domenica 13 aprile 2025

THE BLUE LADY – LE LIRICHE DI BEATRICE HASTINGS, di Floriana Coppola, per gli Atti del Primo Convegno di studi per Beatrice Hastings, Le Cicale Operose, 2021.

 


 








Dagli Atti del Primo Convegno di Studi Beatrice Hastings, Le Cicale Operose, 2021


THE BLUE LADY – LE LIRICHE DI BEATRICE HASTINGS

di Floriana Coppola[1]



  1. Un mosaico, un giallo, una storia

“Una donna per bene non è una donna. 

Una donna per bene non è una poetessa”.

Marina Cvetaeva

 

Ricostruire la storia di una persona, di un’artista, è un’impresa audace. Non è semplice ricostruire in modo preciso il mondo di un’autrice che è stata dimenticata. Un viaggio difficile, un’esperienza di lettura che si struttura come un giallo. 

Tanti indizi da collegare e molte zone buie da esplorare. 

L’interesse verso Beatrice Hastings nasce in Italia per la prima volta all’interno di un’indagine svolta dal Caffè Letterario e libreria delle donne “Le Cicale Operose”, a cura di Maristella Diotaiuti e Federico Tortora, nell’ambito di un più vasto programma di valorizzazione e diffusione della scrittura delle donne, dei loro linguaggi, del loro pensiero e agire politico. 

Come due archeologi del sapere, direbbe Carlo Ginzburg, seguendo una metodologia indiziaria, hanno tolto la polvere e le macerie da questo immane continente creato dalla scrittura magmatica e poderosa della Hastings.

Un patrimonio culturale da difendere e da studiare, una pista da seguire. Inchiesta necessaria per restituire alla memoria della storia delle donne la sapiente figurazione di una donna, di un’intellettuale assolutamente speciale. Oblio storico e damnatio memoriae, la storia delle donne è piena di episodi di cancellazione e di oscuramento come è successo a Beatrice Hastings, intellettuale poliedrica e complessa. 

Una persona eccezionale che rischiava di essere dimenticata come spesso è successo a poetesse, filosofe e artiste, oscurate dai loro compagni intellettuali e artisti, oscurate da una cultura patriarcale e sessista. Inaccettabile destino per le donne che stentano ancora oggi a certificare la meritata collocazione culturale della loro voce nella memoria storica e politica del proprio tempo. Una questione di giustizia civile e culturale diventa il recupero della vasta produzione della scrittrice, come di tutte le donne intellettuali e artiste che hanno vissuto e testimoniato con la loro scrittura il passaggio epocale tra i due secoli, cercando, come disse Sarah Grand, the New Woman.

Emily Alice Haigh è il vero nome di Beatrice Hastings. Di origine inglese, vissuta fino all’adolescenza in Africa, si trasferì a diciotto anni in Europa, poi a New York, infine tra Londra e Parigi, dopo aver sentito di essere “speciale” e non addomesticabile dall’educazione restrittiva riservata alle donne della sua generazione. Lettrice selvaggia e acuta, sbarcò in Europa con un bagaglio di esperienze culturali molto originale. Alice volle abbandonare il nome dato a lei dalla famiglia paterna e inventò se stessa, si rinominò e si partorì diversa. Nasce così Beatrice Hastings, un’intellettuale scomoda e trasgressiva. Mai compiacente con i suoi colleghi e con gli artisti della sua epoca, capace di prendere sempre posizione su questioni spinose che spaziano dalla denuncia femminista dell’educazione mutilante delle giovani donne, fino all’invettiva contro la politica capitalista e colonialista.

Necessario restituirle il suo posto legittimo nel mondo della cultura, delle lettere e del giornalismo europeo. Beatrice Hastings scrisse e raccontò la condizione femminile del suo tempo, utilizzando ogni genere letterario, racconti, poesie, fiabe e soprattutto articoli di giornale, ma non pubblicò mai sillogi di racconti e romanzi con una casa editrice. Tutto ciò che scrisse venne affidato alla pagina del giornale, la sua casa culturale. Alice inventò attraverso la sua biografia, la Donna anticonformista, la Libera Pensatrice, che si pone il compito epico di smantellare gli stereotipi di genere del patriarcato sessista, affermando il principio di autodeterminazione esistenziale della donna, di tutte le donne, rivendicando per se stessa e per le altre il diritto alla scelta consapevole e non obbligatoria di essere madre e sposa. Il diritto di autodeterminazione del proprio destino, superando la programmazione sociobiologica del tempo. 

Alice riuscì in modo consapevole a proteggere la sua vita privata. I suoi dolori, le sue tragedie, i suoi affanni vennero elaborati attraverso la scrittura. Alice/Beatrice doveva essere sempre una combattente, non doveva svelare le sue fragilità e i suoi problemi. Per questo Alice scelse un altro nome, un’altra maschera con cui diventare fino in fondo la persona che voleva essere.

Bisognava affermare con forza vitalistica e dirompente la nuova volontà di essere donna attraverso il piacere indiscutibile della scrittura e l’importanza della militanza intellettuale. 

Beatrice Hastings cercava una scrittura originale e diretta, profonda e molteplice per contenuti e forma. Sperimentò con passione e disciplina una varietà considerevole di linguaggi, di registri e di canoni letterari, con lo scopo preciso ogni volta di esprimere il suo pensiero rivoluzionario e trasgressivo, denunciando con puntigliosa volontà l’offesa della sudditanza culturale e esistenziale delle donne, prendendo sempre posizione pubblica a favore degli oppressi, degli esclusi, i poveri e gli emarginati delle società e del mondo, le donne prima di tutto, le etnie perseguitate come i neri d’Africa, gli Ebrei, i Rom, i carcerati, i condannati a morte, i lavoratori sfruttati e sottopagati, i folli, fino alle creature più piccole e fragili, invisibili quasi, come gli animali. 

Aveva visto lo sfruttamento coloniale in Africa, le condizioni di profondo disagio in cui vivevano i nativi africani a causa del colonialismo. Aveva visto la violenza degli interessi capitalistici in Europa, l’assurdità della guerra e la sudditanza delle donne. Beatrice doveva essere soprattutto una scrittrice politica e la sua è stata una poesia civile, non ascrivibile a nessuna delle correnti letterarie presenti nella sua epoca.

Alice partorì Beatrice, una donna non comune per forza e coraggio, emblema fuori dal coro di una generazione di intellettuali sul crinale di due epoche, una generazione che diventa adulta alla fine della Prima guerra mondiale, sconvolta poi dalla Seconda guerra mondiale. 

Propose un modello di libertà femminile, libertà sessuale e sentimentale completa e trasgressiva, modello che non poteva essere compreso per il suo radicalismo estremo nemmeno dalle suffragette sue coetanee e per questo pagò sulla sua pelle un prezzo altissimo: la povertà, l’isolamento e l’esclusione. 

Ma Beatrice non compiaceva nessuno, non si faceva addomesticare dal bisogno di compiacere chi aveva potere intellettuale e politico in quel tempo. Da qui i suoi famosi scontri con i pittori, i poeti e gli artisti suoi contemporanei. 

Altro tema portante della sua scrittura era la libertà del corpo della donna. 

Beatrice nei suoi articoli femministi denunciò l’urgenza di andare contro le donne e gli uomini che spingono le giovani ad accettare come ineluttabile il destino biologico del parto e della maternità. Lei si indignava con assoluta passione per le catene che opprimono la donna, mortificata dalle costrizioni e dai costumi tradizionali. Odiò le convenzioni sociali e prese posizioni sempre fuori dal coro, opponendosi a ogni regola che potesse schiacciare la libertà di scelta delle donne. 

Scrisse pagine eccellenti, dove spiegava come le donne anziane siano complici di questo asservimento delle fanciulle ignare costrette ad andare verso la maternità e il matrimonio, senza nessuna consapevolezza del martirio politico e sociale a cui erano destinate. Beatrice scriveva senza mai fermarsi. Il suo diventerà un destino tragico – morì suicida dopo una lunga malattia – ma non si paralizzerà davanti ai suoi detrattori e ai suoi finti amici. 

Beatrice abitava la sua scrittura come un corpo. 

Nel suo volume Beatrice Hastings in full revolt, Maristella Diotaiuti scrive: «un corpo contundente, un gesto indipendente e critico di una donna che vuole dire ad alta voce e a chiare lettere ciò che reputa necessario, accettando il rischio di suscitare le ire di chi si sente aggredito dalle sue parole, dalle sue riflessioni, dal suo pensiero».

La sua scrittura era eccessiva, straripante, indice di una ribellione radicale, di un’inquietudine che non la abbandonava mai. Studiò la mitologia classica e moderna in modo approfondito e creativo. L’iperbole, l’invettiva, l’affermazione ironica e sarcastica sono strategie stilistiche per colpire e scandalizzare, per provocare una vertigine, un cambiamento del punto di vista tradizionale e così emancipare le donne e gli uomini da ogni canone tradizionale, da ogni stereotipo di genere. 

La sua prosa magnetica e possente, fluida e scorrevole rappresentò la sua sfida costante contro la logica deformante degli specchi del patriarcato. 

Beatrice, scrittrice, poeta e giornalista appassionata, nasce personaggia e amplifica questa risoluzione identitaria attraverso l’uso di tanti pseudonimi, molti femminili e pochi maschili, per rendere ricca e dinamica la dialettica all’interno delle pagine del suo giornale, ma anche perché la vita incarnata di Beatrice Hastings era il romanzo di Alice Haigh che venne recitato ogni giorno dalla sua autrice. Vita, drammatizzazione e immaginazione si confondono in un’unica grande opera d’arte e di rivoluzione, vissuta in prima persona. 

La giornalista militante prese spesso il sopravvento sul condominio spirituale di anime di Beatrice. Nei suoi articoli femministi Il peggior nemico della donna è la donna e Donna , creditrice dello Stato, apparsi sul The New Age, denunciò la logica patriarcale dello Stato, proponendo un suo femminismo dove autobiografia, politica e antropologia si intrecciavano in un pensiero potente e trasgressivo, affermando il diritto alla scelta del proprio destino, il diritto alla libertà, il diritto al lavoro, il diritto al voto, il diritto alla sessualità libera e consapevole, il diritto al divorzio, il diritto alla giusta retribuzione salariale. 

Denunciò lo Stato perché era in debito con le donne, per il sacrificio assoluto che impone, senza nemmeno ringraziare, ottundendo la facoltà di essere coscienti della mortificazione pubblica e sociale che chiede. Questi contenuti si riversavano di continuo nelle sue poesie. 

Non ci furono confini netti tra scrittura letteraria e militanza politica.

L’ansia di mondo, come lei stessa dichiarò, le permise di esplorare ogni tempo e ogni spazio, attraverso un’inquietudine che si incarnava in un’instancabile ricerca di senso e di significato. 

Lo slancio vitalistico la rende indomabile scrittrice. Il flusso di coscienza, la forma diaristica, la fiaba femminista, il mito trasformato, l’articolo di giornale, ogni sua espressione intellettuale e creativa diventò incarnazione della sua volontà di cambiamento. Rifiutava a oltranza ogni zona comfort per essere coerente con se stessa, con la donna che voleva essere. 

Ultima riflessione su questa emblematica figura di donna è la sua ricerca tra materialismo e spiritualità, ambito a cui dedicò molte energie. Teosofa, praticò l’occultismo, l’astrologia, lo sciamanesimo, la scrittura automatica in modo ossessivo, dal 1924 fino agli anni Trenta, dimostrando come il suo pensiero potesse spaziare senza nessun ideologismo tra i temi della giustizia sociale fino alla tensione mistica e spirituale, stressando così ogni possibile confine, fino a rischiare di essere considerata folle. 





2.                  Beatrice e l’epoca vittoriana

 

Alice sbarcò in Europa e vide, indignandosi, gli esiti dell’educazione vittoriana, proprio lei che aveva conosciuto la vita libera e selvaggia della savana africana. Come poteva integrarsi facilmente nel mondo londinese, dove la sudditanza psicologica delle donne era ancora palese e poco contrastata? Per capire la condizione di isolamento e di solitudine che attraversò fino alla fine drammatica dei suoi giorni, bisogna ricostruire il contesto in cui era vissuta e considerare le spinte contrapposte di tanti movimenti culturali, politici e filosofici che si stavano sviluppando tra la fine dell’Ottocento e i primi trent’anni del Novecento. Occorre tener quindi presente la complessità di questo periodo storico e, nel contempo, il forte nomadismo di Beatrice, che transitò sin da bambina tra Africa e Europa negli anni più importanti della formazione di una giovane. La sua adolescenza era stata fortemente segnata a Port Elizabeth, in Sud Africa. 

Questo continuo cambio di residenza determinò una difficoltà a strutturare una vera appartenenza a un solo luogo. Il suo nomadismo biografico rese il suo sguardo profondo e aperto, ipercritico e distante da ogni dinamica gruppale e compiacente. 

Si sentì ovunque fuori posto, una presenza divergente e ostica, difficile da addomesticare. Anche nella scrittura poetica si nota questo sguardo periferico, questa capacità di guardare da un’altra prospettiva ogni vicenda, rendendo simbolico ogni gesto, ogni affermazione.

 Le donne inglesi nell’epoca vittoriana hanno subito i danni di una arretrata condizione sociale. L’ideale della donna “angelo” era condivisa dalla maggior parte della società. Le donne non avevano diritti, non potevano votare, non potevano citare qualcuno in giudizio, non potevano possedere alcuna proprietà. Dovevano essere creature pure e pulite, procreare e occuparsi delle faccende domestiche, non dovevano ambire a lavorare, non dovevano avere conti correnti e libretti di risparmio. Erano gli angeli del focolare, venerate come sante ma nella miseria politica e intellettuale. Il corpo della donna era di proprietà del marito, non doveva essere mostrato pubblicamente. L’epoca vittoriana è quindi caratterizzata da una repressione radicale della libertà politica culturale e sessuale delle donne, che dovevano rimanere fuori dalle università e da ogni centro di potere politico e culturale. Dovevano accontentarsi di essere un ornamento della società e accettare umilmente la loro subordinazione economica e sociale ai loro mariti. Si chiedeva massima obbedienza a questo stereotipo femminile degradante. La donna doveva essere casta e repressa. Ma proprio questa repressione determina l’altra faccia della medaglia:  la donna spregiudicata, sensuale. Durante questo periodo si assiste a questa doppia anima della donna.

Da una parte la donna assolutamente sotto il controllo puritano della famiglia patriarcale, rinforzando un’immagine ipocrita e formale. Dall’altro uno spirito libertino e provocatorio che la proibizione sessuale esaltava. Paola Wat, nei suoi studi , conta 3325 bordelli e 8600 prostitute.  La libertà sessuale era vissuta fuori dalle mura domestiche. Quest’epoca così severa e rigida rappresentò quindi uno dei periodi più contraddittori della storia dell’Inghilterra. Le donne si ammalavano, cadevano nella depressione e nella nevrosi, venivano spesso internate nei manicomi per il loro disagio mentale e per un comportamento disobbediente che non veniva tollerato ma veniva stigmatizzato come devianza pericolosa e irrecuperabile.

Essere ribelli voleva dire essere malate mentali da correggere anche con le maniere forti, come la detenzione manicomiale in cui erano sottoposte a torture, pseudo terapie che si esercitavano sul corpo delle donne per sedarle e portarle alla loro preconcetta “normalità”.



3.                  Beatrice e i movimenti di poesia nella Londra dei primi del Novecento: imagismo, vorticismo, modernismo 

 

Ma come reagirono in Inghilterra e in Europa le nuove generazioni all’educazione vittoriana imperante? Come potevano sfuggire a questa castrazione antropologica e sociale?

La storia registra soprattutto la reazione dei rampolli aristocratici e intellettuali, dei figli dell’alta borghesia londinese, che si riunirono in società culturali come il  Bloomsbury Group, un gruppo di artisti e studenti universitari che si incontravano nelle proprie case, principalmente nel quartiere londinese di Bloomsbury, da cui il nome del gruppo. Anche in Francia e in Italia abbiamo esempi associativi simili, ma a Londra si ampliò in modo considerevole la militanza attiva culturale e politica di queste generazioni. 

Erano però gruppi caratterizzati da un atteggiamento elitario e snob, in gran parte poco vicini a posizioni democratiche e socialiste. L’individualismo tardo romantico e decadente non predisponeva questi giovani per una critica radicale del sistema sociale imperante. Volevano vivere liberi ma non erano pronti per pensare di cambiare il mondo. 

Inoltre, in piena esplosione decadente, un certo individualismo mitomane non rese facile le potenzialità aggreganti contenute nella scelta controcopionale anti-vittoriana.

Bisognava distinguersi dalla massa obbediente e compiacente ai dogmi repressivi dell’epoca vittoriana e post vittoriana e certi atteggiamenti radicali e esibizionisti furono accentuati proprio dallo sforzo di opporsi ai diktat sessisti e sessuofobici. Bloomsbury rimase un gruppo molto esclusivo e con stretti legami interni, simile all’indole dei suoi esponenti. 

I membri erano fortemente critici verso i valori del periodo vittoriano ed edoardiano nelle loro costrizioni religiose, artistiche, sociali e sessuali. Furono dichiaratamente bisessuali, praticarono costumi liberi sentimentalmente, non accettarono le norme matrimoniali dell’epoca. E le donne e gli uomini fecero della loro vita intellettuale e letteraria il baricentro essenziale e formativo, senza prendere subito posizione contro il capitalismo colonialista. In questo Beatrice Hastings era precoce, aveva fatto già delle scelte di campo ben precise, non poteva trovare delle alleanze all’interno di queste associazioni culturali, né gli elementi di questi club potevano accettare posizioni politiche così radicali. Il giornale The New Age era la sua piattaforma politica e intellettuale e da questo osservatorio lanciava le sue feroci invettive. 

Più tardi Virginia Woolf adulta dichiarò il suo anticapitalismo, la sua posizione contro la guerra e la sua solidarietà verso le donne degli altri ceti. Ma ormai Beatrice era altrove. L’anticolonialismo della Hastings fu da lei anticipato proprio per i suoi vissuti in Sud Africa. Era arrivata a Londra già consapevole delle contraddizioni politiche della madrepatria. Aveva sedici anni quando in una lettera privata denunciò l’ipocrisia borghese della classe dirigente inglese e non sopportava le donne dell’alta borghesia che parlavano di liberazione e di emancipazione, circondandosi di cameriere e di governanti di colore. 

Un altro movimento culturale/artistico con cui Beatrice Hastings avrebbe potuto trovare delle affinità fu il Modernismo, una corrente letteraria che nacque in Inghilterra prima della Seconda guerra mondiale, prendendo il posto del romanticismo. Si diffuse in molti continenti fino ad arrivare in America. Furono validi esponenti del modernismo Thomas Stearns Eliot, Virginia Woolf ma il sostenitore più accanito fu lo statunitense Ezra Pound, che promosse anche l’imagismo e il vorticismo. Anche Ernest Hemingway aderì a questa corrente. 

Il modernismo si basava su uno stile sobrio ed essenziale, preferendo il flusso di coscienza, il monologo interiore, il discorso indiretto libero, i dialoghi secchi e spezzati, un linguaggio preciso e coerente con la lingua parlata, aperto a temi prima considerati tabù. Ma Ezra Pound, personalità difficile, narcisa e profondamente maschilista, spesso litigò pubblicamente con Beatrice Hastings, soprannominata Lady Virago, dimostrando il suo maschilismo e la sua incapacità a valorizzare il talento delle donne. 

A Parigi un gruppo di artisti e letterati tentò una pista associativa. I fratelli Leo e Gertrude Stein misero insieme una delle prime collezioni di arte cubista, con tele di artisti come Picasso, Matisse, Derain, e il loro studio divenne luogo di incontro per artisti e scrittori come Eztra Pound, Ernest Hemigway e Georges Braque.

Ma anche a Parigi, Beatrice Hastings arrivò tardi, nel 1914, alla vigilia della Prima guerra mondiale e non ebbe il tempo di integrarsi nella comunità letteraria, mentre era più inserita in quella artistica. Esperta e sensibile nelle arti e nella letteratura, espresse senza mezzi termini le sue opinioni critiche verso alcuni pittori come Picasso e Rousseau e per questo pagò un alto prezzo sociale. 

Anche il movimento delle suffragette avrebbe potuto avere in Beatrice Hastings una grande sostenitrice ma le posizioni radicali della scrittrice cozzavano con le richieste più moderate dell’associazione femminile. Per lei non bastava unicamente il suffragio universale per colmare l’enorme disparità politica e sociale che offendeva e umiliava le donne. 

Bisognava riformare in modo integrale la società e lo Stato che chiedeva un prezzo altissimo alle donne, affidando la cura familiare unicamente alla loro gestione e al loro spirito di abnegazione e di dimenticanza, relegando così le donne a un ruolo subalterno. 

Lo sradicamento esistenziale di Beatrice, il sentirsi una straniera in Sud Africa e una emigrata in Europa, il suo nomadismo identitario, testimoniano la grande fascinazione verso Olive Schreiner, scrittrice sudafricana di origine inglesi, che scrisse romanzi e saggi centrati soprattutto sulla questione coloniale e post-coloniale, denunciando il servilismo delle donne europee e la schiavitù abominevole delle donne africane. 

Beatrice aveva sposato questa posizione in modo radicale e appassionato e, come Olive, aveva sentito profondamente il dramma della non appartenenza, essendo poco tollerata come straniera nella sua Africa e sentendosi incompresa e criticata in ogni salotto borghese intellettuale. 

Aveva visto il mondo da un punto di vista così diverso da rendere impossibile la sua integrazione in qualsiasi gruppo e scalpitava in ogni contesto, dove registrava la prepotenza maschile contro le donne e la superbia ottusa degli intellettuali che non sodalizzavano con gli ultimi e gli oppressi. Una dicotomia ingestibile che non divenne mai recuperabile.



4.                  Beatrice e la sua militanza femminista nel giornalismo

 

Diversi fattori contribuirono a cambiare la struttura commerciale della stampa durante l’Ottocento: la rivoluzione delle comunicazioni, i nuovi metodi di produzione, le nuove tecniche per la raccolta delle notizie e nella distribuzione del giornale. Il numero dei periodici si moltiplicò nella seconda metà del diciannovesimo secolo e il giornale ebbe una grande influenza politica e intellettuale, anche dovuta al basso prezzo e quindi alla sua accessibilità.

Fin dal Seicento, le gazzette e i giornali in Francia e in Inghilterra cercarono di conquistare i favori della parte femminile di mercato con note di costume, novelle a puntate e passatempi sociali. Il binomio donne/giornalismo si presenterà più tardi in Europa, creando una variante ascendente inarrestabile. In Inghilterra molto presto le donne iniziarono a scrivere per i “Women’s Magazine”.

La stampa femminile si diffuse così in tutta Europa durante l’Ottocento, fino a progredire esponenzialmente nel Novecento. Il giornalismo inizialmente aveva una doppia direzione, uno scopo unicamente commerciale e superficiale, e un altro invece volto al cambiamento delle condizioni di vita delle donne. Le donne conquistarono finalmente l’alfabetizzazione culturale e si proposero come maestre, insegnanti, grandi lettrici e collaboratrici della stampa impegnata e di evasione. Iniziarono a essere dentro il mercato editoriale sia come utenti che come produttrici culturali. Attualità, varietà, educazione dei figli consigli familiari, moda, politica e femminismo erano i temi principali. Emancipazione e rivendicazione dei diritti delle donne divennero gradualmente questioni prioritarie per alcune intellettuali. La stampa femminista si pose l’obiettivo di sostenere il cambiamento di costume per le donne, mentre la stampa femminile aveva come scopo l’enfatizzazione della femminilità. Alla fine dell’Ottocento in Francia e in Inghilterra iniziò la militanza giornalistica femminista. 

Le scrittrici e le romanziere commentavano sul giornale sia gli eventi letterari che la politica. Dovevano scontrarsi con le barriere più o meno esplicite del patriarcato culturale. 

Questo le portò in genere più alla collaborazione che alla fondazione del giornale, per ovvie difficoltà economiche. Da non dimenticare la nascita, nel 1709, della rivista The Female Tatler diretto da Mary Manley, commediografa e romanziera di successo. Uscirono cinquanta numeri di questa rivista che dava grande spazio alle donne. 

Era indubbiamente difficile per i giornalisti mantenere in piedi l’impresa editoriale, a causa della dipendenza economica dai finanziatori, che rincorrevano il consenso del pubblico borghese. 

Mary Manley scrisse romanzi scandalistici e fu anche arrestata per diffamazione, dopo aver screditato esponenti politici sia whig che tory. Usava infatti la rivista come strumento di pungente satira politica.

Altra intellettuale fondamentale per questa militanza letteraria e politica che sfociò anche nella produzione giornalistica fu Mary Wollstonecraft che fu una delle prime a mettere a fuoco il problema dell’identità femminile condizionata dalle ideologie dominanti della società patriarcale. Precorritrice dei movimenti femministi, ebbe un ruolo preminente insieme ad altre poetesse, tra cui Hannah More, anche nella campagna abolizionista della schiavitù. Anche in Italia abbiamo delle anticipazioni interessanti di questa emergente sensibilità femminista da parte delle scrittrici e delle giornaliste. Ricordiamo Eleonora Pimentel che fondò il giornale popolare il Monitore Napoletano, esperimento socioculturale della rivoluzione partenopea. Carolina Lattanzi che fondò e diresse nel 1818 Il corriere dell’età, di eccezionale durata, fino al 1875. Cristina di Bel Gioioso lavorò per il Lausonio, giornale politico mazziniano repubblicano nel 1846, facendo con grande impegno propaganda politica. 

Le donne investirono ovunque tempo e denaro durante l’Ottocento per la mobilitazione patriottica/culturale nei giornali anche di piccola diffusione, arrivando ad usare pseudonimi maschili per essere prese sul serio dalla stampa nazionale. 

Le giornaliste conquistarono l’indipendenza economica e divennero donne emancipate. 

Londra, Parigi e Milano erano centri editoriali molto vivaci. Donne che scrivevano per le riviste, romanziere recensite dai migliori critici, che vengono anche tradotte in Europa. Queste donne costruirono il romanzo nazionale della modernità femminile e femminista. Raccontarono la condizione delle donne, l’insignificanza della loro vita di reclusione domestica. Non erano laureate, avevano una formazione magistrale e una grande sensibilità letteraria e artistica. Diventarono spesso reporter di guerra durante la Prima guerra mondiale. 

Le femministe in Europa credevano nella missione giornalistica, fondamentale per sostenere le rivendicazioni politiche dei diritti. Temi prioritari erano il lavoro e la parità di trattamento salariale, il voto attivo, passivo, amministrativo e politico, la difesa della maternità e delle leggi per la protezione della funzione materna. 

In questo complesso contesto europeo bisogna inserire la pratica politica e militante del giornalismo di Beatrice Hastings. La sua voce forte e prorompente, dall’acceso piglio anticapitalista e femminista, si unisce e si differenzia in questo fenomeno altamente interessante di militanza giornalistica delle donne. L’unica casa per Beatrice fu il giornale. Il giornale fu la sua unica patria. Fu il luogo immaginario dove abitò la sua militanza politica, la sua scrittura femminista.

Ebbe le prime sue esperienze giornalistiche pubblicando, nel 1904-1905, nel Morning Telegraph di New York, all’età di 25 anni. I suoi poemetti umoristici riscossero discreto successo tra i lettori. Quando giunse a Londra, nel 1906, conobbe Alfred Richard Orage che in quel periodo stava organizzando, con i suoi sodali, la fondazione di un giornale anticapitalista e fabianista. Beatrice fu partecipante attiva fin dalla fondazione del giornale di Orage, il The New Age. Il suo primo articolo è del 29 agosto 1907, in cui si firma Pagan. La collaborazione con Orage proseguirà fino al 1920. In questo periodo scriverà più di trecento articoli politici, femministi, anticapitalisti, anticolonialisti. Inoltre, vi scriverà recensioni letterarie, poemi, il suo romanzo breve (Sepolcri imbiancati) le sue novelle autobiografiche (Pages from an unpublished Novel e The Maid’s Comedy), le sue Impressioni di Parigi e molto altro ancora, utilizzando circa tredici nomi di penna. 

Nel 1932 realizzò il sogno di fondare un suo giornale: The Straight Thinker. Vi riversò gli scritti prodotti negli anni precedenti (Madame Six e The picnic of the babes in the wood - a Psychic Diary); riaffermò le sue idee anticapitaliste e antifasciste. Furono gli anni in cui sperimentò la militanza tra le file dei comunisti londinesi. Nel giornale troviamo, tra l’altro, un’interessante critica al libro The Story of a soul (1899), l’autobiografia di Therese di Lisieux. L’esperienza dello Straight Thinker (da lei successivamente denominato The Straight Bulletin) durò, malgrado i suoi sforzi, solo un anno. 

Nel 1935 pubblicò The Old New Age, Orage and the others, edito da Charles Lahr (Blue Moon Press), suo amico editore anarchico londinese. Un pamphlet di quarantatré pagine da lei inteso per ricostruire e rivendicare la sua produzione nel The New Age, diluita nei tredici nomi di penna adottati.

Dal 1936 al 1939 si dedicò alla scrittura dei sei volumi In difesa di Madame Blavatsky. Nel 1938 fondò il suo ultimo giornale che condusse fino alle soglie della morte (1943): il Democrat. Un giornale, pubblicato in circa venti numeri, in maniera discontinua per le scarse risorse economiche, che contiene sorprendenti analisi politiche ed anche analisi introspettive della sua vita ormai trascorsa. Nel Democrat sono ancora presenti, finanche in questi ultimi anni, critiche al patriarcato, al capitalismo, al colonialismo. Assume, in maniera ancor più decisa, posizioni antireligiose.

Da questa fitta e ancora non integralmente tradotta produzione giornalistica si evince il grande impegno di Beatrice Hastings per la militanza giornalistica, vissuta con una capacità straordinaria di mescolare in modo sincretico riflessione politica femminista, autobiografia e un punto di vista critico e divergente sulla condizione delle donne nella società di fine Ottocento. La sua vita vissuta era di ispirazione ai suoi articoli ma in modo nascosto. Le sue opere letterarie furono pubblicate divise in puntate sui giornali, come era uso in quell’epoca. Scelta vincente, perché permetteva anche alle classi indigenti ma alfabetizzate di leggere le sue pagine. Il suo talento letterario era al servizio di uno scopo preciso: allargare la consapevolezza delle donne in relazione ai loro diritti di liberazione e di emancipazione da un copione tradizionale di asservimento al marito e al maschio in genere. Non era semplice mantenere questo obiettivo anche dentro redazioni spesso gestite dagli uomini e finanziati anche da poteri non certo evoluti circa la questione femminista. Comunque, Beatrice andò per la sua strada, senza scendere a compromessi e dichiarò di volta in volta l’arroganza maschilista, di cui era vittima e testimone. 

Per il giornalismo fu capace di un impegno assoluto oblativo, che assorbì tutte le sue energie. 

Beatrice fu soprattutto una scrittrice politica e i suoi articoli giornalistici furono sicuramente la sua maggiore e più acuta profetica produzione culturale. Le principali questioni politiche riportate nei suoi articoli di giornale fanno riferimento soprattutto alle battaglie contro ogni ingiustizia sociale, contro il razzismo, contro la guerra, contro le iniquità e le violenze nei confronti degli esseri più indifesi. Scrisse per anni sul giornale The New Age, diretto da Alfred Richard Orange, fino a quando si allontanò a causa di molte divergenze con l’editore. Molti furono gli articoli femministi legati alla sua riflessione sul corpo della donna e sulla maternità. La lotta contro il patriarcato sessista fu sempre prioritaria. La politica del lavoro e del diritto al voto delle donne erano altri nodi spinosi che volle affrontare. Contro ogni paternalistico atteggiamento concessivo, difese il principio dell’autodeterminazione della donna in ogni questione politica, sociale e privata. Affermava con forza che nulla andava concesso come un’elemosina mortificante ma bisognava lottare per rompere la logica patriarcale che sottometteva le donne e risvegliare nelle donne stesse la dignità politica, l’orgoglio culturale, la passione verso il proprio talento. Anche le madri e le anziane dovevano smettere di essere complici di questa concezione maschilista e misogina, che umiliava la libertà di azione politica, sociale, culturale e familiare di ogni giovane donna.

Ogni altro genere che sperimentò non ebbe nella sua vita tanto spazio quanto la sua attività giornalistica e di reporter. Il numero elevato di contributi giornalistici veniva affiancato dalla sua produzione letteraria e poetica. Il gruppo di liriche rappresenta la punta apicale di un iceberg, indicano in modo chiaro l’urgenza politica di Hastings di affermare in ogni modo, con ogni strumento letterario e intellettuale a disposizione, l’ingiustizia esistenziale storica e sociale che le donne della sua epoca vivevano. Bisognava aiutare la sua generazione a emanciparsi dalle normative comportamentali patriarcali, che erano diventate ancora più penose durante l’epoca vittoriana. 

Il copione della donna angelo del focolare, asessuata e schiava del marito doveva essere debellato e distrutto, per esaltare la libertà di azione e di pensiero. 


5.                  Beatrice e le altre

La storia di Beatrice/Alice è vicina a quella di alcune sue contemporanee, intellettuali, poetesse e scrittrici, che riuscirono come lei a superare questi diktat interni sperimentando un comportamento controcopionale necessario per liberarsi dalla programmazione educativa di quell’epoca: libertinaggio, promiscuità sessuale, egocentrismo mitomane, individualismo eccentrico, travestitismo, dandismo lesbico e ogni sorta di comportamento che potesse scandalizzare e scuotere l’ottusa borghesia inglese e francese. 

Questi comportamenti trasgressivi per contrastare il proibizionismo imperante diedero vita a atteggiamenti che possiamo anche definire narcisistici, autolesivi e lesivi ma che corrispondono a una fase necessaria di liberazione dai lacci oppressivi di quell’educazione mortificante. 

Una generazione europea di donne che hanno dovuto e voluto spingere la loro vita ogni oltre confine, per raggiungere non solo l’indipendenza professionale attraverso la scrittura, ma anche perché sentivano l’urgenza profonda di libertà e di realizzazione personale, oltre ogni asservimento. 

Alexandra David-Néel, Katherine Mansfiled, Vanessa Bell, Vita Sackville, Virginia Woolf, Karen Blixen, questi nomi e tanti altri vengono in mente. 

Donne che hanno vissuto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, che hanno conosciuto prima il fermento europeo dovuto ai processi di urbanizzazione e di industrializzazione e poi la terribile tempesta destabilizzante del primo conflitto mondiale. 

Donne borghesi e aristocratiche che erano state prima formate per enfatizzare le loro doti intellettive e creative e poi erano state frustrate dall’esclusione maschilista e dalla misogina delle istituzioni di quell’epoca. 

Donne che avevano cercato di farsi strada nel mondo della scrittura attraverso la sperimentazione di tanti episodi editoriali. Infatti, i libri, per questa generazione di donne, erano dei veri e propri passaporti identitari, per sentirsi libere e realizzate, per entrare nel mondo del lavoro con orgoglio e fierezza della propria intelligenza e non per essere le belle mogli di uomini importanti. 

Donne che avevano avuto bisogno di una maschera, di uno pseudonimo, per emergere in una società fortemente maschilista, sessista e patriarcale.

Costruire il mito di se stessi, plasmare un’armatura per reggere la frustrazione e la pesantezza di un compito gravoso come quello di non compiacere il potere maschile e sessista, cercando di promuovere la libertà della donna in tutte le sue espressioni. 

Siamo agli albori del pensiero femminista, bisognava pagare questo prezzo sociale: partire da se stessa, mostrare un modo di agire e di essere totalmente diverso da quello omologato, essere una donna/ uomo, aggressiva e assertiva, seduttrice e non sedotta, a costo di non essere capita, di essere fraintesa e di essere allontanata. 

Beatrice sapeva di stare nella verità ma i tempi non erano dalla sua parte. La Nuova Era sembrava ancora molto lontana da realizzarsi. 

Gli uomini/artisti volevano donne serventi e adoranti, specchio riflesso della loro fama e del loro successo, gli intellettuali non gradivano essere criticati liberamente da una donna che non si inchinava alla loro leadership. 

Hastings fece molto rumore, troppo rumore per quei tempi, ed era una donna forte e volitiva. Troppo per quell’epoca in cui anche le intellettuali più femministe mostravano delle fragilità e un certo ossequio verso i loro compagni di avventura.  



6.                   Beatrice e la poesia

 

Rosso è il mio corpo di sangue e rabbia,

ma io mi bagnerò in acque di montagna,

e la furia calmerò poi consacrando il rito

invocato dalla fanciulla mortale.

 

Beatrice Hastings

 

La poesia è un codice letterario particolare, evocativo, simbolico, immaginale. La produzione letteraria e politica di Beatrice non è stata ancora tradotta interamente in italiano ma già dalla breve silloge presente nel testo Beatrice in full revolt possiamo avere un forte assaggio della sua scrittura poetica. Una scrittura poliedrica per forma e per contenuti, che spazia dalla poesia simbolica e surrealista a quella ad alto contenuto mitologico e teosofico.

Il gusto per il favoloso, il fantastico mutuato forse dai fratelli Grimm – tra le sue letture giovanili - si miscela alla suggestione delle terre d’Africa, con tutto il loro fascino fatto di mistero, di magia, di ritualità e di sacralità. Alice leggeva i romanzi marinareschi e d’avventura di Beecher e Marryat, l’antologia poetica Palgrave’s Golden Treasury a cura di Francis Turner Palgrave, grazie alla quale scoprì poetesse che saranno fonte di ispirazione per la sua futura scrittura poetica, tra le quali Elizabeth Barrett Browning, poetessa inglese dell’800 grande fautrice del Risorgimento italiano, Jane (Jean) Elliot, Anna Laetitia Barbauld, Carolina Nairne, Anne Lindsay, Felicia Hemans. Più avanti lesse Oscar Wilde, Thomas Pringle, George Moore, Marie Corelli, Grant Hallen, quest’ultimo autore, tra l’altro, di The Woman who did che narra di una donna emancipata e indipendente. Nella bellissima biografia di Stefan Grey, viene riportato quanto fosse legata all’antologia The Oxford Book of English verse e alle poesie di Alfred Tennyson, testi che conservò fino alla fine dei suoi giorni. 

Come ho già detto prima, spicca su tutte la lettura di Olive Schreiner, grande scrittrice sudafricana, pacifista, una tra le prime autrici femministe della storia, che consegnò al mondo riflessioni senza precedenti sui diritti delle popolazioni native africane e sull’emancipazione femminile, scrittrice che sicuramente deve aver molto influito sulla sua formazione, indirizzandola verso quelle che saranno le sue posizioni future nei confronti dei primi movimenti femministi di metà Novecento.

A una prima lettura della breve silloge contenuta nel testo Beatrice Hastings in full revolt emergono alcuni dati in comune delle liriche. La scrittura poetica di B.H. utilizza un lessico altamente simbolico, che prende ispirazione dalla sua formazione classica e mitologica. 

Il portato trasgressivo delle liriche fa emergere la potente passionalità dell’autrice e il suo bisogno di testimoniare il suo diritto al piacere e all’amore, al di fuori di ogni schema. La necessità di individuare un pubblico di lettrici a cui dedicare i suoi testi è il segno forte della sua militanza politica. La poesia e la scrittura sono vissute soprattutto come strumenti di emancipazione e di liberazione delle donne da qualsiasi oppressione. 

Beatrice rimane sempre una giornalista politica in ogni suo sforzo letterario.

Quando sceglie di esprimere una modalità esistenziale e autobiografica, si contrappone in modo antitetico al costume e agli stereotipi dell’educazione delle donne, legata all’epoca vittoriana e post-vittoriana. 

Il suo “polimorfismo” segue quest’urgenza strettamente politica. Nelle sue liriche si struttura la centralità dell’io poetante, quasi in perenne conflitto con il mondo patriarcale a cui non si sottomette.

La presenza del linguaggio del corpo è un punto di partenza della sua scrittura. 

L’ampiezza dei temi in questo gruppo di liriche che fa capire la portata del mondo interiore della Hastings. Il linguaggio mistico e metafisico erompe con forza in alcuni componimenti.

Tutte le liriche furono pubblicate nel suo giornale The New Age. Non è un caso che non furono mai pubblicate in un volume singolo a sua firma. Anzi, firmò queste poesie con moltissimi pseudonimi, per moltiplicare i contributi presenti in pagina. Il giornale ospitò grandi nomi della letteratura di quell’epoca ma Beatrice Hastings si prese il compito di vivacizzare con un grosso dibattito la vita del giornale. Fu una vera e propria drammaturgia applicata al mondo della scrittura giornalistica. Anche la poesia fu per lei ancella di questo obiettivo politico prioritario. 

Dare spazio e voce alle donne, usando ogni mezzo possibile. Questo stratagemma utilizzato da Hastings rende difficile la ricostruzione autobiografia e letteraria di questa scrittrice. Celandosi dietro tanti personaggi femminili, creando un immaginario trasgressivo e audace intorno alla sua figura e volendo con grande forza e passione sollecitare l’attenzione pubblica verso la questione femminile, non ha reso facile ai posteri la costruzione complessiva della sua poetica. 

Possiamo dire che Beatrice fece della sua vita un’opera d’arte, dove lei era la regista, l’attrice protagonista e la costumista. Creare un mito al femminile, rompendo ogni schema per dare vita a un modello incarnato di donna libera e autonoma da qualsiasi figura maschile, anche a costo di nascondere le sue fragilità, le sue debolezze, la sua disperazione. Non volendo essere una donna angelicata, specchio del maschio narciso e predatore, ma nemmeno una donna geisha seduttiva e provocante, sempre schiava dello sguardo maschile, scelse la via più dura: la donna virile, che enfatizza il suo tratto aggressivo e provocatorio, non cedendo alle lusinghe del copione femminile.

Parto dal primo titolo The Blue Lady e la prima suggestione che mi viene in mente è lo spleen, la malinconia struggente della signora in blu, nostalgia per qualcosa che non c’è più, che si è perso. Quel blue ricorda la tristezza che a volte torna nelle sue poesie, dietro quella voce epica, dietro le invettive atroci che costruisce con la potenza virile di una Cassandra infuriata. È questa tristezza che lentamente viene fuori, si lascia scoprire piano piano, quasi una confessione a fior di labbra, lei che non ammetteva mostrare le sue debolezze, il suo pudore nel vivere i sentimenti.

 

The Blue Lady (The New Age, 24 ottobre 1908)[2]

 

We met, and round our clasping hands

Love wreathed his rose and lily bands

 

Ci incontrammo e attorno alle nostre mani

L’amore avvolse nastri di rose e gigli


Tre terzine ben strutturate, con i primi due versi in rima baciata e il terzo verso di ogni terzina con rime al mezzo. Grande musicalità, magistrale nella descrizione dell’incontro con l’amore, il dettaglio oggettivo risponde al richiamo della relazione. La fisicità prorompente della sua scrittura emerge nelle metafore racchiuse nel testo: mani come gigli, il fiore sul seno. Potrebbe essere sia un riferimento nascosto al grande dolore della perdita per la figlia perduta. Potrebbe essere anche il riferimento a una donna amata e poi allontanata. Un gioco sottile di rimandi simbolici e affettivi. Beatrice mantiene un’aria di mistero intorno a questo testo. Lei amava gli uomini e le donne con la stessa intensità libera e appassionata, costruisce il mito spavaldo della sua libertà sentimentale. Nasconde i suoi sentimenti materni e solo in queste poesie a tratti svela con alcuni dettagli il suo mondo affettivo. Deve mantenere la sua maschera di donna volitiva, libera, emancipata. 

Dichiara la sua ribellione alla morale dell’epoca, spavalda e ignara di qualsiasi rispetto, senza schemi pregiudiziali che possano inibire la sua voce. Come vedremo anche nelle altre poesie, Beatrice cerca di individuare una sua pista di ricerca letteraria poetica al confine tra le due correnti a lei contemporanee, la poesia georgiana, estetizzante e conservatrice, e quella modernista, sperimentale e colloquiale ma governata da una leadership esclusivamente maschilista. Adotta quindi stilemi tradizionali come il rispetto della metrica, ma introduce contenuti di grande trasgressività. Sentimento, passione e ribellione sono i nutrimenti di molti dei suoi accostamenti verbali. 

 

Imitation of the Persian (The New Age, 5 novembre 1908)[3]

 

I have come to thee, Belchazar

I have left the halls of pleasure;

For my feet go slow in dancing

Since thou taughtst thy mystic measure. 

 

Io sono venuta a te, Belchazar

Io ho abbandonato le sale del piacere

per questo i miei piedi danzano lentamente

nella maniera mistica che tu mi hai insegnato

 

In questo testo, i riferimenti si intrecciano pericolosamente, il piano simbolico della citazione al mito persiano aprono al passaggio dall’incontro sensuale a quello mistico. La struttura lirica mantiene un richiamo di allitterazioni e assonanze che danno ritmo e melodia al brano: pleasure, measure, leisure, azure, treasure. Anche l’inizio ha grande potenza espressiva con il pronome in prima persona ripetuto due volte a inizio verso. Belhazar chiude il primo verso, Narezza chiude l’ultimo verso. Cosa cerca Beatrice scomodando due riferimenti culturali persiani? Come nella fiaba capovolta della Peri, la Hastings utilizza il sostrato filosofico/mitologico per darne una versione originale e personale. Il patriarcato sessista, che vuole sottomessa e muta la donna sia nella cultura europea che in quella mediterranea, viene rovesciato dalla coscienza dell’autrice che non si sottomette alle logiche di asservimento psicoesistenziale, ma afferma la liberazione da ogni schema copionale femminile, l’emancipazione della donna, la sua centralità nella danza immaginale. Lei è sempre al centro della sua relazione sia culturale che sentimentale, ne conosce l’ampiezza e ogni gioco. Favorisce una conversazione paritaria, attiva e vivace, mai dipendente oppure ancillare.

 

Metamorphosis (The New Age, 10 dicembre 1908)[4]

 

Una poesia piena di riferimenti mitologici, il conflitto appassionato e sanguigno tra le due forze, l’Apollineo e il Dionisiaco. Il principio della ragione e le sue regole contro il principio del piacere e 

la sua follia ebbra e istintiva. Eppure, l’autrice chiama Apollo “folle incantatore”. Il principio del piacere e il principio dell’ordine e della ragione sono qui in conflitto in una danza mortifera. In un certo senso, l’autrice cerca di concettualizzare e trasformare simbolicamente quella battaglia interiore che la rese protagonista sofferta di tante relazioni difficili. Lei non cerca nella poesia la confessione autobiografica chiara e comprensibile ma si cimenta in un discorso poetico misterioso e oscuro, dove la simbologia mitologica vuole velare ogni dissidio, cercando di innalzarlo come configurazione trascendentale di una lotta cosmica tra energie contrapposte. 

 

The foul Apollonian enchamenter has laid upon me his dark finger

 

L’apollineo folle incantatore mi ha sfiorato con il suo dito oscuro

 

Qui presenta come vittima sacrificale Dioniso, all’interno del rito magico-metamorfico. Il ritmo è incalzante e veloce, molti i richiami fonici: bleating, bleeding, leaping, beating, seeing. L’azione viene rafforzata quindi dalla forma verbale del gerundio. E poi forme imperative che, con voce potente, segnano la trasformazione, la metamorfosi che apre lo scenario alla baccante Chloe. La donna trionfa e scaglia il suo corpo guizzante verso il sole, il corpo nato dalla carne squarciata di Dioniso.

Le scelte lessicali sono di scarto, parole di grande sapore terragno e animale si distinguono nel testo.

La metamorfosi è parola pregna di significato per Beatrice. Capovolgere il mito per guadagnare un rispetto per la storia di emancipazione della donna, che abbandona il suo destino biologico per trasfigurarsi in un’altra creatura che anela alla libertà. Anche il mito viene piegato all’aspirazione liberatoria dell’emancipazione femminista. La metamorfosi animistica apre al cambiamento profondo del destino della donna capace di trasformarsi, attraversando un infernale martirio.

 

Loose me, ye daughters, now leaping, 

Beating these hoofs on your hauches

Thrust me back, tear from this carcase

Wool, skin, horns-all that disguises

 

Liberatemi, o figlie, ora avanzo

colpendo con gli zoccoli le vostre cosce

respingetemi, strappate da questa carcassa

vello, pelle, corna, tutto ciò che maschera!

 

Il mito della Baccante ritorna in molte delle poesie della Hastings. Seguace e sacerdotessa di Dioniso, protagonista del culto orgiastico, capace di correre e danzare per i monti in stato di ebbrezza, accompagnandosi con cembali, timpani, flauti e altri strumenti. Al culmine dell’esaltazione, il mito racconta che le baccanti divoravano crudo l’animale sacro per impossessarsi della divinità. Il mito rappresenta la donna scatenata e focosa, libera di esprimere il suo desiderio. Non è un caso che Beatrice prenda questo mito e lo faccia proprio, contro la morale vittoriana di fine secolo che voleva la donna mite e sottomessa, suddita silenziosa e compiacente, vestale del matrimonio e del suo uomo, dedita ai figli e al focolare domestico. Sceglie il mito della Baccante, come benzina primitiva del processo di liberazione del femminile, riconoscendo nelle divinità greche e romane i semi di questa emancipazione, zittita poi dall’algida sublimazione cristiano-cattolica. La risposta alla società inglese vittoriana è chiara e lampante. Chiama attraverso il verso le donne come possibili alleate di questa metamorfosi. Beatrice Hastings riconosce nella sua produzione poetica tutte le donne come interlocutrici privilegiate di ogni sua narrazione in versi. 

 

Mind pictures (The New Age, 20 maggio 1909)[5]

What other have I seen in istant flashes?

A brown skinned boy

Of red spiked aloe

A woman fleeing

Nor kith nor kin nor ox nor ass nor anithing

 

Cosa altro io ho visto nei lampi di un momento?

Un ragazzo bruno addormentato

Un cespuglio di aloe dalle rosse spine

Una donna in fuga

Né amici né familiari né bue né asino né niente

 

Ho voluto stravolgere questo testo di grande commozione, per indicarne la forte valenza simbolica e mistica. La domanda posta al centro della poesia è un indicatore molto importante. Beatrice ha avuto una visione e l’ha trasformata in versi. Ha visto una scena di grande impatto emotivo, che ricorda la natività cristiana e la profezia della Passione. Il testo rende il senso universale della nascita. Maria è una donna in fuga come tante, che cercano di ripararsi dal dito puntato di un paese fanatico, deve nascondere la sua vergogna, non ha nessuno, è sola. La nascita viene rappresentata da una visione simbolica; il fiume possente che si getta nel mare, il fiume stretto dalle due scogliere, quasi a dipingere la nascita del bambino che esce dal grembo materno, tra le cosce della donna. L’immagine è piena, tracciata con linee spesse e precise, quasi dei solchi scuri e graffianti. La scrittura simbolica di Beatrice qui ha una segnatura profetica e coinvolgente. Ma la donna che fugge è più sola della Madonna, non ha un compagno né amici, nemmeno il bue e l’asino per avere calore. In questa dimensione triste e malinconica, Beatrice vuole ricordare la maternità delle donne, quando hanno un figlio fuori dal matrimonio, e sottolinea con indignazione il marchio di una condanna morale da cui devono fuggire e ripararsi. Non sappiamo se questa lirica ha una gestazione autobiografica. Potrebbe essere. 

Comunque, Hastings era sicuramente sensibile al dolore delle donne e alla battaglia contro ogni moralismo bigotto e superficiale. Inoltre, questo testo permette di ricordare la sua vocazione spirituale, la sua scrittura metafisica che la porterà a interessarsi attivamente al pensiero e all’opera della fondatrice della scuola di teosofia, madame Blavatsky. Beatrice studia la teosofia, una dottrina che unisce la conoscenza mistica con l’indagine scientifica. Sa, attraverso questo studio esoterico e metafisico, che ogni simbolo è un portale, sa che può essere percepito un altrove che supera la realtà. Conosce la simbologia animistica africana. Questa miscellanea culturale e spirituale la rende ancor più poco assimilabile alle logiche occidentali e materialiste della cultura inglese di quei tempi. La sua poesia è intrisa di simboli esoterici, poco decodificabili da chi è a digiuno della cosmologia teosofica. Anche in questo caso si dimostra capace di superare ogni classificazione possibile. In un mondo che si stava aprendo al materialismo storico anticapitalistico, lei si interroga sulla relazione tra materia e spirito. 

 

The Child’s Burial (The New Age, 20 maggio 1909)[6]

 

Questa lirica, forse autobiografica, chiarisce in modo disarmante quanto Beatrice avesse attraversato con grande passione materna la nascita e poi la desolazione infinita del lutto di un figlio. Ogni verso di questo testo è costruito sulla grammatica del sentimento materno, esprimendo grande empatia verso la relazione tra madre e figlio. Spiega con forti accenti drammatici il dolore del parto e poi della perdita. Inoltre, tra i versi serpeggia la visione spirituale dell’autrice che afferma la sua fede nel mondo ultraterreno. Lei, anticapitalista, femminista e anarchica, non si vergogna del suo misticismo, emerso fuori da ogni religione ortodossa. Quel sentimento che la spinge a immaginare l’altrove, oltre l’asfittica impostazione materialista che si stava affermando nella sua epoca. Questo testo chiarisce che Beatrice Hastings comprende a pieno l’amore filiale, la compassione profonda verso le donne che soffrono come madri per il parto, per l’aborto e per la crescita difficile dei figli in un’epoca dove la mortalità infantile era altissima. Da alcuni racconti autobiografici si allude infatti alla morte della sua bambina proprio per una tragica influenza mal curata. Conosce la situazione indigente delle donne del proletariato urbano e ne prende le difese. Nei suoi articoli politici vuole sottolineare l’importanza consapevole della scelta della maternità, nella piena coscienza del dolore e del sacrificio che comporta. Lei combatte la mistica della maternità come destino assoluto e programmato dalla società patriarcale ma comprende, per averlo vissuto direttamente, lo slancio affettivo che ogni donna sente verso la sua creatura. 

 

She passed a day dovoid of all save time

For she had clasped the tiny infant form

And then, a second time, her woman’s woe

Knew for the child, and she delivered it 

down at Death’s gateway…

 

Lei trascorse un giorno vuoto pieno di tempo

poiché lei strinse a sé il corpo minuto del bambino  

E allora per una seconda volta soffrì per la sua creatura

il suo dolore di donna e lo consegnò ai cancelli della Morte

 

I versi hanno un movimento che va dall’alto in basso attraverso lo sguardo della donna che, in modo intermittente e vertiginoso, guarda il cielo e poi la terra, sgomenta e atterrita da quel destino di dolore che non riesce a evitare. Proprio questo dramma tanto sofferto da B.H. ha reso feroce la sua invettiva verso le donne anziane che non rendono ben informate le giovani di questo grande mistero della maternità, che induce a una vera rivoluzione psicofisica, sociopolitica di ogni donna. Negli scritti autobiografici che prima citavo, lei parla di un lutto di una madre, ma si firma Beatrice Tina. Ha lasciato pochi indizi della sua vita personale. La costruzione del suo personaggio pubblico calamitava tutte le sue energie, e dietro quella pagina sicuramente nasconde quel dramma della perdita che questa poesia così bene e in modo così struggente descrive e racconta.

Qui si comprende che Beatrice Hastings non rinnega l’amore materno e il carico emozionale e concreto che implica ma, come poi spiega chiaramente nei suoi articoli femministi, denuncia la poca informazione verso le giovani generazioni circa il prezzo alto, fisico e psicologico che le donne pagano nell’affrontare la maternità. Lo scontro generazionale tra le donne è il risultato del grande condizionamento che il patriarcato secolare ha prodotto sul genere femminile. Altra profezia di Beatrice: spesso sono proprio le donne le peggiori nemiche delle giovani che vogliono emanciparsi. Quasi un bisogno sadomasochistico di trattenere il cambiamento. 

Le poesie possono servire quindi a fornire quel valore aggiunto alla persona, indicando la sensibilità della scrittrice che usando la forma lirica riesce a far arrivare più facilmente i suoi sentimenti e la sua drammaticità. La Beatrice giornalista militante femminista aveva il compito difficile e gravoso di non abbassare mai la guardia rispetto alla sua battaglia prioritaria: la liberazione delle donne dal destino copionale voluto dal patriarcato occidentale. 

 

A lyric (The New Age, 26 agosto 1909)[7]

 

They showed me roses and I came to earth

Mi mostrarono le rose e io scesi sulla terra

And always looked I out for the great Rose Garden

E sempre guardando io cercavo il Giardino delle Rose

 

Questa lirica è una delle poesie più complesse e affascinanti di Hastings. A cosa fa riferimento quando parla del Giardino delle Rose? È forse il luogo spirituale che lei cerca e di cui si sente parte? Ricordiamo che Beatrice era appassionata di filosofia metafisica, diventando in seguito studiosa di teosofia. Qui possiamo leggere la ricerca della via interiore simboleggiata dal Giardino delle Rose. La rosa è il simbolo del processo di cambiamento, della trasmutazione alchemica come il fiore di loto, il diamante e la luce bianca. Sono simboli presenti nei sogni spirituali e nei manuali alchemici e iniziatici. Simboli del risveglio e del cammino evolutivo della persona. La rosa schiude i suoi petali, si apre al mondo, presenta un irraggiamento centrale, indica il saper dare e il saper ricevere. È segno dell’apertura del cuore, indice di amore cosmico. 

Nella poesia la visione continua piena di altri simboli, un uccello e tre farfalle, un mare in piena, il vento e la chiusura finale del nido e dei capelli. L’uccello è simbolo di elevazione spirituale. Le tre farfalle sono simbolo sempre di metamorfosi spirituale e di cambiamento positivo. Il colore oro indica la perfezione come il numero tre che, secondo la numerologia alchemica, è il numero dell’esplosione. La farfalla parla dell’immortalità dell’anima. Si può dedurre che Beatrice abbia descritto in questa poesia un sogno premonitore che parla della sua ricerca spirituale. 

Nel 1909 Beatrice vive a Londra, ha quarant’anni, conosce la Società Teosofica. Beatrice è sensibile ai temi spirituali, già da lei sperimentati negli anni giovanili in Africa, come conosce i rituali magici dei nativi africani. La donna è al centro di questa narrazione lirica, agisce e si muove in armonia con questi simboli che sfiora e che insegue. Negli ultimi dieci anni della sua vita, Beatrice si farà attiva promotrice della Scuola di teosofia di Madame Blavatsky e questa poesia sembra proprio un manifesto in codice della ricerca spirituale libera da ogni parrocchia, da ogni ortodossia tradizionale.

 

Vashti (The New Age, 25 novembre 1909)[8]

 

In questa potente lirica Beatrice usa la mitologia persiana per rovesciare lo stereotipo della moglie servile e obbediente. Vashti, la regina, si ribella e non obbedisce al re, si rifiuta di ballare la danza tradizionale davanti agli ospiti della corte. Fa un atto scandaloso di rivolta. E lo dedica a tutte le donne, indicando la via dell’indipendenza e dell’autonomia. Il diritto alla libertà oltre ogni costume. La lirica è costruita in modo sapiente, attraverso dei passaggi: dal tono descrittivo della scena fino all’invettiva frontale, quasi una breve drammaturgia in un solo atto. La visione che si para dinanzi agli occhi è chiaramente simbolica: il manifesto femminista di Hastings prende la voce e il corpo della regina Vashti.

 

Tonight i am Queen! See the blue, green and white, 

the tassels all golden

And silk cords of purple. A thousand lamp light

The feast I have holden

 

Stasera io sono la Regina! Guardate il blu, il verde e il bianco

i drappeggi dorati

E i nastri di purpurea seta. Mille lampade illuminano

la mia festa. 

 

Beatrice non scende a compromessi, l’affermazione è lampante. Vashti disobbedisce con fierezza e orgoglio, difende la sua dignità. Questo messaggio era assolutamente in contrasto con l’educazione delle donne della sua epoca. Le mogli secondo l’etica vittoriana e post vittoriana dovevano essere obbedienti e servili, dedite alla famiglia e ai figli, alla casa e alle incombenze domestiche. Erano fioriti manuali sulla donna perfetta che si allineava alle richieste patriarcali del marito. 

Le donne che cercano di sperimentare una nuova etica comportamentale pagano un prezzo altissimo, vengono considerate imperfette, scandalose, stolte. Vengono accusate di disordine morale e di instabilità psicologica. 

E infatti anche Beatrice dovrà subire il disprezzo dei suoi contemporanei. Non è facile superare il limen imposto dagli stereotipi dell’epoca. Qualcosa sta cambiando e le menti delle donne più aperte e sensibili registrano questo cambiamento, anche subendo poi l’emarginazione e la solitudine. 

Il ritmo lirico del testo segue una scenografia precisa che permette al lettore di visualizzare l’andamento coreografico della storia narrata in versi. 

 

The Lost Bacchante (The New Age, 9 giugno 1910)[9]

 

My body is red with wounds and rage,

But I’ll bathe in the mountain lake

And I’ll case my spite by blessing the rite

Which the mortal maid did make.

 

Rosso è il mio corpo di sangue e rabbia,

ma io mi bagnerò in acque di montagna,

e la furia calmerò poi consacrando il rito

invocato dalla fanciulla mortale.

 

In più di un testo poetico e nelle fiabe compare la figura mitologica della Baccante, quasi una scelta identitaria da parte di Beatrice, un Alterego che, pur ispirato a una tradizione mitologica, ne stravolge il significato, appropriandosene in chiave femminista.

Le Baccanti erano donne in preda alla frenesia estatica, prese dalla forza vitale del dio Dioniso. Erano capaci di una sensualità sfrenata, che produceva anche stati di trance mediatica, danzando un rito iniziatico. Le Baccanti sono realmente esistite e mitizzate poi negativamente come donne selvatiche, vestite con pelli di animali, coronate di edera e foglie di quercia. Donne che abbandonavano le case e le famiglie per celebrare il dio Dioniso, rifugiandosi sui monti. L’adorazione del Dio liberava l’istinto delle donne, istinto  represso nella gabbia dei ginecei. Un mito che inneggia alla libertà delle donne e all’urgenza di ribellarsi alla prepotenza maschile, recuperando il loro spirito guerriero e vitalistico.

Beatrice riprende con slancio questo messaggio di emancipazione e di ribellione. Lancia un messaggio di sfida verso la retorica tradizionale vittoriana e post vittoriana. Canta la sua rabbia e la sua indignazione per ogni schiavitù delle donne ed esalta la libertà di scegliere la propria vita sentimentale e le proprie scelte sessuali. La centralità sanguigna della strofa citata afferma la potenza dell’Io femminile che seduce e domina la passione amorosa, fino alla trasformazione della fanciulla in dea danzante. Un testo epico per la sua forza espressiva e per la capacità di tradurre la dolorosa mutazione della donna che deve perdersi per ritrovarsi.

Nei versi, il linguaggio cinestetico e corporeo è presente senza alcuna vergogna. Dal corpo e dalla sua rabbia, Beatrice parte per esprimere la sua volontà di esistere, quell’ansia di mondo di cui parla nei suoi scritti. Essere coerenti con questo principio non sarà facile per lei, che pagherà ad alto prezzo la sua libertà di vita e di pensiero. 



In the presence (The New Age, 15 settembre 1910)[10]

 

To whom should I confess-to thee, O Priest?

My earliest prayer

Lies yet upon that altar which I trimmed

With hope and innocence and faith undimmed:

I may bring none of these, this later year.

To whom should I confess - Nature to thee?

To this, through thee, have I come.

Thou led’st to giddy heights, then cast me down

And mocked me with thy buoyant hills, thy noon,

Thy birds which sing while I lay bruised and dumb.

To whom shall I confess - to you, O Men?

Nay! Ye would hurry by,

Each with his timid, bigot stone to fling—

Less for despite of me or my sinning

Than fear the other deem him bad as I.

To whom shall I confess? To Thee, O Soul?

Naked I kneel, and shade

My eyes to shut out all but the clean sand

Whereon I write, with unabsolving hand,

My sin-and next, the new vows I have made.

 

A chi mi potrò confessare? A te, o Sacerdote?

La mia prima preghiera giace

ancora sullo stesso altare a cui portavo

speranza ed innocenza e luminosa fede:

niente di tutto ciò conservo adesso.

 

A chi mi potrò confessare? A te, Natura?

A questo punto giunsi grazie a te.

Tu mi innalzasti e poi precipitasti in basso,

mentre io giaccio ferita mi deridi

con le colline e il canto degli uccelli nel meriggio.

 

A chi mi potrò confessare? A voi, o Uomini?

No! Mi ignorereste e passereste avanti,

tutti pronti a scagliare una bigotta pietra –

non per disprezzo o per condanna – ma per paura

di esser giudicati peccatori quanto me.

 

A chi mi potrò confessare? A te, Anima mia?

Nuda mi prostro e faccio ombra agli occhi miei

per non scorgere altro che la sabbia

su cui inesorabilmente scrivo

i miei peccati e poi nuove promesse.

 

Questo testo è stato ricopiato integralmente perché può essere considerato un componimento che anticipa lo stile poetico confessionale. Ha un ritmo linguistico incalzante, lo stile dell’invettiva e i toni di un manifesto indignato, ironico e malinconico. Beatrice riesce in sole quattro strofe, di grande compattezza metrica, a smontare i modelli maschili del controllo sociale e esprime il suo disprezzo per ogni autorità che intende con prepotenza giudicare le donne. 

Anche la natura viene criticata e questi versi hanno perfino un sapore leopardiano: la natura matrigna che promette e non mantiene. L’unica autorità che lei legittima è la sua coscienza spirituale, affermando con sincerità che solo la scrittura le permette di registrare le sue fragilità e i suoi progetti. In questa poesia manifesta e grida la sua libertà da ogni autorità ed esprime il suo giudizio severo sugli uomini, pronti a mortificare le donne per coprire i loro peccati. 

Forte, potente, estrema, questa lirica non fa sconti, registra la passione rabbiosa di Beatrice contro una morale patriarcale e sessista che lei detesta con tutta se stessa.

 

Comrades (The New Age, 15 settembre 1910)[11]

If you will surely waken me

The second watch to keep.

Exiled, beside you I will stand,

Proud in degraded line,

If the same chain which binds your hand

In tyrant grip, binds mine.

 

Se mi giurate di svegliarmi

al mio turno di guardia.

Esiliati, resterò al vostro fianco,

fiera di tal castigo,

se la stessa catena che vi stringe

il polso stringerà il mio

 

Le strofe centrali di questo testo indicano la coscienza politica di Beatrice che confessa il suo credo civile. Vuole partecipare alle battaglie contro il capitalismo, anche rischiando la galera e l’esilio. Lei, anarchica e anticapitalista, affronterà come giornalista le contraddizioni e le ingiustizie sociali generate dal capitalismo e dal colonialismo. Alcune sue poesie risentono della sua passione politica, dell’urgenza di rendere pubblica ogni posizione che si oppone al sistema politico di quel momento. L’uso dell’endecasillabo e della rima alternata danno un effetto incalzante e fortemente ritmico.

 

The Stolen Lands (The straight thinker, 23 gennaio 1932)[12]

 

So you’re off to bomb the nigger, O my brothers!-

In the distant, conquered lands:

Clean up India first, then Egypt and the others,

All the stolen lands,

you had better stop and listen…

From the Cape, the Congo, Egypt, Ethiopia,

Tunis, Algerie, Maroc;

From the Khyber, from Bengal, Sumatra, Java,

From the Philippines, Fiji, Palestine and Indo-China

Rolls a world-wide CURSE.

Do you only heed the puppet-prince you flatter

While he prates his “loyal” oath?

Paper oath! Gilt and cardboard contract that!

There’s an oath affirmed by Nature, Oath of Freedom,

Sworn by Life within the heart of every creature

Heed the Curse of the Giant! –-

The dark-skinned giant,

Whose chains are wearing thin.

 

E dunque siete andati a bombardare i negri, o miei fratelli!

Nelle remote terre soggiogate:

Ripulite l’India per prima, poi l’Egitto e tutti gli altri,

Tutte le terre rubate,

Fareste meglio a fermarvi ad ascoltare…

Dal Capo, al Congo, Egitto, Etiopia,

A Tunisi, ad Algeri ed al Marocco;

Dal passo di Khyber e dal Bengala, Sumatra e Giava,

Dalle Filippine e dalle Figi, Palestina ed Indocina,

Universale romba una MALEDIZIONE

Prestate orecchio solo al principe fantoccio, che adulate

Quando blatera il suo “leale” giuramento?

Di carta è il giuramento! Contratto indorato e fasullo!

Ma un giuramento c’è, che la Natura afferma,

Giuramento di Libertà,

Che la Vita pronuncia nel cuore d’ogni creatura.

Prestate orecchio alla Maledizione del Gigante!

Il gigante dalla pelle oscura,

Dalle catene sempre più consunte.

E udite! Non sentite nuovi mormorii levarsi

 

Beatrice Hastings visse a Parigi dal 1914 al 1922. Le liriche lette in questo florilegio appartengono in gran parte al periodo londinese che precede il suo viaggio in Francia. Solo la poesia dal titolo Louise de la Vallière deve essere stata scritta nel periodo francese, contestando Ezra Pound e l’egemonia maschile dell’innovazione poetica. La poesia Terre rubate viene pubblicata durante il suo ritorno a Londra, nel 1931. Beatrice cercò di nuovo di inserirsi nell’ambiente politico e culturale londinese. Aveva ormai cinquant’anni, aveva raggiunto la sua maturità intellettuale e artistica, voleva esprimere con forza i suoi ideali comunisti, anticapitalisti e anticolonialisti. 

In questa cornice culturale si deve leggere questo lungo e complesso testo poetico, dove esprime tutta la sua indignazione contro lo sfruttamento coloniale dello stato inglese. Un’invettiva in versi di grande potenza espressiva. Quasi un lungo e sofferto monologo teatrale, degno di una declamazione pubblica e accorata. 

Qui la sua anima militante e rivoluzionaria prende una forza inaudita, esplode con la voce di una moderna Cassandra, esprimendo tutta la sua indignazione per lo sfruttamento di un popolo e di una terra che amava e che considerava la sua Madrepatria. Il suo sguardo verso la terra africana e verso le donne era segnato dal bisogno di giustizia e di libertà. Lo stile è declamatorio ed enfatico, quasi vicino alla forma di un testo teatrale, una breve drammaturgia che offre spazio a un grido esasperato, segno di una tragedia in atto che nessuno riusciva a fermare. 

Ormai Beatrice aveva visto di cosa erano capaci gli uomini durante un conflitto bellico. Aveva visto che il sacrificio delle madri aveva portato solo la morte dei loro figli. E questo era successo sia in Europa che in Africa. Il suo pacifismo diventò sempre più radicale. La scrittura in ogni sua forma, gli articoli giornalistici, le poesie e il diario, erano le sole armi che conosceva per contrastare quell’eccidio. 



7.                   La vena più intima e contemplativa di Beatrice

 

Le liriche che seguono sono assolutamente quelle più intime e contemplative. In questi brevi testi, Beatrice Hastings si lascia andare, racconta con una certa malinconia la natura e ogni percezione che la commuove. Usa uno stile diretto e semplice, libero da orpelli mitologici e eruditi. Usa un verso che descrive ogni dettaglio con cura e nostalgia. Passeggia da sola, tra gli alberi. Esprime il suo bisogno spirituale, di connessione profonda con la dimensione più intima. Non vuole insegnare niente, non sente la necessità di arringare indignata le folle. Ci troviamo proprio in un’altra dimensione, dove la meditazione esistenziale diventa l’asse portante del verso. 

 

Ho salito con passo veloce e sdegnoso,

le vie della città lasciando agli inferiori;

su creste montagnose e nelle valli

tra l’erba rugiadosa ho cercato le radici della Natura

conosco il boccio, la foglia e l’albero,

conosco del mare i sottili mutamenti,

conosco la montagna stagliata contro il lucente cielo

conosco l’uccello e la farfalla.

Ti ringrazio che lo straniero alla mia porta

possa partirne sapendo puro questo tuo servo.

 

In queste poesie troviamo una Beatrice diversa, aperta alle emozioni profonde, spirituale e sapiente. Torna a immergersi nella sua natura, sente il richiamo ancestrale del cosmo. Sono frammenti di una conversazione interiore, libera dal laccio della militanza politica. 

 

Lascio questa terrazza dove troppo a lungo la mia anima

si è nascosta, dietro all’erudizione ed all’orgoglio

Vado, guardando a terra e a braccia aperte

verso chi chiede il mio pane, metà o intero.

Non ricordar, Giustizia, finché non sarà

per me cambiato della bilancia il peso,

come scacciavo il misero dalla mia strada

con poche scuse e orecchio sordo e offeso,

o, ascoltati i suoi lamenti, passavo oltre

con vuota e finta simpatia.

Aspetta! Oggi non può calare il sole

prima che io asciughi un altro pianto.

Sulla strada ed ai margini io fuggo,

peccatore. Signore abbi pietà di me!

 

Versi compiuti che fanno pensare a una riflessione esistenziale anche autocritica. Una confessione sincera che scopre le sue zone d’ombra, senza pudore. Parla di quanto si sia nascosta dietro l’orgoglio e l’erudizione. Questi versi testimoniano la sua volontà di restituzione sociale, lei si sente unita agli altri in un processo interminabile di giustizia sociale. 

Non può salvarsi da sola, deve essere solidale e per questa solidarietà non sempre raggiunta vuole pagare ogni prezzo.

Lo stile qui è diretto, poche metafore utilizzate, un discorso chiaro, colloquiale, senza fingimenti.

 

La mia anima sta lasciando i mortali.

Alle mie mani protese, il velo purpureo

dell’ignoto rivela il suo scheletro ferreo.

Ah, se delle onde cessasse il mormorio,

Ah, se della terra tacesse il gioioso canto,

l’anelito dell’alma mia si ascolterebbe.

Poiché fui donna, tu mi hai creata saggia,

con un cuore di cera in superficie, ma in fondo d’oro,

con voce di colomba ed occhi serpentini.

 

Queste strofe profetiche vogliono quasi indicare la sua direzione spirituale.

L’utopia incarnata nel presente era fallita. 

Beatrice fu consapevole che le forze la stavano abbandonando. 

Aveva dedicato l’intera vita ai principi di giustizia e di libertà. Sapeva che quella vita stava finendo. Anche qui il tono confessionale e drammatico dei versi stupisce. 

Non ci sono più interlocutori e lettrici da guidare e illuminare. Sentiva il tramonto e la fine, percependo anche il sollievo dalla sua stanchezza esistenziale. 

Scriverà fino al suo ultimo giorno di vita. 

Sentire di bastare a se stessa, non lasciando figli ma offrendo ai posteri una testimonianza di saggezza e di permeabilità: un cuore di cera dorata e una voce innocente. E gli occhi di serpente. Questi versi indicano delle attribuzioni importanti, quasi un veloce efficace autoritratto: il centro affettivo pulsante, la voce poetante che vibra in profondità, lo sguardo acuto che svela le ombre e i demoni che muovono l’anima. Beatrice nella parte finale della sua vita fu capace di recuperare quella segnatura spirituale che le veniva dalle sue radici africane, marcatura che la spinse a approfondire la filosofia teosofica, in contatto con l’universo esoterico che già da adolescente l’aveva catturata. La sua scrittura rimase la sentinella vigile della sua anima. La poesia si aprì alla scrittura automatica, pozzo ancestrale di connessioni profonde e primordiali, grimaldello per quella costellazione spirituale a cui lei sapeva di appartenere. 

Aveva dedicato tutta la sua vita al risorgimento femminista, aveva rivoluzionato con il suo esempio il copione vittoriano, si era opposta al patriarcato capitalista, aveva vissuto in bilico tra libertà e trasgressione pagando un prezzo altissimo, aveva espresso tutta la sua energia vitale anche rischiando di essere considerata una eccentrica, pazza esibizionista, ma sempre aveva usato la sua penna come un’arma, una lente di ingrandimento, un ancoraggio esistenziale, un mezzo essenziale per ottenere il suo certificato di esistenza. 

Aveva combattuto fino alla morte il silenzio imposto alle donne. 

Purtroppo la storia del Novecento, con il fumo assassino delle guerre mondiali, le restituì quel senso di sconfitta e di fallimento a cui si era sempre opposta. 

La sua utopia anticapitalista, anti patriarcale e anticolonialista conobbe una fase di arresto che la travolse con uno sgomento drammatico e inconsolabile. La malattia oncologica, che la portò alla morte, fu l’ultima metafora che scrisse con il suo sangue. Implose la sua fibra fortissima e il suicidio fu l’atto finale della sua vita, dove Beatrice abbracciò Alice, distruggendosi. 

 

Floriana Coppola

 

  

Bibliografia consigliata:

 

 

  • Anna Beltrametti (a cura di), Studi e materiali per le Baccanti di Euripide. Storia, memorie, spettacoli, Ibis, 2007.
  • Judith Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, Biblioteca Universale, 2017.
  • Emanuela Chiriacò, Le imperfette. Storie di donne nell’Inghilterra vittoriana e post vittoriana, Primiceri, 2020.
  • Hilda Doolittle, Fine al tormento. Ricordo di Ezra Pound. Con le lettere di Ezra Pound all’autrice, Rosellina Archinto, Milano 1994.
  • Clarissa Pinkola Estés, Donne che Corrono coi Lupi, Sperling & Kupfer, Milano 1993.
  • Clarissa Pinkola Estés, Storie di Donne Selvagge, Sperling & Kupfer, Milano 2014.
  • Federico Tortora, Maristella Diotaiuti, Beatrice Hastings. In full revolt, Le Cicale Operose, Livorno 2020. 


[1] Docente di lettere Istituti Superiori statali, scrittrice, poeta, counselor in Analisi Transazionale e Psicologia esistenziale, collabora come critica letteraria in varie riviste on-line. Presidente della SIL (Società italiana delle Letterate).

[2] Maristella Diotaiuti, Federico Tortora (a cura di), Beatrice Hastings, in full revolt, Le Cicale Operose, Livorno 2020, p. 74.

[3] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice Hastings, p. 76.

[4] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice Hastings, p. 78.

[5] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice Hastings, p. 80.

[6] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice Hastings, p. 82.

[7] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice Hastings, p. 86.

[8] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice Hastings, p. 90.

[9] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice Hastings, p. 98.

[10] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice Hastings, p. 100.

[11] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice Hastings, p. 102.

[12] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice Hastings, p. 120.