lunedì 17 novembre 2025

Appunti di Chiara Serani per Autrici in dialogo: Chiara Serani e Laura Giuliberti.


 

Dialogo delle autrici sulle rispettive opere:
- 𝑷𝒂𝒓𝒂𝒊̀𝒔𝒐, di Laura Giuliberti, Arcipelago itaca Edizioni, 2024. Collana "Lacustrine", diretta da Renata Morresi. Postfazione di Lello Voce.
- 𝐷𝑖𝑎𝑙𝑜𝑔ℎ𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑒𝑑𝑖𝑎. 𝐴𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑎 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑣𝑜𝑐𝑖, di Chiara Serani, Anterem Edizioni, 2023. Opera vincitrice della XXVI Edizione del Premio Lorenzo Montano, 2022.




Vorrei, nel tracciare alcune isoipse tra Paraìso (Arcipelago Itaca) e Dialoghi della sedia (Anterem 2023), partire dallo spazio, ovvero dall’idea di spazio che abita i due testi. Quello di Paraìso è apparentemente uno spazio geografico – Paraìso è anagramma di Parasio, quartiere storico di Imperia, e ovviamente richiama per allusione grafica e fonica il Paradiso; non a caso il testo – che porta come sottotitolo “Topografia del centro” – s’incentra su un viaggiare, completo di accenni a una prima cerchia, una seconda cerchia eccetera… su un peregrinare per una città dalle complesse stratificazioni storiche e culturali, un passeggiare attraverso i secoli e le loro incrostazioni urbane – che un po’ mi ha ricordato, mutatis mutandis, gli strata della Dublino di Joyce, e il vagare di Leopold Bloom. Fatto sta che il centro esplorato nel testo è un centro composito, ovvero è un possibile punto di congiunzione tra io, mondo e pagina in un interscambio continuo tra lo spazio della scrittura e lo spazio esterno alla pagina, cioè quello del paesaggio osservato, intuito, evocato… dall’io poetante. Afferma Lello Voce nella sua postfazione al libro (Voce il quale, ricordiamolo, è un po’ il deus ex machina segreto di questo incontro in quanto qualche mese fa ha scritto sul «Fatto Quotidiano» un articolo in cui appaiava proprio Paraìso e Dialoghi della sedia all’insegna di una comune rinuncia al verso in favore della prosa, Serani e Giuliberti: la poesia non va a capo ) che al cuore del libro di Giuliberti vi è «un esperimento di psicogeografia situazionista, pronto a mutarsi in ogni istante in détournement, un’analisi degli effetti che il contesto geografico ha sull’affettività di chi lo esperisce». Il centro è dunque il punto in cui si incrociano e si centrano corpo, lingua (io) e mondo – ma in un equilibrio instabile, mosso… perché c’è nel testo un rimescolamento continuo di attribuzioni e funzioni, e quindi una riattribuzione, per esempio, della lingua al mondo, che parla, interloquisce direttamente con l’osservatore, e quindi col soggetto poetante, e di un corpo al mondo e alla lingua: «da fuori è tutto schiena», «le muffe dispiegano le scapole», «ritmo circadiano della città», «tanta salsedine s’ostina a smentire» si legge nel testo. Questo equilibrio instabile, questa osmosi, si reifica poi sulla pagina in anagrammi, in paronomasie… ed ecco infine che il “locale” non è più categoria che appartenga solo alla topografia, cioè, secondo la lettera etimologica, alla “scrittura del luogo”, dunque all’ecfrasi del circostante, ma alla scrittura in toto, alla parola, le cui microstrutture locali vengono esplorate e manipolate, rimescolate. Per venire a sintesi, la “topografia” si fa in Giuliberti, mi sembra, punto d’accesso metaletterario privilegiato e la conquista dello spazio, del paesaggio, la sua descrizione, sono la conquista della lingua stessa, e inevitabilmente dell’io e del corpo, da cui la scrittura, come cristallizzazione proprio della lingua, muove anche in qualità di atto performativo. Serve infatti un corpo, per scrivere.

E qui intravedo una profonda consonanza tra il testo di Laura e il mio, in cui c’ è forse un’analoga volontà di esplorazione dello spazio, che è principalmente spazio del corpo e attorno al corpo; Luigi Severi, a proposito dei Dialoghi della sedia, ha parlato di “ecfrasi” – cioè, di descrizioni di azioni performative. Se nel caso del testo di Laura la descrizione, l’ecfrasi è soprattutto rivolta al paesaggio, nel caso dei Dialoghi il paesaggio è semmai quello del corpo e della gestualità. Mi sovviene una frase –che al momento fatico ad attribuire, per mancanza di memoria, al suo autore o autrice – e che mi pare azzeccata per introdurre il mio testo: «Il mondo è un gesto il cui archetipo è l’occupazione dello spazio». E di nuovo, dunque, siamo alle prese con una spazialità, che in questo caso è quella di un corpo femminile che viene esplorato, attraversato e descritto, ma con una presa di distanza rispetto al corpo stesso, un po’ come nel caso degli scorci del testo di Laura, in cui l’io poetante è ora fuori dal quadro ora dentro il quadro; vi è infatti nei Dialoghi una estrinsecazione dell’io che da soggetto diventa oggetto di osservazione, si reifica, si oggettivizza appunto, mettendosi in scena attraverso la performatività fisica, e quindi non attraverso la diretta analisi psicologica delle emozioni ma la loro dissezione quasi chirurgica per come si manifestano nel gesto. «Ciò che noi leggiamo è sostanzialmente il referto di quest’io che scrive guardandosi agire, senza reclamare alcun senso a ciò che fa. Semplicemente refertandolo», scriveva Voce sui Dialoghi, evocando a ragione un io poetico che è quasi un anatomo-patologo. Nei Dialoghi l’anatomia è allora forse l’equivalente della topografia in Paraìso, la sua lente diffrattiva, perché il corpo viene letto come un campo istituito da molteplici forze, simultaneamente materiali e simboliche (che sono un po’ il corrispondente di quelle stratificazioni storico-culturali di cui si diceva proprio a proposito degli scenari di Paraìso), e si rivela, l’anatomia, anche come un principio di organizzazione e ortopedia politica: il corpo, i corpi, vengono architettati, costruiti in base al loro contesto storico, proprio come fossero un paesaggio urbano. Gesti e oggetti, moltissimi oggetti, si muovono nei Dialoghi, e a questo proposito vorrei leggere un’avvertenza che si trova però in apertura di Paraìso: «ci piace pensare […] che solo in un’estroflessione dell’anima e nell’inflessione di ogni oggetto che la circonda, si dia qualcosa come il trovarsi». Una frase che mi pare adattarsi con miracolosa perfezione anche e proprio ai Dialoghi, in quel gioco continuo di proiezioni e interazioni tra io e gli oggetti del suo quotidiano.

Circa la similarità formale dei due testi, scriveva ancora Voce: «Due opere che fanno a meno del verso, due libri insomma che mi hanno confermato nella mia convinzione che la poesia, prima che stile, lessico (letterario) e, soprattutto, verso stia tutta nella sintassi. Che si vada a capo, o meno, poco conta.» Entrambi i nostri libri ricorrono prevalentemente alla prosa, anche se ci sono porzioni più o meno residue di verso, la cui presenza in qualche modo aleggia e poi si concretizza, soprattutto nel testo di Laura. La forma prevalente in entrambi i libri è comunque quella della lassa, direi, del blocco in prosa, che nel caso di Paraìso si conclude talvolta con un richiamo alla poesia, uno o più versi isolati che sembrano staccarsi dalla lassa stessa come in una specie di decantazione; e del resto nel libro di Laura c’è anche qualche breve testo in versi. Nel caso di Dialoghi le lasse sono seguite da blocchi di altre voci che si presentificano nel libro dalle fonti più varie (internet, la Bibbia, testi poetici, filosofici…) e che reagiscono con le parti precedenti per via di relazione, irrelazione, analogia, commento, problematizzazione; inoltre compaiono una filastrocca e un testo conclusivo in versi. Naturalmente questa rinuncia preponderante al verso s’inserisce in uno scenario post-poetico di ricerca lontano dalla tradizione e dalla parola verticale, dall’a capo. Eppure, la lingua di Laura è una lingua che mantiene intatti molti crismi del dire poetico (brevità, densità, incandescenza), e persino del dire lirico: se infatti elemento imprescindibile della lirica è la centralità dell’io, il testo di Laura dimostra come si possa scrivere una poesia dell’io senza dire “io”. Gli effetti dell’osservazione del paesaggio sull’emotività della voce poetante, la psicogeografia, diceva Voce, sono qui ciò che conta: di nuovo la topografia appare non più solo come griglia metaletteraria ma come medium per “parlare” del soggetto, del sé e della sua percezione, persino propriocezione. Nel caso dei Dialoghi il corpo e le sue azioni ludico-sadiche servono in realtà a mettere in scena psicodrammi interiori ma, di nuovo, senza la necessità di dire “io”, o di utilizzare la terza persona, come fanno oggi molti autori che vogliono evitare l’usurata, inflazionata prima persona poetica. Dunque a me pare che entrambi i due libri infilino una certa originalità, in particolare perché generalmente quando si utilizza la prosa, soprattutto nella cosiddetta “scrittura di ricerca”, si tratta perlopiù di una prosa fredda, o raffreddata, attraverso le modalità dell’informativo, dell’espositivo, dell’installativo (come sacrosanti modi avversi a una “Poesia” monumentalizzata che appare ormai stantia, incapace di rinnovarsi), mentre in questo caso siamo in presenza di una prosa indirettamente “emotiva”, in cui la rinuncia al verso non coincide totalmente con la rinuncia a dire di sé seppur in maniera, appunto, mediata.

Chiara Serani



Link all'articolo di Lello Voce ne Il Fatto Quotidiano citato da Chiara Serani: 

https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/01/16/duetti-20-serani-e-giuliberti-la-poesia-non-va-a-capo/7837042/?fbclid=IwY2xjawOI8KBleHRuA2FlbQIxMABicmlkETFYeXh5VVpiclM0cmcxSjdEc3J0YwZhcHBfaWQQMjIyMDM5MTc4ODIwMDg5MgABHvaOiPMlPqDnEY9u6p_IgnSygBdmMxsKlmnvR3WzWc8EyCEsA4q1JvvTplQI_aem_gouGSprtB-SO0YzyOPTUDA


Le Cicale Operose è molto orgogliosa e felice nel ricordare che il primo incontro tra Chiara Serani e Lello Voce, più volte citato nell'articolo,  avvenne grazie al Festival VOCI (settembre 2024), ideato e a cura de Le Cicale Operose, in cui scegliemmo Chiara Serani per dialogare con Lello Voce, consapevoli della sua bravura e competenza, infatti Lello Voce, non conoscendo l'autrice, rimase piacevolmente sorpreso dalla preparazione e dalla profondità di sguardo della relatrice nell'introdurre la sua opera, Razos, La nave di Teseo, 2022.

Video di un frammento della presentazione di Lello Voce a Le Cicale Operose:



 



venerdì 14 novembre 2025

Regimi totalitari, di Rita Ciatti.

 



Nella loro concezione le strutture zootecniche hanno molto in comune con i regimi totalitari; nell'ideazione, li superano per assolutezza e raffinatezza dei metodi.

Sono luoghi in cui il controllo del vivente è totale, dal concepimento alla "soluzione finale" del mattatoio; luoghi in cui il vivente, anche umano, è inquadrato entro una rigida gerarchia fino ai gradi più bassi, che sono quelli in cui smette di essere tale e diventa prodotto.

Le femmine, le fattrici (notare anche il linguaggio, l'adozione di termini tecnici apparentemente neutri o diventato familiare nell'uso così da non smuovere più nessun sussulto), in questo sistema, ad esempio, contano leggermente di più perché sono quelle che forniscono la viva carne o il latte e le uova, ma solo finché sono in grado di farlo, altrimenti anche loro diventano carne da macello.

Sono sistemi, inoltre, che si reggono su un'assidua propaganda volta a mistificare l'attività che si svolge al suo interno e persino, tramite quello che Orwell chiama il "Bipensiero", a negarla, tramite un efficace esercizio di condizionamento e manipolazione mentale che comincia sin dalla più tenera età. In fondo, quando ai bambini viene presentata la carne sul piatto, non gli si dice certo che è il coniglietto, il vitellino, o il maialino che hanno imparato a conoscere attraverso le fiabe, accarezzato o osservato in montagna, o il rappresentante con cui hanno giocato sotto forma di peluche, giusto?

Da grandi questa atroce verità si scopre, ma all'interno di un contesto sociale in cui abbiamo imparato che la vita degli altri animali comunque conta meno e, ad ogni modo, ecco che il sistema zootecnico è subito pronto ad attenuare qualsiasi scrupolo morale con la menzogna del benessere animale. C'è qualcosa di particolarmente manipolatorio - ed evidentemente confortante - nel convincere le persone a credere che nei mattatoi - che sono l'anello ultimo dell'industria zootecnica, indissolubilmente legati a qualsiasi tipologia di allevamento, anche di quelli per produrre latte e uova - possa esserci spazio per la gentilezza e il rispetto.

Esattamente come è ed è stato in ogni regime totalitario, affinché si mantenga è richiesta tuttavia una certa complicità del popolo stesso, o almeno di una parte, quella ignava, indifferente, interessata più ai vantaggi immediati che può ottenerne, a patto della sua stessa compromissione, che alla liberazione degli oppressi.

Tra sistema zootecnico e regimi totalitari, vi è però una differenza sostanziale: e cioè la sua sistemica sistematicità diffusa e accettata in tutto il mondo.

Come in ogni regime, ci sono anche forme ed episodi di resistenza, singoli e collettivi.

Gli animali oppressi resistono singolarmente, noi vegani lo facciamo collettivamente.

Ecco, no, non siamo estremisti, siamo coloro che resistono continuando a vedere nel prodotto l'individuo che è stato, o che avrebbe potuto essere, nonostante il sistema zootecnico abbia fatto di tutto per annientare la sua individualità e per cancellare l'evoluzione di tantissime specie.

Controllando il vivente, modificandolo geneticamente a diventare un prodotto sempre più soddisfacente (mucche che danno più latte, vitelli con carne più bianca e tenera, polli ingrassati in pochissimo tempo, uova con meno colesterolo, prosciutti più magri e così via), l'industria zootecnica distrugge e modifica quella che chiamiamo "biodiversità" trasformandola in prodotti per il mercato. Rende noi consumatori anziché persone complesse e gli animali prodotti.

La riduzione del vivente, tutto, noi compresi, a una sola dimensione, consumatori e prodotti, all'interno di una società che è diventata un mercato, una massiccia fiera del bestiame, in ogni senso, totalitaria e assoluta.

 

Le Cicale Operose. Eventi anno 2025.

 



Gennaio 2016 

Apertura del primo e unico caffè letterario a Livorno:

https://lecicaleoperose.blogspot.com/2021/01/16-gennaio-2016-inaugurazione-del-caffe.html.


Gennaio 2023 – Dicembre 2024

Associazione culturale Le Cicale Operose APS, sul solco dell'attività del caffè letterario:

https://lecicaleoperose.blogspot.com/2025/01/2023-inaugurazione-associazione.html

 

Anno 2025

Attività culturale, ideazione e organizzazione ad opera di Maristella Diotaiuti e Federico Tortora per Le Cicale Operose (denominazione e logo registrati).

 https://www.youtube.com/@lecicaleoperose5106

https://www.facebook.com/lecicaleoperose

 

1) Apertura del blog Le Cicale Operose: https://lecicaleoperose.blogspot.com/

Rubriche a cura di Rita Ciatti (Voci ribelli: di femmine e bestie), Maristella Diotaiuti (note di lettura, Clandestine), Aldo Galeazzi (Voci), Lucio Macchia (Past Metaphor), Pasquale Lenge (Torrenti, la poesia dialettale), Enzo Nini (Semiosfera in Interplay), Federico Tortora (archivi eventi Cicale e concorsi di poesia, Beatrice Hastings), Pasquale Vitagliano (Tracce di pensieri meridiani).


2) Pubblicazione de La commedia delle fanciulle, Beatrice Hastings, a cura di Maristella Diotaiuti, traduzione di Rubina Valli, Terra d'ulivi Edizioni, 2025. Testi raccolti a cura di Federico Tortora.

Tour di presentazioni di Maristella Diotaiuti per il nuovo volume nelle seguenti città: Torino (Libreria Erasmus, grazie a Silvia Rosa e alle amiche poete. Artista: Dea Illustra, live painting), Bologna (Bologna in Lettere-Factory, grazie a Bartolomeo Bellanova, Francesca Del Moro, Enea Roversi), Pisa (Libreria Erasmus, grazie a Nadia Chiaverini e a Chiara Serani. Artista: Antonella Lucchini, live painting), Guagnano (Comune di Guagnano, grazie a Festival Menabò.  Letture: Roberto Galeazzi), Urbino (Libreria Montefeltro Libri, grazie a Maria Lenti e all'associazione Noi Donne ODV), Napoli (Sala Ichos, grazie a Patrizia Di Martino e Enzo Nini), Roma (Villaggio Cultura Pentatonic, grazie a Anna Maria Curci, Stefano Bertoli e alle amiche poete). 

 

3) Presentazione del volume Mio più caro amore, Lord Byron, a cura di e con Rubina Valli, Terra d'ulivi Edizioni, presso il Giardino delle Rose della Villa Dupoy, detta "Byron", Livorno. Relatore: Cristiano Meoni; letture: Maristella Diotaiuti, Roberto Galeazzi, Chiara Serani.

 

4) Dialogo di Maristella Diotaiuti e Bianca Del Buono con Chiara Serani, Autrice del volume Dialoghi della sedia. Azioni a più voci, Anterem Edizioni, 2023, presso Libreria Tra Le Righe, Pisa.

 

5) Primo studio e conferenza in Italia dell'opera inedita Defence of Madame Balvatski, di Beatrice Hastings, 1936.  Studio e conferenza a cura di Chiara Serani e Simone Turco. Musiche (declamato melodico, intonarumori): AndromacA.

 

6) Le Cicale Operose per Amedeo Modigliani.

Premiazione poesie per Modigliani (giuria esperta: Laura Giuliberti, Vincenzo Guarracino, Renata Morresi, Chiara Serani); esposizione opere di arte figurativa, ritratti di Beatrice Hastings (Fabrizio Razzauti e Marek Dutka) e Jeanne Hébuterne (Silvia Menicagli); monologo teatrale in prima assoluta di e a cura di Patrizia Di MartinoBeà e Modì, l'amore che dipingeva parole, con Patrizia Di Martino e Aldo Galeazzi; Modigliani poeta, a cura di Vincenzo Guarracino; intervento di Mario Di ChiaraCenni sulla formazione socioculturale di Amedeo Modigliani e l'avventura critica del suo lascito (1875-1915).

 

7) Autrici in dialogo.

Laura Giuliberti, Paraìso, Arcipelago itaca Edizioni, 2024.

Chiara Serani, Dialoghi della sedia. Azioni a più voci, Anterem Edizioni, 2023.

 

8) Sette incontri di poesia contemporanea. 

Carlo Bellinvia, L𝑎𝑠𝑐𝑖𝑜 𝑖𝑠𝑜𝑙𝑎 𝑏𝑒𝑛 𝑎𝑟𝑟𝑒𝑑𝑎𝑡𝑎 𝑐𝑜𝑛 𝑓𝑎𝑛𝑡𝑎𝑠𝑖𝑎 𝑑𝑖 𝑛𝑎𝑣𝑖 𝑙𝑜𝑛𝑡𝑎𝑛𝑒 𝑎𝑙𝑙𝑒 𝑝𝑎𝑟𝑒𝑡𝑖, industria & letteratura Edizioni, 2025. Chiara Serani introduce l’autore; Aldo Galeazzi, 𝑃𝑖𝑜𝑣𝑜𝑛𝑜 𝑔𝑎𝑏𝑏𝑖𝑎𝑛𝑖 𝑎𝑙𝑡𝑖, Erasmo Edizioni, 2016. Roberto Galeazzi introduce l’autoreNadia Chiaverini, 𝐼𝑚𝑝𝑟𝑜𝑛𝑡𝑒, 𝑓𝑟𝑎𝑚𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑒 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖 𝑠𝑒𝑔𝑛𝑖, Puntoacapo Editrice, 2025. Maristella Diotaiuti introduce l’autriceStefano Guglielmin, 𝑉𝑎𝑝𝑜𝑟𝑖𝑧𝑧𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖, Puntoacapo Editrice, 2025. Giacomo Cerrai introduce l’autore; Silvia Rosa, 𝐿𝑜𝑚𝑏𝑟𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑖𝑛𝑓𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎, peQuod Edizioni, 2025. Maristella Diotaiuti introduce l’autrice; Bruno Di Pietro,  Ἐλέα. 𝑄𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑣𝑒𝑟𝑟𝑎̀ 𝑖𝑙 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑎𝑡𝑜, Les Flâneurs Edizioni, 2024. Paolo Lago introduce l’autore. In collaborazione con l'associazione Borgo dei Greci: Paola Maria Minucci e Francesca Zaccone, curatrici, presentano 𝐴𝑑𝑑𝑖𝑜 𝑚𝑎𝑖. 𝑃𝑜𝑒𝑠𝑖𝑒 1956-2016, di Kikì Dimulà, Donzelli Editore, 2025. 

 

9) Per la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Silvia Rosa presenta 𝐿'𝑜𝑚𝑏𝑟𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙'𝑖𝑛𝑓𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎, PeQuod Edizioni, 2025;

Francesca Del Moro presenta 𝐿𝑎 𝑠𝑡𝑎𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑝𝑎𝑙𝑚𝑎, Selvatiche Edizioni - Seed, 2025;

letture del pubblico poesie in busta chiusa di Maram al-Masri dal volume 𝐴𝑛𝑖𝑚𝑒 𝑠𝑐𝑎𝑙𝑧𝑒, Multimedia Edizioni, 2012, a cura di Raffaella Marzano.


martedì 11 novembre 2025

La vita intransitiva, di Lucio Macchia

 



 

 

 

Ogni volta

al più dolce vivere,

prima della parola,

quand’essa

albeggia minima

tra le cose minime.

(L. Macchia, cosmi | minimi)

 

Esistono i verbi transitivi. Reggono il complemento oggetto. In essi, l’azione passa dal soggetto all’oggetto: transita, non si trattiene nel soggetto, lo trascende. La loro azione, il loro atto, la loro energheia è spesso finalizzata a produrre qualcosa, un risultato finale, una entelechia. Siamo qui nel campo della produzione, della poiesis, ma non della poesia, come l’etimo vorrebbe. Una vita “transitiva” è finalizzata all’utile, alla produzione, alla tecnica concepita come lavoro che genera un risultato, come azione orientata. Ma la vita più autentica, la vita in quanto tale, ha una natura “intransitiva”, non regge un complemento oggetto, è “atto in atto” che non ha scopo se non in se stessa. L’azione si esaurisce nel soggetto che la compie, così recita la grammatica facendosi metafisica[i].

Ronchi[ii], per descrivere questo vitalismo, recupera il concetto di “praxis” di Aristotele, originariamente sviluppato nel contesto politico e lo legge, sulla scia di una particolare esegesi, come modello della intransitività del vivere, in cui l’atto del vivente trova il suo senso in sé stesso, nella sua immanenza, e non nella proiezione verso uno scopo finale. L’atto del vivente in quanto tale, non un insieme di movimenti scomponibili dal pensiero analitico, che tende a modellizzare la vita come un divenire di tipo meccanicistico, in cui qualcosa di dato a priori si evolve in una trasformazione che è kinesis, movimento di riconfigurazione di elementi già presupposti. Qui si tratta di altro, di riguardare al vivente come connesso alla natura in senso spinoziano, alla creazione continua, alla natura naturans come immanenza dell’unitario e del molteplice nello stesso movimento che è un prodursi continuo che aggiunge sempre un qualcosa in più. Un movimento che non dispiega un “già dato” ma genera il mondo come “processo” da cui l’essere emerge continuamente come da una sorgente piena, inesauribile.

Un esempio di vita intransitiva è nel film Perfect days di Wim Wenders (2023) in cui il protagonista è un uomo di mezza età che, in una Tokyo modernissima, svolge l’umilissima mansione di pulitore dei bagni pubblici (resecato dal sistema produttivo “importante”) ma che sa vivere in continuo contatto con il suo presente, con l’atto stesso dell’esistere, nelle semplici cose quotidiane, ripetute in una routine che non si presenta come ripetizione dell’identico ma come ripetizione della differenza, come contatto con il nucleo vitale più autentico. La bibita al solito bar, la musica ascoltata nel tragitto verso il lavoro, la lettura di un libro la sera, cose senza scopo se non il vivere, senza meta, nella pura praxis il cui fine è in se stessa, nel percepire la vita, nel dimorare dentro di essa. Azioni di puro stupore partecipato, di esperienza della vita in sé, di cui la passione del protagonista per contemplare la luce che filtra tra le cime degli alberi (i giapponesi lo chiamano “komorebi”) è il paradigma perfetto.

Una vita da “folli” nel senso collegato al famoso arcano dei tarocchi, l’arcano senza numero (e quindi senza logos) che ci presenta l’archetipo del viandante senza meta, la cui follia consiste nel suo semplice andare, nel suo puro vivere per vivere, senza scopo, senza destinazione, senza trascendenza.

Il produrre della poesia, la sua poiesis, è proprio, paradossalmente, correlata a questa “anti-poiesis” della praxis intesa come intransitività del vivere, in un’attività di pensiero (perché la poesia in qualche modo frequenta il pensiero pur non coincidendovi) che non è di natura analitica, che non ritaglia il mondo, non lo spezzetta, non ne afferra delle parti per manipolarle, non lo riduce ad una sequenza di stati statici, ma tenta l’impossibile di dire questo “tutto insieme” che è l’esperienza del vivere.

In questo la poesia acquisisce una valenza politica che non è, per intendersi, quella banale dei “reading a tema” per la pace nel mondo, ma il suo porsi come istanza intransitiva in un contesto sociale in cui il capitalismo, nella sua totale pervasività, ha reso tutto “transitivo”, assoggettato alla logica produttiva, per cui ogni azione ha senso solo nel suo esito, nel suo “output”. Il gesto poetico è intrinsecamente atto di rivolta verso i dispositivi di “biopotere”, di controllo della vita, che si oppongono al suo essere istanza puramente “in atto”, fine a se stessa, collegata a una esperienza individuale di “self-enjoyment”. Dispositivi che sono strutturati per ricondurla sempre all’interno di parametri di “normalità” e per porla a disposizione del sistema produttivo. Il discorso sarebbe amplissimo ma certamente la scuola e il lavoro sono strutture portanti di questa compagine dispositiva. La poesia è lì a ricordarci che c’è una intransitività della vita che è la vita stessa: inaggirabile, incodificabile. E lo fa con il suo semplice darsi. Paradossalmente, la poesia che non si “impegna”, che non si vincola a uno scopo, è quella più significativa anche politicamente.

Solo nel contatto intransitivo con il nostro esistere possiamo essere salvi dal meccanismo di contingenza e oppressione che ogni concezione poietica impone, ingabbiando la vita, isolandola dalla natura, meccanizzandola all’interno del logos analitico, come splendidamente sintetizza Ronchi: «In quanto praxis e non poiesis il vivente non è infatti movimento e non è nemmeno tempo, che del movimento è la misura […] (un’annotazione esistenziale […]: che cosa preserva l’uomo dall’orrore “logico” della morte alla prima persona? Che cosa lo immunizza , anche quando l’età o la malattia lo incalzano, se non la certezza pragmatica dell’intransitività dell’atto del vivere? Ego sum, ego existo significa immediatamente per il parlante: “io non posso non essere vivo”, “io sono sempre salvo”, “la vita è eterna”)»[iii].


Immagine: il folle dei Tarocchi (fonte web)


[i] Non si sta affermando che tutti i verbi transitivi sono “della vita come poiesis” e tutti quelli intransitivi “della vita come atto in atto”: la cosa è più complessa di così e richiederebbe un approfondimento che qui non facciamo, scegliendo di semplificare, fermandoci alla suggestione grammaticale legata alla transitività e intransitività.

[ii] Rocco Ronchi, Il canone minore – Verso una filosofia della natura (2017)

[iii] Ronchi, op. cit., edizione digitale kindle pos. 5118


NOTA. Vi sono nel testo riferimenti non esplicitati a concetti molto famosi di Deleuze (differenza e ripetizione) e di Foucault (biopotere).


Per la rassegna Sette incontri di poesia contemporanea, a cura de Le Cicale Operose: postfazione di Giacomo Cerrai per il volume "Vaporizzazioni", di Stefano Guglielmin.

 


Per la rassegna Sette incontri di poesia contemporanea, a cura de Le Cicale Operose.

Stefano Guglielmin.

Postfazione di Giacomo Cerrai, in dialogo con Stefano Guglielmin alla presentazione del volume Vaporizzazioni, Puntoacapo Editrice, 2025.

La postfazione è presente nel blog Imperfetta Ellisse, a cura di Giacomo Cerrai:

https://imperfettaellisse.it/archives/4446





Noterella sul sublime

Gravità e decoro quale zolla dovrebbero seminare? Che cosa

riempire o sostenere? L’anima smorta, l’assenza, la disadorna

esperienza?

Cerchi il dire figurato, il cesello, l’effetto gagliardo?

Sogni dignità ed elevazione?

Il tocco della moneta al suolo dice il falso a ogni rimbalzo.


(dal volume Vaporizzazioni, di Stefano Guglielmin)






Quarta di copertina

Questo volume esibisce in prevalenza strutture paratestuali, per additare i margini di un senso complessivo perduto, di un vuoto di cui le strutture stesse sono l’emblema. Ne esce un meccanismo celibe, in cui la certezza del vero è fagocitata dall’assenza di un fuoco oggettivamente credibile. Va dunque in scena una poesia minore, cresciuta in pascoli disagevoli, se non disdicevoli. Una poesia dei margini e per margini, in morte di Amore, Patria, Eternità.

Dall’evanescenza dell’io e del mondo – e, quale conseguenza, dalla vaporizzazione del libro di poesia, del suo feticcio – traspare tuttavia un arcipelago di relitti salvifici, boe mosse da diverse correnti da cui riordinare parzialmente l’orizzonte.

Postfazione

Che cosa abbiamo appena letto? Ho avuto il piacere di sfogliare in anteprima questo lavoro di Stefano (che mi perdonerà se riprenderò qui alcune delle considerazioni che già gli espressi in una lettera privata), ed è una domanda che in qualche misura mi ripropongo.

In effetti puoi avvicinare un poliedro poetico come questo da un qualsiasi lato significativo. Stefano stesso si preoccupa di offrire, da uomo di montagna, degli appigli, alcuni dei quali però ironici se non beffardi, altri direi di depistaggio volontario. Come la sua scrittura, che fornisce un dettato compiuto e perfetto e insieme ciò che con ossimoro potremmo chiamare una leggibilità con ombre. O come (a pag. 19) i suggerimenti per una recensione (o, sono avvisato, una postfazione come questa). Per farla breve potremmo anche dire che si tratta di un piccolo trattato di metapoetica, di poesia sulla poesia, l’ennesima riflessione sul genere e il mezzo. Ma è un argomento che eventualmente Guglielmin ha già da tempo abbandonato, o ha trasformato in una profonda riflessione, come io credo sotto traccia sia successo, ad es. anche nei suoi ultimi due lavori (Dispositivi, 2022 – Un regno di ciechi senza doni, 2023). In realtà mi pare che ciò che interessa Stefano sia una certa sintomatologia poetica, una tassonomia di macchie, glitch, paradossi o tic, che siano essi del genere (la poesia), dell’oggetto (il prodotto libro, gli arnesi paratestuali e extraletterari che Genette sistematizzò nel 1981) o dell’ambiente con i soliti vizi che ci stanno intorno, con una visione però di insieme, che mette in discussione e complica il corpaccio della poesia e la figura stessa del sé autore. Come dire, evidenze non solo di una poesia che non se la passa bene, come statuto e come prodotto culturale, ma anche di un autore che nutre ormai un disagio, una disaffezione che tuttavia in quanto intellettuale, addetto ai lavori e anche filosofo non può non osservare nei suoi epifenomeni. Non tanto perché “la paratestualità può diventare un pretesto” (pag. 17) o anzi “un libro di poesia” (come in prima stesura), ovvero ancora una volta un metaqualcosa, al netto della evidente ironia; o perché la critica, ancorché sorridente, rivolta ai vizi di cui si diceva (come le poesie fatte apposta per i premi, o il poeta che “vive ai quattro angoli delle cose”, o la “poesia innocua” di cui parlava in un testo qui espunto, o la poesia importuna che finisce nello spam) ponga il poeta Guglielmin in una alterità, o in una kantiana posizione etica che gli consenta di “salire sull’albero più alto per vedere l’uscita dal labirinto”. No, della “vaporizzazione” che, come lo avvisai, tra tutti gli stati della materia (poetica) è il più difficile da invertire, Stefano si prende la responsabilità di parlare, nonché di fare del fenomeno una osservazione heisemberghiana, che come sappiamo modifica in maniera misurabile il fenomeno stesso. O se preferite di scoperchiare la scatola per vedere se il gatto è vivo o morto, ma ha già le sue convinzioni e cerca di fare di questo libro uno strumento di comunicazione, abbatte la quarta parete, si rivolge a chi legge o a chi valuta, all’amico o al critico. Non può non “additare i margini di un senso complessivo perduto, di un vuoto di cui le strutture stesse sono un emblema” (nella Quarta di copertina, insieme immagine di un paratesto e testo fondamentale) ma anche, credo, le speranze anzi gli obbiettivi, un po’ per sé, un po’ per altri. Citando in esergo Enrico Filippini (Settembre, 1961) ci ammonisce intanto che “intorno, come si dice, si svolge la vita”, invitandoci, immagino, ad alzare lo sguardo per “riordinare parzialmente l’orizzonte”, a individuare, nel vapore, “un arcipelago di relitti salvifici” (Quarta). Che da soli non bastano. Per Stefano quello che serve è un indice di verità, uno spessore, qualcosa da saggiare con i denti come una moneta d’oro. La Noterella sul sublime (pag. 13) pone una serie di domande che non sono retoriche, ti prendono per il bavero, inutile fare i furbi, tanto “il tocco della moneta al suolo dice il falso a ogni rimbalzo”. Serve “un fuoco oggettivamente credibile” (Quarta), ora assente. Serve un lavoro non improvvisato, ripartire dalle fondamenta. Ne Il gioco dell’oca (pag. 15) ancora domande, domande molto eliotiane direi, su cose, dice Stefano, di cui ci siamo dimenticati e che invece sono nostre, forse la tradizione, forse qualcosa di “ineffabile” che marca la nostra filogenesi culturale, forse quell’ “enigma” di cui scrive a pag. 10 e che è ben più di un semplice relitto salvifico. Nel gioco dell’oca può capitare di finire nella casella 58, dovendo ripartire da zero. Si può scegliere di fermarsi, di considerare “un più agevole congedo dalla poesia”, da questa generale “poesia dei margini”, di adombrare magari altre forme espressive. Ripeto, in questo libro Guglielmin parla anche di sé e per sé, con ammirevole onestà intellettuale (ma con pochissimo da rimproverarsi, posso certificarlo), parla di un dubbio, di una stanchezza, di un’entropia (ovvero più disordine e meno energia) che spesso si esercita proprio in quelle “diverse correnti” (lirica/ antilirica magari) che cercano di trascinare ciascuna a sé quei medesimi relitti.

Quello che si evince o non si evince da questo libro mi pare non sia solo ciò che, ancora con ironia, dichiara Stefano nei testi omonimi. Credo che sia anche, come gli scrissi, uno sguardo disincantato sulla poesia come codice inattuale di fronte al reale, alla Storia, alla complessità, e come contenitore, ora vacante, di “un fuoco oggettivamente credibile”. Ma in questo senso lo definirei un libro aperto, proprio là dove pone delle domande. Stefano si schermisce, nella Quarta, parlando di esso come di un “meccanismo celibe”. Solamente qui dissento da lui: una “macchina” che come questo libro non fornisce, come direbbe Michel Carrouges, “un godimento fine a sé stesso”, non è “improduttiva”, non marca una distanza con la solitudine del poeta, ma ha un senso, uno scopo, una “preoccupazione” che tanti libri di poesia nemmeno immaginano, non può essere celibe. (g. cerrai)

domenica 9 novembre 2025

"Ogni volto (Per Amedeo Modigliani)", di Raffaela Fazio.














Ogni volto (Per Amedeo Modigliani), di Raffaela Fazio.

Tributo di Raffaela Fazio per Amedeo Modigliani reso in occasione della celebrazione a cura de Le Cicale Operose (Maristella, Federico): Le Cicale Operose per Amedeo ModiglianiCelebrazione, premiazione, eventiDomenica 13 luglio, 2025. 

Ringraziamo Raffaela Fazio per il video poetico, proiettato in corso di serata alla presenza e a cura dell'autrice.




Per visualizzare il video cliccare sull'immagine. Diritti citati e testo poetico nella descrizione della pagina del canale Youtube di Raffaela Fazio.



Le Cicale Operose per AMEDEO MODIGLIANI

PROGRAMMA DELLA SERATA
Ore 18:30
Premiazione e letture delle prime 10 poesie.
Ore 19:30
Intervento di Vincenzo Guarracino: Modigliani, poeta.
Ore 20:00
Pausa 
Ore 21:00
Monologo di Patrizia Di Martino: Beà e Modì. L'amore che dipingeva parole.
Ore 21:30
Intervento di Mario Di Chiara: Cenni sulla formazione socioculturale di Amedeo Modigliani e l'avventura critica del suo lascito (1875-1915)
Ore 22:00
Saluti e brindisi finale

Le Giurate e i Giurati che hanno valutato le poesie:

LAURA GIULIBERTI
VINCENZO GUARRACINO
RENATA MORRESI
CHIARA SERANI

Pagina dell'evento nel blog de Le Cicale Operose:

https://lecicaleoperose.blogspot.com/search/label/Modigliani%202025%3A%20le%20poesie

Evento su Fb: https://www.facebook.com/events/1286591789555037?active_tab=about