giovedì 30 ottobre 2025

La crociata della Bellezza di Beatrice Hastings ne La commedia delle fanciulle. Di Maristella Diotaiuti

 



Prefazione di Maristella Diotaiuti per l'opera La commedia delle fanciulle, di Beatrice Hastings, 1910, serializzata nella rivista The New Age, pubblicata in forma di volume con Terra d'ulivi Edizione, 2025, traduzione di Rubina Valli

Opera pubblicata grazie al lavoro di ricerca e raccolta dei testi a cura di Federico Tortora e studio dell'opera a cura di Maristella Diotaiuti.

Buona lettura. Sette pagine



La crociata della bellezza di Beatrice Hastings

Maristella Diotaiuti

 

 

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C’è senz’altro qualcosa di incompiuto nel tentativo di spiegare un testo, molte cose resteranno inevitabilmente fuori da questa prefazione. Questo è ancora più vero per La commedia delle fan­ciulle, non immediatamente decodificabile, dai tratti complessi, a volte indecifrabili, oscuri, che a una prima lettura possono destabilizzare e confondere il lettore e la lettrice. Ma si sa che l’opera d’arte è sempre un mistero e una potenza che trascen­de la sua apparenza, riserva sempre qualcosa che eccede ogni spiegazione, nel senso che la sua essenza non è mai del tutto disvelabile.

Del resto la stessa autrice esplicitamente ammonisce a non cer­care a tutti i costi di capire, decifrare, cercare significati, o una morale, scrive, anzi, che bisogna scoprire, negandolo, che qui c’è qualche sorta di morale strampalata.

Questa mia prefazione, dunque, non andrà intesa come acca­nimento decifratorio, piuttosto come tentativo di far emergere ed apprezzare proprio una precisa caratteristica della scrittura, e della personalità di Hastings, basata sull’ironia, il gioco, il divertimento, la leggerezza, non nel senso di approssimazione, vacuità, ma nell’accezione calviniana di leggerezza della penso­sità, un modo diverso, non superficiale, di guardare il mondo, “altra” modalità di conoscenza e di verifica.

Ed è sempre la stessa autrice ad avvertire, a mettere al corrente, su un altro aspetto del suo testo, quello della piacevolezza, a indirizzare verso una lettura divertita, che già il titolo introduce con il riferimento esplicito al genere Commedia che, per defi­nizione, promette sollazzi e lieti conversari.

La scelta del genere Commedia probabilmente risente della po­sitività delle circostanze che hanno visto la genesi e la stesura de La commedia delle fanciulle. Mi riferisco a quel periodo partico­larmente propizio e florido per Hastings scrittrice e giornalista, nella Londra del primo decennio del secolo, ben inserita negli ambienti letterari, attiva, con ruoli primari, nella vita redazio­nale della rivista The New Age, con molta produzione lettera­ria, e, forse, anche felice dal punto di vista personale, vista la piacevole e gratificante relazione con Alfred Richard Orage e Katherine Mansfield.

Circostanze e persone, coordinate temporali e geografiche, rintracciabili nel romanzo, se pur con qualche sforzo inter­pretativo, dal momento che Hastings tende prevalentemente a trasportare la realtà, e la sua realtà, nella dimensione artistica, immaginifica, fantastica, che, a suo convincimento, trasfigura e altera, ma nello stesso tempo dice e svela molto di più della rappresentazione realistica.

Tutto quello che accade ne La commedia delle fanciulle, infatti, è reale, i personaggi sono reali e si muovono in un mondo reale, ma Hastings li munisce tutti di una irregolarità, una anomalia, una imperfezione, di un guasto o una insufficienza e anche di una qualità potenziata che li sottrae al quotidiano e all’ovvio proiettandoli in un mondo alternativo che, però, sta accanto e non sostituisce, delineando due mondi che si muovono pa­ralleli ma che la nostra autrice abilmente e intenzionalmente mette in dialogo, addirittura intersecandoli in alcuni punti e per alcuni tratti.

Le persone che si aggirano nelle pagine della commedia di Ha­stings, diventano personaggi letterari, identità finzionali sospesi tra realtà e romanzo, ma con una loro precisa identità e carat­terizzazione finendo col risultare più vivi di quelli che li han­no ispirati, pur volendo rimanere dentro alle loro storie perché quello è il loro destino e quella è la loro realtà.

Questi esseri cartacei sono anche funzionali all’autrice perché si fanno portavoce del pensiero di Hastings, di alcune sue idee e opinioni, ma sempre dentro un dialogismo strategico che con­nota la sua scrittura, soprattutto quella giornalistica, e che vede l’autrice moltiplicarsi in differenti identità, a volte contrappo­ste, in un gioco di specchi, di rimandi, rifrazioni e diffrazioni, estremamente interessanti. Non si tratta, però, di un autobio­grafismo fine a se stesso. Per Hastings scrivere di sé non è rac­contare i propri ricordi, i propri viaggi, le proprie memorie, i propri lutti, i propri sogni e i propri fantasmi, sarebbe come peccare per eccesso di realtà. La letteratura segue la via oppo­sta, scopre sotto le persone reali la potenza di un impersonale, di un indefinito, che non è una generalità, ma una singolarità a un livello più alto. I personaggi e le personagge della Com­media possono diventare tipi o maschere, portatori di valenze universali e, nello stesso tempo, farsi luoghi esistenziali, spazi di memoria, ricettacoli affettivi.

Se, dunque, un autore, un’autrice, è innanzitutto la sua opera, allora quest’opera, La commedia delle fanciulle, è Beatrice Ha­stings, dove la sua Weltanschauung si traduce in atto, gesto letterario vitale e militante.

Certamente qui si aggrumano molti tratti della sua peculiare penna e della sua personalità, soprattutto la sua postura gioiosa e giocosa, la sua esuberanza di vita, la sua eccentricità, la sua di­sobbedienza, il suo agire ironico e dissacrante, trasgressivo, pro­vocatorio e di rottura nei confronti di tutto ciò che è normato, codificato, statico, il suo pensiero femminista, unitamente alla sua idea di letteratura e di arte, di creazione artistica mutuata, nei suoi tratti essenziali, dal pensiero di Nietzsche. Come se tutto il suo percorso esperienziale di donna e di scrittrice, il suo apprendistato e la sua sperimentazione letteraria, trovassero qui un momento di maturazione e di sintesi.

Non è un caso che questo romanzo venga immediatamente dopo la scrittura di testi di altra natura, almeno apparentemen­te, nei quali l’autrice è stata impegnata in una riflessione teo­rica su stili, linguaggi, canoni letterari, sull’arte e la creazione artistica, riportata nelle pagine di Note d’Oriolo, pubblicate in quattro numeri del The New Age, nel 19081, venga immedia­tamente dopo la pubblicazione di un romanzo breve, Sepolcri imbiancati2, e il saggio Il peggior nemico della donna: la donna3, di chiaro argomento femminista e di critica al sistema sociale e politico del suo tempo, capitalista e patriarcale.

I tratti della sua personalità e della sua penna ne La commedia ci sono tutti, e diventano letteratura, realizzando quel binomio, quella coincidenza di letteratura e vita tra i più affascinanti tòpoi letterari classici. Hastings aspira a improntare l’intera sua esistenza a questo ideale, a fare della propria vita un’opera d’ar­te, in un processo osmotico in cui letteratura e arte invadono la vita e questa ne viene contagiata a sua volta, si riconverte in letteratura.

Se alcuni tratti edonisti sono riconoscibili in questa postura – Hastings riconosce come fine dell’azione umana il piacere – tale edonismo non scade mai in un riduttivo individualismo, si apre sempre a una visione sociale e universalistica in cui tutti sono coinvolti nel diritto alla bellezza e alla gioia, alla felicità, prepara alla rinascita, alla rigenerazione, a una futura palingenesi.

Dalla mescidanza di questi, e altri, elementi, deriva un’opera ipnotica alimentata da un’alchimia complessa, misteriosa, stra­niante, in cui si mescolano realtà e fantasia, vero e verosimi­glianza, verità e finzione, concretezza e immaginazione, altro concetto, quest’ultimo, fondante nel pensiero hastingsiano, un vortice testuale nel quale siamo immediatamente risucchiati. Il lettore, la lettrice sono destabilizzati, sollecitati a lasciarsi an­dare nel flusso della narrazione, incalzati da un ritmo soste­nuto, paratattico e dialogico, da una struttura schidionata, a spiedo, con una sequenza sommatoria di avventure, presentate una dopo l’altra, una dentro l’altra, e da un ricorrente esplicito appello dell’autrice che apostrofa e dialoga spesso direttamente con il lettore, autrice che più e più volte entra ed esce dal tes­suto diegetico, che, pur muovendosi nel testo dichiaratamente come autrice onnisciente, sembra comportarsi da spettatrice che osserva i suoi personaggi agire, muovere le fila della narra­zione, quasi lasciando a questi e alla storia stessa di farsi autono­mamente. Espedienti narratologici, questi messi in campo da Hastings, anticipatori e di straordinaria modernità.

Il lettore, la lettrice, sono chiamati, prima di tutto, a sospendere l’incredulità di fronte alla finzione letteraria, a mettere da parte le proprie opinioni e il controllo epistemico sul contenuto della narrazione, per accettare la rappresentazione di un mondo im­probabile ma possibile, a scegliersi un personale percorso di let­tura e di decodifica del testo, e interagire con il testo e piegarlo in qualche modo alla propria sensibilità.

 


1 Serializzata nel periodico The New Age, nel 1908, nel seguente ordine: 28 marzo (Oriole Note 1), 18 aprile (Oriole Note 2), 18 luglio (Oriole Note 3), 25 luglio (Oriole Note 4). Ripubblicate in: Maristella Diotaiuti, Federico Tortora (Le cixcale operose), Beatrice Hastings. In full revolt, Caffè letterario Le Cicale Operose, Livorno 2020, pp. 127-1387.

2 Beatrice Hastings, Whited Sepulchers, a cura di Maristella Diotaiuti, Terra d’ulivi Edizioni, Lecce, 2024.

3 Beatrice Hastings, Woman’s Worst Enemy: Woman, a cura di Maristella Diotaiuti, Astarte Editrice, Pisa, 2022.

 


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A concorrere alla complessità del testo, alla sua caleidoscopici­tà, è anche la mistione o, meglio, la compresenza di più generi artistici simili ma diversi tra loro, quali il comico, il grottesco e l’ironia, sottilmente e sapientemente mescolati da Hastings, adottati per la loro natura antifrastica, rivoluzionaria, anarchi­ca, oppositiva a tutto ciò che è prescrittivo, statico, immutabile e quindi utilizzati come strumento di provocazione, di erosione sottile, di incessante gioco dentro il linguaggio e con il linguag­gio, che destabilizza il riconoscibile, ne arresta gli effetti e rove­scia le situazioni.

Più che il comico, in realtà, a interessare l’autrice è il grottesco per la sua capacità di deformare e sovraesporre gli aspetti del reale, increspando la sua visione lineare, innescando la meravi­glia, lo stupore che fa vedere le cose da una angolatura diversa, fa scoprire l’imprevedibile nello scontato. Per la sua portata sov­vertitrice, di devianza dal già stabilito, preordinato, codificato, il grottesco segnala il sovvertimento di un ordine atteso e la comparsa di qualcosa di inaspettato, la nascita di una nuova necessità.

Per Hastings l’ordine come va costruito, va distrutto, perché quando si completa e si consolida preclude l’infinito-altro. L’e­sistenza, la realtà, come l’autrice ha più volte sostenuto anche nel campo della teorizzazione di una nuova lingua, non può essere ridotta a conoscenza compiuta, perché è viva e quindi esplosiva, incontenibile, è un magma ribollente, in fermenta­zione, che non si può fissare in una forma data una volta per sempre.

Per questo, su tutti questi registri domina l’ironia, colta nel­la sua essenza ludica, di prossimità al gioco, nella sua natura asimmetrica, almeno doppia, che vuole soprattutto colpire, terremotare un concetto per non renderlo statico dogma, per uscire dalle angustie di un labirinto di concetti che si pensano invincibili e immobili. Ci porta dove non vorremmo andare, su un terreno dove il discorso binario non vale più. Dove fini­scono le tracce. Dove conta la situazione intermedia tra il tu e l’io e dove il terzo è sempre incluso. L’ironia vuole interrompere non travolgere, non è mai una critica distruttiva fine a se stessa, è interrogante – come vuole l’etimo greco eironéia, da éiron, ‘colui che interroga’, sottinteso ‘fingendo di non sapere’ – ha una componente discriminante di creatività, di completamento rispetto al punto di vista che la sollecita. Implica, quindi, una relazione fra un detto o un fatto precedenti e la replica di altri a quel detto o fatto, vuole complicità, ha considerazione per gli altri.

L’ironia, però, vuole sorridere non digrignare i denti come fa il sarcasmo, di conseguenza la risata che Hastings qui solleci­ta, se risata può esserci, è pensosa, si fa riflessione, non è mai scherno, ridicolizzazione, non vuole essere contro, non aggre­dire ma simpatizzare, vuole ridere-con, non ridere-di. Ha punti di contatto con la serietà, oltre che con lo scherzo, è pratica che scopre e mette a nudo verità spesso scomode, e al tempo stesso di copertura del discorso di verità. Qui sta il suo paradosso che tanto piace alla nostra autrice abituata al mascheramento dove la maschera si pone come soglia che convoca ciò che nega, ren­de visibile ciò che nasconde. Il discorso ironico si muove pro­prio su una soglia, come sostiene Kierkegaard, una soglia che apre allo stadio etico dell’esistenza. Per questo può diventare scomoda, irritante, pericolosa quando denunciante, contraria, oppositiva.

Comico, grottesco, ironia insieme sono, quindi, per Hastin­gs un modo molto serio, ma leggero, di guardare il mondo, le permettono di mostrare il senso profondo della realtà o la sua essenza più autentica. Sono lo sguardo alieno, obliquo sul mondo, nella convinzione che l’unico modo per comprenderlo sia aspettare che accada qualcosa di incongruo, di non spiega­bile, di divergente. L’essenza del mondo e quella umana colte nel momento dello squilibrio. Così Hastings indossa i panni del giullare che sbugiarda il re nudo, la sapienza consolidata, il punto di vista canonico, perché solo così, da questa posizione disallineata, può dirci il sommerso, esibire il nascosto, rendere possibile e legittimo ciò che altrimenti è proscritto.

L’assunzione del comico, dell’ironia, sul piano più propriamente letterario, serve ad Hastings per portare scompiglio in una cultura consolidata, paludata e quindi scardinare dall’interno un genere che quando diventa tale è espressione ingessata di quella cultura, dentro una sua generale visione dell’arte svinco­lata da un’idea mummificata, museale, costretta nel chiuso di scuole, generi e canoni, che, a suo dire, mortificano la fantasia e l’immaginazione, la magia, la fascinazione e, quindi, la libertà dell’atto di creazione, di scrittura e di arte.

Scrive in Note d’Oriolo: La Vita si fa beffe di chi vuol fare un inventario. Lo conduce attraverso il Palazzo come verso la sala del trono, ma attenzione! Niente trono, niente erede, solo una sala vuota, un nesso mancante. E mentre la sprovveduta vittima sbir­cia furtivamente, la Vita rincorre novelli e azzurri fantasmi della Natura, nel profondo di un nuovo mare. La Vita si burla del gof­fo intruso. All’artista, all’idealista, chiede un divino ostaggio. La Natura si presta ad essere animata, ma chi vuole creare un’anima dentro di Lei deve offrire la propria.4

Ne La commedia delle fanciulle, infatti, oggetto di attenzione e di rivisitazione da parte di Hastings è il patrimonio letterario del medioevo europeo, il genere epico-cavalleresco così come fissato e trasmesso dalla tradizione, operando di esso una pa­rodia, riadattandolo in modo dissacrante alle nuove esigenze, sue personali e dei nuovi tempi, rompendo la fissità schematica dell’epica, mettendone così in luce la ancora sconfinata fecon­dità.

Il modello di riferimento è, evidentemente, il Don Chisciotte di Cervantes qui magistralmente rielaborato, operazione estremamente audace confrontarsi con un autore e un romanzo de­finiti come i più grandi della storia della letteratura mondiale, che dimostra tutto il coraggio di un’autrice originale e inesausta sperimentatrice, trasgressiva e iconoclasta, non conforme.

Le differenze tra Hastings e Cervantes sono molteplici e signi­ficative di un diverso substrato ideologico e culturale, epocale e storico, ma anche di personalità e indole.

Chisciotte è il punto di partenza non l’obiettivo della Comme­dia di Hastings. Cervantes scrive come un romantico, si muove in un mondo in cui non si riconosce, si scontra con la realtà e desidera far rivivere un ordine antico, un galateo cavalleresco che non ha più diritto di esistere. La bellezza è sparita dai suoi occhi, e vede l’uomo come un animale che si nutre, lavora, si riproduce, senza un ideale elevato da perseguire e senza nessu­na speranza, perciò Cervantes rende pazzo Don Chisciotte, un vecchio pazzo che non conosce né i propri poteri né le forze schierate contro di lui. La Commedia di Cervantes perciò è una satira, perché la delusione rende il suo umorismo aspro e il suo riso duro in gola. Hastings, viceversa, è una realista, pensa, giu­dica, agisce con concretezza, soprattutto non vuole concludere un periodo, non sancisce la morte di un’epoca, e La commedia delle fanciulle non è il canto del cigno di un ideale, ma piuttosto apre a una prospettiva, a una nuova visione del mondo, apre a uno scenario su ciò che l’uomo e l’arte possono essere, vuole essere il primo segno di un nuovo Rinascimento, vuole dire agli artisti che c’è ancora molto da fare e che la Bellezza può e deve essere riportata nel mondo e nell’arte, è la missione ideale e suprema degli artisti.

L’azione sovvertitrice del genere epico-cavalleresco comincia dai personaggi che vengono privati della loro aura, desacralizzati, resi degli anti-eroi per eccellenza, personaggi però che, se pur caricaturali, se pur caratterizzati esageratamente, con personali­tà eccentriche, come vuole il genere commedia, non sono mai ­

percepiti come ridicoli, la loro ridicolizzazione non è mai com­pletata, portata fino in fondo, alle estreme conseguenze.

Il ridicolo di certi personaggi, quali ad esempio Roger o Sir Roderigo, e di certi passaggi, come la cattura del Cavaliere della Nappa, l’assurdità patente dei combattimenti, non rende spre­gevole nessuno dei personaggi, ma li smaschera, li mette sotto la lente di ingrandimento e li rende evidenti, e soprattutto in­dimenticabili. Qui Hastings sembra aver assimilato la lezione di Boccaccio. È merito del genere Commedia, e del registro comico, che ne è parte costitutiva, quello di illuminare e rive­lare ciò che la tragedia e la satira colpisce e uccide. È compito della Commedia dare dignità letteraria anche a personaggi più umili, laddove la tragedia predilige personaggi di alto e nobile lignaggio letterario. La Commedia si muove su un territorio piano dove tutti possono coesistere, laddove la tragedia ha un andamento ascendente, conosce le altezze, salvo poi crollare verso la crisi, verso la catastrofe.

Questi personaggi risultano grotteschi, di un grottesco che con­fina con il mostruoso che però non è terrificante, perturbante ma, etimologicamente, meraviglioso, prodigioso, e il prodigio è un messaggio, un avvertimento. Non a caso Hastings apre la sua narrazione con un personaggio straordinario calato proprio in una situazione prodigiosa in cui La Natura stessa sembrava capovolta. I fiumi scorrevano fuori dai loro corsi e fuggivano di qua e di là, offrendo morte al Vento che non smise di soffiare e ruggire per sette settimane. E la notte c’erano i caroselli delle streghe in cui le cime dello Stormberg venivano incendiate.

 


4 Beatrice Hastings, Oriole Notes II, The New Age, 18 aprile 1908. Ri­pubblicata in: Maristella Diotaiuti, Federico Tortora (a cura di), Beatrice Hastings. In full revolt, Caffè letterario Le Cicale Operose, Livorno 2020, p. 130.­

 

 

 

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Il riferimento sotteso è alla guerra mortifera e distruttiva, que­sta sì mostruosamente terrificante perché distorce, altera la natura umana e la vita. La guerra qui, però, come chiarisce il riferimento allo Stormberg, è più specificamente la guerra an­glo-boera che Hastings sicuramente conosceva avendo vissuto giovinezza e adolescenza in sud Africa, una guerra particolar­mente cruenta e odiosa perché dentro una storia sanguinosa di colonizzazione del continente africano dettata da motivazioni di carattere precipuamente economico, che Hastings stigmatiz­zava e condannava, nella sua generale visione anticolonialista e pacifista, più volte riportata nella sua scrittura, nelle sue opere, una su tutte la poesia Le terre rubate5, e qui tradotta in una ferma e accorata condanna alla predazione e all’abbruttimento delle terre d’Africa operate dai colonizzatori britannici, Non ri­uscirò mai a guardare senza indignazione la rovina dell’originaria gloria di questa baia.

Non è un caso, quindi, che Hastings abbia scelto come fondale di ambientazione de La commedia delle fanciulle proprio l’A­frica e precisamente il territorio boero, teatro di una delle più cruente battaglie della guerra anglo-boera6. La sovraesposizio­ne di un avvenimento funziona da deflagrazione per renderne più evidenti i tratti violenti, infausti e rovinosi, ma soprattutto per poterlo depotenziare dall’interno, trasformarlo da luogo di scontro e di morte a luogo di una nuova crociata di ben altra modalità e scopo, quella della Bellezza, che ha, tra le altre fina­lità, quella della convivenza degli opposti, far diventare il ne­mico, l’altro da me, addirittura l’affine, il simile, il contiguo, la creazione di un nuovo mondo in cui si è legittimati alla libertà e all’indipendenza, all’immaginazione, al sogno, alla magia, e, perché no, all’utopia. È la riproposizione dell’Età dell’Oro in cui, come scrive ne La Commedia, si ignoravano quelle due parole, mio e tuo. In quell’epoca benedetta ogni cosa era in comune. Tutto allora era pace, amicizia, concordia, dentro a un ideale di Comunismo a cui Hastings rimarrà sempre fedele. Qui l’autri­ce si spinge fino ad aprirsi all’ideale utopico della fondazione di una Comune di Artisti, una sede di arte e conoscenza, nella quale l’intelletto di tutto il mondo potrebbe raccogliersi, individuando nei territori africani, liberati e riportati alla loro originaria bel­lezza identitaria, il luogo ideale per la riproposizione di una nuova Grecia, una più gloriosa Roma. È la nobile idea, tra le altre molteplici, che sottende alla novella Crociata della Bellezza.

Si rivela così tutta la portata politica di questo nuovo testo di Hastings, un’autrice, come ho più volte sottolineato, sempre politica anche quando la sua scrittura apparentemente percorre vie diverse.

In questa dimensione politica non è difficile riconoscere anche un aspetto primario e connotativo del pensiero e della scrittura di Hastings, il suo femminismo. La rivisitazione e dissacrazione del genere epico in questa chiave è data già dal fatto che Hastin­gs si appropria di un genere normativamente e per tradizione di appannaggio esclusivamente maschile, per di più destruttu­randolo e innovandolo, e prosegue con la sostituzione dei per­sonaggi principali maschili in personagge, con la centralità e la straordinarietà del personaggio femminile, della donna che stravolge le convenzioni e insinua nei modelli prestabiliti degli spazi importanti di autonomia. L’autrice mostra la sua simpatia per la protagonista, anzi le due protagoniste del romanzo, Do­rothea e Dota Filjee, con le quali instaura un rapporto speciale basato su una buona dose di complicità, mettendo in evidenza tutte le doti delle fanciulle che risultano essere non prive di attrattive, anzi molto seduttive e seducenti.

Le due fanciulle intraprendono una missione alta e nobile nelle zone rurali del sud Africa, donne non più solo oggetto di rap­presentazione ma che diventano protagoniste dell’azione narrativa, prendono la parola e muovono le fila della narrazione e degli altri personaggi.

Ne La commedia è soprattutto messo in discussione il genere epico-cavalleresco con il suo portato eroico-guerresco, dove i maschi sono eroici paladini chiamati a una missione superio­re, di salvaguardia e di affermazioni di principi universalmen­te riconosciuti come nobili e nobilitanti, paradigma che viene dall’autrice completamente svuotato e ribaltato, trasformando la crociata di guerra a crociata di Bellezza secondo lo schema valoriale femminile. ­

 

 

 

5 Beatrice Hastings, “The stolen Lands”, The Straight Thinker, 23 gennaio, 1932. Ripubblicato in Maristella Diotaiuti, Federico Tortora (a cura di), Beatrice Hastings. In full revolt, Caffè letterario Le Cicale Operose, Livorno 2020, pp. 120.

6 Battaglia di Stormberg, 10 dicembre 1899, II guerra anglo-boera.

 

 

 

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Qui la guerra come ideale e pratica maschile, e, nello specifico la guerra anglo-boera, è solo accennata all’inizio, e subito liqui­data, con la lapidaria definizione di Inverno del Vento per potersi dedicare a quello che più preme all’autrice, i saperi, le pratiche e il pensiero delle donne.

Contemporaneamente anche le figure dei nobili cavalieri sono trasformati in eroi improbabili, raffazzonati, con armature im­provvisate, senza più un vero ideale da perseguire che ne giu­stifichi l’esistenza, esautorati, destituiti dal ruolo che la cultu­ra patriarcale e misogina ha loro assegnato in quanto maschi, perché ormai sono sparite le damigelle deboli e indifese che necessitano di protezione e di salvezza, divenute donne consa­pevoli che decidono il proprio destino, e quello altrui, determi­nandolo e perseguendolo. Scrive qui Hastings: Da Damigelle in Pericolo, dobbiamo trasformarci in Damigelle Erranti, e in Note D’Oriolo Lei balza via sulla strada, non una Damigella in amba­sce, ma un’Amazzone. Si allontana decisa. Le due fanciulle della commedia portano a compimento quel processo di formazione che nel precedente romanzo, Sepolcri imbiancati, era bloccato e impedito alla giovane protagonista, Nan Person, rompendo le pareti domestiche andando per il mondo, facendo esperienza del mondo, alla ricerca di valori autentici in un mondo degradato (riprendendo le ben note teorie sul romanzo di György Lukács poi precisate da Lucien Goldmann)7, e soprattutto facendosi portatrici esse stesse di valori “autentici” questa volta di matrice femminile, che sovvertono il pensiero e l’ordine prestabilito, normato dal pensiero maschile, mettendo al mondo una nuova, differente idea di mondo.

La visione patriarcale e misogina nei suoi tratti più retrivi e violenti viene messa in bocca ad un personaggio che suggerisce al suo interlocutore di escludere le donne dalla Crociata della Bellezza, immagino che le donne si affolleranno alla Crociata della Bellezza […] e la vostra Crociata esalerà l’ultimo respiro […] Se ascolterete un buon consiglio, lascerete le donne fuori dalla vostra Crociata. Lasciatele sole a contrattare per quello che amano chia­mare i loro diritti. […] Leggete la Storia. Menzionatemi un perio­do in cui le donne avevano potere e vi mostrerò un periodo in cui ogni ramo dell’arte e delle lettere era imprigionato, in cui i poeti persero la fede e gli uomini di sapere le loro certezze, in cui l’ispi­razione era corrotta […] e la ragione asservita alla melanconia.

Qui, in contraltare, Hastings sostiene tutta la positività della presenza delle donne nell’arte, nella storia e nel processo di ci­viltà. Non a caso la missione eroica del cavaliere-maschio, da “Crociata di guerra” si trasforma in “Crociata della Bellezza” promossa e portava avanti, significativamente, proprio dalle due fanciulle, dove l’impegno — non la lotta— è per affermare tutto un sistema di pensiero e di pratiche del femminile che innova la creazione artistica, demitizza le retoriche della guerra, del militarismo e del patriottismo virile, propositivo, viceversa, di pratiche di relazione solidali, libere e tra uguali, di soluzioni pacifiche dei conflitti, un sistema oppositivo, quindi, all’imma­ginario e al sistema maschile di potere e dominio, fondato sul binomio potere/obbedienza.

In questa Crociata al femminile, anche il riso, che abbiamo rin­tracciato nel testo, si carica di altre valenze e di una ulteriore carica eversiva, dal momento che viene assunto e agito dalle due protagoniste, e per loro tramite dall’autrice, trasgredendo un ordine secolare che lo proibisce alle donne sancendone la inaccettabilità, la sconvenienza, l’oscenità.

Il riso della donna è stato ritenuto disdicevole perché, alteran­do i tratti distintivi della donna, ne stravolge la giusta forma, ne compromette bellezza, dignità e virtù. La seduzione da lei attivata nel dischiudere le labbra ridendo, è segno di una asser­tività femminile di per sé già trasgressiva. Il corpo della donna, che nella risata si mette in movimento rompendo un’immagine statica, stereotipata, di misurato equilibrio, diffusa nell’imma­ginario e nell’iconografia maschile, assurge al ruolo di corpo di un soggetto che autonomamente decide di aprirsi e, quindi, diventa disturbante e perturbante, anche perché in tal modo si sottrae al tradizionale controllo del corpo ad opera dell’uomo, divenendo inquietante e riprovevole non solo in termini mo­rali, ma anche in ambito sociale. Per lungo tempo il riso delle donne è stato inteso come “colpa” in quanto motore di disor­dine sociale, fattore d’instabilità, corruttore della staticità della donna, della fissità ideale della sua figura e del suo tradizionale ruolo passivo.

 


7 György Lukács, Teoria del romanzo, Milano, Sugar, 1962, con un’intro­duzione di Lucien Goldmannn. Titolo originale: Die Theorie des Romans, pubblicata originariamente nel 1916 in Zeitschrift fur Aesthetik und allge­meine Kunstwissenschaft, II, pp. 225-271 e 390-431; ripresa in volume nel 1920 (Berlin, P: Cassirer); Lucien Goldmann, Per una sociologia del roman­zo, Milano, Bompiani, 1967. Titolo originale Pour une sociologie du roman, Gallimar, 1964.

 

 

 

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Del resto la parola latina culpa deriva dal greco kolpos, che significa vagina e indica “mancanza”, “vuoto” ma anche “azione” che contravviene alla norma, etica e religiosa, e che produce un effetto negativo, corrompe, diventa gesto dia­bolico e depravato, apre un varco, un passaggio che dovrebbe

restare chiuso8.

Hastings, ne La commedia delle fanciulle, sembra ribaltare com­pletamente questi assunti, questi presupposti, puntando, vice­versa, sulla potenza della risata delle donne, sulla sua portata energetica, apotropaica, salvifica e sacrale, derivando il riso, sul piano dell’immaginario, direttamente dai miti nei quali veni­va associato alla vita, alla funzione generatrice e rigeneratrice e quindi proprio all’organo genitale femminile. Basti ricordare la figura di Iambe o Baubò, una creatura fantastica, forse una divinità, dal corpo insolito che coincide con la vulva, senza testa e senza gambe, che con le sue celie, le sue amene spiritosaggi­ni, riporta il riso sulla bocca di Demetra, smarrito durante la disperata ricerca della figlia Persefone, e quindi la vita sulla terra, ripri­stinando il ciclo vitale delle stagioni e delle messi. Il mondo, la terra e il ventre delle donne riprendono a fiorire. Come dire che le facezie femminili possono essere efficace cura e formidabile farmaco. Quel parlare con la vagina è, simbolicamente, parlare con la prima materia, la os vitale, dalle profondità del materno e del femminile.

Nel romanzo di Hastings questa funzione-identità sembra esse­re assunta da Dota Filjee, una della due protagoniste femminili, che più di altre abita una dimensione magica e istintuale, in cui coesistono erotismo e castità, malizia e ingenuità, ferinità e di­vinità, che l’avvicinano alla figura ambivalente della fata-strega ma con funzioni benefiche.

Nel romanzo, inoltre, il riso viene associato alla bellezza, svinco­landolo, scardinandolo dal topos della donna-mostro, portatrice di sventure e di morte. Scriverà più tardi, in proposito Helene Cixous, rivisitando la figura della Gorgone: Devi solo guardare Medusa dirittamente e vederla. Ed ella non è mortifera. È bella/magnifica/stupenda e sta ridendo9. Si tratta di una rivalutazione e di uno spostamento dell’immagine del femminile compiuta attraverso la ri-considerazione del riso femminile, non quale azione pericolosa, bensì atto generativo, rigenerativo, salvifico, e che può essere visto e fruito solo se ci si mette “in relazione”, se si ha uno sguardo realmente interessato a vedere l’altra.

Mettendo, inoltre, in stretta relazione il riso con la bellezza, e quindi con l’estetica, Hastings apre anche a un’altra accezione della Crociata della Bellezza, che è poi forse l’unica morale rin­tracciabile del e nel romanzo, anzi ne costituisce l’asse, il perno su cui ruota tutto l’impianto, cioè di Crociata dell’Arte, nella quale l’arte acquisisce e svolge un ruolo essenziale, in quan­to forza vitalistica ed enzimatica del processo di rinnovamento della società e del mondo.

Per Hastings, sulla scia di Nietzsche, il principio estetico è il principio ontologico fondamentale: solo l’arte giustifica l’e­sistenza, mette in sintonia con la vita, può spiegare l’essenza del mondo, aiuta a scoprire il senso delle cose e a dare senso alle cose, spiega l’esistenza e la rende sopportabile. La bellezza artistica ci permette di liberarci dalla costrizione della realtà e quindi ci promette la libertà, la felicità. Il bello è promessa di felicità, annuncia la possibilità di qualcosa che nel tempo è pos­sibile realizzare.

Della crociata della Bellezza, dunque, promotore e protagonista potrà essere solo l’artista che per Hastings incarna pienamente l’ideale nietzschiano dell’Übermensch. L’artista è l’Oltreuomo, è colui che danza liberamente e con leggiadria, l’uomo e la don­na che sanno godere della terra, del corpo, della vita e delle sue gioie senza farsi frenare dal senso di colpa e dalla voce del­la coscienza. A chi mi potrò confessare? Hastings scrive in una poesia del 1910, dal titolo In presenza10, non rintracciando in nessuna figura – né il Sacerdote, né la Natura, né gli Uomi­ni, né la sua stessa Anima – l’autorità legittimata a giudicarla, rivendicando il diritto e la libertà di essere, senza costrizioni.

 

8 Quanto la risata delle donne possa essere percepita come perturbante, addirittura fagocitante e antropofaga, ce ne dà un esempio T.S.Eliot in Hy­steria: Non appena udii il suo ridere sapevo di essere la causa stessa di quelle risate, finché i suoi denti non furono che stelle accidentali con un vero talento per l’ordine chiuso. Venni inghiottito a piccoli rantoli, inalato in ogni momen­tanea guarigione, finalmente perso nelle buie caverne della gola, ammaccato dall’incresparsi delle membra nascoste. […] Allora decisi che quel suo fremere di seni poteva essere riassemblato, e concentrai la mia attenzione con delicata accortezza a questo fine.

9 H. Cixous, “The Laugh of the Medusa”, in “L’Arc”, poi in “New french fe­minism: an anthology” a cura di E. Marks e I. de Courtivron, University of Massachusetts Press, Amherst 1980, pp 245-264.

 

 

 

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Di essere l’artista-satiro, la donna-baccante che danza sulle note dell’ebbrezza, perché l’arte è il mezzo per superare tutto ciò che intende deprimere l’uomo. Solo l’uomo, e la donna, che sanno fare della propria vita un’opera d’arte, che sanno dire sì alla vita, animati da uno spirito dionisiaco, che amano ridere e danzare, potranno iniziare un tempo nuovo. Tali sono le protagoniste del romanzo, Dorothea de Villier e la sua “compagna di giochi” Dota Filjee, una speculare all’altra, che educatesi sui romanzi cavallereschi, e affinata la propria sensibilità su questi, vanno poi per il mondo a reinventarsi, a sperimentarsi e a sperimen­tare la vita, lasciandosi anche invadere dal dionisiaco, dal caos, dall’ebbrezza, dall’incantamento e dall’estasi, perché ovunque ci sono draghi dice Dorothea, cioè la magia, il favoloso. Tale sente di essere e vuole essere Beatrice Hastings.

Non teme, infatti, di mettersi a capo di questo Movimento di cambiamento e di rivoluzione, di proporsi come capofila, ante­signana e di farlo proprio con questa opera, La commedia del­le fanciulle, a testimonianza ulteriore di quanto sia ambiziosa, audace, e originale quest’opera, che aspira, prorpio, ad essere epifania di un nuovo genere e canone, ispirazione e modello per coloro che in futuro scriveranno e vorranno farlo fuori dalle mode, dai canoni e generi dalle strade già percorse.

Scrive, orgogliosamente, ancora in Note d’Oriolo: Mi inoltro in terre selvagge con Pan. Non abito tempio alcuno. […] Io sono fuori nella natura selvaggia con Pan, io che a Pan non costruisco altari.11

Davvero una postura altera e fiera, che suona un po’ altezzo­sa, arrogante, in realtà provocatoria e sicuramente ironica se, a chiusura del romanzo, ironizza su se stessa e la propria man­chevole, difettosa scrittura, avendo in debita considerazione chi poi diventerà il suo lettore e lettrice, ironicamente individuati nel numero di tre, appellandoli miei buoni e immaginari amici e a questi Hastings-autrice si rivolge spesso direttamente, chia­mandoli in causa a coadiuvarla nella scrittura e riscrittura del testo, nella costruzione di senso, rendendoli partecipi del suo processo creativo, portandoli nel suo laboratorio di scrittura, affiancandosi ad essi, fino a diventare essa stessa personaggio, e personaggio sbilenco, improbabile, con la gamba zoppa, che si unisce agli altri personaggi altrettanto claudicanti e difettosi, novello esercito di paladini e paladine lanciate in questa mira­bolante avventura che è la Crociata della Bellezza.

Nell’ultimo capitolo del romanzo, Hastings si congeda dal let­tore, dalla lettrice, giustificando e spiegando certe sue scelte di scrittura irriverenti e trasgressive, ma lo fa, come sempre, a modo suo, con ironia, autoironia e quella tensione alla leggerez­za, al divertimento, al burlesque, che l’ha sempre accompagnata nella vita.

Giustifica, ad esempio, la improvvisa risoluzione della vicenda portata a compimento senza che ci sia stato un graduale svilup­

po degli eventi, di accadimenti che portassero in qualche modo alla conclusione, come se fosse improvvisamente intervenuto un fatto risolutivo, una sorta di deus ex machina, di cui però non fa menzione. Hastings scrive: Non incolpatemi troppo per aver offerto una gamba zoppa nel condurre i miei Personaggi a casa e l’aver realizzato un finale non compiuto, aperto, senza una vera conclusione, In verità, ritengo che sia fuori dalla portata della natura umana, e quindi proibito, realizzare una commedia con un finale tondo.

Si scusa, ma nemmeno troppo, del lieto fine dato alla sua storia, anzi critica quei romanzieri che a tutti i costi portano a tragica fine i loro personaggi, Analizzate la morte di Falstaff, che terri­bile scempio! E pensate a (e compiangete, dovete farlo!) il grande e nobile Don Chisciotte, ucciso dal suo autore con una febbre reuma­tica nella disperazione di non concludere mai! No! È un fatto certo che un romanzo allegro è destinato a non concludersi.

Si appella ancora al buon cuore dei lettori perché perdonino la sua scarsa coerenza al genere cavalleresco, denunciando l’ope­razione di appropriazione indebita e di ribaltamento della tra­dizione letteraria, e il suo lessico zoppicante, il disgraziato estro della mia penna.

 

11 Beatrice Hastings, Oriole Notes II, The New Age, 18 aprile 1908. Ripub­blicata in: Maristella Diotaiuti, Federico Tortora, Beatrice Hastings. In full revolt, Caffè letterario Le Cicale Operose, Livorno 2020, p. 130.

 

 


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Scrive: Vi devo grazie infinite perché, di certo, avete intuito che la mia penna ha spesso reso ben poca giustizia ai sublimi temi che ha descritto […] Nel frattempo, per favore, pregate il Cielo perché ripari la mia gamba zoppa. E ancora: Oh, dolci e fedeli anime! Il decoro mi impone di pagare i miei debiti alla tradizione di tutti i Cantastorie e, […] di deprecare il disgra­ziato estro della mia penna. Senza contener nulla che si spacciasse mai per eccellente […] scevro di conoscenza e debole in filosofia; in uno stile affettato e debole e con un lessico zoppicante; infine, nient’altro che, come tutti sanno, una leggenda presa a prestito, così mal rappresentata da esser certi di non suscitare alcuna invidia nell’impresa, e nemmeno malizia davanti al misero fallimento – cosa potrà mai dire, pensare, o fare persino il più tollerante degli amici d’un articolo così scadente?

Volendo crederle, e ignorando l’ironia sottesa, i tre lettori di allora avrebbero dovuto solo sperare che si realizzasse la sua pro­messa Ma prometto, per il futuro, di non frequentare altra società che quella degli angeli, così di aver più successo la prossima volta.

Ma noi lettori di oggi sappiamo che le cose non stanno così, tutt’altro che difettosa, questa è una scrittura fortemente origi­nale, che adotta soluzioni narrative nuove anticipando modali­tà narratologiche future, mostrando, Hastings, una eccezionale capacità di intuire i segni di avvio, i sintomi delle rivoluzioni letterarie nascenti.

Hastings probabilmente si aspetta molto da questo romanzo, se lo ritiene un testo tanto nuovo da essere epifanico per un nuovo genere e un nuovo stile, e se lo prende a paradigma del proprio coerente modo di essere, inalterabile nel tempo, tanto da indur­la a scrivere anni dopo Sono ancora l’autrice […] di The Maids’ Comedy. […] io sono la stessa donna battagliera, anti-filistina che ero un tempo.12

D’altra parte, lo stesso Ezra Pound, che mai si era risparmiato critiche feroci e attacchi violenti ad Hastings e alla sua scrittura, pur se indirettamente, lo ritiene un lavoro ben fatto13. Lo deve aver compreso anche il fantomatico quanto disonesto editore, Stephen Swift (come ci precisa Federico Tortora nella postfa­zione a questo libro), il quale pensò bene di pubblicare il testo di Hastings senza il nome dell’autrice, rendendolo così ano­nimo, orfano, con chissà quali scopi sotterranei e forse poco puliti. Fortunatamente di ben altro temperamento e sensibilità il nuovo editore, Elio Scarciglia, che coraggiosamente lo dà alle stampe corredato di relativa maternità, sottraendoli, libro e au­trice, alla invisibilità, alla dispersione e al fallimento.

Di certo non può fallire Hastings in questa avventura di scrit­tura, se pensa al fallimento in un modo così alto e sublime, restituendolo efficacemente in un brano del testo, che stralcio e riporto a chiusura di questa mia prefazione, questa sì difettosa e zoppicante.

In verità, […] se fallirete, non sarà per mancanza d’un’ispirazio­ne sufficientemente vasta. Per quanto non mi venga in mente nes­suna promessa di successo, vi ricorderei che la vita, la vita umana, è una serie di gloriose sconfitte. La vita è troppo breve per il successo, e visto che soltanto gli immortali possono lottare col nostro ultimo e sempre vittorioso nemico, Morte, un uomo è tanto più valoroso se fallisce nel più nobile dei tentativi. Il vostro tentativo non è nulla di meno che una Crociata della Bellezza. Non è una visione nuo­va, la vostra, molti grandi uomini l’hanno avuta e i poeti l’hanno di continuo.”

 


12 Beatrice Hastings, The Old New Age, Blue Moon Press, Londra, 1936, pp. 25.

13 Ezra Pound, The New Age, 25 febbraio, 1915, Affirmations: “ critic, whom I respect, frequently quotes a pseudonymous romance -he Maid’s Comedy- which I have unfortunately never read.