giovedì 4 dicembre 2025

Il meraviglioso, di Lucio Macchia

 
















Ora il mio stupore

è conservato?

[…]

Saprà che ho visto

l’intero mondo divenire

ancora e ancora

– e sempre –

il differente

– e il medesimo?

(L. Macchia, cosmi | minimi)

 

Come sempre, si parte dai greci. Il verbo “meravigliarsi” è, in greco antico, thaumazein e, a questo termine, è associato l’inizio di ogni filosofia, in quanto meraviglia di fronte al cosmo. Questo atto fondativo lo troviamo in Platone, nel Teeteto: «Si addice particolarmente al filosofo questa tua sensazione: il meravigliarti [thaumazein nell’originale]. Non vi è altro inizio della filosofia, se non questo, e chi affermò che Iride era figlia di Taumante come sembra, non fece male la genealogia». Iride, la policromia, la bellezza, l’arco tra il cielo e la terra, è intimamente connessa alla meraviglia. La stessa idea la troviamo in Aristotele, nella Metafisica: «Per la meraviglia [thaumazein nell’originale] gli esseri umani cominciarono a filosofare»: uno stupore che ebbe di mira, all’inizio, le cose del quotidiano e che poi, via via, si estese al cosmo intero. Dunque, all’origine della nostra cultura, è collocato questo atto del meravigliarsi.

Eppure, proprio in questo “filosofare a partire dalla meraviglia” è insita la “limitazione” di questo thaumazein, che attraversa l’intera storia del pensiero. Infatti, la «meraviglia originaria»[i], ai primordi dell’umano, viene subito catturata dall’azione del logos. Alla meraviglia fa subito seguito un atteggiamento in cui l’umano si pone come soggetto ordinatore al centro del creato, lo struttura secondo le sue rappresentazioni, lo “strappa”, per dirlo con Zambrano, dal puro vitale: «meraviglia, sì, stupore di fronte all’immediatezza delle cose, cui fa improvvisamente seguito uno strappo»[ii]. La ragione di questo movimento di “fuga” dalla meraviglia originaria è insita nella sua stessa “ombra” che è già rintracciabile, secondo Severino[iii], proprio nell’etimo della parola thauma (meraviglia) che, nel suo significato originario, indica “angosciante stupore” e “terrore”. L’uomo, insomma, riordina il cosmo attorno a lui per paura dell’ignoto, perché avverte l’incommensurabile abissalità della sua condizione.  Seguendo Ronchi[iv], possiamo dire che il pensiero occidentale è stato dominato da questa idea antropocentrica della meraviglia, costruita sul rapporto soggetto/oggetto, basato sul distacco dal livello vitale – immanente all’esistenza – a favore di rappresentazioni trascendenti, il cui modello primo è l’idea platonica. Addirittura la filosofia, nei suoi esiti fenomenologici, è divenuta una riflessione sulla coscienza umana, sul suo modo di meravigliarsi, una sorta di «meraviglia alla seconda»[v]. C’è, insomma, una meraviglia che è il prologo dell’azione sistematizzante del logos, il quale riordina il cosmo a misura umana. Una meraviglia che è tale solo nello stato nascente, e che è subito catturata dalla risposta rappresentativa che ne fa “sistema-mondo”, ne spegne il mistero.

Ma allora, esiste un’altra meraviglia, un fuoco dello stupore che non è immediatamente spento dall’azione codificante del logos? Seguendo ancora Ronchi, rintracciamo una formula greca molto vicina a thaumazein: è il thaumaston, il meraviglioso, ciò che stupisce e sorprende. Di fatto questa parola non è che una variante grammaticale di thaumazein, ne ha la stessa radice thauma. Non esprime l’azione del meravigliarsi, come thaumazein, ma il carattere di ciò che è meraviglioso. Ma opporre thaumaston a thaumazein non ha un senso linguistico bensì strettamente filosofico, anche se possiamo osservare che già il passaggio dal verbo thaumazein all’aggettivo thaumaston indica un percorso di fuoriuscita dall’antropocentrismo: dal paradigma “io mi meraviglio” a quello “c’è del meraviglioso”.  Ronchi associa il termine thaumaston a un passaggio fondamentale del Parmenide, il dialogo platonico più complesso e indecifrabile, nel quale Platone sembra fare i conti con i limiti del suo approccio idealista, con le difficoltà connesse proprio a quel famoso “strappo” zambraniano. Il passaggio è quello in cui Socrate dice che se qualcuno gli dimostrasse: «che ciò che è Uno, proprio per questo stesso è molti, e che ciò che è molti è Uno, di questo mi meraviglierei davvero[vi]». Ecco allora emergere una meraviglia diversa, che non è qualcosa che subito si accomoda nell’alveo del logos, ma è uno stupore più radicale, che nasce dal considerare un Uno che «Non è l’Uno della sintesi, non è l’Uno della unificazione di un molteplice già dato […] ma un Uno che è immediatamente molteplice […] un molteplice che è immediatamente Uno»[vii]. Questa coincidenza dei due infiniti, dell’Uno e del molteplice, animerà una linea filosofica che, attraverso Plotino, condurrà a Bergson e Deleuze. In quel passaggio platonico vi è dunque il seme di una visione filosofica completamente divergente da quella emersa dalla cattura della meraviglia da parte del logos. Questo è il senso di intendere il thaumaston come un “modo” radicalmente diverso della meraviglia rispetto al thaumazein. Uno stupore che disordina il logos, che non consente un facile riassestamento, che obbliga a pensare in termini di immanenza assoluta. L’adozione del termine thaumaston per denotare questa meraviglia “imprendibile”, antecedente a ogni “strappo”, pienamente vitale, trova una sponda anche nella Poetica di Aristotele che parla appunto di thaumaston come elemento essenziale nella tragedia, che scuote la verosimiglianza della catena degli eventi, scioccando gli spettatori, portandoli a domandarsi in merito a ciò che potrebbe accadere. Con questa ulteriore nozione ci spostiamo verso una concezione di thaumaston come trauma, colpo, elemento inaspettato e non concettualizzabile.

Sulla direttrice del thaumaston come trauma incontriamo, ancora seguendo Ronchi, il concetto di ekplexis sul quale il filosofo fornisce un esempio per noi estremamente interessante perché chiama in causa la poesia, attingendo alla differenza tra retore e poeta nel trattato Sul sublime[viii]. Il retore ha come obiettivo la conoscenza, il suo stile muove verso una meraviglia che ha il connotato del thaumazein: la sua azione indica «quel punto dove il flusso dell’esperienza si interrompe per farsi oggetto per un soggetto»[ix]. Ecco di nuovo lo strappo, il riconducimento al logos, la claritas, che è l’obiettivo primo del retore. Diversamente, il poeta muove da un altro stupore di «natura patetica e non teorematica […] un effetto di choc, non di sapere»[x]. Questo è l’ekplexis. Parola greca la cui radice plege rimanda a “colpo”: è l’impressione diretta, non conoscitiva, non ordinata. Questa meraviglia originaria, pura, traumatica è l’impossibile a cui si rivolge la poesia (e l’arte in generale) oltre che una certa filosofia che mira a recuperare la radice perduta del rapporto immanente con il vitale. Possiamo forse dire che Mondrian, nel suo celebre percorso di rappresentazione dell’albero (archetipo assoluto della natura) ci dia un’idea di quel puro colpo indicibile, di quell’ekplexis che, con il Melo in fiore, incredibile opera di svolta (vero salto quantico nella sua produzione) emerge come assoluto dell’esperienza di fronte alla natura. Un puro “fuori”, che scaglia il gesto artistico oltre ogni “rappresentazione”, aprendo la strada a quel suo famosissimo astrattismo lineare e ipnotico, geometrico e essenziale, che ci sembra il suo sofisticatissimo, affascinante modo di “far qualcosa” con l’impossibile di quel colpo originario.




Immagine: Mondrian (Il melo in fiore, 1912)



[i] M. Zambrano, Filosofia e poesia, trad. di L. Sessa, Pendagron (2018) p. 40

[ii] Ibid. p. 39

[iii] E. Severino, Scuola e tecnica (2005) citato in antemp.com

[iv] Rocco Ronchi, Il canone minore – Verso una filosofia della natura (2017) – ed. digitale Kindle

[v] Ronchi, op. cit. pos. 477

[vi] La versione italiana è quella che compare nel libro citato di Ronchi. Nella forma greca l’ultima parte della frase suona alla lettera come “ciò sarebbe il meraviglioso” e viene usato to thaumaston per indicare appunto “il meraviglioso”.

[vii] Ronchi, op. cit. pos. 96

[viii] Celebre trattato di “Pseudo-Longino” del I sec.

[ix] Ronchi op. cit., pos. 1600

[x] Ibid. pos. 1612