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Non è un caso, credo, che il progetto musicale si intitoli proprio Femina
ridens con quel chiaro
richiamo al femminile e alla
risata, al riso delle donne con tutta la sua portata sovversiva e
rivoluzionaria, epifanica, di cui parla Helene Cixous nel suo libro
Il riso della medusa (più
volte da me citato), ma anche il
richiamo al canto (nel sottotitolo),
al canto delle donne che si collega ai saperi, alla conoscenza, come ad esempio il canto delle Sirene (e lo sguardo
di Medusa) che non è un canto mortifero,
ma invita alla conoscenza, muore solo chi rifiuta la conoscenza,
chi si sottrae a questa, muore a se
stesso, come persona.
Il canto si collega alla scrittura, alla
creazione artistica, e cito ancora Cixous che scrive: Il loro corpo-testo [delle
donne] è una traversata di fiotti sonori.
Il riferimento al corpo-testo rimanda alla passione, all’eros che le donne mettono nelle
cose che fanno, che non è
pulsione sessuale, ma quella particolare
energia, che viene anche dal
corpo, dalla materia, dai sensi.
Questo lavoro di Francesca e di Massimiliano è una sorta di “officina dei sensi”, un viaggio
sensoriale, sonoro, dove anche le parole sono suono.
Scriveva Beatrice Hastings: Sillabe che si gonfiano in un suono […] le
ascolto avvolgendosi nella spirale della mia mente: e il mio orecchio intorno
le va accordando […] cantano la canzone che Eva (gli) insegnò.
Tutte queste esperienze e questi linguaggi li ritroviamo nell’ultimo lavoro, che sentiremo stasera, Etna calling – la
simenza e lu cantu, dove c’è
proprio questa straordinaria miscidanza
di elementi più vari e disparati
che danno vita a un oggetto ibrido, con un formato editoriale del tutto originale e nuovissimo qual è il phono-tale, cioè una sorta di libro-disco: da leggere, guardare e ascoltare, che fonde in un’unica opera: musica (suono),
parola (racconto) , e immagine (le illustrazioni di Massimiliano Lo Sardo).
Ed è
originale anche nel contenuto, perché
unisce passato e presente, tradizione e modernità, radici antiche e urgenze contemporanee,
con il recupero e l’uso di canti e
strumenti arcaici e l’uso
dell’elettronica.
L’obiettivo è quello di custodire il fuoco della tradizione che
oggi rischia di perdersi (vi
consiglio un bellissimo libro di Giorgio
Agamben che parla proprio di
questo, Il fuoco e il racconto), lo scopo cioè è di
reimmettere la tradizione nel presente ma vivificandola, rinnovandola, sottraendola a una dimensione museale,
ammuffita.
La tradizione qui è sicuramente anche la Sicilia, evidente già nel sottotitolo, ma anche qui si tratta di una Sicilia non stereotipata, da
cartolina, folkloristica, ma è la
Sicilia di Jolanda Insana, per intenderci, fatta, cioè di forti
contrasti, di sciarre, di
energie ctonie, telluriche, fatta di storture e imperfezioni, di fratture, di faglie (chi conosce Insana sa di cosa sto parlando), e proprio in quanto tali sono fertili, creano ponti, perché la faglia non è solo taglio, separazione, ma è sponda, riva e possibilità di unire le rive creando ponti, come appunto fanno Francesca e Massimiliano con i loro
lavori.
E non poteva che essere la Sicilia,
perché è terra di antichissime tradizioni, di un immenso patrimonio culturale, con la compresenza di una molteplicità di popoli,
e ciascun popolo si è integrato con il
preesistente, così da mescolare
culture, linguaggi, canti, suoni
e poesie. Una preziosa eredità
artistica e multiculturale di cui Francesca e Massimiliano si fanno custodi e messaggeri, ma
risemantizzandola perché sia
ancora “semenza” seme che
continua a germogliare portando nuovi
frutti.
Oltre alla Sicilia c’è dentro anche la Toscana: la stessa Francesca è per metà
siciliana e per metà toscana (è siciliana per sangue e immaginario, ma toscana
per formazione), ma i legami tra
Sicilia e Toscana sono antichissimi: già dal legame tra scuola poetica Siciliana e i primi rimatori Toscani, fiorentini del 200 che si educarono proprio alla corte di
Federico II, che hanno ereditato
e sviluppato la tradizione della scuola
siciliana, dando poi i natali
a quella straordinaria fioritura
poetica toscana, fiorentina:
poeti come Guittone d’Arezzo, Bonaggiunta Orbicciani, Chiaro Davanzati, fino al Dolce stile e a Dante col
suo Dolce stil novo, e via dicendo.
Alcuni brani presenti nel libro sono legati a Giuseppe Ganduscio, grande etnomusicologo
siciliano vissuto in Toscana, e c’è
anche Boccaccio del Decameron, con una sua novella che ha ispirato il brano “Basilicò” (cantata anche
da Rosa Balestieri).
Insomma molti ingredienti tutti straordinari che ci preparano a una bella serata. Buon ascolto.
MD
