Per la rassegna Sette incontri di poesia contemporanea, a cura de Le Cicale Operose.
Appunti di Chiara Serani per la presentazione del volume πΏππ πππ ππ πππ πππ πππππππ‘π πππ ππππ‘ππ ππ ππ πππ£π ππππ‘πππ ππππ πππππ‘π, di Carlo G. Bellinvia, industria & letteratura Edizioni, 2025.
Lascio isola… Γ¨ un poema di formazione, in versi variamente ritmati e rimati, con brevi stralci di prosa, che ripercorre le tappe di una vicenda autobiografica – senza che per questo si debba parlare di confessionalismo o autoreferenzialitΓ nΓ© tantomeno di sdolcinamenti sentimental-effusivi che attraversano tanta scrittura poetica contemporanea – Γ¨ una vicenda dunque che racconta la formazione di una mente e di un poeta, anche attraverso le stazioni di una passio, di una via crucis che passa per la malattia mentale; ma, altresΓ¬, in parallelo, Γ¨ una vicenda che racconta, per via allegorica e comico-parodica, il formarsi della poesia dall’informe biografico e il formarsi, sempre, di una vicenda comune, in senso culturale, che riguarda l’Italia degli ultimi quattro decenni, dunque tutti noi.
Stemperato l’io e ogni suo facile compiacimento – pur nella trasmissione di un’esperienza fortemente personale, personalissima – anche attraverso le figure anonime e surreali del Cildreno Bambi, della Motera, del Fatero, del Broterino e della Sisterina qualsiasi, cioΓ¨ le figure piΓΉ o meno reali che contornano il protagonista della vicenda, il quadro infantile e adolescenziale che emerge nel testo Γ¨ quello di un gruppo famigliare di fine millennio (madre e padre variamente assenti, segno di una genitorialitΓ problematica, in via di fuga, nonchΓ© della mancanza di coordinate salde; l’avvento della telefonia mobile; il berlusconismo televisivo…) in cui il futuro poeta non Γ¨ piΓΉ il Fanciullino pascolianamente assorto nello stupore naturale, ma una creatura amorfa e chiusa in uno «stanzino postinglese». E, per di piΓΉ, incollato a uno schermo che gli offre modelli pubblicitari di una vita mercificata e vissuta nel feticismo del prodotto di marca. Nient’altro che «un residuo, zero // virgola qualcosa», il nostro Cildreno Bambi (“bambino” interrotto, difettoso, insufficiente… e, in parallelo allusivo, il giovane capriolo di Felix Salten, abbandonato a sΓ© stesso e all’aspra vita dei boschi) procede in cerca di identitΓ e unitΓ attraverso la scrittura.
La ricerca che guida il Cildreno Bambi va alla volta di una lingua che non sia
quella franca, ormai svuotata per abuso, e familiare evocata
dagli anglismi del campo semantico famigliare,
ovvero quel gergo angloamericano passepartout
che ha perso presa su un mondo occidentale esautorato ed esauritosi nella
dimensione unica del post- (postuma,
postrema) e le cui sagome esemplari sono qui quelle evocate dalle storpiature
italiote di «Spaidermene» e «Michimause». Storpiature, ancora, che fanno il
pari con i filtri comico-parodici e grotteschi di cui dicevo e che inquadrano
il testo e riscattano il potenziale patetico nascosto dietro l’angolo
congegnando semmai un racconto allucinato e straniante, in cui il pathos nevrotico che deforma
immagini e ricordi si allea con l’invenzione poetica e la manipolazione del
verso, mai uguale a sΓ© stesso. Per citare Rosaria Lo Russo a proposito di Omissis, si tratta di “sorprendenti
invenzioni linguistiche e stilistiche”. Del resto, l’unica chance di scampare
ai canoni televisivi, immaginifici e linguistici di massa cui il nostro
Cildreno viene esposto Γ¨ rappresentata, dicevo, proprio dall’acquisizione di
una lingua propria e, dunque, dallo scrivere, inteso non come vocazione
elitaria o slancio di elevazione ma come via per riappropriarsi di una storia
individuale, espropriandone il copyright a
chi la inventa e sovrascrive per lui/noi.
Proprio come in un vero KΓΌnstlerroman il risveglio intellettuale e filosofico del protagonista Γ¨ il perno su cui gira la vicenda, che qui sterza in seguito all’acquisto di una Olivetti ad uso privato, con cui poter scrivere, appunto, il proprio passato e il proprio destino, comunicare una vicenda di dolore e sopraffazione che conduce dritto dritto il Cildreno dallo «stanzino post-inglese» al «foro» del ricovero per «allucinazioni videoludiche», ricovero da cui riemergerΓ individuato e reintegrato anche grazie alla scrittura, intesa un po’ come una serie di messaggi nella bottiglia, cioΓ¨ come aspirazione salvifica alla comunicazione con possibili interlocutori. Ma la malattia mentale del Cildreno Γ¨ tanto individuale quanto collettiva, propria di una specie, sembrerebbe, giunta al tramonto. L’eziologia psicopatogena Γ¨ privata («Γ¨ un problema di ceto, di famiglia, / di educazione»), nazionale («Γ¨ una questione / meridionale, di questo soffriamo / mia musa» – CB Γ¨ di Reggio Calabria), globale («finchΓ© la televisione non avverte / della novitΓ del niente»); la patologia mentale Γ¨ insomma la manifestazione della tappa ultima di un andare umano che dalla primigenia alienazione (vedi Marx, e vedi «il giardino / che fu cretacico e pubblicitario / fin dall’inizio») evolve verso l’alienazione ultima, affacciato sul baratro di un avvenire di estinzione rispetto a cui si fatica a vedere la possibilitΓ di una qualche palingenesi.
Γ un mondo perso nel nichilismo tardo-capitalistico, incapace di ritrovare un senso oltre lo schermo e il consumismo – il Cildreno non vive la sua vita, la consuma – quello di Lascio isola…, eppure non cosΓ¬ disperante: «tutta la sequela si ricomincia / da tutti o da nessuno / da me o da te»: il nulla materiale e materico e morale, lo stesso che Bellinvia aveva in precedenza affrontato in bacon, fast-food (ecs, 2024) e sempre secondo un parallelismo tra accrescimento biografico e artistico (in quel caso, di Francis Bacon), come giΓ lΓ¬ contiene l’enantiodromia di un vitalismo creativo, qui dispiegato soprattutto nell’ambito dell’invenzione linguistica giocosa, esuberante. Aggetta dunque l’eventualitΓ di una re-integrazione psichica non esclusiva del singolo. Nonostante sia ambiguamente approdato anche lui a una versione posteriore di sΓ©, guarito pur in qualche modo depauperato, il caso clinico del Cildreno ci si propone infatti come universale e archetipico, nel distacco inevitabile dalla Madre (Motera-Terra) e nella perdita irrecuperabile dell’unitΓ originaria (alienazione finanche antecedente a quella marxiana) ma, soprattutto, nella suggestione di uno schema di iniziazione sciamanica (lo smembramento psichico e la sua ricomposizione), un’esperienza simbolico-rituale di morte e rinascita che spesso avviene in uno stato alterato di coscienza. Sotto la superficie desublimata del rΓ©cit personale s’insinua dunque, concludendo, questo incrollabile nucleo d’immaginazione rigenerativa, la rielaborazione di un rito di passaggio in cui, nel nostro caso, l’autodeterminazione si fa fondamentale e trova nella poiesis e nell’autonarrazione una possibile forma di libertΓ dalle strutture del potere.
C.S.
