THE BLUE LADY – LE LIRICHE DI BEATRICE HASTINGS
di Floriana Coppola[1]
- Un mosaico, un giallo, una
storia
“Una
donna per bene non è una donna.
Una
donna per bene non è una poetessa”.
Marina Cvetaeva
Ricostruire la storia di una persona, di
un’artista, è un’impresa audace. Non è semplice ricostruire in modo preciso il
mondo di un’autrice che è stata dimenticata. Un viaggio difficile, un’esperienza
di lettura che si struttura come un giallo.
Tanti indizi da collegare e molte zone
buie da esplorare.
L’interesse verso Beatrice Hastings nasce
in Italia per la prima volta all’interno di un’indagine svolta dal Caffè
Letterario e libreria delle donne “Le Cicale Operose”, a cura di Maristella
Diotaiuti e Federico Tortora, nell’ambito di un più vasto programma di
valorizzazione e diffusione della scrittura delle donne, dei loro linguaggi,
del loro pensiero e agire politico.
Come due archeologi del sapere, direbbe
Carlo Ginzburg, seguendo una metodologia indiziaria, hanno tolto la polvere e
le macerie da questo immane continente creato dalla scrittura magmatica e
poderosa della Hastings.
Un patrimonio culturale da difendere e da
studiare, una pista da seguire. Inchiesta necessaria per restituire alla
memoria della storia delle donne la sapiente figurazione di una donna, di un’intellettuale
assolutamente speciale. Oblio storico e damnatio memoriae, la storia delle
donne è piena di episodi di cancellazione e di oscuramento come è successo a
Beatrice Hastings, intellettuale poliedrica e complessa.
Una persona eccezionale che rischiava di
essere dimenticata come spesso è successo a poetesse, filosofe e artiste,
oscurate dai loro compagni intellettuali e artisti, oscurate da una cultura
patriarcale e sessista. Inaccettabile destino per le donne che stentano ancora
oggi a certificare la meritata collocazione culturale della loro voce nella
memoria storica e politica del proprio tempo. Una questione di giustizia civile
e culturale diventa il recupero della vasta produzione della scrittrice, come
di tutte le donne intellettuali e artiste che hanno vissuto e testimoniato con
la loro scrittura il passaggio epocale tra i due secoli, cercando, come disse
Sarah Grand, the New Woman.
Emily Alice Haigh è il vero nome di
Beatrice Hastings. Di origine inglese, vissuta fino all’adolescenza in Africa,
si trasferì a diciotto anni in Europa, poi a New York, infine tra Londra e
Parigi, dopo aver sentito di essere “speciale” e non addomesticabile dall’educazione
restrittiva riservata alle donne della sua generazione. Lettrice selvaggia e
acuta, sbarcò in Europa con un bagaglio di esperienze culturali molto
originale. Alice volle abbandonare il nome dato a lei dalla famiglia paterna e
inventò se stessa, si rinominò e si partorì diversa. Nasce così Beatrice
Hastings, un’intellettuale scomoda e trasgressiva. Mai compiacente con i suoi
colleghi e con gli artisti della sua epoca, capace di prendere sempre posizione
su questioni spinose che spaziano dalla denuncia femminista dell’educazione
mutilante delle giovani donne, fino all’invettiva contro la politica
capitalista e colonialista.
Necessario restituirle il suo posto
legittimo nel mondo della cultura, delle lettere e del giornalismo europeo.
Beatrice Hastings scrisse e raccontò la condizione femminile del suo tempo,
utilizzando ogni genere letterario, racconti, poesie, fiabe e soprattutto
articoli di giornale, ma non pubblicò mai sillogi di racconti e romanzi con una
casa editrice. Tutto ciò che scrisse venne affidato alla pagina del giornale,
la sua casa culturale. Alice inventò attraverso la sua biografia, la Donna
anticonformista, la Libera Pensatrice, che si pone il compito epico di
smantellare gli stereotipi di genere del patriarcato sessista, affermando il
principio di autodeterminazione esistenziale della donna, di tutte le donne, rivendicando
per se stessa e per le altre il diritto alla scelta consapevole e non
obbligatoria di essere madre e sposa. Il diritto di autodeterminazione del
proprio destino, superando la programmazione sociobiologica del tempo.
Alice riuscì in modo consapevole a
proteggere la sua vita privata. I suoi dolori, le sue tragedie, i suoi affanni
vennero elaborati attraverso la scrittura. Alice/Beatrice doveva essere sempre
una combattente, non doveva svelare le sue fragilità e i suoi problemi. Per
questo Alice scelse un altro nome, un’altra maschera con cui diventare fino in
fondo la persona che voleva essere.
Bisognava affermare con forza vitalistica
e dirompente la nuova volontà di essere donna attraverso il piacere
indiscutibile della scrittura e l’importanza della militanza
intellettuale.
Beatrice Hastings cercava una scrittura
originale e diretta, profonda e molteplice per contenuti e forma. Sperimentò
con passione e disciplina una varietà considerevole di linguaggi, di registri e
di canoni letterari, con lo scopo preciso ogni volta di esprimere il suo
pensiero rivoluzionario e trasgressivo, denunciando con puntigliosa volontà l’offesa
della sudditanza culturale e esistenziale delle donne, prendendo sempre
posizione pubblica a favore degli oppressi, degli esclusi, i poveri e gli
emarginati delle società e del mondo, le donne prima di tutto, le etnie
perseguitate come i neri d’Africa, gli Ebrei, i Rom, i carcerati, i condannati
a morte, i lavoratori sfruttati e sottopagati, i folli, fino alle creature più
piccole e fragili, invisibili quasi, come gli animali.
Aveva visto lo sfruttamento coloniale in
Africa, le condizioni di profondo disagio in cui vivevano i nativi africani a
causa del colonialismo. Aveva visto la violenza degli interessi capitalistici
in Europa, l’assurdità della guerra e la sudditanza delle donne. Beatrice
doveva essere soprattutto una scrittrice politica e la sua è stata una poesia
civile, non ascrivibile a nessuna delle correnti letterarie presenti nella sua
epoca.
Alice partorì Beatrice, una donna non
comune per forza e coraggio, emblema fuori dal coro di una generazione di
intellettuali sul crinale di due epoche, una generazione che diventa adulta
alla fine della Prima guerra mondiale, sconvolta poi dalla Seconda guerra
mondiale.
Propose un modello di libertà femminile,
libertà sessuale e sentimentale completa e trasgressiva, modello che non poteva
essere compreso per il suo radicalismo estremo nemmeno dalle suffragette sue
coetanee e per questo pagò sulla sua pelle un prezzo altissimo: la povertà, l’isolamento
e l’esclusione.
Ma Beatrice non compiaceva nessuno, non si
faceva addomesticare dal bisogno di compiacere chi aveva potere intellettuale e
politico in quel tempo. Da qui i suoi famosi scontri con i pittori, i poeti e
gli artisti suoi contemporanei.
Altro tema portante della sua scrittura
era la libertà del corpo della donna.
Beatrice nei suoi articoli femministi
denunciò l’urgenza di andare contro le donne e gli uomini che spingono le
giovani ad accettare come ineluttabile il destino biologico del parto e della
maternità. Lei si indignava con assoluta passione per le catene che opprimono
la donna, mortificata dalle costrizioni e dai costumi tradizionali. Odiò le
convenzioni sociali e prese posizioni sempre fuori dal coro, opponendosi a ogni
regola che potesse schiacciare la libertà di scelta delle donne.
Scrisse pagine eccellenti, dove spiegava
come le donne anziane siano complici di questo asservimento delle fanciulle
ignare costrette ad andare verso la maternità e il matrimonio, senza nessuna
consapevolezza del martirio politico e sociale a cui erano destinate. Beatrice
scriveva senza mai fermarsi. Il suo diventerà un destino tragico – morì suicida
dopo una lunga malattia – ma non si paralizzerà davanti ai suoi detrattori e ai
suoi finti amici.
Beatrice abitava la sua scrittura come un
corpo.
Nel suo volume Beatrice Hastings in
full revolt, Maristella Diotaiuti scrive: «un corpo contundente, un gesto
indipendente e critico di una donna che vuole dire ad alta voce e a chiare lettere
ciò che reputa necessario, accettando il rischio di suscitare le ire di chi si
sente aggredito dalle sue parole, dalle sue riflessioni, dal suo pensiero».
La sua scrittura era eccessiva,
straripante, indice di una ribellione radicale, di un’inquietudine che non la
abbandonava mai. Studiò la mitologia classica e moderna in modo approfondito e
creativo. L’iperbole, l’invettiva, l’affermazione ironica e sarcastica sono
strategie stilistiche per colpire e scandalizzare, per provocare una vertigine,
un cambiamento del punto di vista tradizionale e così emancipare le donne e gli
uomini da ogni canone tradizionale, da ogni stereotipo di genere.
La sua prosa magnetica e possente, fluida
e scorrevole rappresentò la sua sfida costante contro la logica deformante
degli specchi del patriarcato.
Beatrice, scrittrice, poeta e giornalista
appassionata, nasce personaggia e amplifica questa risoluzione
identitaria attraverso l’uso di tanti pseudonimi, molti femminili e pochi
maschili, per rendere ricca e dinamica la dialettica all’interno delle pagine
del suo giornale, ma anche perché la vita incarnata di Beatrice Hastings era il
romanzo di Alice Haigh che venne recitato ogni giorno dalla sua autrice. Vita,
drammatizzazione e immaginazione si confondono in un’unica grande opera d’arte
e di rivoluzione, vissuta in prima persona.
La giornalista militante prese spesso il
sopravvento sul condominio spirituale di anime di Beatrice. Nei suoi articoli
femministi Il peggior nemico della donna è la donna e Donna ,
creditrice dello Stato, apparsi sul The New Age, denunciò la logica
patriarcale dello Stato, proponendo un suo femminismo dove autobiografia,
politica e antropologia si intrecciavano in un pensiero potente e trasgressivo,
affermando il diritto alla scelta del proprio destino, il diritto alla libertà,
il diritto al lavoro, il diritto al voto, il diritto alla sessualità libera e
consapevole, il diritto al divorzio, il diritto alla giusta retribuzione
salariale.
Denunciò lo Stato perché era in debito con
le donne, per il sacrificio assoluto che impone, senza nemmeno ringraziare,
ottundendo la facoltà di essere coscienti della mortificazione pubblica e
sociale che chiede. Questi contenuti si riversavano di continuo nelle sue
poesie.
Non ci furono confini netti tra scrittura
letteraria e militanza politica.
L’ansia di mondo, come lei stessa
dichiarò, le permise di esplorare ogni tempo e ogni spazio, attraverso un’inquietudine
che si incarnava in un’instancabile ricerca di senso e di significato.
Lo slancio vitalistico la rende indomabile
scrittrice. Il flusso di coscienza, la forma diaristica, la fiaba femminista,
il mito trasformato, l’articolo di giornale, ogni sua espressione intellettuale
e creativa diventò incarnazione della sua volontà di cambiamento. Rifiutava a
oltranza ogni zona comfort per essere coerente con se stessa, con la donna che
voleva essere.
Ultima riflessione su questa emblematica
figura di donna è la sua ricerca tra materialismo e spiritualità, ambito a cui
dedicò molte energie. Teosofa, praticò l’occultismo, l’astrologia, lo
sciamanesimo, la scrittura automatica in modo ossessivo, dal 1924 fino agli
anni Trenta, dimostrando come il suo pensiero potesse spaziare senza nessun
ideologismo tra i temi della giustizia sociale fino alla tensione mistica e spirituale,
stressando così ogni possibile confine, fino a rischiare di essere considerata
folle.
2.
Beatrice e l’epoca vittoriana
Alice sbarcò in Europa e vide,
indignandosi, gli esiti dell’educazione vittoriana, proprio lei che aveva
conosciuto la vita libera e selvaggia della savana africana. Come poteva
integrarsi facilmente nel mondo londinese, dove la sudditanza psicologica delle
donne era ancora palese e poco contrastata? Per capire la condizione di
isolamento e di solitudine che attraversò fino alla fine drammatica dei suoi
giorni, bisogna ricostruire il contesto in cui era vissuta e considerare le
spinte contrapposte di tanti movimenti culturali, politici e filosofici che si
stavano sviluppando tra la fine dell’Ottocento e i primi trent’anni del Novecento.
Occorre tener quindi presente la complessità di questo periodo storico e, nel
contempo, il forte nomadismo di Beatrice, che transitò sin da bambina tra
Africa e Europa negli anni più importanti della formazione di una giovane. La
sua adolescenza era stata fortemente segnata a Port Elizabeth, in Sud
Africa.
Questo continuo cambio di residenza
determinò una difficoltà a strutturare una vera appartenenza a un solo luogo.
Il suo nomadismo biografico rese il suo sguardo profondo e aperto, ipercritico
e distante da ogni dinamica gruppale e compiacente.
Si sentì ovunque fuori posto, una presenza
divergente e ostica, difficile da addomesticare. Anche nella scrittura poetica
si nota questo sguardo periferico, questa capacità di guardare da un’altra
prospettiva ogni vicenda, rendendo simbolico ogni gesto, ogni affermazione.
Da una parte la donna assolutamente sotto
il controllo puritano della famiglia patriarcale, rinforzando un’immagine
ipocrita e formale. Dall’altro uno spirito libertino e provocatorio che la
proibizione sessuale esaltava. Paola Wat, nei suoi studi , conta 3325 bordelli
e 8600 prostitute. La libertà sessuale
era vissuta fuori dalle mura domestiche. Quest’epoca così severa e rigida
rappresentò quindi uno dei periodi più contraddittori della storia
dell’Inghilterra. Le donne si ammalavano, cadevano nella depressione e nella
nevrosi, venivano spesso internate nei manicomi per il loro disagio mentale e
per un comportamento disobbediente che non veniva tollerato ma veniva
stigmatizzato come devianza pericolosa e irrecuperabile.
Essere ribelli voleva dire essere malate
mentali da correggere anche con le maniere forti, come la detenzione
manicomiale in cui erano sottoposte a torture, pseudo terapie che si
esercitavano sul corpo delle donne per sedarle e portarle alla loro preconcetta
“normalità”.
3.
Beatrice e i movimenti di poesia nella
Londra dei primi del Novecento: imagismo, vorticismo, modernismo
Ma come reagirono in Inghilterra e in
Europa le nuove generazioni all’educazione vittoriana imperante? Come potevano sfuggire
a questa castrazione antropologica e sociale?
La storia registra soprattutto la reazione
dei rampolli aristocratici e intellettuali, dei figli dell’alta borghesia
londinese, che si riunirono in società culturali come il Bloomsbury
Group, un gruppo di artisti e studenti universitari che si incontravano
nelle proprie case, principalmente nel quartiere londinese di Bloomsbury,
da cui il nome del gruppo. Anche in Francia e in Italia abbiamo esempi
associativi simili, ma a Londra si ampliò in modo considerevole la militanza
attiva culturale e politica di queste generazioni.
Erano però gruppi caratterizzati da un
atteggiamento elitario e snob, in gran parte poco vicini a posizioni
democratiche e socialiste. L’individualismo tardo romantico e decadente non
predisponeva questi giovani per una critica radicale del sistema sociale
imperante. Volevano vivere liberi ma non erano pronti per pensare di cambiare
il mondo.
Inoltre, in piena esplosione decadente, un
certo individualismo mitomane non rese facile le potenzialità aggreganti
contenute nella scelta controcopionale anti-vittoriana.
Bisognava distinguersi dalla massa
obbediente e compiacente ai dogmi repressivi dell’epoca vittoriana e post
vittoriana e certi atteggiamenti radicali e esibizionisti furono accentuati
proprio dallo sforzo di opporsi ai diktat sessisti e sessuofobici. Bloomsbury rimase un gruppo molto esclusivo e con
stretti legami interni, simile all’indole dei suoi esponenti.
I membri erano fortemente
critici verso i valori del periodo vittoriano ed edoardiano nelle loro costrizioni religiose, artistiche, sociali e sessuali.
Furono dichiaratamente bisessuali, praticarono costumi liberi sentimentalmente,
non accettarono le norme matrimoniali dell’epoca. E le donne e gli uomini
fecero della loro vita intellettuale e letteraria il baricentro essenziale e
formativo, senza prendere subito posizione contro il capitalismo colonialista.
In questo Beatrice Hastings era precoce, aveva fatto già delle scelte di campo
ben precise, non poteva trovare delle alleanze all’interno di queste
associazioni culturali, né gli elementi di questi club potevano accettare
posizioni politiche così radicali. Il giornale The New Age era la
sua piattaforma politica e intellettuale e da questo osservatorio lanciava le
sue feroci invettive.
Più tardi Virginia Woolf
adulta dichiarò il suo anticapitalismo, la sua posizione contro la guerra e la
sua solidarietà verso le donne degli altri ceti. Ma ormai Beatrice era altrove.
L’anticolonialismo della Hastings fu da lei anticipato proprio per i suoi
vissuti in Sud Africa. Era arrivata a Londra già consapevole delle
contraddizioni politiche della madrepatria. Aveva sedici anni quando in una
lettera privata denunciò l’ipocrisia borghese della classe dirigente inglese e
non sopportava le donne dell’alta borghesia che parlavano di liberazione e di
emancipazione, circondandosi di cameriere e di governanti di colore.
Un altro movimento
culturale/artistico con cui Beatrice Hastings avrebbe potuto trovare delle
affinità fu il Modernismo, una corrente letteraria che nacque in Inghilterra
prima della Seconda guerra mondiale, prendendo il posto del
romanticismo. Si diffuse in molti continenti fino ad arrivare in America.
Furono validi esponenti del modernismo Thomas Stearns Eliot, Virginia Woolf ma
il sostenitore più accanito fu lo statunitense Ezra Pound, che promosse anche l’imagismo
e il vorticismo. Anche Ernest Hemingway aderì a questa corrente.
Il modernismo si basava su uno stile
sobrio ed essenziale, preferendo il flusso di coscienza, il monologo interiore,
il discorso indiretto libero, i dialoghi secchi e spezzati, un linguaggio
preciso e coerente con la lingua parlata, aperto a temi prima considerati tabù.
Ma Ezra Pound, personalità difficile, narcisa e profondamente maschilista,
spesso litigò pubblicamente con Beatrice Hastings, soprannominata Lady Virago,
dimostrando il suo maschilismo e la sua incapacità a valorizzare il talento
delle donne.
A Parigi un gruppo di
artisti e letterati tentò una pista associativa. I fratelli Leo e Gertrude
Stein misero insieme una delle prime collezioni di arte cubista, con tele di
artisti come Picasso, Matisse, Derain, e il loro studio divenne luogo di incontro
per artisti e scrittori come Eztra Pound, Ernest Hemigway e Georges Braque.
Ma anche a Parigi,
Beatrice Hastings arrivò tardi, nel 1914, alla vigilia della Prima guerra
mondiale e non ebbe il tempo di integrarsi nella comunità letteraria, mentre
era più inserita in quella artistica. Esperta e sensibile nelle arti e nella
letteratura, espresse senza mezzi termini le sue opinioni critiche verso alcuni
pittori come Picasso e Rousseau e per questo pagò un alto prezzo sociale.
Anche il movimento delle suffragette
avrebbe potuto avere in Beatrice Hastings una grande sostenitrice ma le
posizioni radicali della scrittrice cozzavano con le richieste più moderate
dell’associazione femminile. Per lei non bastava unicamente il suffragio
universale per colmare l’enorme disparità politica e sociale che offendeva e
umiliava le donne.
Bisognava riformare in modo integrale la
società e lo Stato che chiedeva un prezzo altissimo alle donne, affidando la
cura familiare unicamente alla loro gestione e al loro spirito di abnegazione e
di dimenticanza, relegando così le donne a un ruolo subalterno.
Lo sradicamento esistenziale di Beatrice,
il sentirsi una straniera in Sud Africa e una emigrata in Europa, il suo
nomadismo identitario, testimoniano la grande fascinazione verso Olive Schreiner,
scrittrice sudafricana di origine inglesi, che scrisse romanzi e saggi centrati
soprattutto sulla questione coloniale e post-coloniale, denunciando il
servilismo delle donne europee e la schiavitù abominevole delle donne
africane.
Beatrice aveva sposato questa posizione in
modo radicale e appassionato e, come Olive, aveva sentito profondamente il
dramma della non appartenenza, essendo poco tollerata come straniera nella sua
Africa e sentendosi incompresa e criticata in ogni salotto borghese
intellettuale.
Aveva visto il mondo da un punto di vista così diverso da rendere impossibile la sua integrazione in qualsiasi gruppo e scalpitava in ogni contesto, dove registrava la prepotenza maschile contro le donne e la superbia ottusa degli intellettuali che non sodalizzavano con gli ultimi e gli oppressi. Una dicotomia ingestibile che non divenne mai recuperabile.
4.
Beatrice e la sua militanza femminista nel
giornalismo
Diversi fattori contribuirono a cambiare
la struttura commerciale della stampa durante l’Ottocento: la rivoluzione delle
comunicazioni, i nuovi metodi di produzione, le nuove tecniche per la raccolta
delle notizie e nella distribuzione del giornale. Il numero dei periodici si
moltiplicò nella seconda metà del diciannovesimo secolo e il giornale ebbe una
grande influenza politica e intellettuale, anche dovuta al basso prezzo e
quindi alla sua accessibilità.
Fin dal Seicento, le gazzette e i giornali
in Francia e in Inghilterra cercarono di conquistare i favori della parte femminile
di mercato con note di costume, novelle a puntate e passatempi sociali. Il
binomio donne/giornalismo si presenterà più tardi in Europa, creando una
variante ascendente inarrestabile. In Inghilterra molto presto le donne
iniziarono a scrivere per i “Women’s Magazine”.
La stampa femminile si diffuse così in
tutta Europa durante l’Ottocento, fino a progredire esponenzialmente nel
Novecento. Il giornalismo inizialmente aveva una doppia direzione, uno scopo
unicamente commerciale e superficiale, e un altro invece volto al cambiamento
delle condizioni di vita delle donne. Le donne conquistarono finalmente l’alfabetizzazione
culturale e si proposero come maestre, insegnanti, grandi lettrici e collaboratrici
della stampa impegnata e di evasione. Iniziarono a essere dentro il mercato
editoriale sia come utenti che come produttrici culturali. Attualità, varietà,
educazione dei figli consigli familiari, moda, politica e femminismo erano i
temi principali. Emancipazione e rivendicazione dei diritti delle donne divennero
gradualmente questioni prioritarie per alcune intellettuali. La stampa
femminista si pose l’obiettivo di sostenere il cambiamento di costume per le
donne, mentre la stampa femminile aveva come scopo l’enfatizzazione della
femminilità. Alla fine dell’Ottocento in Francia e in Inghilterra iniziò la
militanza giornalistica femminista.
Le scrittrici e le romanziere commentavano
sul giornale sia gli eventi letterari che la politica. Dovevano scontrarsi con
le barriere più o meno esplicite del patriarcato culturale.
Questo le portò in genere più alla
collaborazione che alla fondazione del giornale, per ovvie difficoltà
economiche. Da non dimenticare la nascita, nel 1709, della rivista The
Female Tatler diretto da Mary Manley, commediografa e romanziera di
successo. Uscirono cinquanta numeri di questa rivista che dava grande spazio
alle donne.
Era indubbiamente difficile per i
giornalisti mantenere in piedi l’impresa editoriale, a causa della dipendenza
economica dai finanziatori, che rincorrevano il consenso del pubblico
borghese.
Mary Manley scrisse romanzi scandalistici
e fu anche arrestata per diffamazione, dopo aver screditato esponenti politici
sia whig che tory. Usava infatti la rivista come strumento di pungente satira
politica.
Altra intellettuale fondamentale per
questa militanza letteraria e politica che sfociò anche nella produzione
giornalistica fu Mary Wollstonecraft che fu una delle prime a mettere a fuoco
il problema dell’identità femminile condizionata dalle ideologie dominanti
della società patriarcale. Precorritrice dei movimenti femministi, ebbe un
ruolo preminente insieme ad altre poetesse, tra cui Hannah More, anche nella
campagna abolizionista della schiavitù. Anche in Italia abbiamo delle
anticipazioni interessanti di questa emergente sensibilità femminista da parte
delle scrittrici e delle giornaliste. Ricordiamo Eleonora Pimentel che fondò il
giornale popolare il Monitore Napoletano, esperimento socioculturale della
rivoluzione partenopea. Carolina Lattanzi che fondò e diresse nel 1818 Il
corriere dell’età, di eccezionale durata, fino al 1875. Cristina di Bel
Gioioso lavorò per il Lausonio, giornale politico mazziniano
repubblicano nel 1846, facendo con grande impegno propaganda politica.
Le donne investirono ovunque tempo e
denaro durante l’Ottocento per la mobilitazione patriottica/culturale nei
giornali anche di piccola diffusione, arrivando ad usare pseudonimi maschili
per essere prese sul serio dalla stampa nazionale.
Le giornaliste conquistarono l’indipendenza
economica e divennero donne emancipate.
Londra, Parigi e Milano erano centri
editoriali molto vivaci. Donne che scrivevano per le riviste, romanziere
recensite dai migliori critici, che vengono anche tradotte in Europa. Queste
donne costruirono il romanzo nazionale della modernità femminile e femminista.
Raccontarono la condizione delle donne, l’insignificanza della loro vita di
reclusione domestica. Non erano laureate, avevano una formazione magistrale e
una grande sensibilità letteraria e artistica. Diventarono spesso reporter di
guerra durante la Prima guerra mondiale.
Le femministe in Europa credevano nella
missione giornalistica, fondamentale per sostenere le rivendicazioni politiche
dei diritti. Temi prioritari erano il lavoro e la parità di trattamento
salariale, il voto attivo, passivo, amministrativo e politico, la difesa della
maternità e delle leggi per la protezione della funzione materna.
In questo complesso contesto europeo
bisogna inserire la pratica politica e militante del giornalismo di Beatrice
Hastings. La sua voce forte e prorompente, dall’acceso piglio anticapitalista e
femminista, si unisce e si differenzia in questo fenomeno altamente
interessante di militanza giornalistica delle donne. L’unica casa per Beatrice
fu il giornale. Il giornale fu la sua unica patria. Fu il luogo immaginario
dove abitò la sua militanza politica, la sua scrittura femminista.
Ebbe le prime sue esperienze
giornalistiche pubblicando, nel 1904-1905, nel Morning Telegraph di New
York, all’età di 25 anni. I suoi poemetti umoristici riscossero discreto
successo tra i lettori. Quando giunse a Londra, nel 1906, conobbe Alfred
Richard Orage che in quel periodo stava organizzando, con i suoi sodali, la
fondazione di un giornale anticapitalista e fabianista. Beatrice fu
partecipante attiva fin dalla fondazione del giornale di Orage, il The New
Age. Il suo primo articolo è del 29 agosto 1907, in cui si firma Pagan. La
collaborazione con Orage proseguirà fino al 1920. In questo periodo scriverà
più di trecento articoli politici, femministi, anticapitalisti,
anticolonialisti. Inoltre, vi scriverà recensioni letterarie, poemi, il suo
romanzo breve (Sepolcri imbiancati) le sue novelle autobiografiche (Pages
from an unpublished Novel e The Maid’s Comedy), le sue Impressioni
di Parigi e molto altro ancora, utilizzando circa tredici nomi di
penna.
Nel 1932 realizzò il sogno di fondare un
suo giornale: The Straight Thinker. Vi riversò gli scritti prodotti
negli anni precedenti (Madame Six e The picnic of the babes in the
wood - a Psychic Diary); riaffermò le sue idee anticapitaliste e
antifasciste. Furono gli anni in cui sperimentò la militanza tra le file dei
comunisti londinesi. Nel giornale troviamo, tra l’altro, un’interessante
critica al libro The Story of a soul (1899), l’autobiografia di Therese
di Lisieux. L’esperienza dello Straight Thinker (da lei successivamente
denominato The Straight Bulletin) durò, malgrado i suoi sforzi, solo un
anno.
Nel 1935 pubblicò The Old New Age, Orage and the
others, edito da Charles Lahr (Blue Moon Press), suo amico editore
anarchico londinese. Un pamphlet di quarantatré pagine da lei
inteso per ricostruire e rivendicare la sua produzione nel The New Age,
diluita nei tredici nomi di penna adottati.
Dal 1936 al 1939 si dedicò alla scrittura
dei sei volumi In difesa di Madame Blavatsky. Nel 1938 fondò il suo
ultimo giornale che condusse fino alle soglie della morte (1943): il Democrat.
Un giornale, pubblicato in circa venti numeri, in maniera discontinua per le
scarse risorse economiche, che contiene sorprendenti analisi politiche ed anche
analisi introspettive della sua vita ormai trascorsa. Nel Democrat sono ancora
presenti, finanche in questi ultimi anni, critiche al patriarcato, al
capitalismo, al colonialismo. Assume, in maniera ancor più decisa, posizioni
antireligiose.
Da questa fitta e ancora non integralmente
tradotta produzione giornalistica si evince il grande impegno di Beatrice
Hastings per la militanza giornalistica, vissuta con una capacità straordinaria
di mescolare in modo sincretico riflessione politica femminista, autobiografia
e un punto di vista critico e divergente sulla condizione delle donne nella
società di fine Ottocento. La sua vita vissuta era di ispirazione ai suoi
articoli ma in modo nascosto. Le sue opere letterarie furono pubblicate divise
in puntate sui giornali, come era uso in quell’epoca. Scelta vincente, perché
permetteva anche alle classi indigenti ma alfabetizzate di leggere le sue
pagine. Il suo talento letterario era al servizio di uno scopo preciso:
allargare la consapevolezza delle donne in relazione ai loro diritti di
liberazione e di emancipazione da un copione tradizionale di asservimento al
marito e al maschio in genere. Non era semplice mantenere questo obiettivo
anche dentro redazioni spesso gestite dagli uomini e finanziati anche da poteri
non certo evoluti circa la questione femminista. Comunque, Beatrice andò per la
sua strada, senza scendere a compromessi e dichiarò di volta in volta l’arroganza
maschilista, di cui era vittima e testimone.
Per il giornalismo fu capace di un impegno
assoluto oblativo, che assorbì tutte le sue energie.
Beatrice fu soprattutto una scrittrice
politica e i suoi articoli giornalistici furono sicuramente la sua maggiore e
più acuta profetica produzione culturale. Le principali questioni politiche
riportate nei suoi articoli di giornale fanno riferimento soprattutto
alle battaglie contro ogni ingiustizia sociale, contro il razzismo, contro la
guerra, contro le iniquità e le violenze nei confronti degli esseri più
indifesi. Scrisse per anni sul giornale The New Age, diretto da Alfred Richard Orange, fino a quando si allontanò a
causa di molte divergenze con l’editore. Molti furono gli articoli femministi
legati alla sua riflessione sul corpo della donna e sulla maternità. La lotta
contro il patriarcato sessista fu sempre prioritaria. La politica del lavoro e
del diritto al voto delle donne erano altri nodi spinosi che volle affrontare.
Contro ogni paternalistico atteggiamento concessivo, difese il principio dell’autodeterminazione
della donna in ogni questione politica, sociale e privata. Affermava con forza
che nulla andava concesso come un’elemosina mortificante ma bisognava lottare
per rompere la logica patriarcale che sottometteva le donne e risvegliare nelle
donne stesse la dignità politica, l’orgoglio culturale, la passione verso il
proprio talento. Anche le madri e le anziane dovevano smettere di essere
complici di questa concezione maschilista e misogina, che umiliava la libertà
di azione politica, sociale, culturale e familiare di ogni giovane donna.
Ogni altro genere che sperimentò non ebbe
nella sua vita tanto spazio quanto la sua attività giornalistica e di reporter.
Il numero elevato di contributi giornalistici veniva affiancato dalla sua
produzione letteraria e poetica. Il gruppo di liriche rappresenta la punta
apicale di un iceberg, indicano in modo chiaro l’urgenza politica di Hastings
di affermare in ogni modo, con ogni strumento letterario e intellettuale a disposizione,
l’ingiustizia esistenziale storica e sociale che le donne della sua epoca
vivevano. Bisognava aiutare la sua generazione a emanciparsi dalle normative
comportamentali patriarcali, che erano diventate ancora più penose durante l’epoca
vittoriana.
Il copione della donna angelo del focolare, asessuata e schiava del marito doveva essere debellato e distrutto, per esaltare la libertà di azione e di pensiero.
5. Beatrice e le altre
La storia di Beatrice/Alice è vicina a
quella di alcune sue contemporanee, intellettuali, poetesse e scrittrici, che
riuscirono come lei a superare questi diktat interni sperimentando un
comportamento controcopionale necessario per liberarsi dalla programmazione
educativa di quell’epoca: libertinaggio, promiscuità sessuale, egocentrismo
mitomane, individualismo eccentrico, travestitismo, dandismo lesbico e ogni
sorta di comportamento che potesse scandalizzare e scuotere l’ottusa borghesia
inglese e francese.
Questi comportamenti trasgressivi per
contrastare il proibizionismo imperante diedero vita a atteggiamenti che
possiamo anche definire narcisistici, autolesivi e lesivi ma che corrispondono
a una fase necessaria di liberazione dai lacci oppressivi di quell’educazione
mortificante.
Una generazione europea di donne che hanno
dovuto e voluto spingere la loro vita ogni oltre confine, per raggiungere non
solo l’indipendenza professionale attraverso la scrittura, ma anche perché
sentivano l’urgenza profonda di libertà e di realizzazione personale, oltre
ogni asservimento.
Alexandra David-Néel, Katherine Mansfiled,
Vanessa Bell, Vita Sackville, Virginia Woolf, Karen Blixen, questi nomi e tanti
altri vengono in mente.
Donne che hanno vissuto tra la fine dell’Ottocento
e l’inizio del Novecento, che hanno conosciuto prima il fermento europeo dovuto
ai processi di urbanizzazione e di industrializzazione e poi la terribile
tempesta destabilizzante del primo conflitto mondiale.
Donne borghesi e aristocratiche che erano
state prima formate per enfatizzare le loro doti intellettive e creative e poi
erano state frustrate dall’esclusione maschilista e dalla misogina delle
istituzioni di quell’epoca.
Donne che avevano cercato di farsi strada
nel mondo della scrittura attraverso la sperimentazione di tanti episodi
editoriali. Infatti, i libri, per questa generazione di donne, erano dei veri e
propri passaporti identitari, per sentirsi libere e realizzate, per entrare nel
mondo del lavoro con orgoglio e fierezza della propria intelligenza e non per
essere le belle mogli di uomini importanti.
Donne che avevano avuto bisogno di una
maschera, di uno pseudonimo, per emergere in una società fortemente
maschilista, sessista e patriarcale.
Costruire il mito di se stessi, plasmare
un’armatura per reggere la frustrazione e la pesantezza di un compito gravoso
come quello di non compiacere il potere maschile e sessista, cercando di
promuovere la libertà della donna in tutte le sue espressioni.
Siamo agli albori del pensiero femminista,
bisognava pagare questo prezzo sociale: partire da se stessa, mostrare un modo
di agire e di essere totalmente diverso da quello omologato, essere una donna/
uomo, aggressiva e assertiva, seduttrice e non sedotta, a costo di non essere
capita, di essere fraintesa e di essere allontanata.
Beatrice sapeva di stare nella verità ma i
tempi non erano dalla sua parte. La Nuova Era sembrava ancora molto lontana da
realizzarsi.
Gli uomini/artisti volevano donne serventi
e adoranti, specchio riflesso della loro fama e del loro successo, gli
intellettuali non gradivano essere criticati liberamente da una donna che non
si inchinava alla loro leadership.
Hastings fece molto rumore, troppo rumore
per quei tempi, ed era una donna forte e volitiva. Troppo per quell’epoca in
cui anche le intellettuali più femministe mostravano delle fragilità e un certo
ossequio verso i loro compagni di avventura.
6.
Beatrice e la poesia
Rosso
è il mio corpo di sangue e rabbia,
ma
io mi bagnerò in acque di montagna,
e
la furia calmerò poi consacrando il rito
invocato
dalla fanciulla mortale.
Beatrice
Hastings
La poesia è un codice letterario
particolare, evocativo, simbolico, immaginale. La produzione letteraria e
politica di Beatrice non è stata ancora tradotta interamente in italiano ma già
dalla breve silloge presente nel testo Beatrice in full revolt possiamo
avere un forte assaggio della sua scrittura poetica. Una scrittura poliedrica
per forma e per contenuti, che spazia dalla poesia simbolica e surrealista a
quella ad alto contenuto mitologico e teosofico.
Il gusto per il favoloso, il fantastico
mutuato forse dai fratelli Grimm – tra le sue letture giovanili - si miscela
alla suggestione delle terre d’Africa, con tutto il loro fascino fatto di
mistero, di magia, di ritualità e di sacralità. Alice leggeva i romanzi
marinareschi e d’avventura di Beecher e Marryat, l’antologia poetica Palgrave’s
Golden Treasury a cura di Francis Turner Palgrave, grazie alla quale scoprì
poetesse che saranno fonte di ispirazione per la sua futura scrittura poetica,
tra le quali Elizabeth Barrett Browning, poetessa inglese dell’800 grande
fautrice del Risorgimento italiano, Jane (Jean) Elliot, Anna Laetitia Barbauld,
Carolina Nairne, Anne Lindsay, Felicia Hemans. Più avanti lesse Oscar Wilde,
Thomas Pringle, George Moore, Marie Corelli, Grant Hallen, quest’ultimo autore,
tra l’altro, di The Woman who did che narra di una donna emancipata e
indipendente. Nella bellissima biografia di Stefan Grey, viene riportato quanto
fosse legata all’antologia The Oxford Book of English verse e alle
poesie di Alfred Tennyson, testi che conservò fino alla fine dei suoi
giorni.
Come ho già detto prima, spicca su tutte
la lettura di Olive Schreiner, grande scrittrice sudafricana, pacifista, una
tra le prime autrici femministe della storia, che consegnò al mondo riflessioni
senza precedenti sui diritti delle popolazioni native africane e sull’emancipazione
femminile, scrittrice che sicuramente deve aver molto influito sulla sua
formazione, indirizzandola verso quelle che saranno le sue posizioni future nei
confronti dei primi movimenti femministi di metà Novecento.
A una prima lettura della breve silloge
contenuta nel testo Beatrice Hastings in full revolt emergono alcuni
dati in comune delle liriche. La scrittura poetica di B.H. utilizza un lessico
altamente simbolico, che prende ispirazione dalla sua formazione classica e
mitologica.
Il portato trasgressivo delle liriche fa
emergere la potente passionalità dell’autrice e il suo bisogno di testimoniare
il suo diritto al piacere e all’amore, al di fuori di ogni schema. La necessità
di individuare un pubblico di lettrici a cui dedicare i suoi testi è il segno
forte della sua militanza politica. La poesia e la scrittura sono vissute
soprattutto come strumenti di emancipazione e di liberazione delle donne da
qualsiasi oppressione.
Beatrice rimane sempre una giornalista
politica in ogni suo sforzo letterario.
Quando sceglie di esprimere una modalità
esistenziale e autobiografica, si contrappone in modo antitetico al costume e
agli stereotipi dell’educazione delle donne, legata all’epoca vittoriana e
post-vittoriana.
Il suo “polimorfismo” segue quest’urgenza
strettamente politica. Nelle sue liriche si struttura la centralità dell’io
poetante, quasi in perenne conflitto con il mondo patriarcale a cui non si
sottomette.
La presenza del linguaggio del corpo è un
punto di partenza della sua scrittura.
L’ampiezza dei temi in questo gruppo di
liriche che fa capire la portata del mondo interiore della Hastings. Il
linguaggio mistico e metafisico erompe con forza in alcuni componimenti.
Tutte le liriche furono pubblicate nel suo
giornale The New Age. Non è un caso che non furono mai pubblicate in un
volume singolo a sua firma. Anzi, firmò queste poesie con moltissimi
pseudonimi, per moltiplicare i contributi presenti in pagina. Il giornale
ospitò grandi nomi della letteratura di quell’epoca ma Beatrice Hastings si
prese il compito di vivacizzare con un grosso dibattito la vita del giornale.
Fu una vera e propria drammaturgia applicata al mondo della scrittura
giornalistica. Anche la poesia fu per lei ancella di questo obiettivo politico
prioritario.
Dare spazio e voce alle donne, usando ogni
mezzo possibile. Questo stratagemma utilizzato da Hastings rende difficile la
ricostruzione autobiografia e letteraria di questa scrittrice. Celandosi dietro
tanti personaggi femminili, creando un immaginario trasgressivo e audace
intorno alla sua figura e volendo con grande forza e passione sollecitare l’attenzione
pubblica verso la questione femminile, non ha reso facile ai posteri la
costruzione complessiva della sua poetica.
Possiamo dire che Beatrice fece della sua vita un’opera d’arte, dove lei era la regista, l’attrice protagonista e la costumista. Creare un mito al femminile, rompendo ogni schema per dare vita a un modello incarnato di donna libera e autonoma da qualsiasi figura maschile, anche a costo di nascondere le sue fragilità, le sue debolezze, la sua disperazione. Non volendo essere una donna angelicata, specchio del maschio narciso e predatore, ma nemmeno una donna geisha seduttiva e provocante, sempre schiava dello sguardo maschile, scelse la via più dura: la donna virile, che enfatizza il suo tratto aggressivo e provocatorio, non cedendo alle lusinghe del copione femminile.
Parto dal primo titolo The Blue Lady e
la prima suggestione che mi viene in mente è lo spleen, la malinconia
struggente della signora in blu, nostalgia per qualcosa che non c’è più, che si
è perso. Quel blue ricorda la tristezza che a volte torna nelle sue
poesie, dietro quella voce epica, dietro le invettive atroci che costruisce con
la potenza virile di una Cassandra infuriata. È questa tristezza che lentamente
viene fuori, si lascia scoprire piano piano, quasi una confessione a fior di
labbra, lei che non ammetteva mostrare le sue debolezze, il suo pudore nel
vivere i sentimenti.
The Blue Lady (The New Age, 24 ottobre 1908)[2]
We met, and round
our clasping hands
Love wreathed his
rose and lily bands
Ci incontrammo e attorno alle nostre mani
L’amore avvolse nastri di rose e gigli
Tre terzine ben strutturate, con i primi
due versi in rima baciata e il terzo verso di ogni terzina con rime al mezzo.
Grande musicalità, magistrale nella descrizione dell’incontro con l’amore, il
dettaglio oggettivo risponde al richiamo della relazione. La fisicità
prorompente della sua scrittura emerge nelle metafore racchiuse nel testo: mani
come gigli, il fiore sul seno. Potrebbe essere sia un riferimento nascosto al
grande dolore della perdita per la figlia perduta. Potrebbe essere anche il
riferimento a una donna amata e poi allontanata. Un gioco sottile di rimandi
simbolici e affettivi. Beatrice mantiene un’aria di mistero intorno a questo
testo. Lei amava gli uomini e le donne con la stessa intensità libera e
appassionata, costruisce il mito spavaldo della sua libertà sentimentale.
Nasconde i suoi sentimenti materni e solo in queste poesie a tratti svela con
alcuni dettagli il suo mondo affettivo. Deve mantenere la sua maschera di donna
volitiva, libera, emancipata.
Dichiara la sua ribellione alla morale
dell’epoca, spavalda e ignara di qualsiasi rispetto, senza schemi pregiudiziali
che possano inibire la sua voce. Come vedremo anche nelle altre poesie,
Beatrice cerca di individuare una sua pista di ricerca letteraria poetica al
confine tra le due correnti a lei contemporanee, la poesia georgiana,
estetizzante e conservatrice, e quella modernista, sperimentale e colloquiale
ma governata da una leadership esclusivamente maschilista. Adotta quindi
stilemi tradizionali come il rispetto della metrica, ma introduce contenuti di
grande trasgressività. Sentimento, passione e ribellione sono i nutrimenti di
molti dei suoi accostamenti verbali.
Imitation of the
Persian (The New Age, 5
novembre 1908)[3]
I have come to
thee, Belchazar
I have left the
halls of pleasure;
For my feet go
slow in dancing
Since thou
taughtst thy mystic measure.
Io sono venuta a te, Belchazar
Io ho abbandonato le sale del piacere
per questo i miei piedi danzano lentamente
nella maniera mistica che tu mi hai insegnato
In questo testo, i riferimenti si
intrecciano pericolosamente, il piano simbolico della citazione al mito
persiano aprono al passaggio dall’incontro sensuale a quello mistico. La struttura
lirica mantiene un richiamo di allitterazioni e assonanze che danno ritmo e
melodia al brano: pleasure, measure, leisure, azure, treasure. Anche l’inizio
ha grande potenza espressiva con il pronome in prima persona ripetuto due volte
a inizio verso. Belhazar chiude il primo verso, Narezza chiude l’ultimo
verso. Cosa cerca Beatrice scomodando due riferimenti culturali persiani? Come
nella fiaba capovolta della Peri, la Hastings utilizza il sostrato
filosofico/mitologico per darne una versione originale e personale. Il
patriarcato sessista, che vuole sottomessa e muta la donna sia nella cultura
europea che in quella mediterranea, viene rovesciato dalla coscienza dell’autrice
che non si sottomette alle logiche di asservimento psicoesistenziale, ma
afferma la liberazione da ogni schema copionale femminile, l’emancipazione
della donna, la sua centralità nella danza immaginale. Lei è sempre al centro
della sua relazione sia culturale che sentimentale, ne conosce l’ampiezza e
ogni gioco. Favorisce una conversazione paritaria, attiva e vivace, mai
dipendente oppure ancillare.
Metamorphosis (The New Age, 10 dicembre 1908)[4]
Una poesia piena di riferimenti
mitologici, il conflitto appassionato e sanguigno tra le due forze, l’Apollineo
e il Dionisiaco. Il principio della ragione e le sue regole contro il principio
del piacere e
la sua follia ebbra e istintiva. Eppure, l’autrice
chiama Apollo “folle incantatore”. Il principio del piacere e il principio dell’ordine
e della ragione sono qui in conflitto in una danza mortifera. In un certo
senso, l’autrice cerca di concettualizzare e trasformare simbolicamente quella
battaglia interiore che la rese protagonista sofferta di tante relazioni
difficili. Lei non cerca nella poesia la confessione autobiografica chiara e
comprensibile ma si cimenta in un discorso poetico misterioso e oscuro, dove la
simbologia mitologica vuole velare ogni dissidio, cercando di innalzarlo come
configurazione trascendentale di una lotta cosmica tra energie
contrapposte.
The foul
Apollonian enchamenter has laid upon me his dark finger
L’apollineo folle incantatore mi ha sfiorato con il
suo dito oscuro
Qui presenta come vittima sacrificale
Dioniso, all’interno del rito magico-metamorfico. Il ritmo è incalzante e
veloce, molti i richiami fonici: bleating, bleeding, leaping, beating,
seeing. L’azione viene rafforzata quindi dalla forma verbale del gerundio.
E poi forme imperative che, con voce potente, segnano la trasformazione, la
metamorfosi che apre lo scenario alla baccante Chloe. La donna trionfa e
scaglia il suo corpo guizzante verso il sole, il corpo nato dalla carne
squarciata di Dioniso.
Le scelte lessicali sono di scarto, parole
di grande sapore terragno e animale si distinguono nel testo.
La metamorfosi è parola pregna di
significato per Beatrice. Capovolgere il mito per guadagnare un rispetto per la
storia di emancipazione della donna, che abbandona il suo destino biologico per
trasfigurarsi in un’altra creatura che anela alla libertà. Anche il mito viene
piegato all’aspirazione liberatoria dell’emancipazione femminista. La
metamorfosi animistica apre al cambiamento profondo del destino della donna
capace di trasformarsi, attraversando un infernale martirio.
Loose me, ye
daughters, now leaping,
Beating these hoofs
on your hauches
Thrust me back,
tear from this carcase
Wool, skin,
horns-all that disguises
Liberatemi, o figlie, ora avanzo
colpendo con gli zoccoli le vostre cosce
respingetemi, strappate da questa carcassa
vello, pelle, corna, tutto ciò che maschera!
Il mito della Baccante ritorna in molte
delle poesie della Hastings. Seguace e sacerdotessa di Dioniso, protagonista
del culto orgiastico, capace di correre e danzare per i monti in stato di
ebbrezza, accompagnandosi con cembali, timpani, flauti e altri strumenti. Al
culmine dell’esaltazione, il mito racconta che le baccanti divoravano crudo l’animale
sacro per impossessarsi della divinità. Il mito rappresenta la donna scatenata
e focosa, libera di esprimere il suo desiderio. Non è un caso che Beatrice prenda
questo mito e lo faccia proprio, contro la morale vittoriana di fine secolo che
voleva la donna mite e sottomessa, suddita silenziosa e compiacente, vestale
del matrimonio e del suo uomo, dedita ai figli e al focolare domestico. Sceglie
il mito della Baccante, come benzina primitiva del processo di liberazione del
femminile, riconoscendo nelle divinità greche e romane i semi di questa
emancipazione, zittita poi dall’algida sublimazione cristiano-cattolica. La
risposta alla società inglese vittoriana è chiara e lampante. Chiama attraverso
il verso le donne come possibili alleate di questa metamorfosi. Beatrice
Hastings riconosce nella sua produzione poetica tutte le donne come
interlocutrici privilegiate di ogni sua narrazione in versi.
Mind pictures (The New Age, 20 maggio 1909)[5]
…
What other have I
seen in istant flashes?
A brown skinned
boy
Of red spiked aloe
A woman fleeing
Nor kith nor kin
nor ox nor ass nor anithing
Cosa altro io ho visto nei lampi di un momento?
Un ragazzo bruno addormentato
Un cespuglio di aloe dalle rosse spine
Una donna in fuga
Né amici né familiari né bue né asino né niente
Ho voluto stravolgere questo testo di
grande commozione, per indicarne la forte valenza simbolica e mistica. La
domanda posta al centro della poesia è un indicatore molto importante. Beatrice
ha avuto una visione e l’ha trasformata in versi. Ha visto una scena di grande
impatto emotivo, che ricorda la natività cristiana e la profezia della
Passione. Il testo rende il senso universale della nascita. Maria è una donna
in fuga come tante, che cercano di ripararsi dal dito puntato di un paese
fanatico, deve nascondere la sua vergogna, non ha nessuno, è sola. La nascita
viene rappresentata da una visione simbolica; il fiume possente che si getta
nel mare, il fiume stretto dalle due scogliere, quasi a dipingere la nascita
del bambino che esce dal grembo materno, tra le cosce della donna. L’immagine è
piena, tracciata con linee spesse e precise, quasi dei solchi scuri e
graffianti. La scrittura simbolica di Beatrice qui ha una segnatura profetica e
coinvolgente. Ma la donna che fugge è più sola della Madonna, non ha un
compagno né amici, nemmeno il bue e l’asino per avere calore. In questa
dimensione triste e malinconica, Beatrice vuole ricordare la maternità delle
donne, quando hanno un figlio fuori dal matrimonio, e sottolinea con
indignazione il marchio di una condanna morale da cui devono fuggire e
ripararsi. Non sappiamo se questa lirica ha una gestazione autobiografica.
Potrebbe essere.
Comunque, Hastings era sicuramente sensibile al dolore
delle donne e alla battaglia contro ogni moralismo bigotto e superficiale.
Inoltre, questo testo permette di ricordare la sua vocazione spirituale, la sua
scrittura metafisica che la porterà a interessarsi attivamente al pensiero e
all’opera della fondatrice della scuola di teosofia, madame Blavatsky. Beatrice studia la teosofia, una dottrina che unisce
la conoscenza mistica con l’indagine scientifica. Sa, attraverso questo
studio esoterico e metafisico, che ogni simbolo è un portale, sa che può essere
percepito un altrove che supera la realtà. Conosce la simbologia animistica
africana. Questa miscellanea culturale e spirituale la rende ancor più poco
assimilabile alle logiche occidentali e materialiste della cultura inglese di
quei tempi. La sua poesia è intrisa di simboli esoterici, poco decodificabili
da chi è a digiuno della cosmologia teosofica. Anche in questo caso si dimostra
capace di superare ogni classificazione possibile. In un mondo che si stava
aprendo al materialismo storico anticapitalistico, lei si interroga sulla
relazione tra materia e spirito.
The Child’s Burial (The New Age, 20 maggio 1909)[6]
Questa lirica, forse autobiografica,
chiarisce in modo disarmante quanto Beatrice avesse attraversato con grande
passione materna la nascita e poi la desolazione infinita del lutto di un
figlio. Ogni verso di questo testo è costruito sulla grammatica del sentimento
materno, esprimendo grande empatia verso la relazione tra madre e figlio.
Spiega con forti accenti drammatici il dolore del parto e poi della perdita.
Inoltre, tra i versi serpeggia la visione spirituale dell’autrice che afferma
la sua fede nel mondo ultraterreno. Lei, anticapitalista, femminista e
anarchica, non si vergogna del suo misticismo, emerso fuori da ogni religione
ortodossa. Quel sentimento che la spinge a immaginare l’altrove, oltre l’asfittica
impostazione materialista che si stava affermando nella sua epoca. Questo testo
chiarisce che Beatrice Hastings comprende a pieno l’amore filiale, la compassione
profonda verso le donne che soffrono come madri per il parto, per l’aborto e
per la crescita difficile dei figli in un’epoca dove la mortalità infantile era
altissima. Da alcuni racconti autobiografici si allude infatti alla morte della
sua bambina proprio per una tragica influenza mal curata. Conosce la situazione
indigente delle donne del proletariato urbano e ne prende le difese. Nei suoi
articoli politici vuole sottolineare l’importanza consapevole della scelta
della maternità, nella piena coscienza del dolore e del sacrificio che
comporta. Lei combatte la mistica della maternità come destino assoluto e
programmato dalla società patriarcale ma comprende, per averlo vissuto
direttamente, lo slancio affettivo che ogni donna sente verso la sua creatura.
She passed a day
dovoid of all save time
For she had
clasped the tiny infant form
…
And then, a second
time, her woman’s woe
Knew for the
child, and she delivered it
down at Death’s gateway…
Lei trascorse un giorno vuoto pieno di tempo
poiché lei strinse a sé il corpo minuto del bambino
…
E allora per una seconda volta soffrì per la sua
creatura
il suo dolore di donna e lo consegnò ai cancelli della
Morte
I versi hanno un movimento che va dall’alto
in basso attraverso lo sguardo della donna che, in modo intermittente e
vertiginoso, guarda il cielo e poi la terra, sgomenta e atterrita da quel
destino di dolore che non riesce a evitare. Proprio questo dramma tanto
sofferto da B.H. ha reso feroce la sua invettiva verso le donne anziane che non
rendono ben informate le giovani di questo grande mistero della maternità, che
induce a una vera rivoluzione psicofisica, sociopolitica di ogni donna. Negli
scritti autobiografici che prima citavo, lei parla di un lutto di una madre, ma
si firma Beatrice Tina. Ha lasciato pochi indizi della sua vita personale. La
costruzione del suo personaggio pubblico calamitava tutte le sue energie, e
dietro quella pagina sicuramente nasconde quel dramma della perdita che questa
poesia così bene e in modo così struggente descrive e racconta.
Qui si comprende che Beatrice Hastings non
rinnega l’amore materno e il carico emozionale e concreto che implica ma, come
poi spiega chiaramente nei suoi articoli femministi, denuncia la poca
informazione verso le giovani generazioni circa il prezzo alto, fisico e
psicologico che le donne pagano nell’affrontare la maternità. Lo scontro
generazionale tra le donne è il risultato del grande condizionamento che il
patriarcato secolare ha prodotto sul genere femminile. Altra profezia di
Beatrice: spesso sono proprio le donne le peggiori nemiche delle giovani che
vogliono emanciparsi. Quasi un bisogno sadomasochistico di trattenere il
cambiamento.
Le poesie possono servire quindi a fornire
quel valore aggiunto alla persona, indicando la sensibilità della scrittrice
che usando la forma lirica riesce a far arrivare più facilmente i suoi
sentimenti e la sua drammaticità. La Beatrice giornalista militante femminista
aveva il compito difficile e gravoso di non abbassare mai la guardia rispetto
alla sua battaglia prioritaria: la liberazione delle donne dal destino
copionale voluto dal patriarcato occidentale.
A lyric (The New Age, 26 agosto 1909)[7]
They showed me
roses and I came to earth
Mi mostrarono le rose e io scesi sulla terra
…
And always looked
I out for the great Rose Garden
E sempre guardando io cercavo il Giardino delle Rose
…
Questa lirica è una delle poesie più
complesse e affascinanti di Hastings. A cosa fa riferimento quando parla del
Giardino delle Rose? È forse il luogo spirituale che lei cerca e di cui si
sente parte? Ricordiamo che Beatrice era appassionata di filosofia metafisica,
diventando in seguito studiosa di teosofia. Qui possiamo leggere la ricerca
della via interiore simboleggiata dal Giardino delle Rose. La rosa è il simbolo
del processo di cambiamento, della trasmutazione alchemica come il fiore di
loto, il diamante e la luce bianca. Sono simboli presenti nei sogni spirituali
e nei manuali alchemici e iniziatici. Simboli del risveglio e del cammino
evolutivo della persona. La rosa schiude i suoi petali, si apre al mondo,
presenta un irraggiamento centrale, indica il saper dare e il saper ricevere. È
segno dell’apertura del cuore, indice di amore cosmico.
Nella poesia la visione continua piena di
altri simboli, un uccello e tre farfalle, un mare in piena, il vento e la
chiusura finale del nido e dei capelli. L’uccello è simbolo di elevazione
spirituale. Le tre farfalle sono simbolo sempre di metamorfosi spirituale e di
cambiamento positivo. Il colore oro indica la perfezione come il numero tre che,
secondo la numerologia alchemica, è il numero dell’esplosione. La farfalla
parla dell’immortalità dell’anima. Si può dedurre che Beatrice abbia descritto
in questa poesia un sogno premonitore che parla della sua ricerca
spirituale.
Nel 1909 Beatrice vive a Londra, ha
quarant’anni, conosce la Società Teosofica. Beatrice è sensibile ai temi
spirituali, già da lei sperimentati negli anni giovanili in Africa, come
conosce i rituali magici dei nativi africani. La donna è al centro di questa
narrazione lirica, agisce e si muove in armonia con questi simboli che sfiora e
che insegue. Negli ultimi dieci anni della sua vita, Beatrice si farà attiva
promotrice della Scuola di teosofia di Madame Blavatsky e questa poesia sembra
proprio un manifesto in codice della ricerca spirituale libera da ogni
parrocchia, da ogni ortodossia tradizionale.
Vashti (The New Age, 25 novembre 1909)[8]
In questa potente lirica Beatrice usa la
mitologia persiana per rovesciare lo stereotipo della moglie servile e
obbediente. Vashti, la regina, si ribella e non obbedisce al re, si rifiuta di
ballare la danza tradizionale davanti agli ospiti della corte. Fa un atto
scandaloso di rivolta. E lo dedica a tutte le donne, indicando la via dell’indipendenza
e dell’autonomia. Il diritto alla libertà oltre ogni costume. La lirica è
costruita in modo sapiente, attraverso dei passaggi: dal tono descrittivo della
scena fino all’invettiva frontale, quasi una breve drammaturgia in un solo
atto. La visione che si para dinanzi agli occhi è chiaramente simbolica: il
manifesto femminista di Hastings prende la voce e il corpo della regina Vashti.
Tonight i am
Queen! See the blue, green and white,
the tassels all
golden
And silk cords of
purple. A thousand lamp light
The feast I have
holden
Stasera io sono la Regina! Guardate il blu, il verde e
il bianco
i drappeggi dorati
E i nastri di purpurea seta. Mille lampade illuminano
la mia festa.
Beatrice non scende a compromessi, l’affermazione
è lampante. Vashti disobbedisce con fierezza e orgoglio, difende la sua
dignità. Questo messaggio era assolutamente in contrasto con l’educazione delle
donne della sua epoca. Le mogli secondo l’etica vittoriana e post vittoriana
dovevano essere obbedienti e servili, dedite alla famiglia e ai figli, alla
casa e alle incombenze domestiche. Erano fioriti manuali sulla donna perfetta
che si allineava alle richieste patriarcali del marito.
Le donne che cercano di sperimentare una
nuova etica comportamentale pagano un prezzo altissimo, vengono considerate
imperfette, scandalose, stolte. Vengono accusate di disordine morale e di
instabilità psicologica.
E infatti anche Beatrice dovrà subire il
disprezzo dei suoi contemporanei. Non è facile superare il limen imposto dagli stereotipi dell’epoca. Qualcosa sta cambiando e
le menti delle donne più aperte e sensibili registrano questo cambiamento,
anche subendo poi l’emarginazione e la solitudine.
Il ritmo lirico del testo segue una
scenografia precisa che permette al lettore di visualizzare l’andamento
coreografico della storia narrata in versi.
The Lost Bacchante (The New Age, 9 giugno 1910)[9]
My body is red
with wounds and rage,
But I’ll bathe in the
mountain lake
And I’ll case my
spite by blessing the rite
Which the mortal
maid did make.
Rosso è il mio corpo di sangue e rabbia,
ma io mi bagnerò in acque di montagna,
e la furia calmerò poi consacrando il rito
invocato dalla fanciulla mortale.
In più di un testo poetico e nelle fiabe
compare la figura mitologica della Baccante, quasi una scelta identitaria da
parte di Beatrice, un Alterego che, pur ispirato a una tradizione mitologica,
ne stravolge il significato, appropriandosene in chiave femminista.
Le Baccanti erano donne in preda alla
frenesia estatica, prese dalla forza vitale del dio Dioniso. Erano capaci di
una sensualità sfrenata, che produceva anche stati di trance mediatica,
danzando un rito iniziatico. Le Baccanti sono realmente esistite e mitizzate
poi negativamente come donne selvatiche, vestite con pelli di animali, coronate
di edera e foglie di quercia. Donne che abbandonavano le case e le famiglie per
celebrare il dio Dioniso, rifugiandosi sui monti. L’adorazione del Dio liberava
l’istinto delle donne, istinto represso nella gabbia dei ginecei. Un mito che
inneggia alla libertà delle donne e all’urgenza di ribellarsi alla prepotenza
maschile, recuperando il loro spirito guerriero e vitalistico.
Beatrice riprende con
slancio questo messaggio di emancipazione e di ribellione. Lancia
un messaggio di sfida verso la retorica tradizionale vittoriana e post
vittoriana. Canta la sua rabbia e la sua indignazione per ogni schiavitù delle
donne ed esalta la libertà di scegliere la propria vita sentimentale e le
proprie scelte sessuali. La centralità sanguigna della strofa citata afferma la
potenza dell’Io femminile che seduce e domina la passione amorosa, fino alla
trasformazione della fanciulla in dea danzante. Un testo epico per la sua forza
espressiva e per la capacità di tradurre la dolorosa mutazione della donna che
deve perdersi per ritrovarsi.
Nei versi, il linguaggio cinestetico e
corporeo è presente senza alcuna vergogna. Dal corpo e dalla sua rabbia,
Beatrice parte per esprimere la sua volontà di esistere, quell’ansia di mondo
di cui parla nei suoi scritti. Essere coerenti con questo principio non sarà
facile per lei, che pagherà ad alto prezzo la sua libertà di vita e di
pensiero.
In the presence (The New Age, 15 settembre 1910)[10]
To whom should I
confess-to thee, O Priest?
My earliest prayer
Lies yet upon that
altar which I trimmed
With hope and
innocence and faith undimmed:
I may bring none
of these, this later year.
To whom should I
confess - Nature to thee?
To this, through thee,
have I come.
Thou led’st to
giddy heights, then cast me down
And mocked me with
thy buoyant hills, thy noon,
Thy birds which
sing while I lay bruised and dumb.
To whom shall I
confess - to you, O Men?
Nay! Ye would
hurry by,
Each with his
timid, bigot stone to fling—
Less for despite
of me or my sinning
Than fear the
other deem him bad as I.
To whom shall I
confess? To Thee, O Soul?
Naked I kneel, and
shade
My eyes to shut
out all but the clean sand
Whereon I write,
with unabsolving hand,
My sin-and next,
the new vows I have made.
A chi mi potrò confessare? A te, o Sacerdote?
La mia prima preghiera giace
ancora sullo stesso altare a cui portavo
speranza ed innocenza e luminosa fede:
niente di tutto ciò conservo adesso.
A chi mi potrò confessare? A te, Natura?
A questo punto giunsi grazie a te.
Tu mi innalzasti e poi precipitasti in basso,
mentre io giaccio ferita mi deridi
con le colline e il canto degli uccelli nel meriggio.
A chi mi potrò confessare? A voi, o Uomini?
No! Mi ignorereste e passereste avanti,
tutti pronti a scagliare una bigotta pietra –
non per disprezzo o per condanna – ma per paura
di esser giudicati peccatori quanto me.
A chi mi potrò confessare? A te, Anima mia?
Nuda mi prostro e faccio ombra agli occhi miei
per non scorgere altro che la sabbia
su cui inesorabilmente scrivo
i miei peccati e poi nuove promesse.
Questo testo è stato ricopiato
integralmente perché può essere considerato un componimento che anticipa
lo stile poetico confessionale. Ha un ritmo linguistico incalzante, lo
stile dell’invettiva e i toni di un manifesto indignato, ironico e malinconico.
Beatrice riesce in sole quattro strofe, di grande compattezza metrica, a
smontare i modelli maschili del controllo sociale e esprime il suo disprezzo
per ogni autorità che intende con prepotenza giudicare le donne.
Anche la natura viene criticata e questi
versi hanno perfino un sapore leopardiano: la natura matrigna che promette e
non mantiene. L’unica autorità che lei legittima è la sua coscienza spirituale,
affermando con sincerità che solo la scrittura le permette di registrare le sue
fragilità e i suoi progetti. In questa poesia manifesta e grida la sua libertà
da ogni autorità ed esprime il suo giudizio severo sugli uomini, pronti a
mortificare le donne per coprire i loro peccati.
Forte, potente, estrema, questa lirica non
fa sconti, registra la passione rabbiosa di Beatrice contro una morale
patriarcale e sessista che lei detesta con tutta se stessa.
Comrades (The New Age, 15 settembre 1910)[11]
…
If you will surely
waken me
The second watch
to keep.
Exiled, beside you
I will stand,
Proud in degraded
line,
If the same chain
which binds your hand
In tyrant grip,
binds mine.
Se mi giurate di svegliarmi
al mio turno di guardia.
Esiliati, resterò al vostro fianco,
fiera di tal castigo,
se la stessa catena che vi stringe
il polso stringerà il mio
Le strofe centrali di questo testo
indicano la coscienza politica di Beatrice che confessa il suo credo civile.
Vuole partecipare alle battaglie contro il capitalismo, anche rischiando la
galera e l’esilio. Lei, anarchica e anticapitalista, affronterà come
giornalista le contraddizioni e le ingiustizie sociali generate dal capitalismo
e dal colonialismo. Alcune sue poesie risentono della sua passione politica,
dell’urgenza di rendere pubblica ogni posizione che si oppone al sistema
politico di quel momento. L’uso dell’endecasillabo e della rima alternata danno
un effetto incalzante e fortemente ritmico.
The Stolen Lands (The straight thinker, 23 gennaio 1932)[12]
So you’re off to
bomb the nigger, O my brothers!-
In the distant,
conquered lands:
Clean up India
first, then Egypt and the others,
All the stolen
lands,
you had better
stop and listen…
From the Cape, the
Congo, Egypt, Ethiopia,
Tunis, Algerie,
Maroc;
From the Khyber,
from Bengal, Sumatra, Java,
From the
Philippines, Fiji, Palestine and Indo-China
Rolls a world-wide
CURSE.
Do you only heed
the puppet-prince you flatter
While he prates
his “loyal” oath?
Paper oath! Gilt
and cardboard contract that!
There’s an oath affirmed
by Nature, Oath of Freedom,
Sworn by Life
within the heart of every creature
Heed the Curse of
the Giant! –-
The dark-skinned
giant,
Whose chains are
wearing thin.
…
E dunque siete andati a bombardare i negri, o miei
fratelli!
Nelle remote terre soggiogate:
Ripulite l’India per prima, poi l’Egitto e tutti gli
altri,
Tutte le terre rubate,
Fareste meglio a fermarvi ad ascoltare…
Dal Capo, al Congo, Egitto, Etiopia,
A Tunisi, ad Algeri ed al Marocco;
Dal passo di Khyber e dal Bengala, Sumatra e Giava,
Dalle Filippine e dalle Figi, Palestina ed Indocina,
Universale romba una MALEDIZIONE
Prestate orecchio solo al principe fantoccio, che
adulate
Quando blatera il suo “leale” giuramento?
Di carta è il giuramento! Contratto indorato e
fasullo!
Ma un giuramento c’è, che la Natura afferma,
Giuramento di Libertà,
Che la Vita pronuncia nel cuore d’ogni creatura.
Prestate orecchio alla Maledizione del Gigante!
Il gigante dalla pelle oscura,
Dalle catene sempre più consunte.
E udite! Non sentite nuovi mormorii levarsi
…
Beatrice Hastings visse a Parigi dal 1914
al 1922. Le liriche lette in questo florilegio appartengono in gran parte al
periodo londinese che precede il suo viaggio in Francia. Solo la poesia dal
titolo Louise de la Vallière deve essere stata scritta nel periodo
francese, contestando Ezra Pound e l’egemonia maschile dell’innovazione
poetica. La poesia Terre rubate viene pubblicata durante il suo ritorno
a Londra, nel 1931. Beatrice cercò di nuovo di inserirsi nell’ambiente politico
e culturale londinese. Aveva ormai cinquant’anni, aveva raggiunto la sua
maturità intellettuale e artistica, voleva esprimere con forza i suoi ideali
comunisti, anticapitalisti e anticolonialisti.
In questa cornice culturale si deve
leggere questo lungo e complesso testo poetico, dove esprime tutta la sua
indignazione contro lo sfruttamento coloniale dello stato inglese. Un’invettiva
in versi di grande potenza espressiva. Quasi un lungo e sofferto monologo
teatrale, degno di una declamazione pubblica e accorata.
Qui la sua anima militante e
rivoluzionaria prende una forza inaudita, esplode con la voce di una moderna
Cassandra, esprimendo tutta la sua indignazione per lo sfruttamento di un
popolo e di una terra che amava e che considerava la sua Madrepatria. Il suo
sguardo verso la terra africana e verso le donne era segnato dal bisogno di
giustizia e di libertà. Lo stile è declamatorio ed enfatico, quasi vicino alla
forma di un testo teatrale, una breve drammaturgia che offre spazio a un grido
esasperato, segno di una tragedia in atto che nessuno riusciva a fermare.
Ormai Beatrice aveva visto di cosa erano
capaci gli uomini durante un conflitto bellico. Aveva visto che il sacrificio
delle madri aveva portato solo la morte dei loro figli. E questo era successo
sia in Europa che in Africa. Il suo pacifismo diventò sempre più radicale. La
scrittura in ogni sua forma, gli articoli giornalistici, le poesie e il diario,
erano le sole armi che conosceva per contrastare quell’eccidio.
7.
La vena più intima e contemplativa
di Beatrice
Le liriche che seguono sono assolutamente
quelle più intime e contemplative. In questi brevi testi, Beatrice Hastings si
lascia andare, racconta con una certa malinconia la natura e ogni percezione
che la commuove. Usa uno stile diretto e semplice, libero da orpelli mitologici
e eruditi. Usa un verso che descrive ogni dettaglio con cura e nostalgia.
Passeggia da sola, tra gli alberi. Esprime il suo bisogno spirituale, di
connessione profonda con la dimensione più intima. Non vuole insegnare niente,
non sente la necessità di arringare indignata le folle. Ci troviamo proprio in
un’altra dimensione, dove la meditazione esistenziale diventa l’asse portante
del verso.
Ho salito con passo veloce e sdegnoso,
le vie della città lasciando agli inferiori;
su creste montagnose e nelle valli
tra l’erba rugiadosa ho cercato le radici della Natura
conosco il boccio, la foglia e l’albero,
conosco del mare i sottili mutamenti,
conosco la montagna stagliata contro il lucente cielo
conosco l’uccello e la farfalla.
…
Ti ringrazio che lo straniero alla mia porta
possa partirne sapendo puro questo tuo servo.
In queste poesie troviamo una Beatrice
diversa, aperta alle emozioni profonde, spirituale e sapiente. Torna a
immergersi nella sua natura, sente il richiamo ancestrale del cosmo. Sono
frammenti di una conversazione interiore, libera dal laccio della militanza
politica.
Lascio questa terrazza dove troppo a lungo la mia
anima
si è nascosta, dietro all’erudizione ed all’orgoglio
Vado, guardando a terra e a braccia aperte
verso chi chiede il mio pane, metà o intero.
Non ricordar, Giustizia, finché non sarà
per me cambiato della bilancia il peso,
come scacciavo il misero dalla mia strada
con poche scuse e orecchio sordo e offeso,
o, ascoltati i suoi lamenti, passavo oltre
con vuota e finta simpatia.
Aspetta! Oggi non può calare il sole
prima che io asciughi un altro pianto.
Sulla strada ed ai margini io fuggo,
peccatore. Signore abbi pietà di me!
Versi compiuti che fanno pensare a una riflessione
esistenziale anche autocritica. Una confessione sincera che scopre le sue zone
d’ombra, senza pudore. Parla di quanto si sia nascosta dietro l’orgoglio e l’erudizione.
Questi versi testimoniano la sua volontà di restituzione sociale, lei si sente
unita agli altri in un processo interminabile di giustizia sociale.
Non può salvarsi da sola, deve essere
solidale e per questa solidarietà non sempre raggiunta vuole pagare ogni
prezzo.
Lo stile qui è diretto, poche metafore utilizzate, un
discorso chiaro, colloquiale, senza fingimenti.
La mia anima sta lasciando i mortali.
Alle mie mani protese, il velo purpureo
dell’ignoto rivela il suo scheletro ferreo.
Ah, se delle onde cessasse il mormorio,
Ah, se della terra tacesse il gioioso canto,
l’anelito dell’alma mia si ascolterebbe.
…
Poiché fui donna, tu mi hai creata saggia,
con un cuore di cera in superficie, ma in fondo d’oro,
con voce di colomba ed occhi serpentini.
Queste strofe profetiche vogliono quasi
indicare la sua direzione spirituale.
L’utopia incarnata nel presente era
fallita.
Beatrice fu consapevole che le forze la
stavano abbandonando.
Aveva dedicato l’intera vita ai principi
di giustizia e di libertà. Sapeva che quella vita stava finendo. Anche qui il
tono confessionale e drammatico dei versi stupisce.
Non ci sono più interlocutori e lettrici
da guidare e illuminare. Sentiva il tramonto e la fine, percependo anche il
sollievo dalla sua stanchezza esistenziale.
Scriverà fino al suo ultimo giorno di
vita.
Sentire di bastare a se stessa, non
lasciando figli ma offrendo ai posteri una testimonianza di saggezza e di
permeabilità: un cuore di cera dorata e una voce innocente. E gli occhi di
serpente. Questi versi indicano delle attribuzioni importanti, quasi un veloce
efficace autoritratto: il centro affettivo pulsante, la voce poetante che vibra
in profondità, lo sguardo acuto che svela le ombre e i demoni che muovono l’anima.
Beatrice nella parte finale della sua vita fu capace di recuperare quella
segnatura spirituale che le veniva dalle sue radici africane, marcatura che la
spinse a approfondire la filosofia teosofica, in contatto con l’universo
esoterico che già da adolescente l’aveva catturata. La sua scrittura rimase la
sentinella vigile della sua anima. La poesia si aprì alla scrittura automatica,
pozzo ancestrale di connessioni profonde e primordiali, grimaldello per quella
costellazione spirituale a cui lei sapeva di appartenere.
Aveva dedicato tutta la sua vita al
risorgimento femminista, aveva rivoluzionato con il suo esempio il copione
vittoriano, si era opposta al patriarcato capitalista, aveva vissuto in bilico
tra libertà e trasgressione pagando un prezzo altissimo, aveva espresso tutta
la sua energia vitale anche rischiando di essere considerata una eccentrica,
pazza esibizionista, ma sempre aveva usato la sua penna come un’arma, una lente
di ingrandimento, un ancoraggio esistenziale, un mezzo essenziale per ottenere
il suo certificato di esistenza.
Aveva combattuto fino alla morte il
silenzio imposto alle donne.
Purtroppo la storia del Novecento, con il
fumo assassino delle guerre mondiali, le restituì quel senso di sconfitta e di
fallimento a cui si era sempre opposta.
La sua utopia anticapitalista, anti
patriarcale e anticolonialista conobbe una fase di arresto che la travolse con
uno sgomento drammatico e inconsolabile. La malattia oncologica, che la portò
alla morte, fu l’ultima metafora che scrisse con il suo sangue. Implose la sua
fibra fortissima e il suicidio fu l’atto finale della sua vita, dove Beatrice abbracciò
Alice, distruggendosi.
Floriana Coppola
Bibliografia consigliata:
- Anna
Beltrametti (a cura di), Studi
e materiali per le Baccanti di Euripide. Storia, memorie, spettacoli,
Ibis, 2007.
- Judith Butler, Questione di genere. Il femminismo e la
sovversione dell’identità, Biblioteca Universale, 2017.
- Emanuela Chiriacò, Le imperfette. Storie di donne nell’Inghilterra
vittoriana e post vittoriana, Primiceri, 2020.
- Hilda Doolittle, Fine
al tormento. Ricordo di Ezra Pound. Con le lettere di Ezra Pound all’autrice,
Rosellina Archinto, Milano 1994.
- Clarissa Pinkola Estés, Donne
che Corrono coi Lupi, Sperling & Kupfer, Milano 1993.
- Clarissa Pinkola Estés, Storie
di Donne Selvagge, Sperling & Kupfer, Milano 2014.
- Federico
Tortora, Maristella Diotaiuti, Beatrice Hastings. In full revolt,
Le Cicale Operose, Livorno 2020.
[1] Docente di lettere Istituti Superiori
statali, scrittrice, poeta, counselor in Analisi Transazionale e Psicologia
esistenziale, collabora come critica letteraria in varie riviste on-line. Presidente della SIL (Società italiana delle Letterate).
[2] Maristella Diotaiuti, Federico Tortora (a
cura di), Beatrice Hastings, in full revolt, Le Cicale Operose, Livorno 2020, p. 74.
[3] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice
Hastings, p. 76.
[4] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice
Hastings, p. 78.
[5] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice
Hastings, p. 80.
[6] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice
Hastings, p. 82.
[7] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice
Hastings, p. 86.
[8] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice
Hastings, p. 90.
[9] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice
Hastings, p. 98.
[10] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice
Hastings, p. 100.
[11] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice
Hastings, p. 102.
[12] M. Diotaiuti, F. Tortora, Beatrice
Hastings, p. 120.