Il riso della donna per la 'Crociata della Bellezza' di Beatrice Hastings.
di Maristella Diotaiuti.
Hastings sostiene tutta la
positività della presenza delle donne nell’arte, nella storia e nel processo di
civiltà. Non a caso la missione eroica del cavaliere-maschio, da “Crociata di
guerra” si trasforma in Crociata della Bellezza promossa e portata avanti, significativamente, proprio dalle due fanciulle, dove l’impegno — non la lotta —
è per affermare tutto un sistema di pensiero e di pratiche del femminile che
innova la creazione artistica, demitizza le retoriche della guerra, del
militarismo e del patriottismo virile, propositivo, viceversa, di pratiche di
relazione solidali, libere e tra uguali, di soluzioni pacifiche dei conflitti,
un sistema oppositivo, quindi, all’immaginario e al sistema maschile di potere
e dominio, fondato sul binomio potere/obbedienza.
In questa Crociata al
femminile, anche il riso, che abbiamo rintracciato nel testo, si carica di
altre valenze e di una ulteriore carica eversiva, dal momento che viene assunto
e agito dalle due protagoniste, e per loro tramite dall’autrice, trasgredendo
un ordine secolare che lo proibisce alle donne sancendone la inaccettabilità,
la sconvenienza, l’oscenità.
Il riso della donna è stato ritenuto disdicevole perché, alterando i tratti distintivi della donna, ne stravolge la giusta forma, ne compromette bellezza, dignità e virtù. La seduzione da lei attivata nel dischiudere le labbra ridendo, è segno di una assertività femminile di per sé già trasgressiva. Il corpo della donna, che nella risata si mette in movimento rompendo un’immagine statica, stereotipata, di misurato equilibrio, diffusa nell’immaginario e nell’iconografia maschile, assurge al ruolo di corpo di un soggetto che autonomamente decide di aprirsi e, quindi, diventa disturbante e perturbante, anche perché in tal modo si sottrae al tradizionale controllo del corpo ad opera dell’uomo, divenendo inquietante e riprovevole non solo in termini morali, ma anche in ambito sociale. Per lungo tempo il riso delle donne è stato inteso come “colpa” in quanto motore di disordine sociale, fattore d’instabilità, corruttore della staticità della donna, della fissità ideale della sua figura e del suo tradizionale ruolo passivo.
Del resto la parola latina culpa deriva dal greco kolpos, che significa vagina e indica “mancanza”, “vuoto” ma anche “azione” che contravviene alla norma, etica e religiosa, e che produce un effetto negativo, corrompe, diventa gesto diabolico e depravato, apre un varco, un passaggio che dovrebbe restare chiuso 8.
Hastings, ne La commedia
delle fanciulle, sembra ribaltare completamente questi assunti, questi
presupposti, puntando, viceversa, sulla potenza della risata delle donne, sulla
sua portata energetica, apotropaica, salvifica e sacrale, derivando il riso,
sul piano dell’immaginario, direttamente dai miti nei quali veniva associato
alla vita, alla funzione generatrice e rigeneratrice e quindi proprio
all’organo genitale femminile. Basti ricordare la figura di Iambe o Baubò, una
creatura fantastica, forse una divinità, dal corpo insolito che coincide con la
vulva, senza testa e senza gambe, che con le sue celie, le sue amene
spiritosaggini, riporta il riso sulla bocca di Demetra, smarrito durante la
disperata ricerca della figlia Persefone, e quindi la vita sulla terra,
ripristinando il ciclo vitale delle stagioni e delle messi. Il mondo, la terra
e il ventre delle donne riprendono a fiorire. Come dire che le facezie
femminili possono essere efficace cura e formidabile farmaco. Quel parlare con
la vagina è, simbolicamente, parlare con la prima materia, la os vitale,
dalle profondità del materno e del femminile.
Nel romanzo di Hastings questa
funzione-identità sembra essere assunta da Dota Filjee, una della due
protagoniste femminili, che più di altre abita una dimensione magica e
istintuale, in cui coesistono erotismo e castità, malizia e ingenuità, ferinità
e divinità, che l’avvicinano alla figura ambivalente della fata-strega ma con
funzioni benefiche.
Nel romanzo, inoltre, il riso
viene associato alla bellezza, svincolandolo, scardinandolo dal topos della
donna-mostro, portatrice di sventure e di morte. Scriverà più tardi, in
proposito Helene Cixous, rivisitando la figura della Gorgone: Devi solo
guardare Medusa dirittamente e vederla. Ed ella non è mortifera. È
bella/magnifica/stupenda e sta ridendo 9. Si tratta di una
rivalutazione e di uno spostamento dell’immagine del femminile compiuta
attraverso la ri-considerazione del riso femminile, non quale azione
pericolosa, bensì atto generativo, rigenerativo, salvifico, e che può essere
visto e fruito solo se ci si mette “in relazione”, se si ha uno sguardo
realmente interessato a vedere l’altra.
Mettendo, inoltre, in stretta
relazione il riso con la bellezza, e quindi con l’estetica, Hastings apre anche
a un’altra accezione della Crociata della Bellezza, che è poi forse l’unica
morale rintracciabile del e nel romanzo, anzi ne costituisce l’asse, il perno su
cui ruota tutto l’impianto, cioè di Crociata dell’Arte, nella quale l’arte
acquisisce e svolge un ruolo essenziale, in quanto forza vitalistica ed
enzimatica del processo di rinnovamento della società e del mondo.
Per Hastings, sulla scia di
Nietzsche, il principio estetico è il principio ontologico fondamentale: solo
l’arte giustifica l’esistenza, mette in sintonia con la vita, può spiegare
l’essenza del mondo, aiuta a scoprire il senso delle cose e a dare senso alle
cose, spiega l’esistenza e la rende sopportabile. La bellezza artistica ci
permette di liberarci dalla costrizione della realtà e quindi ci promette la
libertà, la felicità. Il bello è promessa di felicità, annuncia la possibilità
di qualcosa che nel tempo è possibile realizzare.
Della crociata della Bellezza, dunque, promotore e protagonista potrà essere solo l’artista che per Hastings incarna pienamente l’ideale nietzschiano dell’Übermensch. L’artista è l’Oltreuomo, è colui che danza liberamente e con leggiadria, l’uomo e la donna che sanno godere della terra, del corpo, della vita e delle sue gioie senza farsi frenare dal senso di colpa e dalla voce della coscienza.
M.D.
* tratto dalla Prefazione di Maristella Diotaiuti nel libro La commedia delle fanciulle, di Beatrice Hastings, a cura di Maristella Diotaiuti, traduzione di Rubina Valli, Terra d'ulivi Edizioni, 2025.
**Immagine: Danza delle Baccanti.
8 Quanto la risata delle donne possa essere percepita come perturbante,
addirittura fagocitante e antropofaga, ce ne dà un esempio T.S.Eliot in Hysteria:
Non appena udii il suo ridere sapevo di essere la causa stessa di quelle
risate, finché i suoi denti non furono che stelle accidentali con un vero
talento per l’ordine chiuso. Venni inghiottito a piccoli rantoli, inalato in
ogni momentanea guarigione, finalmente perso nelle buie caverne della gola,
ammaccato dall’incresparsi delle membra nascoste. […] Allora decisi che
quel suo fremere di seni poteva essere riassemblato, e concentrai la mia
attenzione con delicata accortezza a questo fine.
9 H. Cixous, “The Laugh of the Medusa”, in “L’Arc”, poi in
“New french feminism: an anthology” a cura di E. Marks e I. de
Courtivron, University of Massachusetts Press, Amherst 1980, pp 245-264.