sabato 14 giugno 2025

Il femminile nell’opera di Chiara Serani, Dialoghi della sedia. Di Maristella Diotaiuti (appunti per la presentazione del libro di Chiara Serani).

 












Appunti di Maristella Diotaiuti per la presentazione del volume di Chiara Serani, Dialoghi della sedia. Azioni a più voci, Anterem Edizioni, 2023, Libreria Tra le Righe, Pisa, 13 giugno, 2025, con Chiara Serani, Bianca Del Buono, Maristella Diotaiuti.

Opera vincitrice del Premio Lorenzo Montano (sezione opere inedite, 2022), finalista al Premio Nazionale Elio Pagliarani (2024) e al Premio Versante Ripido (2024).

 

Il femminile nell’opera di Chiara Serani, Dialoghi della sedia

di Maristella Diotaiuti

Su  questo testo è stato detto molto e da critici, scrittori, lettori autorevoli, anche perché permette, nella sua complessità, molteplici percorsi interni, molti itinerari di lettura e di analisi, e sollecita numerosi spunti di riflessione e di intuizioni, di tematiche, ma nel quale possiamo rintracciare (anche per comodità di analisi) due grandi direttrici:

- quella della letterarietà, della forma, della costruzione del testo, e della ricerca formale di chiara, del lavoro sul linguaggio, sul linguaggio poetico, sulla significazione, di cui è stato già detto molto.

- invece vorrei concentrarmi sull’altro filo rosso che attraversa tutto il testo, anzi, direi, ne è l’ossatura, lo scheletro portante, sul quale forse non si è ancora abbastanza posto l’accento, cioè l’elemento del femminile, della problematizzazione del femminile.

Ma prima vorrei dire due cose sul primo aspetto (che poi si intreccia con l’altro, hanno dei punti di connessione). È un testo di forte potenza linguistica e di rappresentazione, connotato da molti elementi di assoluta novità, pur muovendosi dentro a una più generale categoria di quella che viene definita (della c.d.) poesia di ricerca, perché questo è un testo poetico che apre anche a una ridefinizione del canone poetico, che poi significa anche rifondare il linguaggio, e un linguaggio, una lingua, che includa la donna, la preveda, la rappresenti, e quindi recuperare una sorta di grado zero del linguaggio. Non è un caso che la protagonista non parla – occorre recuperare una lingua prestrutturata, prelogica, precodificato.

Nella stessa direzione va anche l’invenzione dell’azione scenica che Chiara realizza proprio attraverso il linguaggio – e non a caso anche qui c’è un teatro azzerato, nel senso che Chiara costruisce un immaginario teatrale (e performativo) in assenza, la performance teatrale non c’è, e quello che leggiamo è uno scritto che immagina una performance e la mima, (questo poi fa entrare in gioco anche la figura dell’ekfrasis, di cui poi ci parleranno Chiara o Bianca), e quindi l’azione scenica diventa linguaggio e il linguaggio diventa azione scenica.

Quindi il linguaggio non è più una rappresentazione di qualcosa che preesiste, ma crea l’oggetto nel momento in cui lo nomina, è quello che fa la lingua maternalingua prelogica per eccellenza, è il momento sorgivo del linguaggio e del mondo, la lingua materna crea il mondo e le cose nello stesso momento in cui dà loro un nome, è oggettivante, e Chiara fa le cose con le parole, per parafrasare (parafrasando) il titolo di un libro di John Austin (filosofo e linguista inglese) che parla appunto di atti linguistici.

Proprio per come è strutturato, per il suo linguaggio, è un libro che assolve pienamente a quella che secondo me deve essere la funzione principale della letteratura, e soprattutto della poesia, cioè di mettere in crisi, aprire le crisi, problematizzare, aprire tagli, ferite, e di ferite e di crisi, non a caso, nel testo di Chiara ce ne sono tante

È quindi un testo che disorienta il lettore, lo mette in crisi appunto, perché disattende totalmente alle sue aspettative, alle sue richieste pacificatorie, non risponde alle domande che il lettore si fa preventivamente delle quale vuole trovare risposta nel testo, deve quindi riformulare il suo statuto di lettore, e questo mi sembra molto importante anche alla luce dell’editoria moderna e dei gusti attuali del lettore/lettrice.

È un testo destrutturante dell’idea stessa di testo, dell’io autoriale, anche dell’ oggetto, del soggetto poetico, e anche dello statuto di lettore che deve rivedersi. Un lavoro che va di pari passo con la de-costruzione del corpo-identitario femminile, dell’immagine della donna : così come è stata costruita nel corso della storia: in maniera funzionale al pensiero e alla cultura patriarcale, perché è sul corpo della donna che il patriarcato ha agito con violenza da millenni, con azioni predatorie e di dominio, deprivandolo, snaturandolo, assoggettandolo, diminuendolo, così come ha fatto con la natura, con il corpo della natura. La physis si trasforma in oggetto da controllare e dominare. Al pari del corpo della donna. L’immagine della terra madre e nutrice, della madre primordiale gaia, si trasforma in terra-patria e territorio da difendere e luogo di esercizio del potere. il potere dell’uomo che si esercita anche sugli altri gruppi minoritari, ai margini, considerati ‘abietti’ (citando Butler), quelli che stanno sempre dall’“altra parte”. un potere che dimostra il bisogno di porre dei confini, tracciare i limiti del “campo” per renderlo controllabile, “governabile”. Scenario tristemente attuale.

Quindi, per tornare al linguaggio, nella costruzione di una identità, una immagine di donna per la cui costruzione il linguaggio ha contribuito fortemente.

C’è un punto del libro in cui ho trovato questa connessione molto evidente: (pag. 31) nella sezione Ballate del tintinnio dei semi, in cui il corpo si copre, si riveste interamente dei fogli di un libro scritto da altri (Chiara dice scritto e illustrato dall’altra donna che è qui). Poi però li stacca questi fogli dal suo corpo, ma viene via anche la pelle, la pelle “si scortica”, si ferisce, tanto gli si sono appiccicati addosso, perché l’azione di riscrittura del corpo-identitario della donna. La liberazione, non è indolore. Questa immagine poi ritorna spesso nel testo, ad es. a pag. 53, nella sezione Requiem del confessore, c’è sul corpo disegnata, tatuata una serie di immagini, di oggetti, tutta una grammatica (sociale patriarcale e capitalistica,liberistica) una codifica, una normazione di cui liberarsi, che bisogna cancellare, ma non è facile farlo, delle cose restano incistate, dietro la schiena in un punto irraggiungibile: siamo talmente dentro a questa cultura da esserne, a volte, inconsapevoli portatori, ma occorre farlo, come fa Chiara in questo libro, mettersi dentro un percorso, un percorso identitario di autocoscienza, di individuazione e di liberazione,  come fa la protagonista di Chiara, [io la chiamerei personaggia, Chiara la chiama soggetto poetico, con grande consapevolezza teorica e auto-teorica, ma credo che a questa definizione si possa affiancare quella di personaggia, questo termine coniato, creato, conquistato dalla critica femminista moderna, nato in ambito letterario ma estensibile direi ad altri ambiti, un termine che tanto disturba ma che individua bene certe caratteristiche del femminile e della scrittura delle donne, perché davvero questo soggetto di Chiara è totalmente connotato al femminile.

Un percorso doloroso e non lineare, tortuoso,  quindi quello messo in scena, pagina dopo pagina, sezione dopo sezione è una sequenza di stazioni rituali, di riti nient’affatto pacificatori. Per usare un’altra immagine cara a Chiara: è un lungo e doloroso travaglio, e un parto al contrario, che implica sangue e umori, una maternità altra, che richiede, implica forzature del corpo, gesti contrari, rovesciati, ci sono contorsioni e posizioni innaturali, e anche atti di autolesionismo, azioni ferenti. È un corpo in movimento, che si muove in maniera antifrastica, direi ironica, dove per ironia si intende proprio una inversione del senso, una infrazione del senso comune, corrente, logico.

È un corpo-teatro, è il corpo che mette in scena se stesso, attraverso una performance che Chiara mutua, per sua dichiarazione, dalla body art degli anni ‘70, e non a caso. Una performatività che quindi funziona proprio come forma di resistenza e soprattutto di ribellione al genere così come codificato.

Come dice Judith Butler: la performatività del genere può essere un’azione sia di conformità che di resistenza alle norme esistenti. Si può scegliere di fare genere in modi che sfidano le norme esistenti, creando così una nuova grammatica del genere. Ed è proprio ciò che fa Chiara. Butler parte dal presupposto che la performatività del genere non è una semplice rappresentazione del genere, ma il suo stesso processo di costituzione – il genere non è un’entità preesistente, ma viene “fatto” attraverso la ripetizione di gesti, azioni e parole che sono socialmente riconosciuti come espressione di quel genere: come parlare in un certo modo, indossare determinati vestiti, o interagire con gli altri in un certo modo, costituisce il genere e lo rende visibile e riconoscibile. quindi per scardinare questa normazione occorre mettere in atto azioni “ostinate e contrarie”. Quindi la personaggia di Chiara trasgredisce queste norme proprio con gesti contrari, rovesciati, destrutturati e destrutturanti.

Un percorso, un parto, che si fa in solitudine, su una sedia inospitale, ma che convoca implicitamente, o più o meno esplicitamente, le altre donne a fare da levatrici. Perché poi, alla fine, più o meno ci rispecchiamo tutte in questa donna.

Quindi siamo dentro il femminile, è operazione tutta al femminile, perché è un processo, che riguarda le donne, l’uomo nel testo compare una sola volta, nella sezione Interludio della seggiola, dove tra l’altro è ferinizzato, è un cane che gira su stesso con tutta la sua costruzione, il suo mondo patriarcale sulla schiena, non riesce a uscire da se stesso, dalla sua idea di maschilità - lo vediamo quotidianamente, purtroppo con i femminicidi, le violenze sulle donne.

Questo apre a tutta una serie di riflessioni sul maschile, su che tipo di maschile oggi è agito, sulla mancata rielaborazione del maschile un po’ ammuffito, ancora attestato su posizioni misogine e patriarcali, per cui oggi gli uomini fanno fatica a confrontarsi, a ripensarsi di fronte a una donna che non risponde più al loro immaginario e alle loro richieste, e apre anche alla riflessione se il femminismo, se le donne debbano aprire agli uomini, aiutarli o meno nel loro percorso di cambiamento. Sono tutti temi aperti, che il testo di Chiara sollecita.

Ma intanto qui, nel testo di Chiara protagonista è una donna col suo corpo sessuato, un corpo nudo di donna che si accampa sulla scena, dice delle cose importanti, fortissime col proprio corpo, è un corpo-parola, un corpo che si racconta partendo da uno spazio chiuso angusto, imprigionante: una sedia (una delle tante emergenze del testo, uno dei tanti oggetti- simbolo che affollano il testo di Chiara) con la quale questo corpo dovrebbe dialogare, ma che – come ci dice anche il “della” del titolo Dialoghi della sedia - non è un “con” che implica un rapporto dialogico, la sedia impone le sue leggi, la sua legislazione, cosalizza il corpo. È lo spazio asfittico destinato alla donna nel corso della storia, relegata nel chiuso delle pareti domestiche. Vi rimando al bel libro di Daniela Brogi, Lo spazio delle donne, dove si parla proprio di questo, e dove c’è anche quell’immagine efficacissima della donna paragonata a un elefante in una stanza tanto ingombrante da non essere vista, una donna invisibile, muta, senza voce, che deve stare ferma, composta.

Elemento sacrificale: è richiesto un sacrificio alle donne, in quanto donne, proprio perché sono donne e anche nel testo di Chiara è presente questo l’elemento sacrificale delle donne, rappresentato da Giovanna d’Arco, una irregolare, una disobbediente, una eccentrica, una fuori-centro, il centro maschile, che aveva ricoperto ruoli di esclusivo appannaggio maschile, aveva indossato panni maschili, si era fatta guerriera, aveva imbracciato le armi, (e aveva anche vinto) e quindi, per questo, andava sanzionata, punita, sacrificata, messa al rogo.

Siamo quindi di fronte a un corpo in rivolta, è il corpo in rivolta del femminismo degli anni ’70.

Chiara mette in scena, in campo, il privato, – il corpo privato – il corpo così diventa politico,  riportando così, nella contemporaneità, rimettendo in circolo, rivitalizzando un vecchio slogan del femminismo storico, degli anni ’70: “il personale è politico”, slogan che ha avuto il merito di dire che i problemi delle donne vanno individuati e risolti nel sistema sociale perché questo ne è la causa, e quindi la società deve confrontarsi con lo spazio dell’esistenza individuale relegato nel privato. È così il testo poetico di Chiara si attesta chiaramente come un testo politico.

- oggetti-simbolo: in questo percorso di consapevolezza, di autoconsapevolezza, la personaggia incontra tutta una serie di oggetti-simbolo, di situazioni e personaggi simbolici, anzi è un corpo assediato da oggetti-simbolo c’è proprio un accumulo di oggetti che veicolano un femminile stereotipato e normato, codificato e di cui quindi bisogna disfarsene.

il primo oggetto simbolo che incontriamo, è quello che fa riferimento alla madre, all’eredità materna, e allo stereotipo della donna angelo del focolare (che sembra ormai superato, cancellato ma che ogni tanto ritorna). Non a caso, la prima sezione si intitola Del ferro, della lana, e dei capelli, ci sono dei gomitoli di lana, forbici, un paio di vecchi ferri da maglia che Chiara individua con precisione, non sono ferri qualunque, ma sono ferri precisi, quelli suoi: della madre, li riconosce, da tutta una serie di caratteristiche, il nastrino e quant’altro. Quindi bisogna liberarsi dalle madri, dalla eredità delle altre donne che hanno introiettato, interiorizzato i modelli patriarcali (elaborati dagli uomini) e si sono fatte custodi dell’ordine patriarcale, e che quindi propongono una immagine di sé, un esempio di donna, davvero misero e distorto, un cattivo rispecchiamento. Occorre abbandonare i simboli di questo femminile, di questo materno, gli strumenti delle madri, utilizzarne di nuovi, ripensare cioè un femminile diverso.

infatti a pag. 16: Chiara scrive: per terra davanti a me, è ammassato un accumulo di vecchi ferri da maglia, tutti ammonticchiati in un grande shangai […] me li butto dietro la spalla sinistra come fossero manciate di sale […] (uno scongiuro quasi, un rito apotropaico, ) alla fine raggiungo i miei ferri, e comincio a dipanare, lenta, il filo. lo lavoro […] finché la lana non è del tutto esaurita. lo adagio a terra. si spengono le luci. (ha compiuto il suo atto liberatorio )

E c’è, a pag. 20, la costruzione di un nuovo corpo, una nuova pelle, una nuova identità: si è liberata di tutti gli strumenti, gli abiti. Nella sezione Suite dell’armadio, gli abiti-identitari , simbolicamente parlando, che le sono stati messi addosso, cuciti come una cappa pesante.

- partenogenesi: e quindi siamo dentro un percorso di disnascita e rinascita, ma una nascita questa volta per partenogenesi, è un nascere da sé, mettere al mondo se stesse da se stesse, partorirsi, usare i propri strumenti, i propri “ferri”. È quella immagine efficacissima di lei che mangia tutta la marmellata di ciliegie della madre: ingurgitare e digerire, espellere l’eredità materna, e rielaborarla, farne qualcosa di nuovo, di proprio (pag. 25).

Questo nascere da sé mi fa venire in mente le Partenoi, le Partenopi: le dee primordiali e poi sacerdotesse di queste dee, che generavano senza l’ausilio del maschio, erano le madri-vergini dedite all’autoconcepimento e al parto virginale (parthenos significa “vergine, fanciulla” ma anche autogenesi). Queste dee ancestrali, primigenie, pre-greche, avevano generato se stesse, il cosmo, la terra e tutta la vita, senza l’ausilio del maschio, da se stesse, dalla propria essenza.

E così, allo stesso modo, tutta la classe sacerdotale femminile, le sacerdotesse del culto di queste dee, specializzate nel concepire nuove vite (divine) in modi non ordinari, attraverso sacri riti riproduttivi erano in grado di indurre una miosi spontanea degli ovuli attraverso la quale generavano altre divinità.

Anche la Madonna cristiana, che ha sostituito le Partenoi, incarna questo potere, e sul quale la dottrina cattolica ha costruito il dogma dell’Immacolata Concezione. Questa capacità delle donne, che ritroviamo ancora all’interno dei miti, è stata sepolta dal patriarcato che ha spodestato le antiche dee depredandole, violentandole e usurpando il naturale e congenito potere, soprattutto quando si scoprì un ruolo attivo del seme maschile nel processo riproduttivo.

Molto significativamente il libro si chiude poi con nuovi oggetti e nuove figure di donna: l’uovo e la papessa, la papessa Giovanna, dove l’uovo, la cova, è una immagine di rinascita, della potenza generativa e rigenerativa del corpo di donna.

L’uovo rappresenta il principio materno della natura, da cui tutto ha origine e in cui tutto ritorna. Quindi è il simbolo della nascita e della rinascita, del ciclo infinito della vita.

La figura della papessa è figura matriarcale per eccellenza, è una custode sapienziale (della sapienza femminile) e della capacità generativa, tanto che nei tarocchi (marsigliesi) cova un uovo, simbolo di gestazione e di rinascita, simbolo di potere, saggezza e intuizione, ma anche della conoscenza sia intuitiva che razionale, quindi rappresenta la unione del mondo materiale e il mondo spirituale, tra conosciuto e ignoto, tra luce e ombra. quindi ricompone il femminile scisso dalla cultura e dalla cultura patriarcale.

Quindi alla fine del testo c’è proprio questa parola “fine” che nella sua ambivalenza è la fine, il termine di qualcosa, ma anche lo scopo a cui si tende, è la conquista, raggiungimento dello scopo, ecco alla fine la donna si è ripresa tutto: il proprio corpo, lo spazio pubblico, il potere, l’unità del suo essere, si è ricomposta nella sua interezza, si è riappropriata della sua ferinità, selvatichezza, l’inaddomesticato, e insieme del pensiero, accanto alla papessa, otre all’uovo c’è il libro, perché dice la filosofa Angela Putino, anche le donne pensano.

E si è riappropriata della sua sacralità.

A pag. 58: alla mia sinistra c’è un uovo. Sono nuda, ma ho una mitra papale sulla testa, in grembo un libro (riductio ad unum)

Maristella Diotaiuti