Opera pubblicata grazie al lavoro di ricerca e raccolta dei testi a cura di Federico Tortora e studio dell'opera a cura di Maristella Diotaiuti.
Buona lettura. Sette pagine
La crociata della bellezza di Beatrice
Hastings
Maristella
Diotaiuti
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C’è
senz’altro qualcosa di incompiuto nel tentativo di spiegare un testo, molte
cose resteranno inevitabilmente fuori da questa prefazione. Questo è ancora più
vero per La commedia delle fanciulle, non immediatamente
decodificabile, dai tratti complessi, a volte indecifrabili, oscuri, che a una
prima lettura possono destabilizzare e confondere il lettore e la lettrice. Ma
si sa che l’opera d’arte è sempre un mistero e una potenza che trascende la
sua apparenza, riserva sempre qualcosa che eccede ogni spiegazione, nel senso
che la sua essenza non è mai del tutto disvelabile.
Del
resto la stessa autrice esplicitamente ammonisce a non cercare a tutti i costi
di capire, decifrare, cercare significati, o una morale, scrive, anzi, che
bisogna scoprire, negandolo, che qui c’è qualche sorta di morale
strampalata.
Questa
mia prefazione, dunque, non andrà intesa come accanimento decifratorio,
piuttosto come tentativo di far emergere ed apprezzare proprio una precisa
caratteristica della scrittura, e della personalità di Hastings, basata
sull’ironia, il gioco, il divertimento, la leggerezza, non nel senso di
approssimazione, vacuità, ma nell’accezione calviniana di leggerezza della
pensosità, un modo diverso, non superficiale, di guardare il mondo,
“altra” modalità di conoscenza e di verifica.
Ed è sempre la stessa autrice ad
avvertire, a mettere al corrente, su un altro aspetto del suo testo, quello
della piacevolezza, a indirizzare verso una lettura divertita, che già il
titolo introduce con il riferimento esplicito al genere Commedia che, per definizione, promette sollazzi e lieti
conversari.
La scelta del genere Commedia probabilmente risente della
positività delle circostanze che hanno visto la genesi e la stesura de La
commedia delle fanciulle. Mi riferisco a quel periodo particolarmente
propizio e florido per Hastings scrittrice e giornalista, nella Londra del
primo decennio del secolo, ben inserita negli ambienti letterari, attiva, con
ruoli primari, nella vita redazionale della rivista The New Age, con
molta produzione letteraria, e, forse, anche felice dal punto di vista
personale, vista la piacevole e gratificante relazione con Alfred Richard Orage
e Katherine Mansfield.
Circostanze e persone, coordinate temporali e
geografiche, rintracciabili nel romanzo, se pur con qualche sforzo interpretativo,
dal momento che Hastings tende prevalentemente a trasportare la realtà, e la
sua realtà, nella dimensione artistica, immaginifica, fantastica, che, a suo
convincimento, trasfigura e altera, ma nello stesso tempo dice e svela molto di
più della rappresentazione realistica.
Tutto quello che accade ne La commedia delle fanciulle,
infatti, è reale, i personaggi sono reali e si muovono in un mondo reale, ma
Hastings li munisce tutti di una irregolarità, una anomalia, una imperfezione,
di un guasto o una insufficienza e anche di una qualità potenziata che li
sottrae al quotidiano e all’ovvio proiettandoli in un mondo alternativo che,
però, sta accanto e non sostituisce, delineando due mondi che si muovono paralleli
ma che la nostra autrice abilmente e intenzionalmente mette in dialogo,
addirittura intersecandoli in alcuni punti e per alcuni tratti.
Le persone che si aggirano nelle
pagine della commedia di Hastings, diventano personaggi letterari, identità
finzionali sospesi tra realtà e romanzo, ma con una loro precisa identità e
caratterizzazione finendo col risultare più vivi di quelli che li hanno
ispirati, pur volendo rimanere dentro alle loro storie perché quello è il loro
destino e quella è la loro realtà.
Questi
esseri cartacei sono anche funzionali all’autrice perché si fanno portavoce del
pensiero di Hastings, di alcune sue idee e opinioni, ma sempre dentro un
dialogismo strategico che connota la sua scrittura, soprattutto quella
giornalistica, e che vede l’autrice moltiplicarsi in differenti identità, a
volte contrapposte, in un gioco di specchi, di rimandi, rifrazioni e
diffrazioni, estremamente interessanti. Non si tratta, però, di un autobiografismo
fine a se stesso. Per Hastings scrivere di sé non è raccontare i propri
ricordi, i propri viaggi, le proprie memorie, i propri lutti, i propri sogni e
i propri fantasmi, sarebbe come peccare per eccesso di realtà. La letteratura segue
la via opposta, scopre sotto le persone reali la potenza di un impersonale, di
un indefinito, che non è una generalità, ma una singolarità a un livello più
alto. I personaggi e le personagge della Commedia possono diventare tipi o
maschere, portatori di valenze universali e, nello stesso tempo, farsi luoghi
esistenziali, spazi di memoria, ricettacoli affettivi.
Se, dunque,
un autore, un’autrice, è innanzitutto la sua opera, allora quest’opera, La commedia delle fanciulle, è Beatrice Hastings, dove la sua Weltanschauung si
traduce in atto, gesto letterario vitale e militante.
Certamente qui si
aggrumano molti tratti della sua peculiare penna e della sua personalità,
soprattutto la sua postura gioiosa e giocosa, la sua esuberanza di vita, la sua
eccentricità, la sua disobbedienza, il suo agire ironico e dissacrante,
trasgressivo, provocatorio e di rottura nei confronti di tutto ciò che è
normato, codificato, statico, il suo pensiero femminista, unitamente alla sua
idea di letteratura e di arte, di creazione artistica mutuata, nei suoi tratti
essenziali, dal pensiero di Nietzsche. Come se tutto il suo percorso
esperienziale di donna e di scrittrice, il suo apprendistato e la sua
sperimentazione letteraria, trovassero qui un momento di maturazione e di
sintesi.
Non è un caso che questo romanzo venga immediatamente dopo
la scrittura di testi di altra natura, almeno apparentemente, nei quali
l’autrice è stata impegnata in una riflessione teorica su stili, linguaggi,
canoni letterari, sull’arte e la creazione artistica, riportata nelle pagine di
Note d’Oriolo, pubblicate in quattro numeri del The
New Age, nel 19081, venga immediatamente dopo la pubblicazione di un
romanzo breve, Sepolcri imbiancati2, e il saggio Il peggior nemico
della donna: la donna3, di chiaro argomento femminista e di critica al
sistema sociale e politico del suo tempo, capitalista e patriarcale.
I tratti della sua personalità e della sua penna ne La
commedia ci sono tutti, e diventano letteratura, realizzando quel binomio,
quella coincidenza di letteratura e vita tra i più affascinanti tòpoi letterari
classici. Hastings aspira a improntare l’intera sua esistenza a questo ideale,
a fare della propria vita un’opera d’arte, in un processo osmotico in cui
letteratura e arte invadono la vita e questa ne viene contagiata a sua volta,
si riconverte in letteratura.
Se alcuni tratti edonisti sono
riconoscibili in questa postura – Hastings riconosce come fine dell’azione
umana il piacere – tale edonismo non scade mai in un riduttivo individualismo,
si apre sempre a una visione sociale e universalistica in cui tutti sono
coinvolti nel diritto alla bellezza e alla gioia, alla felicità, prepara alla rinascita, alla
rigenerazione, a una futura palingenesi.
Dalla
mescidanza di questi, e altri, elementi, deriva un’opera ipnotica alimentata da
un’alchimia complessa, misteriosa, straniante, in cui si mescolano realtà e
fantasia, vero e verosimiglianza, verità e finzione, concretezza e
immaginazione, altro concetto, quest’ultimo, fondante nel pensiero
hastingsiano, un vortice testuale nel quale siamo immediatamente risucchiati.
Il lettore, la lettrice sono destabilizzati, sollecitati a lasciarsi andare
nel flusso della narrazione, incalzati da un ritmo sostenuto, paratattico e
dialogico, da una struttura schidionata, a spiedo, con una sequenza sommatoria
di avventure, presentate una dopo l’altra, una dentro l’altra, e da un
ricorrente esplicito appello dell’autrice che apostrofa e dialoga spesso
direttamente con il lettore, autrice che più e più volte entra ed esce dal tessuto
diegetico, che, pur muovendosi nel testo dichiaratamente come autrice
onnisciente, sembra comportarsi da spettatrice che osserva i suoi personaggi
agire, muovere le fila della narrazione, quasi lasciando a questi e alla storia
stessa di farsi autonomamente. Espedienti narratologici, questi messi in campo
da Hastings, anticipatori e di straordinaria modernità.
Il lettore,
la lettrice, sono chiamati, prima di tutto, a sospendere l’incredulità di
fronte alla finzione letteraria, a mettere da parte le proprie opinioni e il
controllo epistemico sul contenuto della narrazione, per accettare la
rappresentazione di un mondo improbabile ma possibile, a scegliersi un
personale percorso di lettura e di decodifica del testo, e interagire con il
testo e piegarlo in qualche modo alla propria sensibilità.
1 Serializzata nel periodico The
New Age, nel 1908, nel seguente ordine: 28 marzo (Oriole Note 1), 18
aprile (Oriole Note 2), 18 luglio (Oriole Note 3), 25 luglio (Oriole
Note 4). Ripubblicate in: Maristella Diotaiuti, Federico Tortora (Le
cixcale operose), Beatrice Hastings. In full revolt, Caffè letterario Le
Cicale Operose, Livorno 2020, pp. 127-1387.
2 Beatrice Hastings, Whited
Sepulchers, a cura di Maristella Diotaiuti, Terra d’ulivi Edizioni, Lecce,
2024.
3 Beatrice Hastings, Woman’s Worst Enemy: Woman, a cura di Maristella Diotaiuti, Astarte Editrice, Pisa, 2022.
Pag. 2
A
concorrere alla complessità del testo, alla sua caleidoscopicità, è anche la
mistione o, meglio, la compresenza di più generi artistici simili ma diversi
tra loro, quali il comico, il grottesco e l’ironia, sottilmente e sapientemente
mescolati da Hastings, adottati per la loro natura antifrastica,
rivoluzionaria, anarchica, oppositiva a tutto ciò che è prescrittivo, statico,
immutabile e quindi utilizzati come strumento di provocazione, di erosione
sottile, di incessante gioco dentro il linguaggio e con il linguaggio, che
destabilizza il riconoscibile, ne arresta gli effetti e rovescia le
situazioni.
Più che il
comico, in realtà, a interessare l’autrice è il grottesco per la sua capacità
di deformare e sovraesporre gli aspetti del reale, increspando la sua visione
lineare, innescando la meraviglia, lo stupore che fa vedere le cose da una
angolatura diversa, fa scoprire l’imprevedibile nello scontato. Per la sua
portata sovvertitrice, di devianza dal già stabilito, preordinato, codificato,
il grottesco segnala il sovvertimento di un ordine atteso e la comparsa di
qualcosa di inaspettato, la nascita di una nuova necessità.
Per
Hastings l’ordine come va costruito, va distrutto, perché quando si completa e
si consolida preclude l’infinito-altro. L’esistenza, la realtà, come l’autrice
ha più volte sostenuto anche nel campo della teorizzazione di una nuova lingua,
non può essere ridotta a conoscenza compiuta, perché è viva e quindi esplosiva,
incontenibile, è un magma ribollente, in fermentazione, che non si può fissare
in una forma data una volta per sempre.
Per
questo, su tutti questi registri domina l’ironia, colta nella sua essenza
ludica, di prossimità al gioco, nella sua natura asimmetrica, almeno doppia,
che vuole soprattutto colpire, terremotare un concetto per non renderlo statico
dogma, per uscire dalle angustie di un labirinto di concetti che si pensano
invincibili e immobili. Ci porta dove non vorremmo andare, su un terreno dove
il discorso binario non vale più. Dove finiscono le tracce. Dove conta la
situazione intermedia tra il tu e l’io e dove il terzo è sempre incluso.
L’ironia vuole interrompere non travolgere, non è mai una critica distruttiva
fine a se stessa, è interrogante – come vuole l’etimo greco eironéia, da éiron,
‘colui che interroga’, sottinteso ‘fingendo di non sapere’ – ha una componente
discriminante di creatività, di completamento rispetto al punto di vista che la
sollecita. Implica, quindi, una relazione fra un detto o un fatto precedenti e
la replica di altri a quel detto o fatto, vuole complicità, ha considerazione
per gli altri.
L’ironia,
però, vuole sorridere non digrignare i denti come fa il sarcasmo, di
conseguenza la risata che Hastings qui sollecita, se risata può esserci, è
pensosa, si fa riflessione, non è mai scherno, ridicolizzazione, non vuole
essere contro, non aggredire ma simpatizzare, vuole ridere-con, non ridere-di.
Ha punti di contatto con la serietà, oltre che con lo scherzo, è pratica che
scopre e mette a nudo verità spesso scomode, e al tempo stesso di copertura del
discorso di verità. Qui sta il suo paradosso che tanto piace alla nostra
autrice abituata al mascheramento dove la maschera si pone come soglia che
convoca ciò che nega, rende visibile ciò che nasconde. Il discorso ironico si
muove proprio su una soglia, come sostiene Kierkegaard, una soglia che apre
allo stadio etico dell’esistenza. Per questo può diventare scomoda, irritante,
pericolosa quando denunciante, contraria, oppositiva.
Comico,
grottesco, ironia insieme sono, quindi, per Hastings un modo molto serio, ma
leggero, di guardare il mondo, le permettono di mostrare il senso profondo
della realtà o la sua essenza più autentica. Sono lo sguardo alieno, obliquo
sul mondo, nella convinzione che l’unico modo per comprenderlo sia aspettare
che accada qualcosa di incongruo, di non spiegabile, di divergente. L’essenza
del mondo e quella umana colte nel momento dello squilibrio. Così Hastings
indossa i panni del giullare che sbugiarda il re nudo, la sapienza consolidata,
il punto di vista canonico, perché solo così, da questa posizione disallineata,
può dirci il sommerso, esibire il nascosto, rendere possibile e legittimo ciò
che altrimenti è proscritto.
L’assunzione
del comico, dell’ironia, sul piano più propriamente letterario, serve ad
Hastings per portare scompiglio in una cultura consolidata, paludata e quindi
scardinare dall’interno un genere che quando diventa tale è espressione
ingessata di quella cultura, dentro una sua generale visione dell’arte svincolata
da un’idea mummificata, museale, costretta nel chiuso di scuole, generi e canoni,
che, a suo dire, mortificano la fantasia e l’immaginazione, la magia, la
fascinazione e, quindi, la libertà dell’atto di creazione, di scrittura e di
arte.
Scrive in
Note d’Oriolo: La Vita si fa beffe di chi vuol fare
un inventario. Lo conduce attraverso il Palazzo come verso la sala del trono,
ma attenzione! Niente trono, niente erede, solo una sala vuota, un nesso
mancante. E mentre la sprovveduta vittima sbircia furtivamente, la Vita
rincorre novelli e azzurri fantasmi della Natura, nel profondo di un nuovo
mare. La Vita si burla del goffo intruso. All’artista, all’idealista,
chiede un divino ostaggio. La Natura si presta ad essere animata, ma chi vuole
creare un’anima dentro di Lei deve offrire la propria.4
Ne La commedia delle fanciulle, infatti, oggetto
di attenzione e di rivisitazione da parte di Hastings è il patrimonio
letterario del medioevo europeo, il genere epico-cavalleresco così come fissato
e trasmesso dalla tradizione, operando di esso una parodia, riadattandolo in
modo dissacrante alle nuove esigenze, sue personali e dei nuovi tempi, rompendo
la fissità schematica dell’epica, mettendone così in luce la ancora sconfinata
fecondità.
Il modello di riferimento è,
evidentemente, il Don Chisciotte di Cervantes qui magistralmente rielaborato,
operazione estremamente
audace confrontarsi con un autore e un romanzo definiti come i più grandi
della storia della letteratura mondiale, che dimostra tutto il coraggio di
un’autrice originale e inesausta sperimentatrice, trasgressiva e iconoclasta,
non conforme.
Le
differenze tra Hastings e Cervantes sono molteplici e significative di un
diverso substrato ideologico e culturale, epocale e storico, ma anche di
personalità e indole.
Chisciotte è il punto di partenza non l’obiettivo della Commedia di
Hastings. Cervantes scrive come un romantico, si muove in un mondo in cui non
si riconosce, si scontra con la realtà e desidera far rivivere un ordine
antico, un galateo cavalleresco che non ha più diritto di esistere. La bellezza
è sparita dai suoi occhi, e vede l’uomo come un animale che si nutre, lavora,
si riproduce, senza un ideale elevato da perseguire e senza nessuna speranza,
perciò Cervantes rende pazzo Don Chisciotte, un vecchio pazzo che non conosce
né i propri poteri né le forze schierate contro di lui. La Commedia di
Cervantes perciò è una satira, perché la delusione rende il suo umorismo aspro
e il suo riso duro in gola. Hastings, viceversa, è una realista, pensa, giudica,
agisce con concretezza, soprattutto non vuole concludere un periodo, non
sancisce la morte di un’epoca, e La commedia delle fanciulle non è il
canto del cigno di un ideale, ma piuttosto apre a una prospettiva, a una nuova
visione del mondo, apre a uno scenario su ciò che l’uomo e l’arte possono
essere, vuole essere il primo segno di un nuovo Rinascimento, vuole dire agli
artisti che c’è ancora molto da fare e che la Bellezza può e deve essere
riportata nel mondo e nell’arte, è la missione ideale e suprema degli artisti.
L’azione sovvertitrice del genere
epico-cavalleresco comincia dai personaggi che vengono privati della loro aura,
desacralizzati, resi degli anti-eroi per eccellenza, personaggi però che, se
pur caricaturali, se pur caratterizzati esageratamente, con personalità
eccentriche, come vuole il genere commedia, non sono mai
percepiti
come ridicoli, la loro ridicolizzazione non è mai completata, portata fino in
fondo, alle estreme conseguenze.
Il ridicolo
di certi personaggi, quali ad esempio Roger o Sir Roderigo, e di certi
passaggi, come la cattura del Cavaliere della Nappa, l’assurdità patente dei
combattimenti, non rende spregevole nessuno dei personaggi, ma li smaschera,
li mette sotto la lente di ingrandimento e li rende evidenti, e soprattutto indimenticabili.
Qui Hastings sembra aver assimilato la lezione di Boccaccio. È merito del
genere Commedia, e del registro comico, che ne è parte costitutiva, quello di
illuminare e rivelare ciò che la tragedia e la satira colpisce e uccide. È
compito della Commedia dare dignità letteraria anche a personaggi più umili,
laddove la tragedia predilige personaggi di alto e nobile lignaggio letterario.
La Commedia si muove su un territorio piano dove tutti possono coesistere,
laddove la tragedia ha un andamento ascendente, conosce le altezze, salvo poi
crollare verso la crisi, verso la catastrofe.
Questi
personaggi risultano grotteschi, di un grottesco che confina con il mostruoso
che però non è terrificante, perturbante ma, etimologicamente, meraviglioso,
prodigioso, e il prodigio è un messaggio, un avvertimento. Non a caso Hastings
apre la sua narrazione con un personaggio straordinario calato proprio in una
situazione prodigiosa in cui La
Natura stessa sembrava capovolta. I fiumi scorrevano fuori dai loro corsi e
fuggivano di qua e di là, offrendo morte al Vento che non smise di soffiare e
ruggire per sette settimane. E la notte c’erano i caroselli delle streghe in
cui le cime dello Stormberg venivano incendiate.
4 Beatrice Hastings, Oriole Notes II,
The New Age, 18 aprile 1908. Ripubblicata in: Maristella Diotaiuti, Federico
Tortora (a cura di), Beatrice Hastings. In full revolt, Caffè letterario Le
Cicale Operose, Livorno 2020, p. 130.
Pag. 3
Il riferimento sotteso è alla guerra
mortifera e distruttiva, questa sì mostruosamente terrificante perché
distorce, altera la natura umana e la vita. La guerra qui, però, come chiarisce
il riferimento allo Stormberg, è più specificamente la guerra anglo-boera che
Hastings sicuramente conosceva avendo vissuto giovinezza e adolescenza in sud
Africa, una guerra particolarmente cruenta e odiosa perché dentro una storia sanguinosa
di colonizzazione del continente africano dettata da motivazioni di carattere
precipuamente economico, che Hastings stigmatizzava e condannava, nella sua
generale visione anticolonialista e pacifista, più volte riportata nella sua
scrittura, nelle sue opere, una su tutte la poesia Le terre rubate5, e
qui tradotta in una ferma e accorata condanna alla predazione e
all’abbruttimento delle terre d’Africa operate dai colonizzatori britannici, Non
riuscirò mai a guardare senza indignazione la rovina dell’originaria gloria di
questa baia.
Non è un caso, quindi, che Hastings
abbia scelto come fondale di ambientazione de La commedia delle fanciulle proprio
l’Africa e precisamente il territorio boero, teatro di una delle più cruente
battaglie della guerra anglo-boera6. La sovraesposizione di un avvenimento
funziona da deflagrazione per renderne più evidenti i tratti violenti, infausti
e rovinosi, ma soprattutto per poterlo depotenziare dall’interno, trasformarlo
da luogo di scontro e di morte a luogo di una nuova crociata di ben altra
modalità e scopo, quella della Bellezza, che ha, tra le altre finalità, quella
della convivenza degli opposti, far diventare il nemico, l’altro da me,
addirittura l’affine, il simile, il contiguo, la creazione di un nuovo mondo in
cui si è legittimati alla libertà e all’indipendenza, all’immaginazione, al
sogno, alla magia, e, perché no, all’utopia. È la riproposizione dell’Età
dell’Oro in cui, come scrive ne La Commedia, si ignoravano quelle due parole, mio e tuo. In
quell’epoca benedetta ogni cosa era in comune. Tutto allora era pace, amicizia,
concordia, dentro a un ideale di Comunismo a
cui Hastings rimarrà sempre fedele. Qui l’autrice si spinge fino ad aprirsi
all’ideale utopico della fondazione di una Comune di Artisti, una sede di
arte e conoscenza, nella quale l’intelletto di tutto il mondo potrebbe
raccogliersi, individuando nei territori africani, liberati e riportati
alla loro originaria bellezza identitaria, il luogo ideale per la
riproposizione di una nuova Grecia, una più gloriosa Roma. È la nobile
idea, tra le altre molteplici, che sottende alla novella Crociata della
Bellezza.
Si rivela così tutta la portata politica di questo nuovo
testo di Hastings, un’autrice, come ho più volte sottolineato, sempre politica
anche quando la sua scrittura apparentemente percorre vie diverse.
In questa dimensione politica non è difficile riconoscere
anche un aspetto primario e connotativo del pensiero e della scrittura di
Hastings, il suo femminismo. La rivisitazione e dissacrazione del genere epico
in questa chiave è data già dal fatto che Hastings si appropria di un genere
normativamente e per tradizione di appannaggio esclusivamente maschile, per di
più destrutturandolo e innovandolo, e prosegue con la sostituzione dei personaggi
principali maschili in personagge, con la centralità e la straordinarietà del
personaggio femminile, della donna che stravolge le convenzioni e insinua nei modelli
prestabiliti degli spazi importanti di autonomia. L’autrice mostra la sua
simpatia per la protagonista, anzi le due protagoniste del romanzo, Dorothea e
Dota Filjee, con le quali instaura un rapporto speciale basato su una buona
dose di complicità, mettendo in evidenza tutte le doti delle fanciulle che
risultano essere non prive di attrattive, anzi molto seduttive e seducenti.
Le due fanciulle intraprendono una
missione alta e nobile nelle zone rurali del sud Africa, donne non più solo
oggetto di rappresentazione ma che diventano protagoniste dell’azione narrativa, prendono la
parola e muovono le fila della narrazione e degli altri personaggi.
Ne La
commedia è soprattutto messo in discussione il genere epico-cavalleresco con il
suo portato eroico-guerresco, dove i maschi sono eroici paladini chiamati a una
missione superiore, di salvaguardia e di affermazioni di principi universalmente
riconosciuti come nobili e nobilitanti, paradigma che viene dall’autrice
completamente svuotato e ribaltato, trasformando la crociata di guerra a
crociata di Bellezza secondo lo schema valoriale femminile.
5 Beatrice Hastings, “The stolen
Lands”, The Straight Thinker, 23 gennaio, 1932. Ripubblicato in Maristella
Diotaiuti, Federico Tortora (a cura di), Beatrice Hastings. In full revolt,
Caffè letterario Le Cicale Operose, Livorno 2020, pp. 120.
6 Battaglia di Stormberg, 10 dicembre
1899, II guerra anglo-boera.
Pag. 4
Qui la
guerra come ideale e pratica maschile, e, nello specifico la guerra
anglo-boera, è solo accennata all’inizio, e subito liquidata, con la lapidaria
definizione di Inverno del Vento per potersi dedicare a quello che più preme all’autrice,
i saperi, le pratiche e il pensiero delle donne.
Contemporaneamente anche le figure
dei nobili cavalieri sono trasformati in eroi improbabili, raffazzonati, con
armature improvvisate, senza più un vero ideale da perseguire che ne giustifichi
l’esistenza, esautorati, destituiti dal ruolo che la cultura patriarcale e
misogina ha loro assegnato in quanto maschi, perché ormai sono sparite le
damigelle deboli e indifese che necessitano di protezione e di salvezza,
divenute donne consapevoli che decidono il proprio destino, e quello altrui,
determinandolo e perseguendolo. Scrive qui Hastings: Da Damigelle in
Pericolo, dobbiamo trasformarci in Damigelle Erranti, e in Note D’Oriolo Lei
balza via sulla strada, non una Damigella in ambasce, ma un’Amazzone. Si
allontana decisa. Le due fanciulle della commedia portano a compimento quel
processo di formazione che nel precedente romanzo, Sepolcri imbiancati,
era bloccato e impedito alla giovane protagonista, Nan Person, rompendo le
pareti domestiche andando per il mondo, facendo esperienza del mondo, alla
ricerca di valori autentici in un mondo degradato (riprendendo le ben note
teorie sul romanzo di György Lukács poi precisate da Lucien Goldmann)7, e
soprattutto facendosi portatrici esse stesse di valori “autentici” questa volta
di matrice femminile, che sovvertono il pensiero e l’ordine prestabilito,
normato dal pensiero maschile, mettendo al mondo una nuova, differente idea di
mondo.
La visione
patriarcale e misogina nei suoi tratti più retrivi e violenti viene messa in
bocca ad un personaggio che suggerisce al suo interlocutore di escludere le
donne dalla Crociata della Bellezza, immagino
che le donne si affolleranno alla Crociata della Bellezza […] e la vostra
Crociata esalerà l’ultimo respiro […] Se ascolterete un buon consiglio,
lascerete le donne fuori dalla vostra Crociata. Lasciatele sole a contrattare
per quello che amano chiamare i loro diritti. […] Leggete la Storia.
Menzionatemi un periodo in cui le donne avevano potere e vi mostrerò un
periodo in cui ogni ramo dell’arte e delle lettere era imprigionato, in cui i
poeti persero la fede e gli uomini di sapere le loro certezze, in cui l’ispirazione
era corrotta […] e la ragione asservita alla melanconia.
Qui, in contraltare, Hastings
sostiene tutta la positività della presenza delle donne nell’arte, nella storia
e nel processo di civiltà. Non a caso la missione eroica del
cavaliere-maschio, da “Crociata di guerra” si trasforma in “Crociata della
Bellezza” promossa e portava avanti, significativamente, proprio dalle due
fanciulle, dove l’impegno — non la lotta— è per affermare tutto un sistema di pensiero
e di pratiche del femminile che innova la creazione artistica, demitizza le
retoriche della guerra, del militarismo e del patriottismo virile, propositivo,
viceversa, di pratiche di relazione solidali, libere e tra uguali, di soluzioni
pacifiche dei conflitti, un sistema oppositivo, quindi, all’immaginario e al
sistema maschile di potere e dominio, fondato sul binomio potere/obbedienza.
In questa
Crociata al femminile, anche il riso, che abbiamo rintracciato nel testo, si
carica di altre valenze e di una ulteriore carica eversiva, dal momento che
viene assunto e agito dalle due protagoniste, e per loro tramite dall’autrice,
trasgredendo un ordine secolare che lo proibisce alle donne sancendone la
inaccettabilità, la sconvenienza, l’oscenità.
Il riso
della donna è stato ritenuto disdicevole perché, alterando i tratti distintivi
della donna, ne stravolge la giusta forma, ne compromette bellezza, dignità e
virtù. La seduzione da lei attivata nel dischiudere le labbra ridendo, è segno
di una assertività femminile di per sé già trasgressiva. Il corpo della donna,
che nella risata si mette in movimento rompendo un’immagine statica,
stereotipata, di misurato equilibrio, diffusa nell’immaginario e
nell’iconografia maschile, assurge al ruolo di corpo di un soggetto che
autonomamente decide di aprirsi e, quindi, diventa disturbante e perturbante,
anche perché in tal modo si sottrae al tradizionale controllo del corpo ad
opera dell’uomo, divenendo inquietante e riprovevole non solo in termini morali,
ma anche in ambito sociale. Per lungo tempo il riso delle donne è stato inteso
come “colpa” in quanto motore di disordine sociale, fattore d’instabilità,
corruttore della staticità della donna, della fissità ideale della sua figura e
del suo tradizionale ruolo passivo.
7 György Lukács, Teoria del romanzo,
Milano, Sugar, 1962, con un’introduzione di Lucien Goldmannn. Titolo
originale: Die Theorie des Romans, pubblicata originariamente nel 1916
in Zeitschrift fur Aesthetik und allgemeine Kunstwissenschaft, II, pp.
225-271 e 390-431; ripresa in volume nel 1920 (Berlin, P: Cassirer); Lucien
Goldmann, Per una sociologia del romanzo, Milano, Bompiani, 1967.
Titolo originale Pour une sociologie du roman, Gallimar, 1964.
Pag. 5
Del
resto la parola latina culpa deriva dal greco kolpos, che significa vagina e
indica “mancanza”, “vuoto” ma anche “azione” che contravviene alla norma, etica
e religiosa, e che produce un effetto negativo, corrompe, diventa gesto diabolico
e depravato, apre un varco, un passaggio che dovrebbe
restare
chiuso8.
Hastings,
ne La commedia delle fanciulle, sembra ribaltare completamente questi assunti, questi
presupposti, puntando, viceversa, sulla potenza della risata delle donne,
sulla sua portata energetica, apotropaica, salvifica e sacrale, derivando il
riso, sul piano dell’immaginario, direttamente dai miti nei quali veniva
associato alla vita, alla funzione generatrice e rigeneratrice e quindi proprio
all’organo genitale femminile. Basti ricordare la figura di Iambe o Baubò, una
creatura fantastica, forse una divinità, dal corpo insolito che coincide con la
vulva, senza testa e senza gambe, che con le sue celie, le sue amene
spiritosaggini, riporta il riso sulla bocca di Demetra, smarrito durante la
disperata ricerca della figlia Persefone, e quindi la vita sulla terra, ripristinando
il ciclo vitale delle stagioni e delle messi. Il mondo, la terra e il ventre
delle donne riprendono a fiorire. Come dire che le facezie femminili possono
essere efficace cura e formidabile farmaco. Quel parlare con la vagina è,
simbolicamente, parlare con la prima materia, la os vitale, dalle
profondità del materno e del femminile.
Nel romanzo di Hastings questa funzione-identità sembra
essere assunta da Dota Filjee, una della due protagoniste femminili, che più
di altre abita una dimensione magica e istintuale, in cui coesistono erotismo e
castità, malizia e ingenuità, ferinità e divinità, che l’avvicinano alla
figura ambivalente della fata-strega ma con funzioni benefiche.
Nel
romanzo, inoltre, il riso viene associato alla bellezza, svincolandolo,
scardinandolo dal topos della donna-mostro, portatrice di sventure e di morte.
Scriverà più tardi, in proposito Helene Cixous, rivisitando la figura della
Gorgone: Devi solo guardare Medusa dirittamente e vederla. Ed ella non è
mortifera. È bella/magnifica/stupenda e sta ridendo9. Si tratta di una
rivalutazione e di uno spostamento dell’immagine del femminile compiuta
attraverso la ri-considerazione del riso femminile, non quale azione
pericolosa, bensì atto generativo, rigenerativo, salvifico, e che può essere
visto e fruito solo se ci si mette “in relazione”, se si ha uno sguardo
realmente interessato a vedere l’altra.
Mettendo, inoltre, in stretta relazione il riso con la
bellezza, e quindi con l’estetica, Hastings apre anche a un’altra accezione
della Crociata della Bellezza, che è poi forse l’unica morale rintracciabile
del e nel romanzo, anzi ne costituisce l’asse, il perno su cui ruota tutto
l’impianto, cioè di Crociata dell’Arte, nella quale l’arte acquisisce e svolge
un ruolo essenziale, in quanto forza vitalistica ed enzimatica del processo di
rinnovamento della società e del mondo.
Per Hastings, sulla scia di Nietzsche, il principio
estetico è il principio ontologico fondamentale: solo l’arte giustifica l’esistenza,
mette in sintonia con la vita, può spiegare l’essenza del mondo, aiuta a
scoprire il senso delle cose e a dare senso alle cose, spiega l’esistenza e la
rende sopportabile. La bellezza artistica ci permette di liberarci dalla
costrizione della realtà e quindi ci promette la libertà, la felicità. Il bello
è promessa di felicità, annuncia la possibilità di qualcosa che nel tempo è possibile
realizzare.
Della crociata della Bellezza,
dunque, promotore e protagonista potrà essere solo l’artista che per Hastings
incarna pienamente l’ideale nietzschiano dell’Übermensch. L’artista è l’Oltreuomo, è colui che danza liberamente
e con leggiadria, l’uomo e la donna che sanno godere della terra, del corpo,
della vita e delle sue gioie senza farsi frenare dal senso di colpa e dalla
voce della coscienza. A chi mi potrò confessare? Hastings scrive in una
poesia del 1910, dal titolo In presenza10, non rintracciando in nessuna
figura – né il Sacerdote, né la Natura, né gli Uomini, né la sua stessa Anima
– l’autorità legittimata a giudicarla, rivendicando il diritto e la libertà di
essere, senza costrizioni.
8 Quanto la risata delle donne possa
essere percepita come perturbante, addirittura fagocitante e antropofaga, ce ne
dà un esempio T.S.Eliot in Hysteria: Non appena udii il suo
ridere sapevo di essere la causa stessa di quelle risate, finché i suoi denti
non furono che stelle accidentali con un vero talento per l’ordine chiuso.
Venni inghiottito a piccoli rantoli, inalato in ogni momentanea guarigione,
finalmente perso nelle buie caverne della gola, ammaccato dall’incresparsi
delle membra nascoste. […] Allora decisi che quel suo fremere di seni poteva
essere riassemblato, e concentrai la mia attenzione con delicata accortezza a
questo fine.
9
H. Cixous, “The Laugh of the Medusa”, in “L’Arc”, poi in “New
french feminism: an anthology” a cura di E. Marks e I. de Courtivron,
University of Massachusetts Press, Amherst 1980, pp 245-264.
Pag. 6
Di essere l’artista-satiro, la
donna-baccante che danza sulle note dell’ebbrezza, perché l’arte è il mezzo per
superare tutto ciò che intende deprimere l’uomo. Solo l’uomo, e la donna, che
sanno fare della propria vita un’opera d’arte, che sanno dire sì alla vita,
animati da uno spirito dionisiaco, che amano ridere e danzare, potranno
iniziare un tempo nuovo. Tali sono le protagoniste del romanzo, Dorothea de
Villier e la sua “compagna di giochi” Dota Filjee, una speculare all’altra, che
educatesi sui romanzi cavallereschi, e affinata la propria sensibilità su
questi, vanno poi per il mondo a reinventarsi, a sperimentarsi e a sperimentare
la vita, lasciandosi anche invadere dal dionisiaco, dal caos, dall’ebbrezza,
dall’incantamento e dall’estasi, perché ovunque ci sono draghi dice
Dorothea, cioè la magia, il favoloso. Tale sente di essere e vuole essere
Beatrice Hastings.
Non teme, infatti, di mettersi a
capo di questo Movimento di cambiamento e di rivoluzione, di proporsi come
capofila, antesignana e di farlo proprio con questa opera, La commedia delle
fanciulle, a testimonianza ulteriore di quanto sia ambiziosa, audace, e
originale quest’opera, che aspira, prorpio, ad essere epifania di un nuovo
genere e canone, ispirazione e modello per coloro che in futuro scriveranno e
vorranno farlo fuori dalle mode, dai canoni e generi dalle strade già percorse.
Scrive,
orgogliosamente, ancora in Note d’Oriolo: Mi inoltro in terre selvagge con Pan. Non abito
tempio alcuno. […] Io sono fuori nella natura selvaggia con Pan, io che a Pan
non costruisco altari.11
Davvero una postura altera e fiera, che suona un po’
altezzosa, arrogante, in realtà provocatoria e sicuramente ironica se, a chiusura
del romanzo, ironizza su se stessa e la propria manchevole, difettosa
scrittura, avendo in debita considerazione chi poi diventerà il suo lettore e
lettrice, ironicamente individuati nel numero di tre, appellandoli miei
buoni e immaginari amici e a questi Hastings-autrice si rivolge spesso
direttamente, chiamandoli in causa a coadiuvarla nella scrittura e riscrittura
del testo, nella costruzione di senso, rendendoli partecipi del suo processo
creativo, portandoli nel suo laboratorio di scrittura, affiancandosi ad essi,
fino a diventare essa stessa personaggio, e personaggio sbilenco, improbabile,
con la gamba zoppa, che si unisce agli altri personaggi altrettanto
claudicanti e difettosi, novello esercito di paladini e paladine lanciate in
questa mirabolante avventura che è la Crociata della Bellezza.
Nell’ultimo capitolo del romanzo, Hastings si congeda dal
lettore, dalla lettrice, giustificando e spiegando certe sue scelte di
scrittura irriverenti e trasgressive, ma lo fa, come sempre, a modo suo, con
ironia, autoironia e quella tensione alla leggerezza, al divertimento, al
burlesque, che l’ha sempre accompagnata nella vita.
Giustifica, ad esempio, la
improvvisa risoluzione della vicenda portata a compimento senza che ci sia
stato un graduale svilup
po degli
eventi, di accadimenti che portassero in qualche modo alla conclusione, come se
fosse improvvisamente intervenuto un fatto risolutivo, una sorta di deus ex
machina, di cui però non fa menzione. Hastings scrive: Non incolpatemi troppo per aver offerto una gamba zoppa
nel condurre i miei Personaggi a casa e
l’aver realizzato un finale non compiuto, aperto, senza una vera conclusione, In
verità, ritengo che sia fuori dalla portata della natura umana, e quindi
proibito, realizzare una commedia con un finale tondo.
Si scusa, ma nemmeno troppo, del lieto fine dato alla sua
storia, anzi critica quei romanzieri che a tutti i costi portano a tragica fine
i loro personaggi, Analizzate la morte di Falstaff, che terribile scempio!
E pensate a (e compiangete, dovete farlo!) il grande e nobile Don Chisciotte,
ucciso dal suo autore con una febbre reumatica nella disperazione di non
concludere mai! No! È un fatto certo che un romanzo allegro è destinato a non
concludersi.
Si appella ancora al buon cuore dei lettori perché
perdonino la sua scarsa coerenza al genere cavalleresco, denunciando l’operazione
di appropriazione indebita e di ribaltamento della tradizione letteraria, e il
suo lessico zoppicante, il disgraziato estro della mia penna.
11 Beatrice Hastings, Oriole Notes
II, The New Age, 18 aprile 1908. Ripubblicata in: Maristella Diotaiuti,
Federico Tortora, Beatrice Hastings. In full revolt, Caffè letterario Le
Cicale Operose, Livorno 2020, p. 130.
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Scrive: Vi devo grazie infinite
perché, di certo, avete intuito che la mia penna ha spesso reso ben poca
giustizia ai sublimi temi che ha descritto […] Nel frattempo, per favore,
pregate il Cielo perché ripari la mia gamba zoppa. E ancora: Oh, dolci e
fedeli anime! Il decoro mi impone di pagare i miei debiti alla tradizione di
tutti i Cantastorie e, […] di deprecare il disgraziato estro della mia penna.
Senza contener nulla che si spacciasse mai per eccellente […] scevro di
conoscenza e debole in filosofia; in uno stile affettato e debole e con un
lessico zoppicante; infine, nient’altro che, come tutti sanno, una leggenda
presa a prestito, così mal rappresentata da esser certi di non suscitare alcuna
invidia nell’impresa, e nemmeno malizia davanti al misero fallimento – cosa
potrà mai dire, pensare, o fare persino il più tollerante degli amici d’un articolo
così scadente?
Volendo crederle, e ignorando l’ironia sottesa, i tre
lettori di allora avrebbero dovuto solo sperare che si realizzasse la sua promessa
Ma prometto, per il futuro, di non frequentare altra società che quella
degli angeli, così di aver più successo la prossima volta.
Ma noi lettori di oggi sappiamo che le cose non stanno
così, tutt’altro che difettosa, questa è una scrittura fortemente originale,
che adotta soluzioni narrative nuove anticipando modalità narratologiche
future, mostrando, Hastings, una eccezionale capacità di intuire i segni di
avvio, i sintomi delle rivoluzioni letterarie nascenti.
Hastings probabilmente si aspetta molto da questo
romanzo, se lo ritiene un testo tanto nuovo da essere epifanico per un nuovo
genere e un nuovo stile, e se lo prende a paradigma del proprio coerente modo
di essere, inalterabile nel tempo, tanto da indurla a scrivere anni dopo Sono
ancora l’autrice […] di The Maids’ Comedy. […] io sono la stessa donna
battagliera, anti-filistina che ero un tempo.12
D’altra parte, lo stesso Ezra Pound,
che mai si era risparmiato critiche feroci e attacchi violenti ad Hastings e
alla sua scrittura, pur se indirettamente, lo ritiene un lavoro ben fatto13. Lo
deve aver compreso anche il fantomatico quanto disonesto editore, Stephen Swift
(come ci precisa Federico Tortora nella postfazione a questo libro), il quale
pensò bene di pubblicare il testo di Hastings senza il nome dell’autrice,
rendendolo così anonimo, orfano, con chissà quali scopi sotterranei e forse
poco puliti. Fortunatamente di ben altro temperamento e sensibilità il nuovo editore, Elio
Scarciglia, che coraggiosamente lo dà alle stampe corredato di relativa
maternità, sottraendoli, libro e autrice, alla invisibilità, alla dispersione
e al fallimento.
Di certo
non può fallire Hastings in questa avventura di scrittura, se pensa al
fallimento in un modo così alto e sublime, restituendolo efficacemente in un
brano del testo, che stralcio e riporto a chiusura di questa mia prefazione,
questa sì difettosa e zoppicante.
“In verità, […] se fallirete, non sarà per mancanza
d’un’ispirazione sufficientemente vasta. Per quanto non mi venga in mente nessuna
promessa di successo, vi ricorderei che la vita, la vita umana, è una serie di
gloriose sconfitte. La vita è troppo breve per il successo, e visto che
soltanto gli immortali possono lottare col nostro ultimo e sempre vittorioso
nemico, Morte, un uomo è tanto più valoroso se fallisce nel più nobile dei
tentativi. Il vostro tentativo non è nulla di meno che una Crociata della
Bellezza. Non è una visione nuova, la vostra, molti grandi uomini l’hanno
avuta e i poeti l’hanno di continuo.”
12 Beatrice Hastings, The Old New
Age, Blue Moon Press, Londra, 1936, pp. 25.
13 Ezra Pound, The New Age, 25
febbraio, 1915, Affirmations: “ critic, whom I respect, frequently quotes a
pseudonymous romance -he Maid’s Comedy- which I have unfortunately never read.