domenica 29 giugno 2025

Defence of Madame Blavatsky, di Beatrice Hastings.

 








Venerdì 27 giugno 2025, il Giardino de Le Cicale Operose® ha aperto le porte in occasione di un evento di rilievo internazionale. Si è parlato, infatti, per la prima volta in Italia, dell'opera inedita 𝑫𝒆𝒇𝒆𝒏𝒄𝒆 𝒐𝒇 𝑴𝒂𝒅𝒂𝒎𝒆 𝑩𝒍𝒂𝒗𝒂𝒕𝒔𝒌𝒚, di 𝐁𝐞𝐚𝐭𝐫𝐢𝐜𝐞 𝐇𝐚𝐬𝐭𝐢𝐧𝐠𝐬. Corpus raccolto da Le Cicale Operose durante il percorso di ricerca delle opere letterarie inedite di Hastings che Le Cicale Operose da anni sta intraprendendo.

Programma:

1) Intervento di Simone Turco: “'𝑇𝑜 𝑎𝑙𝑙 𝑙𝑜𝑣𝑒𝑟𝑠 𝑜𝑓 𝑗𝑢𝑠𝑡𝑖𝑐𝑒 𝑎𝑛𝑑 𝑙𝑖𝑏𝑒𝑟𝑡𝑦’. 𝐶𝑟𝑖𝑡𝑖𝑐𝑎 𝑒 𝑎𝑝𝑜𝑙𝑜𝑔𝑖𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑠𝑝𝑖𝑟𝑖𝑡𝑜 𝑛𝑒𝑙𝑙’𝑜𝑟𝑖𝑧𝑧𝑜𝑛𝑡𝑒 𝑚𝑜𝑑𝑒𝑟𝑛𝑖𝑠𝑡𝑎”.
2) Intervento di Chiara Serani: “𝑆𝑡𝑎𝑟𝑖𝑛𝑔 𝑎𝑡 𝑡ℎ𝑒 𝑔𝑎𝑝𝑠: 𝐵𝑒𝑎𝑡𝑟𝑖𝑐𝑒 𝐻𝑎𝑠𝑡𝑖𝑛𝑔𝑠 𝑙𝑒𝑔𝑔𝑒 𝑀𝑎𝑑𝑎𝑚𝑒 𝐵𝑙𝑎𝑣𝑎𝑡𝑠𝑘𝑦”.
3) Performance artistica "𝑁𝑒𝑖 𝑔𝑖𝑎𝑟𝑑𝑖𝑛𝑖 𝑑𝑖 𝐵𝑒𝑎𝑡𝑟𝑖𝑐𝑒" a cura di AndromacAAntonella Suella (Declamato melodico), Stefano Bertoli (Synth/Elettronica/Intonarumori).

In attesa di poter leggere i saggi che scaturiranno dal lavoro dei due studiosi invitati da Le Cicale Operose - Chiara Serani e Simone Turco - pubblichiamo nel blog alcune affermazioni dei due Relatori tratte dai rispettivi interventi, in cui, tra l'altro, si sottolinea il genio e le doti di intellettuale da essi riconosciute a Beatrice Hastings, autrice e pensatrice completamente obliata e dimenticata fino all'impegno delle Cicale (Maristella, Federico) svolto in questi anni.

Chiara Serani

“Hastings e Blavatsky: due donne coraggiose, battagliere, indomite, eccentriche, grandi viaggiatrici, libere pensatrici, femministe atipiche, si incontrano in un’ideale sororanza”


Simone Turco

“La sua Difesa può essere letta come un atto di solidarietà tra donne che si oppongono a meccanismi di esclusione messi in atto dalla cultura patriarcale dominante, rivendicando il diritto di parola e di critica”


Chiara Serani

“Hastings è intenta a difendere un capro espiatorio in nome – scrive – della difesa dell’ideale universale di giustizia e libertà”


Simone Turco

"Hastings mirava a riconsiderare la figura di Blavatsky alla luce di un’etica anti-dogmatica e di una visione della libertà intellettuale”


Chiara Serani

“Il credo teosofico è, sul piano sociale, vicino alla visione del mondo di Hastings, un credo universalista, sincretico, alieno a ogni bigottismo e favorevole alla fratellanza universale”


Simone Turco

“Defence è un vero e proprio Manifesto di libertà intellettuale che rifiuta ogni dogmatismo e valorizza la pluralità delle prospettive […] Il suo è anche un atto di grande coraggio, perché sfida le convenzioni del suo tempo e propone un modello di pensiero libero da ogni tipo di chiusura, in cui il cammino verso la verità è anche inclusivo”

 

Chiara Serani

“Hastings difende innanzitutto una donna di grande genio letterario”

 

Simone Turco

Hastings sottolinea la grandezza letteraria e filosofica di Blavatsky, la sua capacità di sintetizzare tradizioni diverse, e di proporre un pensiero che sfidava le ortodossie del suo tempo”

 

Chiara Serani

“In fondo – asserisce Hastings – l’autore, in sé per sé, conta meno dell’opera. Un’intuizione di grandissima modernità, da parte di Hastings, che sembra anticipare certe tesi dello strutturalismo e del decostruzionismo”

 

Simone Turco

“Hastings invita a riconoscere il valore della diversità di pensiero, a difendere il diritto all’eresia, intesa non come devianza, come veniva intesa allora a livello istituzionale, ma come motore di innovazione e di progresso culturale.”

 

Chiara Serani

“Hastings scrive: “uno di questi giorni, non troppo lontano, il mondo rivendicherà Blavatsky: nei suoi scritti vasti e vari c’è qualcosa per ognuno”. Quel qualcosa che Hastings sembra trovarvi è anche una prefigurazione di sé, della propria storia, del proprio destino. Infatti, nel 1936 scrive: “Dichiaro solennemente che un giorno sarò pubblicata in forma di volume“, cosa avvenuta grazie all’opera di ricerca e pubblicazione di Maristella e Federico (Le Cicale Operose).”

 

Simone Turco

“Penso che in un’epoca come la nostra, che è segnata da nuove forme di dogmatismo – purtroppo – e da una crescente polarizzazione culturale, la lezione di Blavatsky e di Hastings appare quanto mai attuale.”



FRAMMENTO DELLA PERFORMANCE ARTISTICA DI AndromacA (Antonella Suella, Stefano Bertoli) per la Conferenza sull'opera 𝑫𝒆𝒇𝒆𝒏𝒄𝒆 𝒐𝒇 𝑴𝒂𝒅𝒂𝒎𝒆 𝑩𝒍𝒂𝒗𝒂𝒕𝒔𝒌𝒚, di 𝐁𝐞𝐚𝐭𝐫𝐢𝐜𝐞 𝐇𝐚𝐬𝐭𝐢𝐧𝐠𝐬, 27 giugno, 2025, Le Cicale Operose.

 


Per vedere il video, cliccare sull'immagine.




𝐍𝐨𝐭𝐞 𝐛𝐢𝐨𝐠𝐫𝐚𝐟𝐢𝐜𝐡𝐞
𝐒𝐭𝐞𝐟𝐚𝐧𝐨 𝐁𝐞𝐫𝐭𝐨𝐥𝐢 (Genova, 1969).
Comincia a suonare batteria jazz nei primi anni ottanta continuando a suonare nei locali fino a quando, una decina di anni dopo, decide di perfezionare la sua tecnica in ambiti jazz rock avanguardistici
Si unisce prima a Nova Malà Strana e poi a Iconae collaborando con entrambi i gruppi sia in studio che dal vivo, pur continuando la professione di percussionista tournista fino ai primi anni 2000
Dal 2000 ad oggi alterna la professione di musicista a quella di fonico e curatore di clinic su strumenti musicali rari.
Nel 2008 fonda, insieme a Antonella Suella, il duo Sperimentale contemporaneo AndromacA con cui lavora sia in studio che dal vivo in un’intensa attività fra Europa e Giappone.

𝐂𝐡𝐢𝐚𝐫𝐚 𝐒𝐞𝐫𝐚𝐧𝐢 (Pisa, 1974).
Dopo il conseguimento del dottorato in Letterature straniere moderne è stata assegnista di ricerca e professore a contratto presso l’Università di Pisa. È abilitata a professore universitario di seconda fascia in Letteratura inglese. Si è occupata di letterature post-coloniali e poesia anglofona moderna e contemporanea, con particolare interesse per la poesia britannica modernista e del secondo Novecento. Ha pubblicato le monografie Salman Rushdie. La storia come sperectomia (Aracne, 2010) e The august Presence: T.S. Eliot nell’opera di Philip Larkin (Aracne, 2010). È tra i curatori del volume Hammered Gold and Gold Enamelling. Studi in onore di Anthony Leonard Johnson (Aracne, 2011). Ha pubblicato inoltre numerosi saggi e altri interventi in volume (su Ted Hughes, Sylvia Plath, Dylan Thomas, Emily Dickinson, Philip Larkin, Augusto Blotto, Silvano Martini e altri) e in rivista/lit blog (tra cui «Strumenti Critici», «Soglie», «il Grandevetro», «Anglistica Pisana», «CONTAINER», «Nazione Indiana», «Imperfetta Ellisse», «La scuola delle cose»). Collabora con alcune case editrici come editor e traduttore freelance (tra le traduzioni più recenti: Edmund Burke, Indagine filosofica sull’origine delle nostre idee di Sublime e di Bello, Edizioni Theoria, 2024). Sue poesie e prose sono pubblicate su «l’immaginazione» (Manni), «Nazione Indiana», «Esiste la ricerca». Con l’opera Dialoghi della sedia. Azioni a più voci (finalista al Premio Bologna in Lettere - 2022) ha vinto il Premio Lorenzo Montano (XXXVI edizione, 2022) nella sezione “opera inedita”. Pubblicata da Anterem Edizioni (2023), l’opera è stata selezionata per il Premio Nazionale Elio Pagliarani (2024) e finalista al Premio Versante Ripido (2024). È stata tra i giurati esperti del premio “Poesia in-corso”, VIII edizione, a cura de Le Cicale Operose, ed è tra gli organizzatori della rassegna di presentazioni sulle scritture contemporanee “Diffrazioni”.

𝐀𝐧𝐭𝐨𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐒𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 (Genova, 1971).
Si diploma in Canto Lirico presso il conservatorio Nicolò Paganini di Genova e alterna la professione di cantante di Classica Contemporanea con quella di Insegnante di Canto Moderno
Dai primissimi anni novanta é voce solista di gruppi come Nova Malà Strana e Iconae con cui incide una dozzina di dischi e esegue un centinaio di concerti.
Dal 2008 é cofondatrice, con Stefano Bertoli, del duo di Musica Contemporanea Sperimentale AndromacA con cui incide tre dischi e porta avanti Tournee in tutta Europa e Giappone.

𝐒𝐢𝐦𝐨𝐧𝐞 𝐓𝐮𝐫𝐜𝐨 (Genova, 1985).
Allievo della comparatista Enrica Salvaneschi e della germanista Anna Lucia Giavotto, è studioso di Letterature comparate e di Storia delle idee. Specialista delle Letterature inglese e tedesca, conduce ricerche di critica semantica, prediligendo un approccio ermeneutico e transdisciplinare. Ha tenuto corsi di Studi giudaici (Ebraico), di Linguistica generale magistrale e di Letterature comparate e Storia delle idee presso l’Università di Genova, ed è direttore, insieme con la linguista Rosa Ronzitti, del periodico scientifico internazionale «Lumina. Rivista di Linguistica storica e di Letteratura comparata». È membro del comitato scientifico della collana «I Quaderni di Minerva», diretta da Davide Arecco (casa editrice Città del Silenzio), e della rivista «Kepos». Si è occupato, nell’àmbito degli studi di critica letteraria e culturale, del rapporto tra la cultura religiosa o para-religiosa e la letteratura, con particolare riguardo alla trasformazione dell’immaginario e dell’estetica attraverso la ricezione del pensiero magico antico entro la modernità, nonché alle relazioni tra filosofia, religione, politica e produzione letteraria. Sul versante linguistico, ha studiato l’applicabilità dei metodi d’indagine narratologica al linguaggio giuridico. È autore di decine di articoli e contributi in pubblicazioni nazionali e internazionali. Tra i suoi lavori: ‘Adel’ eckartiano, ‘nobilitade’ dantesca. La nobiltà nel pensiero di Meister Eckhart e nel Convivio, Trattato IV (Pisa 2011) “The Marble Faun”. Art, Nature, and Morals Between Classicism and Aestheticism (Roma [Canterano] 2020). Tra le sue traduzioni: J. Baillie, Saggio sul sublime, prima ed. e trad. it. di Essay on the sublime (Ro Ferrarese 2014); G. Grattacaso, The Will-Be World. Selected poems, trad. ing. da Il mondo che farà, a c. di S. Turco (New York 2022).





 

lunedì 23 giugno 2025

Celebrazione de Le Cicale Operose per Amedeo Modigliani - 2025: le poesie.


Benvenute/i.

In questa sezione del blog saranno pubblicate le poesie inviate per celebrare Amedeo Modigliani, grazie all'iniziativa de Le Cicale Operose, ideatrice e organizzatrice dell'evento:

 https://www.facebook.com/events/1286591789555037


L'evento si terrà presso il Giardino di corso Amedeo, 101 - Livorno, il 13 luglio 2025, ed avrà la seguente programmazione:

PROGRAMMA DELLA SERATA
Ore 18:30
Premiazione e letture delle prime 10 poesie.
Ore 19:30
Intervento di Vincenzo Guarracino: Modigliani, poeta.
Ore 20:00
Pausa-buffet
Ore 21:00
Monologo di Patrizia Di Martino: Beà e Modì. L'amore che dipingeva parole.
Ore 21:30
Intervento di Mario Di Chiara: Cenni sulla formazione socioculturale di Amedeo Modigliani e l'avventura critica del suo lascito (1875-1915)
Ore 22:00
Saluti e brindisi finale


Le Giurate e i Giurati che valuteranno le poesie:

LAURA GIULIBERTI
VINCENZO GUARRACINO
RENATA MORRESI
CHIARA SERANI


A presto!




venerdì 20 giugno 2025

Aldo Galeazzi legge Lucio Macchia. Lettura di "Tracciare", di Lucio Macchia.

 






Aldo Galeazzi legge Lucio Macchia.
Incontro tra due curatori del blog delle Cicale (Aldo Galeazzi per la rubrica Voci e Lucio Macchia per la rubrica Past metaphor), la cui amicizia è attraversata da una reciproca stima per le rispettive scritture poetiche.




Lettura della poesia Tracciare, di Lucio Macchia, dal volume Tracciature, Lucio Macchia, Terra d'ulivi Edizioni, 2023.
Per ascoltare l'audio, cliccare sull'immagine. 



giovedì 19 giugno 2025

Aldo Galeazzi legge Dante. Inferno, Canto I, v. 61 e ss, La Divina Commedia














 Aldo Galeazzi legge Dante.

Inferno, Canto I, v. 61  e ss, La Divina Commedia

Per ascoltare attivare il player, cliccare sull'immagine.

domenica 15 giugno 2025

Tracce di pensieri meridiani, di Pasquale Vitagliano.

 













Tracce di pensieri meridiani

 

C’è bisogno che qualcuno (ri)costruisca un pensiero (e un’azione) meridiano al femminile, così come Le Cicale Operose stanno facendo con la figura di Beatrice Hastings e la cultura europea. In realtà, qualcuno ci sta già provando, magari senza questo esplicito obiettivo. È il caso della ricerca che Sergio Sichenze sta portando avanti con la figura Maria Occhipinti. Ne è nato un primo quaderno, grazie a Lucia Papaleo, a Stefano Iori e alla Corte di Poeti di Mantova. L’infinita poesia di una vita. Maria Occhipinti, donna di Ragusa e del mondo, questo è il titolo di un libricino collettaneo che è utilissimo per conoscere la storia piccola ma straordinaria di questa donna del Sud. Anarchica e antimilitarista, si oppose con il Movimento Non si parte! persino all’arruolamento forzato voluto dal Governo Badoglio tra il 1944 e 1945 per ricostituire l’esercito colli-belligerante nel nuovo fronte a fianco degli Alleati. Dovette subire la calunnia di non volere la Liberazione e venne anche arrestata, benché fosse incinta, e incarcerata a Ustica. Scrittrice autodidatta, riuscì a farsi apprezzare fino al riconoscimento del Premio Brancati nel 1976.

Altre sarebbero le figure di questa “altra metà” del Pensiero Meridiano. Alcune le abbiamo già richiamate in precedenti frammenti. Qui, ne vorrei ricordare altre due: la fotografa e regista Cecilia Mangini, autrice di una perla sconosciuta del cinema antropologico come Stendalì – Suonano ancora girato nel 1960 nella Grecia Salentina per raccontare il rito dei canti funebri, e scritto da Pier Paolo Pasolini. Infine, Liliana Rossi, musicista e militante comunista foggiana, cui Michele Placido ha dedicato il film Del perduto amore nel 1998.


Pasquale Vitagliano


Il soggetto poetico, di Lucio Macchia.

 










Il soggetto poetico, di Lucio Macchia.

«Noi non abbiamo mai,

nemmeno per un giorno, lo spazio puro

innanzi a noi, in cui si aprono i fiori

senza fine. È sempre un mondo e mai

un nessun luogo senza no: il puro,

insorvegliato che si respira e si sa

all’infinito, e non si desidera»

(Rilke, Elegie Duinesi VIII, 15)

 

Jacques Lacan ha dedicato tutta la sua straordinaria ricerca allo studio del soggetto. Chi è il soggetto? Che vuol dire essere un “soggetto”? Questa domanda non può non interessare l’animale umano, lo strambo essere parlante che abita la Terra. La risposta di Lacan è che il soggetto umano è generato dall’incontro tra il corpo vivente del “piccolo umano” “non-ancora-umano”, in immanenza con il corpo materno e il linguaggio. Lo statuto del linguaggio, nel corso del ‘900, è stato al centro dell’attenzione della riflessione filosofica, ed è emerso come qualcosa di completamente diverso da ciò che il senso comune intende. Non un modo di comunicare dei presunti pensieri, non un sistema di nominazione delle cose, ma una istanza che precede l’uomo stesso, in cui l’infante si trova avviluppato, e attraverso cui accede al mondo in quanto organizzato e ordinato dal linguaggio. La presa del linguaggio sulla carne viva consente l’accesso alla dimensione che Lacan definisce del “simbolico” con l’effetto traumatico di disarcionare il corpo dalla sua immanenza nell’essere, di dividerlo da quella condizione, facendone oggetto per la sua stessa percezione, ovvero facendolo accedere alla dimensione sdoppiante della coscienza. Sorge il soggetto “barrato” che è dell'ordine del significante, del concetto: è un soggetto parlante e quindi, proprio per questo, rappresentato dal significante e, al contempo, irrapresentabile dal significante che lo ha scisso dal suo stato "originario" di immanenza. Un soggetto alienato, la cui esistenza singolare ha subito una cancellatura ad opera del “morso” del linguaggio, e che emerge in superficie, alla luce del simbolico, lasciando rimossa in profondità l’azione traumatica di questa cancellatura e il residuo inafferrabile (non simbolizzabile) del suo stato di puro vivente “preverbale”. Questo sommerso è abitato dall’inconscio, con le sue logiche e le sue pulsioni. Dentro al linguaggio, il reale della vita è perduto e barattato con la realtà delle rappresentazioni, delle idee, della trascendenza, e l’animale umano è votato a vivere in una sorta di simulazione costruita con il sistema di significanti che l’Altro (ovvero il linguaggio stesso) struttura intorno a lui. Il poeta abita questa frattura. Vive la nostalgia, nell’orizzonte edenico di una cosa perduta. E, aporeticamente, la cerca. Cerca, oltre la realtà, il reale. Si affida al gesto di tentare, pur dall’interno del linguaggio, pur nella trama del simbolico, di far trasparire un mondo-non-mondo, un irrappresentato. In una inaggirabile antinomia, parla dell’imparlabile, forza e deforma e stira i significanti al limite del non-senso per svelare i buchi della significazione, per catturare frammenti, sensazioni, molecole di una perdita che ci costituisce, che è il nostro nucleo più essenziale. Non una perdita che avvenne all’inizio, una volta per tutte, ma che si istanzia in ogni momento, in ogni vita. Una mancanza che ci costituisce, un orizzonte dove si gioca la possibilità dell’autenticità. L’inaggirabile tensione a voler dire del nostro stare qui, come pure esistenze, unicità costituite da un impatto che si ripete senza fine e che presentifica il nostro singolare, specifico differire. Pur precario e fragilissimo. Una questione di orli, soglie, ombre. E mai un luogo senza no: il puro, insorvegliato che si respira e si sa all’infinito, e non si desidera (Rilke).


Immagine: J. Pollock

 


sabato 14 giugno 2025

Il femminile nell’opera di Chiara Serani, Dialoghi della sedia. Di Maristella Diotaiuti (appunti per la presentazione del libro di Chiara Serani).

 












Appunti di Maristella Diotaiuti per la presentazione del volume di Chiara Serani, Dialoghi della sedia. Azioni a più voci, Anterem Edizioni, 2023, Libreria Tra le Righe, Pisa, 13 giugno, 2025, con Chiara Serani, Bianca Del Buono, Maristella Diotaiuti.

Opera vincitrice del Premio Lorenzo Montano (sezione opere inedite, 2022), finalista al Premio Nazionale Elio Pagliarani (2024) e al Premio Versante Ripido (2024).

 

Il femminile nell’opera di Chiara Serani, Dialoghi della sedia

di Maristella Diotaiuti

Su  questo testo è stato detto molto e da critici, scrittori, lettori autorevoli, anche perché permette, nella sua complessità, molteplici percorsi interni, molti itinerari di lettura e di analisi, e sollecita numerosi spunti di riflessione e di intuizioni, di tematiche, ma nel quale possiamo rintracciare (anche per comodità di analisi) due grandi direttrici:

- quella della letterarietà, della forma, della costruzione del testo, e della ricerca formale di chiara, del lavoro sul linguaggio, sul linguaggio poetico, sulla significazione, di cui è stato già detto molto.

- invece vorrei concentrarmi sull’altro filo rosso che attraversa tutto il testo, anzi, direi, ne è l’ossatura, lo scheletro portante, sul quale forse non si è ancora abbastanza posto l’accento, cioè l’elemento del femminile, della problematizzazione del femminile.

Ma prima vorrei dire due cose sul primo aspetto (che poi si intreccia con l’altro, hanno dei punti di connessione). È un testo di forte potenza linguistica e di rappresentazione, connotato da molti elementi di assoluta novità, pur muovendosi dentro a una più generale categoria di quella che viene definita (della c.d.) poesia di ricerca, perché questo è un testo poetico che apre anche a una ridefinizione del canone poetico, che poi significa anche rifondare il linguaggio, e un linguaggio, una lingua, che includa la donna, la preveda, la rappresenti, e quindi recuperare una sorta di grado zero del linguaggio. Non è un caso che la protagonista non parla – occorre recuperare una lingua prestrutturata, prelogica, precodificato.

Nella stessa direzione va anche l’invenzione dell’azione scenica che Chiara realizza proprio attraverso il linguaggio – e non a caso anche qui c’è un teatro azzerato, nel senso che Chiara costruisce un immaginario teatrale (e performativo) in assenza, la performance teatrale non c’è, e quello che leggiamo è uno scritto che immagina una performance e la mima, (questo poi fa entrare in gioco anche la figura dell’ekfrasis, di cui poi ci parleranno Chiara o Bianca), e quindi l’azione scenica diventa linguaggio e il linguaggio diventa azione scenica.

Quindi il linguaggio non è più una rappresentazione di qualcosa che preesiste, ma crea l’oggetto nel momento in cui lo nomina, è quello che fa la lingua maternalingua prelogica per eccellenza, è il momento sorgivo del linguaggio e del mondo, la lingua materna crea il mondo e le cose nello stesso momento in cui dà loro un nome, è oggettivante, e Chiara fa le cose con le parole, per parafrasare (parafrasando) il titolo di un libro di John Austin (filosofo e linguista inglese) che parla appunto di atti linguistici.

Proprio per come è strutturato, per il suo linguaggio, è un libro che assolve pienamente a quella che secondo me deve essere la funzione principale della letteratura, e soprattutto della poesia, cioè di mettere in crisi, aprire le crisi, problematizzare, aprire tagli, ferite, e di ferite e di crisi, non a caso, nel testo di Chiara ce ne sono tante

È quindi un testo che disorienta il lettore, lo mette in crisi appunto, perché disattende totalmente alle sue aspettative, alle sue richieste pacificatorie, non risponde alle domande che il lettore si fa preventivamente delle quale vuole trovare risposta nel testo, deve quindi riformulare il suo statuto di lettore, e questo mi sembra molto importante anche alla luce dell’editoria moderna e dei gusti attuali del lettore/lettrice.

È un testo destrutturante dell’idea stessa di testo, dell’io autoriale, anche dell’ oggetto, del soggetto poetico, e anche dello statuto di lettore che deve rivedersi. Un lavoro che va di pari passo con la de-costruzione del corpo-identitario femminile, dell’immagine della donna : così come è stata costruita nel corso della storia: in maniera funzionale al pensiero e alla cultura patriarcale, perché è sul corpo della donna che il patriarcato ha agito con violenza da millenni, con azioni predatorie e di dominio, deprivandolo, snaturandolo, assoggettandolo, diminuendolo, così come ha fatto con la natura, con il corpo della natura. La physis si trasforma in oggetto da controllare e dominare. Al pari del corpo della donna. L’immagine della terra madre e nutrice, della madre primordiale gaia, si trasforma in terra-patria e territorio da difendere e luogo di esercizio del potere. il potere dell’uomo che si esercita anche sugli altri gruppi minoritari, ai margini, considerati ‘abietti’ (citando Butler), quelli che stanno sempre dall’“altra parte”. un potere che dimostra il bisogno di porre dei confini, tracciare i limiti del “campo” per renderlo controllabile, “governabile”. Scenario tristemente attuale.

Quindi, per tornare al linguaggio, nella costruzione di una identità, una immagine di donna per la cui costruzione il linguaggio ha contribuito fortemente.

C’è un punto del libro in cui ho trovato questa connessione molto evidente: (pag. 31) nella sezione Ballate del tintinnio dei semi, in cui il corpo si copre, si riveste interamente dei fogli di un libro scritto da altri (Chiara dice scritto e illustrato dall’altra donna che è qui). Poi però li stacca questi fogli dal suo corpo, ma viene via anche la pelle, la pelle “si scortica”, si ferisce, tanto gli si sono appiccicati addosso, perché l’azione di riscrittura del corpo-identitario della donna. La liberazione, non è indolore. Questa immagine poi ritorna spesso nel testo, ad es. a pag. 53, nella sezione Requiem del confessore, c’è sul corpo disegnata, tatuata una serie di immagini, di oggetti, tutta una grammatica (sociale patriarcale e capitalistica,liberistica) una codifica, una normazione di cui liberarsi, che bisogna cancellare, ma non è facile farlo, delle cose restano incistate, dietro la schiena in un punto irraggiungibile: siamo talmente dentro a questa cultura da esserne, a volte, inconsapevoli portatori, ma occorre farlo, come fa Chiara in questo libro, mettersi dentro un percorso, un percorso identitario di autocoscienza, di individuazione e di liberazione,  come fa la protagonista di Chiara, [io la chiamerei personaggia, Chiara la chiama soggetto poetico, con grande consapevolezza teorica e auto-teorica, ma credo che a questa definizione si possa affiancare quella di personaggia, questo termine coniato, creato, conquistato dalla critica femminista moderna, nato in ambito letterario ma estensibile direi ad altri ambiti, un termine che tanto disturba ma che individua bene certe caratteristiche del femminile e della scrittura delle donne, perché davvero questo soggetto di Chiara è totalmente connotato al femminile.

Un percorso doloroso e non lineare, tortuoso,  quindi quello messo in scena, pagina dopo pagina, sezione dopo sezione è una sequenza di stazioni rituali, di riti nient’affatto pacificatori. Per usare un’altra immagine cara a Chiara: è un lungo e doloroso travaglio, e un parto al contrario, che implica sangue e umori, una maternità altra, che richiede, implica forzature del corpo, gesti contrari, rovesciati, ci sono contorsioni e posizioni innaturali, e anche atti di autolesionismo, azioni ferenti. È un corpo in movimento, che si muove in maniera antifrastica, direi ironica, dove per ironia si intende proprio una inversione del senso, una infrazione del senso comune, corrente, logico.

È un corpo-teatro, è il corpo che mette in scena se stesso, attraverso una performance che Chiara mutua, per sua dichiarazione, dalla body art degli anni ‘70, e non a caso. Una performatività che quindi funziona proprio come forma di resistenza e soprattutto di ribellione al genere così come codificato.

Come dice Judith Butler: la performatività del genere può essere un’azione sia di conformità che di resistenza alle norme esistenti. Si può scegliere di fare genere in modi che sfidano le norme esistenti, creando così una nuova grammatica del genere. Ed è proprio ciò che fa Chiara. Butler parte dal presupposto che la performatività del genere non è una semplice rappresentazione del genere, ma il suo stesso processo di costituzione – il genere non è un’entità preesistente, ma viene “fatto” attraverso la ripetizione di gesti, azioni e parole che sono socialmente riconosciuti come espressione di quel genere: come parlare in un certo modo, indossare determinati vestiti, o interagire con gli altri in un certo modo, costituisce il genere e lo rende visibile e riconoscibile. quindi per scardinare questa normazione occorre mettere in atto azioni “ostinate e contrarie”. Quindi la personaggia di Chiara trasgredisce queste norme proprio con gesti contrari, rovesciati, destrutturati e destrutturanti.

Un percorso, un parto, che si fa in solitudine, su una sedia inospitale, ma che convoca implicitamente, o più o meno esplicitamente, le altre donne a fare da levatrici. Perché poi, alla fine, più o meno ci rispecchiamo tutte in questa donna.

Quindi siamo dentro il femminile, è operazione tutta al femminile, perché è un processo, che riguarda le donne, l’uomo nel testo compare una sola volta, nella sezione Interludio della seggiola, dove tra l’altro è ferinizzato, è un cane che gira su stesso con tutta la sua costruzione, il suo mondo patriarcale sulla schiena, non riesce a uscire da se stesso, dalla sua idea di maschilità - lo vediamo quotidianamente, purtroppo con i femminicidi, le violenze sulle donne.

Questo apre a tutta una serie di riflessioni sul maschile, su che tipo di maschile oggi è agito, sulla mancata rielaborazione del maschile un po’ ammuffito, ancora attestato su posizioni misogine e patriarcali, per cui oggi gli uomini fanno fatica a confrontarsi, a ripensarsi di fronte a una donna che non risponde più al loro immaginario e alle loro richieste, e apre anche alla riflessione se il femminismo, se le donne debbano aprire agli uomini, aiutarli o meno nel loro percorso di cambiamento. Sono tutti temi aperti, che il testo di Chiara sollecita.

Ma intanto qui, nel testo di Chiara protagonista è una donna col suo corpo sessuato, un corpo nudo di donna che si accampa sulla scena, dice delle cose importanti, fortissime col proprio corpo, è un corpo-parola, un corpo che si racconta partendo da uno spazio chiuso angusto, imprigionante: una sedia (una delle tante emergenze del testo, uno dei tanti oggetti- simbolo che affollano il testo di Chiara) con la quale questo corpo dovrebbe dialogare, ma che – come ci dice anche il “della” del titolo Dialoghi della sedia - non è un “con” che implica un rapporto dialogico, la sedia impone le sue leggi, la sua legislazione, cosalizza il corpo. È lo spazio asfittico destinato alla donna nel corso della storia, relegata nel chiuso delle pareti domestiche. Vi rimando al bel libro di Daniela Brogi, Lo spazio delle donne, dove si parla proprio di questo, e dove c’è anche quell’immagine efficacissima della donna paragonata a un elefante in una stanza tanto ingombrante da non essere vista, una donna invisibile, muta, senza voce, che deve stare ferma, composta.

Elemento sacrificale: è richiesto un sacrificio alle donne, in quanto donne, proprio perché sono donne e anche nel testo di Chiara è presente questo l’elemento sacrificale delle donne, rappresentato da Giovanna d’Arco, una irregolare, una disobbediente, una eccentrica, una fuori-centro, il centro maschile, che aveva ricoperto ruoli di esclusivo appannaggio maschile, aveva indossato panni maschili, si era fatta guerriera, aveva imbracciato le armi, (e aveva anche vinto) e quindi, per questo, andava sanzionata, punita, sacrificata, messa al rogo.

Siamo quindi di fronte a un corpo in rivolta, è il corpo in rivolta del femminismo degli anni ’70.

Chiara mette in scena, in campo, il privato, – il corpo privato – il corpo così diventa politico,  riportando così, nella contemporaneità, rimettendo in circolo, rivitalizzando un vecchio slogan del femminismo storico, degli anni ’70: “il personale è politico”, slogan che ha avuto il merito di dire che i problemi delle donne vanno individuati e risolti nel sistema sociale perché questo ne è la causa, e quindi la società deve confrontarsi con lo spazio dell’esistenza individuale relegato nel privato. È così il testo poetico di Chiara si attesta chiaramente come un testo politico.

- oggetti-simbolo: in questo percorso di consapevolezza, di autoconsapevolezza, la personaggia incontra tutta una serie di oggetti-simbolo, di situazioni e personaggi simbolici, anzi è un corpo assediato da oggetti-simbolo c’è proprio un accumulo di oggetti che veicolano un femminile stereotipato e normato, codificato e di cui quindi bisogna disfarsene.

il primo oggetto simbolo che incontriamo, è quello che fa riferimento alla madre, all’eredità materna, e allo stereotipo della donna angelo del focolare (che sembra ormai superato, cancellato ma che ogni tanto ritorna). Non a caso, la prima sezione si intitola Del ferro, della lana, e dei capelli, ci sono dei gomitoli di lana, forbici, un paio di vecchi ferri da maglia che Chiara individua con precisione, non sono ferri qualunque, ma sono ferri precisi, quelli suoi: della madre, li riconosce, da tutta una serie di caratteristiche, il nastrino e quant’altro. Quindi bisogna liberarsi dalle madri, dalla eredità delle altre donne che hanno introiettato, interiorizzato i modelli patriarcali (elaborati dagli uomini) e si sono fatte custodi dell’ordine patriarcale, e che quindi propongono una immagine di sé, un esempio di donna, davvero misero e distorto, un cattivo rispecchiamento. Occorre abbandonare i simboli di questo femminile, di questo materno, gli strumenti delle madri, utilizzarne di nuovi, ripensare cioè un femminile diverso.

infatti a pag. 16: Chiara scrive: per terra davanti a me, è ammassato un accumulo di vecchi ferri da maglia, tutti ammonticchiati in un grande shangai […] me li butto dietro la spalla sinistra come fossero manciate di sale […] (uno scongiuro quasi, un rito apotropaico, ) alla fine raggiungo i miei ferri, e comincio a dipanare, lenta, il filo. lo lavoro […] finché la lana non è del tutto esaurita. lo adagio a terra. si spengono le luci. (ha compiuto il suo atto liberatorio )

E c’è, a pag. 20, la costruzione di un nuovo corpo, una nuova pelle, una nuova identità: si è liberata di tutti gli strumenti, gli abiti. Nella sezione Suite dell’armadio, gli abiti-identitari , simbolicamente parlando, che le sono stati messi addosso, cuciti come una cappa pesante.

- partenogenesi: e quindi siamo dentro un percorso di disnascita e rinascita, ma una nascita questa volta per partenogenesi, è un nascere da sé, mettere al mondo se stesse da se stesse, partorirsi, usare i propri strumenti, i propri “ferri”. È quella immagine efficacissima di lei che mangia tutta la marmellata di ciliegie della madre: ingurgitare e digerire, espellere l’eredità materna, e rielaborarla, farne qualcosa di nuovo, di proprio (pag. 25).

Questo nascere da sé mi fa venire in mente le Partenoi, le Partenopi: le dee primordiali e poi sacerdotesse di queste dee, che generavano senza l’ausilio del maschio, erano le madri-vergini dedite all’autoconcepimento e al parto virginale (parthenos significa “vergine, fanciulla” ma anche autogenesi). Queste dee ancestrali, primigenie, pre-greche, avevano generato se stesse, il cosmo, la terra e tutta la vita, senza l’ausilio del maschio, da se stesse, dalla propria essenza.

E così, allo stesso modo, tutta la classe sacerdotale femminile, le sacerdotesse del culto di queste dee, specializzate nel concepire nuove vite (divine) in modi non ordinari, attraverso sacri riti riproduttivi erano in grado di indurre una miosi spontanea degli ovuli attraverso la quale generavano altre divinità.

Anche la Madonna cristiana, che ha sostituito le Partenoi, incarna questo potere, e sul quale la dottrina cattolica ha costruito il dogma dell’Immacolata Concezione. Questa capacità delle donne, che ritroviamo ancora all’interno dei miti, è stata sepolta dal patriarcato che ha spodestato le antiche dee depredandole, violentandole e usurpando il naturale e congenito potere, soprattutto quando si scoprì un ruolo attivo del seme maschile nel processo riproduttivo.

Molto significativamente il libro si chiude poi con nuovi oggetti e nuove figure di donna: l’uovo e la papessa, la papessa Giovanna, dove l’uovo, la cova, è una immagine di rinascita, della potenza generativa e rigenerativa del corpo di donna.

L’uovo rappresenta il principio materno della natura, da cui tutto ha origine e in cui tutto ritorna. Quindi è il simbolo della nascita e della rinascita, del ciclo infinito della vita.

La figura della papessa è figura matriarcale per eccellenza, è una custode sapienziale (della sapienza femminile) e della capacità generativa, tanto che nei tarocchi (marsigliesi) cova un uovo, simbolo di gestazione e di rinascita, simbolo di potere, saggezza e intuizione, ma anche della conoscenza sia intuitiva che razionale, quindi rappresenta la unione del mondo materiale e il mondo spirituale, tra conosciuto e ignoto, tra luce e ombra. quindi ricompone il femminile scisso dalla cultura e dalla cultura patriarcale.

Quindi alla fine del testo c’è proprio questa parola “fine” che nella sua ambivalenza è la fine, il termine di qualcosa, ma anche lo scopo a cui si tende, è la conquista, raggiungimento dello scopo, ecco alla fine la donna si è ripresa tutto: il proprio corpo, lo spazio pubblico, il potere, l’unità del suo essere, si è ricomposta nella sua interezza, si è riappropriata della sua ferinità, selvatichezza, l’inaddomesticato, e insieme del pensiero, accanto alla papessa, otre all’uovo c’è il libro, perché dice la filosofa Angela Putino, anche le donne pensano.

E si è riappropriata della sua sacralità.

A pag. 58: alla mia sinistra c’è un uovo. Sono nuda, ma ho una mitra papale sulla testa, in grembo un libro (riductio ad unum)

Maristella Diotaiuti