giovedì 3 aprile 2025

Una pratica senza verità, di Lucio Macchia.












Una pratica senza verità, di Lucio Macchia

che tu volessi, tu, da me, perché,

universa impresenza,

unicità e miriade,

chiesi;

tu, da me, perché,

semantico silenzio.

(A. Zanzotto, da IX Ecloghe)

 

J. Miller, nel suo libro L’Uno-tutto-solo, illustra come Lacan, nell’ultimo periodo della sua riflessione, giunga su posizioni “eretiche”, arrivando a definire la psicanalisi “ortodossa” come una risposta totalmente idiota a un enigma. L’enigma che è il vivere non si lascia inserire in un discorso di senso “luminoso”, compito, definitivo. Vi è una opacità irriducibile su cui non si fa luce. Ecco quindi che la psicanalisi, ci dice ancora Miller, è una pratica senza verità. D’altra parte, proprio perché la psicanalisi è rivolta alla vita, l’esistenza stessa è definibile in questo modo: una pratica, un agire, un accadimento mai totalmente riassorbili nel simbolico. Qualcosa che si presenta irrimediabilmente dell’ordine del contingente, del singolare, della quodditas[i]. Ciò non va inteso nel senso di una sorta di scetticismo, di relativismo concettuale, di gioco intellettuale o linguistico. Il discorso è ben più radicale. La verità che viene a mancare è, come spesso ripeto, quella logocentrica, categoriale e generalizzante dell’idea. L’esperienza è collocata nettamente al di fuori dalla dialettica, dove la parola, in quanto logos razionale, entra in crisi, non può afferrare il reale della vita, che sfugge alla presa del begriff[ii]. Una pratica senza verità, dove può essere agita solo una parola aporetica, gettata oltre il proprio limite, dalla natura singolare e irriferibile. Una parola che è consustanziale con il silenzio pieno dell’ascolto del mondo (il semantico silenzio zanzottiano), i giri del detto dell’analisi (les tours du dit lacaniani), un certo pensare filosofico affine al vitale e all’immanenza (come in Deleuze) e, soprattutto, con l’espressione poetica. In tutti questi ambiti, la parola si presenta dell’ordine dell’impossibile, annodata al corpo vivente, a una verità che si dà (cito ancora M.) senza la finzione della verità e degli universali. Aconcettuale, antilluministica. Una verità residuale e precaria, rischiosa e disperata. Collegata al reale dell’esistenza, all’esperienza incarnata dell’umano.


Immagine: Mirtha Dermisache



[i] A cui ho dedicato il post precedente.

[ii] Termine tedesco per “concetto” che deriva proprio dal verbo “afferrare”.