terza
classificata ex aequo: Venere
al supermercato, di Lucio
Macchia
Motivazione
di Lucia Papaleo: Un ricordo che ritorna su se stesso, assumendo sembianze
divine e una voce forse immutata, è l’occasione per descrivere, gli ossimori
del quotidiano, le vite frenetiche e prolifiche di merci, contrapposte alla sterilità
della bellezza uguale a se stessa, dove tutto si ripete, alimentata dal
rammarico per le non-scelte che imprigionano nei non-luoghi e trattiene anche
lo scorrere del tempo tra le merci e il viavai: qui dove non s’invecchia mai .
Ma, al contempo, il testo ci
restituisce visivamente un segno di fertilità (il profilo grafico della poesia ricorda
una gravidanza avanzata o un carrello ricolmo) come volesse metterci in guardia
o rassicurarci che nella poesia il vero può nascondersi nel suo contrario. Brandelli
di vita reale rimasta fissata nello spazio e nel tempo dove l’amore accadde ma
non ci fu la scelta, non fu salvato dalle reti dove era rimasto impigliato.
Venere
al supermercato
Ti
ho incontrata all’angolo
del
supermercato, tra i carrelli
ti
ho riconosciuta con stupore:
«Sei
davvero tu? Ma così giovane...
Sei
come allora – e io mutato, invece».
Mi
hai sorriso e mi hai detto: «Sai, vivo
da
quei giorni in questo luogo, tra le merci
e
il viavai: qui, dove non s’invecchia mai.
Il
tempo si è impigliato, tra la corsia
dei
detersivi e le conserve – mi trattiene.
Così,
sempre qui mi troverai, o vicino,
confusa
tra la gente che cammina,
giovane
com’ero, ma anch’io
ormai
sola: un’Afrodite triste,
una
dea – strana – dei carrelli».
Terza classificata ex aequo: La neve fragile, di Massimiliano Marconi.
Motivazione
di Gianni Antonio Palumbo: La neve fragile si basa sulla constatazione del crollo
delle illusioni, nel recupero della metafora dello scioglimento delle nevi che
fu cara a Villon. Nulla più sembra persistere: le orme non si imprimono, gli
equilibri si sfarinano; l’ubi
consistam non trova risposta. Una possibile reazione a questo stato di
cose è individuata nella “forza inversa” dell’Arte; far “indietreggiare il
ghiacciaio” significa reagire al gelo ma anche all’impersistenza; far
“risvegliare” ciò che resta e radicarsi. Bello l’incipit, che – pur nelle
differenze – pare richiamare, per antitesi, un verso del Faust di Goethe (“die Erde hat mich
wieder!”); efficace anche la chiusura, che vive dell’accostamento di elementi
contrastanti, accentuati dalla dipendenza da un unico verbo causativo.
La neve fragile
Più nessuna terra mi
possiede,
in questo luogo
dove la notte illumina
i vecchi racconti
e dove ogni singolo
passo
non produce più orma,
nell’ombra crescente di
una luna debole
ho gettato ogni
equilibrio,
e sciolta ogni illusione
nel tempo breve di una
neve fragile.
Nell’opera compiuta
dall’artista
transitano lucidi i
sentimenti di genesi
ed è solo nostra la
forza inversa
che fa indietreggiare il
ghiacciaio
e risvegliare la pietra.
Terza classificata ex aequo: La città invisibile, di Camilla Ziglia.
Motivazione
di Chiara Serani: Scrive Italo Calvino, ne Le città invisibili , che «[l’]inferno
dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui,
l’inferno che abitiamo tutti i giorni», e questo testo di Camilla Ziglia, che a
Calvino inevitabilmente rimanda, sembra proprio voler evocare una moderna
geenna, una sotterranea città immondezzaio, una segreta anatomia urbana di
materiali sintetici e nocivi, un formicaio disumanizzato. A metterla a nudo è uno
sradicamento-scoperchiamento immaginativo, un’epifania improvvisa che apre
all’invisibile e che poi ricompone, come in un edificio che venga distrutto ed
eretto di nuovo, il velo della realtà sull’irriducibile e scompaginante reale,
quello che mina, come le formiche-operaie in grado di fare e disfare
incredibili ponti viventi, le strutture del quotidiano – e si pensi al
surrealismo di Buñuel e Dalì, col sobillante brulicare di questi insetti.
D’altro canto si realizza nel testo, con l’irrompere dell’immagine delle necropoli
«fuori mappa» e le loro defixiones , un’ulteriore discesa stratigrafica verso
il sottosuolo, dunque verso il buio e le camere formicolanti dell’inconscio
(metropolitano, sociale, individuale): un cambio di prospettiva e un movimento catamorfo
che per un attimo fanno saltare ogni coordinata spazio-temporale prima che il
varco si chiuda e «la città visibile» ricada , paradossalmente, su sé stessa.
Il testo di Ziglia colpisce per misuratezza linguistica oltre che per
immediatezza e visionarietà, condensando inoltre riferimenti cólti e riuscendo
al fine a rivitalizzare in maniera originale e creativa il topos della città-formicaio,
spogliato dei suoi attributi più consueti e riconoscibili.
La
città invisibile
Dalle torri si afferrano i ponti
degli svincoli
un tiro di polso solleva la città
come zolla:
parchi sradicati fondazioni strappi
di fili elettrici.
Franano calcinacci e pattume,
penzolano lingue d’asfalto
fiotti di percolato in capillari di
iniezione.
Stride il richiamo dei cavi rimasti
nella conca
fibre ottiche si affacciano e reti a
più livelli
attorno a sacche tumorali di
amianto.
Necropoli fuori mappa scoperchiano
maledizioni
scattano tagliole sui soffitti dei
caveaux
dalla camera in fondo al formicaio
la regina
sguinzaglia masse frenetiche
addestrate a minare i ponti
di peso ricade ̶ illesa ̶ la città
visibile.
Poesie
menzionate dalla Giuria esperta/quarte classificate
Poesia
di Erika Signorato
Padiglione
21
sai
che la pioggia non giunge
sotto
l’insonnia del leccio
-
quando 21 era un multiplo,
ora
il 3 è 15:00, una lacrima
a
rivoli, campanello, cancellata –
mi
invitano bianchi sudari
col
sorriso sulla processione
-
parenti a riflessi, la borsa,
il
cambio, due monete,
le
quindici e trenta - 15:30 -
mezz’ora
di mani, al seno
i
capelli e due passi sospesi -
eppure
si corteggiano i germani,
di
qua e di là sopra le sbarre
quel
volo sacro ogni primavera
-
tu non dormi, del 21 sapevi
come
inesausto piove l’amore.
Psichiatria, Padiglione
21 (visite ad A.)
Poesia
di Silvia Secco
Il
fatto io credo sia plurale: sono la madre e la bambina. Il fatto
sono
il corpo nell’incolto, il dito che ha indicato il luogo.
Il
coltello (si presume), l’immaginazione della scusa, la bambina
morta.
Mentre la bambina muore - io credo - la bambina smette.
Mentre
rondini, cicale, le automobili, sterpaglie che si sfregano
nel
secco proseguono il rumore.
Allora,
mentre la bambina muore, smette anche la madre d’essere
concetto.
Viene dismesso il dovere (smette di graffiare), smette
il
sacrificio: il fiato che di notte monta il latte (piangere e spavento).
Smette
il sentimento della madre che non era pronta
della
madre che era sola nel deserto,
nella pietrarsura
del deserto dell’istinto delle buone madri.
Allora,
mentre la bambina muore, forse disperatamente è questa
madre
che recide - forse è la rete di gabbia che smette - forse
disperatamente
(la madre che dopo si calma, ritorna ragazza com’è,
ragazzina).
Mentre la bambina muore forse a lei si chiude il cuore.
Annega,
e dopo si scorda (non sa,
non trattiene).
Non si
può mai tornare indietro.
Poesia
di Isabella Moretti
Hortus
conclusus
Siliqua
aperta, sguscio le parole,
semi
rotondi e lisci di legume,
elidendo
i peduncoli sottili
che
le legano al cielo del palato,
mentre
la lingua dorme
un
sonno di lumaca
mollemente
adagiata
nel
recinto dei denti.
Le
cavo su dal buco della gola,
le
salvo dalla glottide tagliola.
Affacciate
sul ciglio,
oltre
la scorza secca del torace,
prendono
a rotolare come perle
come
gocce di resina, di linfa.
La
saliva le rolla, le accarezza,
nell’attesa
che il senso del discorso
si
dipani da solo,
filo
di bava argento
brillante
nella luna.
Poesia
di Teresa Mariniello
Irragionevole stanza
Sono
uscita dalla cruna d’ago.
Nel
grembo mi fa nido il cielo
di
tanti miei viaggi,
porta
il giallo dell’oro il rosa della carne.
Si
fa strada e lievita
lievita
bianco sotto la cappa dell’azzurro.
Nel
segno della madre
e
poi del padre
ho
ascoltato la voce degli antenati
battermi
nel costato
a
farsi accorta preghiera.
Perché
tornassi qui,
sciolta
dal peso degli amori,
alla
tua irragionevole stanza,
mia
poesia.
Poesia
di Pasquale Lenge
Non
lo sai se è lo scroscio del fiume
d’acqua
poco lontano al di là del poggio
o
il vento nero che si ghiaccia in gola
l’aria
che tira
per
le funi i cipressi albini legati in cima
piegandoli
rivolti verso la Qibla
o
l’esoscheletro in carbonio
dei
castagni mostruosi
gettato
nelle fiamme di fuoco
il
miracolo del frutto del riccio
che
nella piana dove c’era una palude e una tabacchera
campi
e campi uguali di ettari e ettari
i
tedeschi o gli alleati mitragliarono
per
ventotto minuti ogni fiore blu di cicoria
questa
la storia della sintassi d’ogni discorso
rotta
di rosso – i rami vizzi, dicevano l’ulivo e il deserto -
il
sentiero si macchia e torni indietro di strada nei fossi
resta
la voglia di more di gelso sotto le ginocchia
nell’attaccatura
del braccio: nel pallore di polvere
di
quando esplode la luna alla faccia dei poveri
non
c’è un erbaio per i bovi a trainare la giornata
un
ranghino rugginoso è incapace di dire fieno
ti
inginocchi sopra una manciata petrosa
di
sassi più grossi di ceci – chiamatela pure terra-
a
mani in alto disgiunte lontane dal petto
chiami
la pace preghi o chiedi scusa
che
il fiume o il vento e la guerra
come
il battito d’ali di una farfalla
nell’arcobaleno
riflesso nel Canaan
non
calpestate le aiuole di iris ovunque
come
il battito d’ali di una colomba
Poesie
segnalate dalla Giuria esperta/quinte classificate:
Poesia
di Angela Zavettieri
Mia
madre andò via
Mia madre andò via
una mattina
sul presto
in un giorno d'inverno
senza fare rumore.
Non aveva bagagli
ma prese con sé la mia pelle.
È da allora che sento
ogni cosa.
Poesia di Giovanni Nolfe
Una sventagliata dal Nord
Che
sarà di noi
Mio
complicato
Amore
enciclopedico
Quando
Una
sventagliata dal Nord
Ci
taglierà la testa?
Dove
finiranno
I
nostri pensieri
Le
discussioni
I
baci? Dove rotoleranno
Le
carezze per il cane?
Cosa
faranno i figli
Di
tutti quanti i libri
Dell’opera
omnia
E
tutte le poesie?
Dove
se ne andranno
Le
medaglie di guerra
Dei
vecchi genitori?
Chi
curerà il giardino?
Dove
moriranno i viaggi
Che
ne sarà di tutti quanti i passi
Del
sole negli occhi
Delle
giornate di vento?
La
mia pigrizia
La
tua esuberanza?
Dove
andranno, quando
Una
sventagliata dal Nord
Ci
taglierà la testa?
Poesia di Claudio Dal Pozzo
Negli occhi
dei miei figli tondi o allungati
negli occhi dei miei figli tondi o allungati
c’è un punto di domanda uno sbadiglio
un articolo di legge una corda e un appiglio
un diario personale un plettro consumato
la fame delle scarpe che divorano la strada
la sete dei capelli che tracannano gli specchi
un album di fotografie con le prime smorfie
un’agenda di dieci anni avanti da riempire
costruzioni Lego spaiate le istruzioni perse
un tavolo bislungo di un consiglio di amministrazione
un palcoscenico in provincia un bivacco ad alta quota
il mio
tramonto solido che in tre sorrisi trova soluzione
Per
la Giuria popolare
Prima
classificata: Ballata
per un’isola, del collettivo di Donne “Le sammule”,coordinato
da Simonetta Filippi.
Ballata per un’isola
Notte stellata
di navigazione,
occhi
semichiusi di bimbe appena sveglie, alba rosa, delfini…
un sogno
qualcosa di
bello in mezzo al mare
uno spazio
finito in un orizzonte infinito
è
l’improbabile
una balena
gigante che bacia il cielo
sembra
lontana anche quando è vicina
meraviglia
mistero
pirati onde
minacciose pericoli e fantasmi da sconfiggere
mi fa un po’
paura, ne ho timore
è
l’improbabile
blu blu
oltremare zaffiro e azzurro
verde verde
smeraldo acqua menta
uno scoglio
la salvezza
il paradiso?
Un’isola
distaccamento
di terra in mezzo al mare
una radice
nel mare
una
minuscola pietra dura di salsedine
un mondo
fuori dal mondo
natura che
ti accoglie ti coccola ti rigenera
ti avvolge
di bellezza
un organismo
vivo
energia pura
vite animali
vegetali e minerali, aliene fra loro, che si toccano
culla di
profumi e tempesta di pace
è dove il
tempo sembra si fermi ad ogni tramonto
L’isola
è casa...è
tutto
è un cuore
che batte in mezzo al mare
silenzio
poca gente tranquillità
oasi di pace
e libertà dove ognuno ritrova sé stesso
per
l’ennesima volta!
è una terra promessa e mantenuta
che ti fa sentire al centro dell’universo
l’isola è magica!
un luogo incantato
dove il
tempo rallenta al ritmo delle onde
l’isola è
una finestra sul mondo
luogo di
arrivo e partenza
andare e ritornare
l’isola è il
mio porto
è l’approdo
alla vita dopo un viaggio tempestoso
la fermata
dove scendere prima del capolinea
è il mio
nido
l’isola è
tempo
è uno spazio
di libertà
la libertà
di una storia d’amore lunga tutta una vita
l’isola dà
forti radici
io: isolana al cento per cento!
L’isola è il
ricordo di una vacanza felice di tanti anni fa…
i profumi i tramonti le risate i sogni di un gruppo di amici pieni di
speranza…
ecco: ritrovare ogni tanto piccoli attimi di quell’atmosfera
nella vita di tutti giorni,
per me, è un’isola
La mia
famiglia è la mia isola: io sono la vecchia terra, ì miei figli con amore e
tanta pazienza sono le acque che mi circondano e mi proteggono
l’isola è
come la mia valle: difficile da raggiungere, difficile da lasciare, aspra e
selvaggia ma accogliente e protettiva
l’isola è
come un figlio, legata alla terra Madre da un filo invisibile
è come un
gomitolo: in ogni gomitolo c’è un mondo da scoprire
l’isola è un posto dove poter leggere quanto ti pare
la mia isola
di tutti ì giorni è un caffè prima del lavoro, da sola, per iniziare la
giornata partendo da me stessa
isola: croce
e delizia di chi ci abita
è la terra
che quando ci sei desideri lasciare e sulla quale, quando sei lontano, brami di
tornare
l’isola è il
cuore a metà
Io sola
A volte
vedo, tra le nuvole, un’isola
ecco una
palma
ecco dei
gabbiani
e sulla
spiaggia un bel forziere
che fa
tesoro dei miei sogni
Isola
getta ì tuoi
ponti
verso di me
io sono
sulla mia isola
l’isola è un
luogo della mente
spazio sacro
Togli
all’isola il mare: resta un’isola?
è
l’improbabile
l’isola è un
luogo di ascolto in cui abito solo io
è il mio
viaggio interiore
è solitudine
che trabocca di emozione
è dove i ricordi hanno un peso
il posto
sicuro dove il pensiero vola!
l’isola
circonda, è anima profonda
è rifugio
dell’anima
il luogo
dove riesci a sentirla, la tua anima
l’isola è
una forma di meditazione
è una
zattera che naviga sul filo del racconto
è
ritrovarsi: silenzio sterminato
incanto
connessione
è uno stato
d’animo
è una
dimensione
restare uno
Vieni isola
resta con me, chiudimi in te. Costruiamoci un mondo tutto per noi, mettiamoci
dentro quello che ci piace di più: il sole, la luna, le nuvole, il cielo, il
mare, la musica, i libri, il teatro e gli occhi che ci appartengono…
l’isola è la
parte migliore di me
e dentro…
tutto è poesia.