Le Cicale Operose (logo e denominazione registrati) è stato un caffè letterario e poi un'associazione culturale, dal 2016 al 2024.
Questo blog conserva la memoria dell'attività svolta in quegli anni ed ospita nuovi contenuti su temi culturali affini all’ethos delle Cicale Operose (vedi menu). Vi terrà inoltre aggiornati sulle attività per Beatrice Hastings.
Dagli Atti del Primo Convegno di studio Beatrice Hastings in context, alla ricerca del segno (Le Cicale Operose, Livorno, 17 aprile 2021), coordinato da Floriana Coppola.
Una donna di contrasti
di Nadia Chiaverini (Sezione Echi mitologici, gruppo di lavoro coordinato da Gigi Spina)
Beatrice Hastings può essere definita una donna di contrasti innanzitutto perché come donna e femminista persegue con la scrittura un’esigenza di razionalità, derivante dalla necessità di raccontare la condizione della donna del tempo, manifestando il proprio impegno sociale e politico con voce alta e decisa, con una precisa testimonianza e denunzia contro le guerre, le violenze e le ingiustizie. Una “moderna Cassandra”, come viene definita da Maristella Diotaiuti nell’introduzione del volume Beatrice Hastings in full revolt. D’altro canto, però crea su di sé un personaggio di femmina fatale, di donna stravagante e libera negli atteggiamenti, svincolata dalle regole della società borghese e della morale corrente; è in sostanza una donna disobbediente che vive in modo considerato scandaloso, non disdegnando droghe ed altri eccessi, tipici degli artisti bohémien.
La vita di Beatrice Hastings riflette i contrasti tipici dell’epoca, sia in campo culturale e letterario, che sociale. La fine dell’800 e l’inizio del ‘900 vedono coesistere due movimenti e correnti filosofiche: il decadentismo, che nasce come movimento artistico-letterario antiborghese e che fa leva sull’irrazionalità, rifiuta e critica la scienza come unica forma di conoscenza, adottando anche atteggiamenti provocatori ed estetizzanti (la natura è un tempio, una foresta di simboli, scrive Baudelaire nella poesia Corrispondenze, inserita nella raccolta I fiori del male), mentre il positivismo ha fiducia nel progresso e crede che la realtà sia regolata da meccanismi deterministici di causa-effetto. Si assiste alla nascita di nuove scienze quali la psicologia, la sociologia, la chimica, la fisiognomica. L’evoluzionismo di Darwin contesta il creazionismo della Chiesa.
Nascono la fotografia, la stampa, il cinema ed inizia a formarsi una cultura di massa. L’industrializzazione poi comporta lo sviluppo della classe del proletariato e l’inizio dei fenomeni dell’inquinamento e della distruzione dell’ambiente naturale.
Inoltre, nel primo Novecento, con La nascita della tragedia di Nietzsche, si evidenziano i due principi opposti: l’ispirazione dionisiaca dell’ebbrezza e dell’irrazionalità primigenia, in contrapposizione all’apollineo, incarnazione dell’armonia e dell’ordine. Dioniso e Apollo, figli di Zeus, dei della cultura greca, da cui è derivata l’organizzazione patriarcale della società occidentale.
Infatti, nella mitica storia dell’Universo, pervenuta da Esiodo nella Teogonia degli dei olimpici, all’origine era il Caos, a cui si contrappone il Cosmo, espressione del bisogno fondamentale di ordine. Esiodo e tutta la cultura occidentale ci hanno tramandato la vittoria di Zeus come un’esigenza di stabilità rispetto ai padri predecessori, Urano e Crono: Zeus libera i fratelli e le sorelle e viene eletto da loro re dell’Olimpo, istituendo così un universo organizzato di stampo patriarcale.
Dioniso, dio della natura, della fertilità e del vino, è legato alle antiche credenze preindoeuropee della Grande Madre; maschio ma circondato da donne potenti e ferali, le Baccanti, che compiono riti estatici, con maschere, riti che un tempo venivano usati per evocare la dea Madre. Secondo alcune versioni del mito sembra sia figlio di Demetra, antica divinità legata alla terra e alla fertilità.
Alle Baccanti, titolo dell’omonima tragedia di Euripide, si contrappongono le Ninfe, giovinette rappresentate con vesti leggere, spesso in gruppo, danzanti. Sono personaggi positivi, rappresentano il pudore, la riservatezza e lo stupore di fronte a ciò che è immacolato e silenzioso. Sono divinità minori, che vivono nei boschi, nei laghi e nei monti, spesso circondate da animali, espressione di un mondo arcaico a contatto con la natura. Seguaci di Diana cacciatrice, dea romana che risale alla greca Artemide, dea della caccia, della verginità, del tiro con l’arco, rappresenta la Luna e condensa nella sua figura altre divinità femminili arcaiche, quali la dea frigia Cibele, Gea la Madre Terra, e Selene, divinità lunare.
Analizzando gli scritti di Hastings che hanno per argomento il mito compaiono, oltre agli dei, ninfe, Baccanti, streghe ed altre figure ibride, simbolo di metamorfosi e trasformazioni.
Nel racconto La ninfa e il cervo, pubblicato sulla rivista The New Age nel 1909, sono rappresentati molti degli elementi che poi vengono ripresi in altre poesie e scritti sul mito. Si fa riferimento ad una ninfa cacciatrice, che cattura un bellissimo cervo bianco e lo conduce prigioniero nel suo tempio. La bestia si strugge d’infelicità e quando la ninfa la libera, si dirige verso il bosco da cui si affaccia una cerva bianca. In realtà quest’ultima è una strega dal corpo di donna e testa di cervo. La ninfa, resasi conto che il cervo è vittima di una stregoneria, si accinge all’inseguimento ma, giunta sulla sponda del fiume, sente dei lamenti: scopre così una fanciulla che tra i singhiozzi le racconta che il suo amato è stato trasformato in animale da un maleficio. La ninfa infine, uccidendo la strega, permette al cervo di riprendere le proprie sembianze umane e, con un atto di generosa sorellanza, di ricongiungersi con l’innamorata.
È presente una figura ibrida, creatura metà umana e metà animale (come i centauri, le sirene, i satiri...), una strega con testa di cervo e corpo di donna. Queste figure fantastiche rappresentano lo scarto rispetto alla norma, la rottura di un paradigma noto e condiviso di normalità: rappresentano l’alterità nei confronti del consueto, creando categorie nuove, in continuo mutamento: esseri al confine tra umano e animale, maschile femminile, mortale e immortale. Spesso si accompagnano a processi di metamorfosi, che genera meraviglia (il greco thauma), sbigottimento, e svelamento.
Nella poesia Metamorfosi si assiste ad una vera e propria inversione di ruoli. Protagonista è una baccante, Cloe, che viene imprigionata in un corpo bovino da Apollo, e chiede alle compagne di squarciare il suo corpo per restituirle la sua vera forma. Qui è sottinteso l’irriducibile contrasto tra la vitalità dell’antico Caos di origine matriarcale, rappresentato dalla Baccante, e l’apollineo ordine borghese patriarcale, identificato nella maschera bovina. è la metafora di una sovversione nei confronti di un ordine prestabilito e la ricerca di un percorso di liberazione. Apollo imprigiona la Baccante in un corpo di regole borghesi, da cui ella chiede di essere liberata, seppur facendosi squartare.
Anche nella poesia La Baccante perduta, seguace del “folle dio”, Beatrice procede ad una sorta di travisamento sostituendosi nel cuore dell’amato, «che non saprà di stringere non una mortale, ma una Baccante perduta».
Possiamo scorgere una sorta di parallelo con le metamorfosi tanto spesso rappresentate nella mitologia greca (Ovidio, anno 8 d.C., ne racconta in oltre duecento miti) anche nei nomi di penna, che impersonificano le diverse tipologie di scrittura di Hastings nei diari, saggi, racconti, come giornalista e come poetessa. Questi rappresentano una sorta di trasformazione, cioè un mutamento di forma, pur mantenendo inalterata l’identità. Come afferma Maristella Diotaiuti, Beatrice inizia la costruzione di sé come personaggio proprio dalla nominazione, da cui è derivata anche la difficoltà di riconoscere molti dei suoi scritti. Questo bisogno di mascheramento è un vero gesto politico di affermazione di sé nei suoi molteplici aspetti, attraverso un percorso non sempre lineare, ma tortuoso e ambivalente: esserci e nascondersi, in un gioco di rimandi, di luci ed ombre, e con una sostanziale impossibilità di ricomporre i molteplici aspetti, che la condurrà al suo tragico destino.
D’altra parte, la necessità di denuncia e di impegno comportava anche un’esigenza di razionalità, di ordine logico e di scrittura. Beatrice era ben consapevole come l’avvento del cristianesimo avesse consolidato la sottomissione della donna all’uomo e la rappresentazione come streghe di figure femminili non rientranti nei ruoli canonici di madre e moglie loro assegnati. Inoltre, con la rivoluzione industriale, viene mutato il precedente assetto delle relazioni umane, le donne, come gli uomini, iniziano a lavorare nelle fabbriche, e la supposta pericolosità insita nel femminino viene celebrata nelle arti con una commistione inscindibile di ammirazione e timore, delineando la figura della femme fatale, eroina e spauracchio della fin de siècle.
La stessa Beatrice Hastings cita in Madame Six, diario scritto durante il ricovero in ospedale nel 1920, la trasformazione “da Baccante a Marta”, una delle due sorelle di Lazzaro di Betania, figura biblica, protettrice di casalinghe e modello di operosità femminile.
Anche ne I sepolcri imbiancati, romanzo breve di Beatrice Hastings pubblicato nel libro Beatrice Hastings, in full revolt, di Maristella Diotaiuti e Federico Tortora, Hastings delinea sapientemente la trasformazione della signorina Nan Pearson nella signora Heck, alla fine identificandosi pienamente con le varie figure di donne borghesi che le gravitano intorno. Una metamorfosi della giovane da angelo a strega, che «giaceva sveglia e in vigile attesa, e sicuramente questa moglie cristianamente unita in matrimonio si sarebbe sentita vicina a Clitemnestra, se le sue ricerche letterarie l’avessero mai portata a conoscere il fato della malmaritata pagana».
Concludendo, la complessità della realtà che si esprime nel concetto di doppio, o di “ombra” come indica Jung, viene ribadita sia a livello storico, filosofico e psicanalitico, per identificare le parti nascoste della personalità, e proprio nell’ambito della polemica antipositivista e nell’esigenza costante di ricerca che va oltre i rigidi confini della razionalità possiamo inquadrare l’interesse di Hastings per il paranormale e la parapsicologia, e la sua adesione alla società Teosofica di Helena Blavatsky. L’iniziazione alla penetrazione del mistero della vita e della morte può probabilmente ricondursi all’archetipo della estrema ribellione finale. Infatti, l’essere vissuta a cavallo tra due secoli, in epoca di profonde trasformazioni, ed essere stata sempre una voce dissonante e consapevole, ha caratterizzato la vita di Beatrice portandola ad un destino tragico, con la morte per suicidio, dopo lunga malattia. Ma il suo anticonformismo ed il suo incondizionato e generoso amore per la libertà senza confini sono oggetto dell’attuale riscoperta attraverso le traduzioni dei suoi scritti, in full revolt.
Corpo, divenire,
immanenza: Spinoza e Deleuze, di Lucio Macchia
Dedicato
a Federico Tortora (avendomi sottoposto un quesito al quale qui rispondo).
Ne
l’ordine ch’io dico sono accline
tutte
nature, per diverse sorti,
più
al principio loro e men vicine;
onde
si muovono a diversi porti
per
lo gran mar de l’essere, e ciascuna
con
istinto a lei dato che la porti
(Dante,
Par. I)
Un
rapidissimo e semplificato excursus in un argomento immensamente esteso e
complesso.
Affermare,
come fa Spinoza, che tutto è res divina, che vi è una unica sostanza, e che la
res extensa cartesiana (ovvero la materia, i corpi, le cose…) non è che un
attributo della sostanza divina, significa portare il corpo nella piena dimensione
ontologica, come luogo dell’esperienza autentica del vivere. Si apre un fronte
infinito di riflessione sul corpo in rapporto all’essere che sarà centrale in
tanta filosofia del ‘900.
Attraversiamo,
allora, rapidamente, il pensiero di Spinoza sul corpo. S. parte dai corpi
elementari che non si distinguono per la sostanza (tutto è res divina che si
estrinseca come attributo dell'estensione): «I corpi si distinguono l’un
dall’altro per quanto concerne il moto e la quiete, la celerità e la lentezza,
e non per quanto concerne la sostanza»[i].
I corpi elementari si aggregano in individui che possono mantenere la loro
natura anche al variare dei corpi elementari costituenti purché, al distaccarsi
di qualcuno, vengano rimpiazzati da altri, e purché i rapporti di lentezza e velocità
rimangano quelli originali. S. reitera il ragionamento fino a includere il
tutto. «E volendo procedere così in infinito ci renderemo facilmente conto che
tutta la Natura è un solo Individuo, le cui parti – cioè
tutti i singoli "corpi" – variano in infinite maniere, senza alcun
cambiamento dell’Individuo complessivo»[ii].
È un’idea
straordinaria, questo gran mar de l’essere, all’interno del quale il
divenire si articola, il grande teatro del divenire immanente che Deleuze porta
dentro la sua filosofia. In un famoso passaggio di Mille piani si parla di “longitudine” e
“latitudine” di un corpo. Longitudine: «l'insieme degli elementi materiali che
gli appartengono sotto certi rapporti di movimento e di riposo, di velocità e
di lentezza»[iii]. Una
grandezza estensiva ma diveniente, concatenata e concatenante. Latitudine: «l'insieme
degli affetti intensivi di cui è capace, secondo un certo potere o grado di
potenza»[iv].
Una grandezza intensiva, potenziale.
Se il
concetto di longitudine richiama a quanto detto prima sulla composizione dei
corpi in Spinoza, la latitudine è legata al «Cosa può un corpo? ». Questa
domanda è il titolo del libro che Deleuze ha dedicato a Spinoza e si basa su un
altro passaggio straordinario dell’Etica: «…stento a credere che, se non
comproverò le mie affermazioni con dati dell’esperienza, la gente possa indursi
ad esaminare questo argomento con cura e con animo sereno: persuasa, com’è, che
il Corpo si muova o si fermi solo che la Mente glielo ordini, e compia una quantità
d’azioni che dipendono soltanto dalla volontà della Mente e dalla sua capacità
di ragionare. E in effetti nessuno finora ha determinato di che cosa il Corpo
sia capace per sé: cioè, finora l’esperienza non ha insegnato a nessun umano
che cosa permettano al Corpo di fare e di non‐fare le sole leggi della natura
considerata unicamente nell’ambito corporeo, senza gli interventi direttivi
della Mente. Nessuno finora, infatti, conosce la macchina del Corpo così a
fondo da potere spiegarne tutte le funzioni ‐ per non parlare ora delle molte
attitudini che si osserva negli animali... »[v].
Un passaggio meraviglioso in cui Spinoza spezza implicitamente la presa del
logos sui corpi, li libera dalla “codificazione”, dall’asservimento al cogito,
e ci fa intravedere, in trasparenza, un orizzonte nuovo, in cui il corpo partecipa
al tutto, all’essere in quanto divenire senza fine dell’unica sostanza. Deleuze
sviluppa il suo pensiero dell’immanenza partendo da queste intuizioni
spinoziane. Sono movimenti del pensiero filosofico che ci interessano molto
perché contigui ai territori del poetico, persino intrecciati con esso. Si
tratta del corpo vivente. Della vita. Dell’essere.
Immagine: Mirò
[i] Spinoza,
Etica (ho consultato l’edizione presente on line nel sito filosofico.net),
Parte I, Preliminari A
Si tratta di un invito ad attraversare il torrente; qualcuno afferma che è secco, altri, paurosi (trëmulizzë), che è in piena. Ognuno con i suoi mezzi simbolici: asini per bestemmiare, muli per lavorare, cavalli per viaggiare. Per guadare il torrente, amici sinceri e cari, poeti.
Sempre Vostro, Pasquale Lenge.
Maristella Diotaiuti legge una sua poesia in dialetto cilentano (Palinurese)
Per ascoltare l'audio cliccare sulla foto.
Foto: Capo Palinuro, da "Le bellezze del Cilento"
si scutulìa a luna e lassa nu frizzicu
‘ncoppa ‘a l’unna ca si ciurnulìa
e s’abbucca urla mari
pari na vucca ca trigna rirennu vatalana
n’da rina na rasula r’argientu
n’drichera mindichìa
teni a zinria a luna puri si nunn ‘a
vivu stà luna stasira
putissi turnà a mbrascarmi ri sti
billizzi
poi chiù niendi
si scuote la luna e lascia un frizzico
sull’onda che civettuola si dondola
e si inarca come bacio sull’orlo del mare
pare una bocca che gioca ridendo vagabonda
nella sabbia traccia illusori solchi d’argento incantatrice
ha frenesie la luna pure se non la vedo questa
luna stasera
Le Cicale Operose per Amedeo Modigliani, 13 luglio 2025.
Tra gli interventi della serata, Vincenzo Guarracino ha proposto un approfondimento sul Modigliani poeta, portando alle Cicale Operose tre poesie di Amedeo Modigliani, scritte in lingua francese, poesie da lui raccolte.
Oggi, a distanza di 7 giorni dall'evento, abbiamo pensato di proporre a Laura Giuliberti, tra le autorevoli Giurate de Le Cicale Operose al premio di poesia Amedeo Modigliani, la lettura delle tre poesie in lingua francese, qui pubblicate.
Vincenzo Guarracino: Pubblicati per la prima volta in Les
Arts à Paris (n.1, ottobre 1925) e poi in un Omaggio a Modigliani, edito da
Scheiwiller nel 1930, i tre testi poetici:
Risa e stridi di rondini, Ave et
vale e La Déesse.
Buon ascolto!
*I primi versi in italiano della poesia "Risa e strida
di rondini" sono stati tradotti in francese da Laura Giuliberti.
Per ascoltare il video, cliccare sull'immagine.
Immagine di copertina nel video: elaborazione grafica di Mario Di Chiara, graphic designer e collezionista, a partire da un ritratto fotografico di Amedeo Modigliani, utilizzata per l'evento a sua cura Cenni sulla formazione socioculturale di Amedeo Modigliani e l'avventura critica del suo lascito (1875-1915), 13 luglio, 2025, Le Cicale Operose.
Note biografiche
LAURA GIULIBERTI ha studiato filosofia e traduzione letteraria, e lavorato presso il Centro Internazionale di Poesia di Marsiglia, con cui ha organizzato l’atelier di traduzione collettiva Import/Export : Rome/Marseille. Nel 2022 ha tradotto Giovanni Fontana, Sento [dunque suono, (Le Dernier Télégramme). Altre sue traduzioni compaiono in riviste francesi e italiane (Nazione Indiana, Cockpit, Rehauts, Nioques,…). Nel 2024, Arcipelago Itaca pubblica Paraìso nella collana Lacustrine diretta da Renata Morresi. Alcuni suoi testi inediti escono nel febbraio 2025 sulla rivista Il Verri. Nel maggio dello stesso anno, dalle edizioni francesi L’Usage, viene pubblicato Somnologies di Lidia Riviello da lei co-tradotto insieme a David Lespiau. Per Argonline ha curato una serie di pubblicazioni di poesia del Québec, con testi da lei scelti e tradotti durante la sua ultima trasferta oltreoceanica.
VINCENZO GUARRACINO Poeta, critico letterario e d’arte, traduttore, è nato a Ceraso (SA) nel 1948 e vive a Como. Ha pubblicato diverse raccolte di poesie fra cui Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989), Grilli e spilli (1998), Nel nome del Padre (2008); L'Angelo e il Tempo e altri poemetti, 2022, Fiori e altri incanti, 2024. Per la saggistica, ha pubblicato Guide alla lettura di Verga (1986) e Leopardi (1987 e 1998), nonché le edizioni critiche di opere di entrambi gli autori (Diario del primo amore e altre prose autobiografiche, 1998, l’edizione dell’autografo comasco dell’Appressamento della morte, 1993 e 1998, l’antologia Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri, 2005, il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani di Leopardi, 2021). Nel 2010 ha pubblicato Lario d’arte e di poesia. In gita al lago di Como in compagnia di artisti e scrittori e una biografia di Antonio Ranieri, Un nome venerato e caro. La vera storia di Antonio Ranieri oltre il mito del sodalizio con Leopardi. Ha curato traduzioni dei Lirici greci (1991; nuova edizione 2009), dei Poeti latini (1993), dei Carmi di Catullo (1986 e 2005), dei Versi aurei di Pitagora (1988 e 2005), dei versi latini di A. Rimbaud, Tu vates eris (1988), dei Canti Spirituali di Ildegarda di Bingen (1996), del Poema sulla Natura di Parmenide (2006), dei Poeti latini cristiani dei primi secoli (2017). Nel 2011 è uscita in Spagna un’antologia della poesia leopardiana, curata assieme ad Ana Marìa Pinedo Lòpez, col titolo El infinito y otros cantos, e nel 2012 l’antologia Giovanni Pascoli. Poesia esencial. Collabora, come critico letterario e d’arte, a quotidiani e periodici.
Una raccolta
in cui l’autore abita l’antinomia “dell’immanenza”: un gesto poetico
contraddistinto dalla sua particolare prospettiva sul mondo che qui emerge –
nel linguaggio, nei versi – in rinnovata, vivida consapevolezza.
Eccolo il
mondo:
il sole,
un limone,
una mela.
E questo
sguardo
che
s’affaccia all’orlo
delle
parole dove queste
sprofondano
minime
e
silenziose in abissi
di bacche
di luce.
La gioia
perfetta
dell’attimo
su quel bordo.
E, al suo
cessare,
il
cessare d’un cosmo
(tratto
dal brano Niente II)
cosmi | minimi è la nuova silloge di Lucio Macchia,
edita industria & letteratura, con la cura editoriale di Emanuela
Vezzoli.
Nei 61 brani di questa raccolta, presentata in un elegante
formato tascabile, l’autore fa confluire il risultato attuale della sua
ricerca, giungendo ad una articolazione dello scritto estremamente concentrata
sulle intermittenze esistenziali, a cui corrisponde uno stile sempre più
rastremato, lineare, ellittico. Il suo gesto muove, con la parola, oltre la
parola, lungo gli orli delle percezioni, dove la vita giace in sé – autentica.
Di seguito qualche estratto della nota della curatrice che è
posta come introduzione nel volume.
‘’Occorre sospendere, come ci insegna Coleridge, l’incredulità
e affidarci a Scoto, a Deleuze, e (nel suo intento poetico) a Lucio Macchia,
alla loro ecceità e arrenderci, in modo antinomico, nel momento poetico, all’immanenza.
Occorre salire, o scendere, fino all’orlo delle cose e lasciare che urlino il
loro essere, il loro esser-ci – come il fiore di Celan – dentro i versi.
[…] Muoviamo allora, in questa raccolta, dall’abisso dolcemente crudele della
nientità, da splendidi brandelli di nulla che ci invocano da «una scaglia di
luce» (Nostalgia), da impressioni, colore e sentore, per approdare a
quell’ecceità che ci tocca mentre a lei stessa ci abbandoniamo soavi[…]
preferisce riportarci nel mezzo, il poeta, né dentro l’assenza, né dentro la
troppa presenza (neutĕr). Fuori, dehors, ai margini del dire e dello stare, sui
lembi dell’essere, in un perenne momentum, un moto lieve, un’oscillazione mai
sazia, impigliati «al bianco, all’acqua» (L’orlo degli anni), incerti e docili
«alle pieghe di un destino» (Distillato), alle screziature del nostro strenuo
e-vocare, heideggerianamente, il mondo’’ (dalla Nota della curatrice).
Poesie per Amedeo Modigliani. Premiazione. Tutte le poesie.
Maristella Diotaiuti (Le Cicale Operose): "L’idea del concorso, del premio, per noi delle Cicale Operose, in sintonia con il significato di questo nome, è sempre stato solo un pretesto, un’occasione per trascorrere insieme una sera d’estate, parlando di poesia e di arte. Infatti, anche quest’anno, al termine della premiazione si azzera tutto, e tutti i poeti e le poete presenti stasera, che hanno partecipato al premio, ci leggono le loro poesie, proprio nello spirito di festa e di condivisione, di amicizia che tanto ci piace, in una visione orizzontale, non gerarchica del fare poesia e arte."
Pubblichiamo, come da Regolamento, le poesie delle e dei partecipanti alla celebrazione per Amedeo Modigliani del 13 luglio 2025.
Nella pagina sono indicate le poesie prime tre classificate, le poesie menzionate e le poesie segnalate. Tutte le altre poesie partecipanti sono pubblicate indistintamente, in ordine alfabetico.
Tra le poesie partecipanti, troverete una video-poesia di Raffaella Fazio proiettata in corso di serata alle Cicale Operose.
In calce alla pagina troverete interessanti riflessioni scritte di Chiara Serani, autorevole Giurata de Le Cicale Operose, da lei espresse anche in corso di serata.
Teniamo a ringraziare tutti i poeti che hanno partecipato e le Giurate e i Giurati che hanno valutato le poesie: Laura Giuliberti, Vincenzo Guarracino, Renata Morresi, Chiara Serani.
Le Cicale Operose
*qualora vi fossero imperfezioni nell'impaginazione, esse sono dovute alla pagina del blog, mentre ai Giurati le poesie sono pervenute in formato corretto.
PRIMA CLASSIFICATA EX AEQUO
Marco Bini
Quel
particolare grigio che si dice uniforme
cambia
- uguale non è mai - in decine di miscele
di
beton brut, di vernici per pareti,
varia
in ragione dell’epoca e del costruttore,
dell’arte
praticata, dell’acqua per come infiltra,
e
se invece di seguire le scie dei Ryanair
da
e per BLQ mi mettessi a osservare
il
livello di realismo dei capannoni e il compromesso
tra
la forma e, quest’ultima al ribasso, la felicità,
nel
prefestivo che mi ha depistato alla rotonda
volendomi
proprio qui
vedrei
l’equivalente dell’albero che cade
anche
se nessuno guarda -
sussurra
dal retro di un tir angles morts
l’adesivo
in un francese che suona provenzale -
perché,
anche se è fatica crederci,
questo
posto esiste anche quando tutto è chiuso
e
non è così diverso dal guardare la corsa degli anni
in
cui niente cambia perché possa cambiare tutto
e
lasciarmi fermo lì, cireneo commosso del mio secolo,
e
dunque, nel desolato sabato del villaggio
artigianale,
ho pensato di dire il tuo nome all’abitacolo
e
chiamarti da questo sedile cigolante
perché
devo, in tenerezza devo, sentire la tua voce
per
riavviare il tempo, farci irrompere nella storia.
PRIMA CLASSIFICATA EX AEQUO
Virginia
Farina
Musa
ad Amedeo Modigliani
È li nella gola che ha
nido
la voce, che origina il canto
nel cavo che vibra nel fiato
e nomina il mondo
ed è lì che si tende l'invisibile
corda che trema
tra il mento e le spalle
e si stira affamata di vento,
e allora tu resta così, immobile ancora,
altissima, come in
preghiera,
così viva da lasciarti vedere:
musa che vieni alla luce
nella mia vigile tela.
SECONDA CLASSIFICATA EX AEQUO
Giuseppe Giannotti
La Ragazza dal Collo d’Anatra
Tra le pozze di marea di Via Sarpi
nell’aura rabbiosa di un sabato
la cui notte fumosa e le genti
s’inzuppano dei propri odori
nascenti, lo stridulo baccano
dei tegami colmi di uccelli laccati
scintilla e sinfònia con
lo sfrigolio di croccanti carpe
traboccanti sugli orli della follia.
Nel ventre profondo del fracasso
appare ieratica e lunare
Dolce efebo lattiginoso
la ragazza dal collo d’anatra
col suo cono d’ombra silenzioso.
Occhi bassi sopracciglia grosse
un nero cappello con visiera
a render la postura meno austera
Ma la bocca, quella bocca dalle labbra
rotte
all’ingiù senza pose di maniera
urla ai passanti dalle parvenze
distratte
i silenzi non detti di questa notte così
nera.
Questa poesia è per Te,
ragazza che vendi i colli dell’anatra
al bancone di un mercato di Chinatown
in via Paolo Sarpi
ai margini e quindi così al centro
della vita non conosciuta che amiamo
per definizione creder esser la più
vera.
SECONDA
CLASSIFICATA EX AEQUO
Pasquale
Vitagliano
Musa nascosta
Ecco
che ti manifesti tu
Pietà
inversa
A
farti abbracciare dal sudario
Per
cucirti addosso
L’odore
del più pietoso
Dei
tessuti
Né
madre né sorella
Nessuna
cura è stata
L’esatta
formula algebrica
Del
corpo smemorato
Annotati
la felicità pronunciabile
Che
non è più cieca
E ha
preso la forma precisa
Di
ogni suo contenuto
Nutri
gioendo nuota
Nell’abisso
familiare
Nel
quale risuona la risposta
Che
solo a noi
È dato
ascoltare.
TERZA
CLASSIFICATA
Erika
Signorato
Agli sguardi cercati, agli occhi spersi
“Quando conoscerò la tua anima, dipingerò i tuoi occhi” (A.
Modigliani)
di
lieve vento quelle nubi
chiare
a figura, sipari
a est
e a ovest sulla scena
come
veli a tendere
ascolti
di nessuno - stagliarsi,
allungare
fiato e volto -
informe
nudo lo sguardo
e non
conosce timbro
l’anima
che mi mancate.
MENZIONE DI MERITO
Myrna
Bongini
Stele per
Modì
Fame e sete ti hanno forgiato
come una lama rituale,
non era carne la tua
ma fibra elettrica,
linea in tensione
tra Africa e Giappone.
Eppure tu eri un figlio di Livorno
selvatico e muto e fu una stradina
la tua opera prima
come pudore in posa
e già sapevi
che ogni volto è un sentiero
che si perde.
Toscano,
scrutavi l'Oriente
senza muoverti mai.
Mi parlano di te
pietre antiche come il sangue
Tu, un dio gentile,
uno di noi
con un'anima di rame, leggendaria,
dai secoli lustrata.
Mi parlano di te
e trovo la tua essenza
nelle Statue Stele
al Castello in Lunigiana.
I tuoi volti d'ebano non conoscono
sorriso
ma la tua arte è questa:
la tua fame non finisce neanche nella
pietra.
Conquistato dalla voce spezzata di Anna
in stanze d'ombra e confine
i versi della Achmatova ti accompagnano
libero dal peso del possesso.
E Jeanne, Jean ti amava fino a seguirti
nella morte,
abbandonando il vostro frutto e il fiore
ancora in boccio,
restando la sua anima vibrante
prigioniera dei vostri corpi in amore,
fluttuando nel silenzio,
a tuo decoro.
Mi parlano di te
una curva di collo
che tende al cielo,
occhi socchiusi
e lì ci siamo tutti:
le donne, la polvere, la Lunigiana, il
Giappone
l'Africa e Livorno che ti ama.
Decolla il tuo aereo
e tu rimani,
resti nell'ombra sacra
di ogni volto assente.
MENZIONE DI MERITO
Anila Hanxhari
C’è
chi non ammise la meraviglia
la
rubarono dal quadro della bellezza
la
profezia della conversione
il
campanile gotico
il
fiore vuole essere guardato
il
miracolo mio signore preso per mano
tutto
accade nei cinque fiati d’allodola
nei
rami mozzati appeso il torsolo
ora
una fiaba
ora
potere della guarigione l’aurora
come
si fa ad arrivarci senza mani
senza
dire parola
La
meraviglia pubblicava avvisi
disposta
a tutto a dare lezioni
esperta
di cucito e stregoneria
resuscitava
la scintilla
la
manodopera del senso
la
solita storia
vitto
e alloggio per sopravvivere
al
banco dei pegni
alzati
Prismanima, disse l’inquisitore
lei
mise una fiaccola, una carezza, il tempo
la
costola di luce nell’universo
MENZIONE DI MERITO
Adriana Tasin
Dedo e Noix de coco
volevo accavallare le mie gambe, le
guardavo senza capirne l’intenzione, stavano ferme su una riga di luce.
piuttosto sarebbero cadute di lato. Jeanne, il tuo collo [intanto]
sosteneva il viso, tratteneva la corsa del sangue nell’allungata nudità. appesi
all’ovale gli occhi caduti dentro [come nelle doline carsiche l’inghiottitoio
conduce a cavità sotterranee, la finestra di un quinto piano all’eternità].
Noix de coco, nessun rumore, tutto fermo sulle piccole labbra, così
chiuse [aperte solo all’amore]. le mani posate a croce sul pube. sull’ottavo.
nessun ritocco alla fine.
SEGNALAZIONE DI MERITO
Erika Bartoli
Cinquième étage
Non è questa sera
incrinata di gelo sui vetri,
le voci care trasudate
dal muro,
il tuo moto di pesce
pigro nel ventre,
o la vita possibile,
perdonami,
insufficiente.
È questo luogo orfano
di orbite cieche,
l’assenza del respiro
spezzato,
il davanzale appeso su
cui siedo,
come una scheggia dura,
e il cuore già
schiantato sul selciato che chiama
insistente.
SEGNALAZIONE DI MERITO
Antonio D’Auria
baruch
(benedetto)
Nascere a Livorno sempre,
morirvi mai.
Se poi cieli e occhi
sono gli stessi a Parigi
e il salmastro è ancora
a patinare lo sguardo
ricercato nel vuoto,
oltre cerulee pupille.
Oblunghe,
magre,
solenni,
agognate
e severe
istantanee d’anime nascoste
ma spogliate
su foglio o tela bisunta.
Tagliare luce
e ansia di fuga
allora
fino a tossire
il colore del sangue
che la tavolozza non dava.
SEGNALAZIONE DI MERITO
Lucio
Macchia
Il dono
La vita
è un dono dei pochi ai molti: di coloro che sanno e che hanno a coloro che non
sanno e che non hanno (A. Modigliani)
I suoi
occhi
pieni-vuoti
orlano
il caos.
Parigi,
il mondo:
ogni
cosa
a
schiudersi
in dono
nuovo
e vivo:
il collo
lieve,
la testa
sbozzata,
i tagli
della
luce,
e – sui
volti –
ambigui,
tenui,
i buchi
d’azzurro
polvere.
Morirci,
nell’addensare
le
forme, e curvarle:
essere
ancora così
ingenui
e spavaldi
lì a
credere
alle
linee-ali, al colore
esatto,
a far nascere
ogni
volta
da noi
il nuovo
(creare,
solo creare!)
da noi
indifesi
e
geniali:
noi
sperduti enfants
–
invincibili.
SEGNALAZIONE DI MERITO
Loredana Magazzeni
Tentativi
di riflessione su bellezza, arte [etc.]
Volevo
essere Jeanne Hébuterne posare
per quei ritratti di donna dai lunghi
colli
inseguire
la notte nelle cantine di Montparnasse
alle costole dell’artista famoso e maledetto.
Volevo
essere io l’eletta l’amata del suo cuore la
pluriritratta l’intima amica la
divina
piccola
Musa ispiratrice. Volevo essere la
mai delusa che non resse la morte improvvisa
del
suo amore non accettò di
sopravvivere a un sogno
di
farsene una ragione. Jeanne
Hébuterne tu la più amata
donna dal lungo collo e dalla calda coscia levigata Jeanne dagli occhi di carbone o azzurri specchi d’acqua avrei voluto leggere le tue divine lettere a lui se solo avessi
potuto avessi saputo sopravvivere.
*
Avrei
voluto essere Beatrice la ribelle
Hastings di nome giornalista e scrittrice
colei
che sapeva criticare a ragione i difetti del suo sesso ma adorava farsi ritrarre da te
Amedeo artista bello e misterioso che dalle belle donne potevi estrarre
un sorriso distratto e la vita stessa
oppure il desiderio la voglia di vivere e amavi chi ricambiava anarchia e coraggio
controcultura
e futuro. Donne ribelli e lucide adatte ai tuoi colori corpi nudi su terre
ocra dentro telai luminosi sulla porta di amici mercanti quando
il futuro può dimostrarsi
l’essere così totalmente disponibili al nuovo così fragilmente temerari da offrire
la
propria anima ritornata colore e materia.
SEGNALAZIONE DI MERITO
Jonathan
Rizzo
Tubes
pressés
Surtout une belle poitrine et Modigliani.
Le soleil et Modigliani.
Une jeune fille de Modigliani, courtisée par le
vieux
réalisateur de comédies américaines
par son fils bilingue, est une native du numérique.
L'avenir lui appartient, et moi, un homme
fait de papier et de stylo, je suis vieux et démodé.
La tua assenza nutre desideri terrorizzati dalla tua
eventualmente presenza, la voglia di vederti è più forte del terrore di
sopportare il troppo incanto, l’odore della tua bellezza amputa l’eloquio, non
vedo più i tuoi occhi. Già fatto. Non voglio le tue labbra, non voglio la tua
schiena. Ho occhi solo per le tue caviglie e da lì che voglio cominciare da
l’inizio, DALL’INIZIO DI TE. Sfiorarle per il trambusto, la confusione,
turbamento che scateni. Scateni tempeste di fremito e ipnotizzarci nell’attesa
che non c’è più. Finita.
Nadia
Chiaverini
Cariatidi
a Modì
Reggono il peso del
mondo e non solo
le donne i pesi di ogni giorno
colonne vitali
sull’acropoli di Atene
donne di Caria
prigioniere
rese eterne e schiave
prede di guerre
sempre
a Delfi immortalate nel
tesoro dei Sifni
Tempio incompiuto di
bellezza
intima essenza / colore
che sostiene la vita
non tradiscono fatica
maschere che celano
l’identità più profonda
che si anima in forma colonne di tenerezza
celebrano la donna, la
forza la fermezza
il valore dell’origine
di ogni cosa
Tracce / linee curve e
spezzate
impronte primigenie
nel cammino
dell’umanità
Carlo
Chionne
C’era
una volta Dedo…
C’era una volta, a Livorno,
un bambino
estroso, dolce, ma un
po’ gracilino…
Con la sua vita ha
segnato il destino,
non solo suo, ma di due
città,
con le quali, per
sempre, si intreccerà… :
Ultimo nato di quattro
fratelli:
trascorre l’infanzia
tra colori e pennelli:
Dedo è il nomignolo che
gli fu dato
da chi lo conobbe,da
chi l’ebbe amato…
passava giornate a
disegnare,
Fantasticava, amava
creare :
A 15 anni dal Maestro
Micheli
apprese il più estroso
di tutti i mestieri.
Correva l’anno
millenovecento:
nella sua vita ci fu un
cambiamento
Umano, artistico e culturale:
l’arte classica,
rinascimentale
studiò in Italia,
grazie alla madre,
a Roma, a Firenze e
altre contrade.
sei anni dopo, una
nuova vita:
l’accoglie Parigi …
cosmopolita,
Dove egli muove i suoi
primi passi
insieme ai Soutine, ai
Brancusi, ai Picassi
ed altri pittori e fu
proprio lí
che Modigliani
divenne…Modì…
India, Egitto: culture
lontane
gli ispirano
forme di teste africane
Su e giù per Montmatre
, dentro i bistro,
ricorda via Roma, ma
beve pernod…
Su e giù a
Montparnasse, davanti ai caffè,
la luna è sui
tetti, ma Livorno… dov’è …
Quanti ritratti nel suo
taccuino
Che spesso regala in
cambio di vino!
Se gli interessa un
certo soggetto,
Ne tira fuori un
ritratto perfetto ,
Che poi dipinge su tela
a colori:
ma al posto degli occhi
lascia …dei fori :
occhi… che sembran
guardare lontano
tanto da fargli tremare
la mano :
La linea tracciata non
sempre la stessa:
a volte più fine,a
volte più spessa,
con elegante
delicatezza,
Dà ai suoi ritratti,
un’amara…dolcezza:
Con forme semplici, un
po’ allungate,
così Dipinge le donne
più amate…
ma È Jeanne Hébuterne
che ama davvero:
lei lo ricambia d’un
affetto sincero:
Il suo bel collo
somiglia ad un cigno,
La sua bocca è come uno
scrigno
In cui risplendono
pèrle e diamanti:
gli occhi son simili a
due brillanti …
Delicatezza ed estrema
dolcezza,
son di Jeanne la più
grande bellezza…
Infine Amedeo ha
dipinto se stesso,
davanti a uno specchio,
seduto, si è messo.
Ma in quell’anno:1920,
i suoi occhi si sono
spenti
e hanno acceso, tra
gioia e tristezza,
dentro di noi, una
nuova bellezza…
Gabriella Cinti
Trampoliere inquieto
Ad Amedeo Modigliani
Fenicotteri grigi
i colli delle tue donne
in viaggio verso l’oltre,
obliqui come la tua vita,
come il tuo destino sghembo,
trampoliere inquieto
che ospitavi l’immenso.
Attraversavi gli abissi
nel vuoto latte degli occhi
crocifissi di bianco.
Il tuo pegno di immedicata solitudine
è cuore trafitto rovesciato
in durata di luce implosa.
Ogni tua pena è per noi
eterna preghiera di bellezza.
Tiberio
Crivellaro
L’ultima pennellata di Modì
In punto
di morte affili la bocca notturna,
truce
violenza che scorre sul dorso dei nervi
quando
l’onda nera pietosa ti chiuderà gli occhi.
Non è
questa l’orrenda infamia o mutilazione
di ogni
morale, nucleo che appesta l’umano
torcendo
le radici della memoria in schisi;
silenziosa
ruota che naviga nel tempo, tempo
che
mostra corpi, volti, le loro orbite vuote
dando un
senso alla penombra con la funere
imago.
Poco
contano i nervi affranti, preludio all’ultimo sospiro.
No, non
è questo l’orrore, ma la perdita dei sensi,
la luce
e l’odore nei capelli sciolti dal vento,
il riso
lepido di Pablo, il collo sinuoso di Jeanne incinta
e la
lingua gonfia che ammutolisce la parola, anche quella che avevi scritto,
o uno
sciame di altre rimaste nel vuoto a bollire come segnali di fumo.
Per
questo nulla si chiude nella tua vita che non lascia memorabile recapito.
Non ti
resta che navigare nel fiume tetro dell’inadeguatezza lasciando
che tuo
figlio si conduca a un diverso approdo da quello tuo. Eri approdato
poi infine, dove?
Del tuo
essere stato amante di uno scivoloso specchio,
amante
del vino ombroso alle osterie a Saint Germain?
Ma ora
trasudi ammainando le tue orbite rosse
verso
una corrente che allora contava, a farti sbattere
adesso a
un nodo di scogli, a naufragare desolatamente nel selciato.
E le ore
che ora passi a pensare come raccomandarti l’anima che non hai,
dal
profondo, da dove provieni, secondo orribili religioni da abortire
come lo
sono tutte del resto, religioni della morte. Forse ora
qualcuno
ti accompagna al fianco o nell’altra tua guancia che non
porgesti
mai, neppure adesso che ti guizza intorno il lampo della resa?
Così, in
punto di morte neppure affili la bocca, neppure una smorfia
ti
scorre sul dorso dei nervi, mentre
l’onda nera ti avvolge gli occhi.
Emanuela Dalla Libera
Da
un lume spento un’eternità di luce
Vanno
i canali, al margine
degli
occhi, fluendo in una calma
noncuranza,
oltre il fosso il cielo
si
macchia di colore sul mare
in
fondo, aperto e smisurato.
Smisurata
sta l’anima impaziente
a
distillare dalla pietra un segno
che
dica l’immagine più pura
e
pulsi di vita nelle vene come
i
gabbiani in volo dentro il sole.
Di
là del mare è la città che aspetta,
sobbolle
di tormento nell’oscurità
del
tempo e poi di fumi ed estasi
ed
assenze mentre derive portano
le
notti in squallore di abitacoli,
a
giorni grami densi di miseria.
Esala
dalla tela il nitido valore
e
del disegno la fermezza piena
in
linee ondulate e morbidi abbandoni,
teste
inclinate in un vedere cieco
campi
di colore come visioni salde
nella
notte, lo sguardo che si tende
oltre
il vivere caduco, oltre la spietata
morte
la voce nella mano,
da
un lume spento un’eternità di luce.
Ketty
D’Echabur
Ci
siamo amati
Ti ho amato
tra le luci cupe della collina
intrecciando le mani come stelle
rannicchiate nel sonno della notte,
ti ho amato
stordito dal rumore della tosse...
che graffiava
come un gatto tra i tetti.
Amedeo amore eterno
Amedeo folle amore incompreso
il respiro sulla bocca
parlami guardami
sei immobile
ho paura...
Ti ho amato
contro le urla della borghesia,
tenendoti per mano
con le braccia rivolte al cielo
funi volanti sopra il fiume azzurro
l'acqua nelle mani.
Amedeo respiro silenzio
piccoli passi e cadute
con gli occhi
colorati tra sogni spenti.
Ti ho amato tra il pianto delle
nuvole intasate
sfiorando
le trecce bagnate.
Amedeo rispondimi
parlami urla sussurra
ma parlami anche attraverso
i nostri silenzi
dimenticati sopra quella panchina.
Amore le gocciole cadono
sull'erba bagnata di lacrime
le nostre promesse
sigillate dalle labbra ormai vizze
mentre le nostre mani si sono intrecciate come
radici per l'eternità.
Carlo Di Legge
Modigliani
Portò altro tempo, un retaggio
che non poteva ricordare e una
chiamata.
Ebbe a che fare con un dio, certamente.
Andò giovanissimo in giro, fino a
Parigi,
come presago del suo tempo breve.
Beveva assenzio e fumava hashish,
intento
alla cattura dei fantasmi, in certe ore
del buio.
Lo definirono amabile, e le donne
lo amarono, chi ha da ridire faccia
pure,
come lo amò chiunque lo conobbe,
forse con invidia:
riamò la gioia dei corpi femminili
e dei colori caldi
Dei soldi non gl’importava, anche su
questo
ognuno pensi a modo suo.
Se, come disse, lo sguardo rivela
qualcosa,
ebbe gli occhi di un uomo buono.
Non mancò un solo dipinto o una statua,
essi vivono per lui. Per
qualunque motivo ci abbia lasciato,
era molto giovane, lo braccava la
malattia.
La sua lingua la riconosce chiunque.
I visi le figure gli occhi
inventarono una cosmogonia,
un gesto religioso, primitivo
unisce semplice eleganza e sensualità.
Se fosse vissuto più a lungo, scommetti
che sarebbe uguale.
Chi lo crede indecente faccia pure:
abitava nell’arte, là ti risponde.
Pierre
Ech-Ardour
Epicentre
du ciel quand fascine amandé chrysalide l’effigie,
éveille
orageuse nue du fond de soi la misère de perdre
outrageuse
en l’œuf l’évidence du visage
Quelle grâce inspire
parfumé l’éternel éclair ?
Quelle amante de ton âme
choisis-tu entre tes yeux,
minéral le pouls du silence ?
Sur la feuille croque et esquisse inorganique
sybarite le visage sculptural le trait de muses
En ton vase de pigments et de pierre
tu creuses le ciel de ses yeux
et ponctues ses caresses d’une ivresse de désir
Sauvages se souviennent tes amours
des brèches intimes de chaque secret,
des incendies en la coupe des mots
Sur
l’opacité du miroir érigent les couleurs
de tes
mains nées sans mots le corps de souvenirs
Dans la
cage des toiles, flotte fluide l’irréelle lumière
du
temps miraculé d’une aube
Tu fais
danser amoureuses intangibles les apparences en l’immobilité d’impalpables
silences
Par un secret dépouillement
démantèle inachevé le rêve,
grave le faciès des anges
les traits du souffle envolé
Luit en vos regards évidés
l’intense nuance du vide
Illuminent deux bougies vos âmes éthérées
Francesca
Farina
Tu, vestito di velluto grigio
Rapato come un evaso
O coi ricci scomposti come nuvole
Neri turbini nel cuore
A Livorno per una torta di ceci
Senza mai un soldo in tasca
Un carretto di pietre scolpite
Ubriaco fino al delirio
Sobrio fino alle stelle
Carico di vernice in ogni dove
Amanti in ogni quartiere
La Parigi di Utrillo e di Suzanne
L’umiliazione del rifiuto razziale
Un carattere di porco e di perla
Hashish e cognac a colazione
Molti nudi dati a Zborowski
Spogliando l’anima di una donna
Manifesto della vita sovraesposta
Jeanne più nuda che svestita
La fame che attraversa tutti i giorni
Il male che fa sangue tosse sputo
L’abbandono al sepolcro come a un sogno
I lunghi colli più del Parmigianino
Derisi da chi non sa vedere
Senza più occhi che per ingannare
Non si curò d’altro che della sua tela
La figlia nata e quella ancora a nascere
Amore per creature mai più viste
Passione per la vita e per la morte
Il cielo ti ha donato la sua sorte.
Raffaela
Fazio
Ogni
volto
(per Amedeo Modigliani)
Ogni volto che fissi ti fissa.
Un ritaglio con forbici svelte
per sottrarre una scaglia
al fluire scomposto indistinto.
Ma come si arresta
sulla tela una vita?
Volto dopo volto
vuoi capire te stesso.
E il volto che indossi
è schermo e spiraglio
come maschera che amplifica la voce
serrandone il mistero
(fiamma nera nascosta
nel vuoto di pupille
fiamma azzurra che si allunga sul collo
oltre i corpi in sé chiusi o indifesi).
Mai arreso
l’occhio infranto si è aperto
nell’ultimo salto.
Il volto si rompe, si rompe lo specchio
in ogni riflesso
e il riflesso di nuovo lo compone.
Dioniso smembrato dai titani
mentre nel guardarsi vede il mondo:
l’immagine è illusione
e conoscenza
sembianza che ribolle in mille forme
per sete belluina d’infinito.
L’umano è un sogno sacro
irredento
che inizia
nel suo rispecchiamento.
Raffaela Fazio
Ogni volto (video-poesia)
Annamaria Ferramosca
Bambina
in abito azzurro-- Amedeo Modigliani (1918),
Olio su tela, 116 x 73 cm, Pinacothèque de Paris
forse non è ancora mattina
forse è un sogno scuro che ancora morde
o è voce destinata che cade sul mio capo
maman mi sveglia
mi stringe i capelli col nastrino rosso
mi fa indossare l’abito azzurro-calmo
oggi andiamo da Amedeo
ma tu vedi come dentro scalpito
come resisto e stringo le labbra
( lupi dal futuro già s’avventano)
mi hai sistemato in posa - bambola-nell’angolo -
raccomandato resta così ferma
mi stringo le mani una sull’altra come
mi stessi da sola dicendo addio
non so se intera e vera
sto trasmigrando sulla tela
sento gli occhi staccarsi dal loro cielo
così a lungo ho fissato una fronte inquieta
dita febbrili cosa mi vuoi strappare?
ho solo questo mio blu spaurito
e tutta l’incertezza del mondo
dal tuo respiro una pena segreta
continua ad alitare m’incendia il viso
tu dipingimi ti prego le pupille
fammi occhi chiari ben fissi nei tuoi
dovranno dire a infiniti occhi in stupore
di te di me
nel lunghissimo tempo
Aldo Galeazzi
Modigliani
Il miracolo all’alba
All’alba le cose
rispondono all’appello della luce
tu lo sai bene
il genio è affar loro
Un carretto non è un’opera d’arte
sogghignano le facce i musi
ma le teste han quasi tutte gli occhi
chiusi
ma le teste han quasi tutte gli occhi
chiusi
Jeanne tu covavi in grembo già suo
figlio
ma un volo senza ali
dal buio del cilindro
hai estratto al posto del coniglio
Laura Garavaglia
Amore
sai che non potevo vivere
nell’assenza
di ciò che sei stato per
me.
Tu sempre tormentato
nascondevi il dolore
l’eccesso
nella semplicità dei
ritratti
figure e volti allungati
verso
irraggiungibili cieli
l’enigma degli sguardi
senza
pupille.
E non è stato facile
vivere accanto a te
amarti nel dolore della
tua malattia.
E non è stato facile
scegliere di morire
sapendo che una vita stava
per sbocciare
e la portavo in grembo.
Ma vedi Amedeo, amore
mio, l’anima mia
è rimasta nei ritratti
che mi hai fatto, ed in
quelle tele io sono
ancora come allora
lunghi e castani i miei
capelli
e gli occhi neri e vivaci
l’abito bianco e semplice
che copriva il mio corpo.
Noi anime inquiete
abbiamo lasciato il passato ai morti
calpestato paludi di fango
senza farci risucchiare
Noi anime inquiete
soprassediamo alla perfezione
poiché nati dall'imperfetto sogno
di vecchi pazzi ubriachi
Noi folli noi disperati noi solitari
camminiamo contro i muri
per non farci vedere
scivoliamo nelle crepe della notte
per non farci catturare
e odoriamo di miseria e dannazione
perché siamo anime scalze
che anche quando non infuria il vento
partoriamo tempeste
Stefano Iori
Anna
e Modì: nel vero del ricordo
Guanti
spaiati
in
palmi congiunti
Il
verde nel nero
Quando
già risuonava
squallida
e maligna
l'ora
del vicino addio
supplicasti
bambino:
“Muori
con me!”
“Amico
diverso
lontano
divino
l'ultimo
fiato porrò
nella
tenebra tua
ormai
nostra” risposi
Fuoco
di rose rosse
spande
scintille
nella
casa vuota
Paola
Landini
Ritratti
Tristi
occhi azzurri
come
il mare lontano.
Volto
smunto perso nel nulla.
Nudo
corpo disteso
abbandonato
al vuoto
della
città che
tutto
promette
tutto permette
e
tutto nega.
Non
più Amedeo
né
Modigliani. Ma
Modì
Abele Longo
Zbo e
Modì
Storia
di un’amicizia
dove
io ero Zbo e tu Modì
o come
diceva la ragazza
che mi
donò la cartolina
stessa
barba e portamento
da
principe dell’aria
pensavo
di scriverti la biografia
senza
farti mancare il tabacco
seduto
con le mani affusolate
nell’unico
abito con cravatta
finii
invece per scrivere lettere
dove
inseguivo amori
l’ombra
delle sfumature sullo sfondo
linee
semplificate dietro al velo delle pupille
Eliza Macadan
Nel
respiro sottile dell’anima
Nel respiro
sottile dell’anima
oscillano sogni,
come lune sbieche
su cieli silenziosi di tela.
Non erano
corpi,
ma pause dipinte,
occhi che non vedono
ma custodiscono il vuoto.
Nel gesto raccolto
d’un fianco
si riposa un addio,
e ogni nudo
è un grido sussurrato
nel lino dell’assenza.
C’è un altare,
in certe figure emerse:
non invocano,
attendono —
e nell’attesa
sciolgono il tempo.
Nel vino secco
dei tratti
scivola la notte,
e la città si stringe, ancora,
intorno a quel pennello
che cercava il volto
di un dio dimenticato.
Marcello
Marciani
Modìana
Coronato
era il capo in una cloche.
Luccicava
la pelle in ocra avvolta.
Il
collo da giraffa era una scala
per
arrivare a occhi cavi in cielo.
Per
esaltarmi in fondo ad uno scroscio
di
forme e tinte m'ero infisso il volto
della
donna che tutto mi regala:
la
maschera che avvera ogni mia tela.
Più
volte l'ho tradita per scordarla
ma lei
è tornata indomita a guidarmi
polso
e pennello con nuova energia.
La
bellezza è una guerra fatta ai tarli
di un
legnoso pianeta che si allarma
se mai
l'arte s'accoppia all'eresia.
Elena
Miglioli
Gli occhi di vetro
sotto cappelli e frange
sopra colli esili appesi
a fili di firmamento
come mezze lune
a fare da lumini
dicono che l’anima
di tutte le donne è una sola
Tu l’hai sfumata col pennello
ché non ha forma né colore
sfugge allo sguardo insolente
di chi vorrebbe coglierla
e metterla in quel vaso
a prendere luce dall’abbaino
per serbarle i fiori ai fianchi
vibranti di doglie e desiderio
L’anima delle donne piange un pianto
che non si sa da dove scenda
per quali antiche anse risalga
piange ogni pianto della terra:
afferra una verità specchiata
dentro la lacrima in chiaroscuro
caduta giù dal ventre dell’eterno
venuta a nascerci l’universo
col suo mistero materno.
Isabella Moretti
Anna-Modì
ti sfioro a labbra socchiuse
in poesia
petali di quelle rose gettate per te
Le mani arrese cingono il bicchiere,
cerchio
di solitudine, confine.
Nei polmoni sfasati, dentro, in fiamme,
si
snodano le vene,
piste
battute
a
lungo
verso
un approdo, un riconoscimento
che
non viene.
Allora
consegnarsi a laghi d’occhi,
cercare
la salvezza
nella
forma di un’arca
di
bellezza.
L’incontro
avviene a giugno,
in un
caffè. Parigi.
Tessiture
di sguardi.
Quello
di lei vilucchio
esile
e malinconico si svolge
fino a
intrecciarsi al suo.
Seguitano
a vedersi,
sotto
un ombrello nero,
in
vicoli isolati
puzzolenti
di piscio.
O sui
boulevard.
Sedersi
accanto stanchi per cantarsi
scambievolmente
i versi di Verlaine.
Poi
nello studio freddo
a lume
di candela,
volti
lunari di tre quarti intorno,
quasi
divinità di un tempio sacro
e rose dappertutto.
Nuda
pelle di miele, talismano,
con la
testa agghindata
da
regina africana,
tra
schegge di una pietra troppo dura
e
pigmenti danzanti sulla tela
libera
lei
lo
slega
e
insieme lo affattura.
Invaso
– evaso. Amore.
Enrica Notarfrancesco
Tua per sempre, Jeanne
Se mi lasciai fu per la perduta
gioia
me la donai
già un paio di destini fa
incastrata tra i denti
come il morso del tuo sorriso
sulla mia bocca
come gemme di accennate pupille
incastonate sulle pareti
del nostro novello spazio
anima
fertile di vuoto.
Claudia Palombi
Modì
Modì,
Modì, ma di’ Di’ mò ben so
tu
étais maudit
mais
Dieu t’aimait
et elle t’appelait Modì
Modì
tu le faisais coucou
tu le
disais mon petit chou
elle a
ri d’amour
tu lui as mordu le cou
elle a tramblé d’amour
e tu amore a labbra
sul
flessuoso collo
amore
nelle mani
da
scolpirlo nel marmo
da
dipingerlo su tela
da
segnarlo a matita
quel collo,
quegli occhi
ancora
e ancora
dolce
ossessione
visione
d’arte
a
cercare l’anima, la vita
dis-moi, Modì, as-tu vu la
vie
l’âme que tu cherchais?
Alfredo Panetta
Jeanne
In
fondo al dolore abita
la
morte o una mangiatoia?
Lo
sguardo basso, poche nuvole
a
lambire la chioma del tempo.
-Potrei
cadere dal cielo, lei dice
come
una piuma da un sogno andato a male.
O
aprire varchi, riflette, tra i pettegolezzi
e le
crepe numinose della mia stirpe.
Amare
troppo, che poi vuol dire amare
non è diabolico,
come pensano gli umani
ma è
un canto di sirena dalle pinne sbranate.
Isolare
il mare, liberarlo
dai
rumori rendendolo intimo
è
aggrapparsi a una strofa di ginestra
mentre
il colle precipita.
Pensare
che solo un volo, se non noi
può
salvare l’universo e quel che è stato.
E le
pietre che verranno, i soffi
di
nulla su un petalo di viola.
Jonathan
Rizzo
Tubetti
spremuti
Particolarmente
un bel seno e Modigliani.
Il sole e Modigliani.
Una ragazza di Modigliani corteggiata dal vecchio
regista di commedie americane
dal figlio bilingue è nativo digitale.
Il futuro è suo, ed io uomo
fatto di carta e penna sono vecchio e superato.
Modigliani mi guarda
senza occhi.
Come la morte faceva con lui.
Modigliani non riesce a stare in piedi.
Barcolla
sulla soglia di quei colori
sgocciolati
da certi tubetti spremuti.
Valeria Silvestri
A
Dedo, lo sfortunato Genio livornese.
Quante
volte, Dedo, avrai sognato il mare della tua città e quella brezza fine che
profuma di alghe e sale.
Ormai
lontano, vedevi i giorni tutti uguali, il volto emaciato, gli occhi scavati e
tristi in attesa di un sorriso che non arrivava mai, quello della vita!
Le tue
dita correvano veloci su tele, a volte un po’ sdrucite, con trame di colori
opachi, spenti, che sapevano di terra.
Stanco
per le notti insonni, all’ ombra di quell’ albero ti stendevi. Sempre lo stesso
albero, amico della tua solitudine. Al Jardin Sauvage de la rue St. Vincent, in
quella Montmartre che non sapeva niente di te, chi tu fossi e quali …..quanti
….. i tuoi sogni.
Chi
vide, chi ammirò, chi comprese i tratti precisi, i volti austeri, i lunghi
colli protesi e gli occhi………quegli occhi piccoli e incredibilmente, sempre ….
vuoti.
La
morte ti portò via con se, all’ improvviso, in un freddo e buio gennaio. Quando
la vita stava per regalarti tutto, tutto finì!
Mentre
tu giacevi ormai immobile, Lei, la tua Jeanne, il grande amore! gettò la sua
vita e quella di tuo figlio, giù attraverso un abisso di dolore, giù in un
disperato volo …… dalla “gioia” al “nulla”.
Carlo
Stasi
Maudit
Modì
pennella la lingua
dal tuo seno
al collo piegato
bianco cigno
ponte di carne
tra cuore e mente
dove sono le tue pupille?
dov’è l’anima tua?
voglio spogliarti
i colori dell’anima
solo quella io cerco
te la dipingo negli occhi
solo nei tuoi occhi Jeanne
pupilla dei miei occhi
ho trovato l’anima
io che m’ero perso
in te mi sono ritrovato
Angela Suppo
Modigliani
A qualcuno
poi basta una matita
un nero che
rischiara
la realtà,
evocata di
sogno
ed
essenziale.
In una vita
anche confusa
allontana
il superfluo per restare.
Alex Tonelli
Abbiamo
cenato insieme a Parigi
In un
ristorante al 89 di Rue Lemercier
Che,
con poca fantasia, si chiama Quatre Vingt Neuf.
Tu hai
preso il pescato del giorno
Un
tonno un po' troppo cotto
Io il
manzo marinato allo stile tataki
E
questa volta credo di aver scelto meglio io.
Dal
mio lato del tavolo
(Una
lastra di legno che dà sul finestrone)
La
città è calda di un fine giugno mediterraneo
Dal
tuo lato del tavolo, il mio stesso posto, a quanto pare, la sera è ormai buia e
un po' freschina
Il tuo
giugno svogliato è appena iniziato
E Parigi
è in ritardo con l'estate.
Abbiamo
cenato insieme in questo ristorante
Che tu
mi hai suggerito
Siamo
stati allo stesso tavolo, intorno alle venti,
Ma la
mia serata è quindici giorni più luminosa
Vicina
al lento solstizio,
La tua
è ancora primaverile.
Abbiamo
cenato insieme a Parigi
Seduti
allo stesso tavolo
Che
cosa importa se tu sei stata qui alcuni giorni prima di me?
Il tuo
profumo ancora è qui
E la
tua presenza passata
È più
forte della tua assenza presente.
Francesca Totaro
Maudit
Dicevano invece fosse un drago,
un acchiappasogni,
un mangiafuoco,
un mosaico,
un lupo mannaro,
un full di jack,
una scala reale, troppo ripida ormai.
Ebbro di sinuosi incavi di vita e occhi
di tempesta,
le sue ali cercavano un colore di
eternità.
Di lui, Jeanne accoglieva il precipizio
ed il gorgo assetato
dell’inquietudine.
Ma infine sola rimase a contemplarne i
ricordi
dispersi qua e là in una stanza vuota e
grave di lutto,
ove lo attese invano in un ardore di
luce.
Rubina Valli
Con lo
sguardo bagnato di
Remoto
incanto e
L’audacia
inconsapevole dei corpi celesti
Mi
offro alla città con
Identità
spoglia
Scevra
di qualsiasi altrove
Se non
i lembi scomposti della memoria
Qua,
ora
In
questa nicchia indolente come
Un dattero
maturo
Attendo
le tue parole
A
districarmi dalla folla
A
individuare il nocciolo che chiamo “io”
Per
adornarlo d’ un nuovo nome.
Marzia Venturelli
Mon maître
I colli
lunghi
gli
occhi senza un centro
dallo
sguardo infinito e poi l'ombra su di un volto stanco.
Con
urgenza
hai
afferrato l’amore
che ti
ha bruciato l'anima
ed hai
danzato tra gli angoli di una umanità disumana
BREVI RIFLESSIONI DI CHIARA SERANI PER LA PREMIAZIONE DEL CONCORSO.
Che senso ha, oggi, un concorso di poesia dedicato a una
figura come quella di Modigliani e, dunque, più in generale, la poesia
d’occasione, che spesso si presenta, va detto, come avvitata intorno a moduli
stanchi, logori, di circostanza (e qui ci sovviene che in francese, lingua ben rappresentata
stasera, la poesia d’occasione è detta appunto poésie de circonstance) e,
infine, vuoti? Cosa può offrirci la poesia d’occasione oggi, in cui peraltro tutto
è occasione di celebrazione continua? E cosa può dirci – se può – della poesia
italiana contemporanea? Io credo più di quanto si possa pensare d’acchito; in
particolare in questo caso specifico in cui la poesia d’occasione si offre anche
come uno spunto per riflettere sul fenomeno dell’intermedialità, ovvero sulla mescidanza
fra diversi linguaggi artistici, fenomeno che oggi la fa da padrone quale cifra
di una mentalità ormai incline alla fluidità dei media artistici piuttosto che
alla loro categorizzazione è che è diventato sempre più, soprattutto dopo
la rivoluzione digitale, un concetto imprescindibile per capire la nostra
epoca, la sua estetica e i suoi meccanismi comunicativi. Non è un caso, del
resto, che oggi assistiamo a un grandissimo ritorno dell’ecfrasi (cioè, nella
sua forma più elementare, della descrizione verbale di un’opera visiva, fondata,
nel caso della pittura, sul principio classico dell’ut pictura poiesis) e
altresì assistiamo all’ascesa degli iconotesti, cioè di quei testi in cui
scrittura e immagine si affiancano in vario modo; d’altronde non potrebbe
essere altrimenti in una realtà come la nostra, totalmente permeata e dominata
dall’immagine, è infatti il cosiddetto “regime scopico” a meglio definire la
nostra condizione postmoderna, all’insegna di una “totale saturazione dello
spazio culturale da parte dell’immagine” (v. Fredric Jameson). Dunque, abbiamo
già un aggancio con l’attualità poetica, e, in effetti, a questo concorso sono
naturalmente e per forza di cose pervenuti numerosi testi di natura ecfrastica,
dedicati, va detto, quasi esclusivamente ai ritratti femminili di Modigliani –
così come a prevalere, su un altro versante, quello biografico, è stato il dato
della sua tragica storia d’amore con Jeanne Hébuterne. E anche questo, di per
sé, è un dato interessante e significativo, che ci suggerisce il modo in cui tendiamo
ad accostarci a un artista come Modigliani e alla sua opera, cioè cogliendone in
primis gli aspetti più eclatanti, o più noti, che più colpiscono un’immaginazione
di stampo romantico (con quest’aggettivo inteso non in senso storico ma nella
sua accezione derivativa di “inclinazione alle suggestioni del sentimento,
della passione e del malinconicamente sognante” [così ci dice Treccani]). Dunque,
quel tipo di immaginazione che ancora, nonostante il datato ma forse apparente trapasso
del Romanticismo (qui sì, inteso come fenomeno storico) produce una poesia di
filiazione “romantica”, intendendo con ciò quella poesia che del Romanticismo
coglie solo gli elementi più appariscenti e vulgati, ovvero quelli
immediatamente lirici.
Ma se analizziamo l’opera di Modigliani, constatiamo che di
romantico non ha quasi niente; non ha quasi niente dello spontaneismo, del
sentimentalismo o del lirismo puro, non ha niente di effusivo, è semmai un’arte
che raffredda questi elementi da una parte col ricongiungimento intellettuale e
stilistico con la tradizione pittorica italiana e dall’altra con l’accoglienza
del primitivismo quale espressione avanguardistica del suo tempo. Per fare un
esempio, le pose femminili e i colli
lunghi e affusolati che hanno dominato così tante ecfrasi pervenute non sono
un’invenzione di Modigliani, ma risalgono a modelli trecenteschi e cinquecenteschi,
a Simone Martini, per esempio, con la sua eleganza formale, o al Parmigianino (pensiamo
alla sua Madonna dal collo lungo), e sono dunque l’equivalente di
quelle che in poesia chiameremmo allusioni o citazioni intertestuali: sono quindi
un frutto studiato, così come i suoi volti stilizzati e oblunghi si allineano
alla sperimentazione primitivista sua coeva ricercando strutture arcaiche, archetipiche,
universali dell’immaginario e della rappresentazione visiva. Il tutto, per
sintetizzare, all’insegna dell’arte come “bricolage e rifunzionalizzazione”,
come avrebbe detto Claude Lévi-Strauss. Quello che Modigliani fa è pertanto fondere
in maniera personale e originale, nuova, rivoluzionaria, queste e altre
componenti pittoriche, rifacendosi sì al passato ma assimilandolo e
superandolo, in una sussunzione che assolutamente rifugge ogni forma di accademismo
o epigonismo e dà vita a una pittura immediatamente riconoscibile – non si può
in alcun modo confondere lo stile di Modigliani, se ci pensate è praticamente
impossibile. Dunque, io credo che se il nostro soggetto poetico è rappresentato
da Modigliani e dalla sua arte, quel che si dovrebbe fare è riconoscere e
omaggiare questa originalità – per carità, oggi, in cui tutto è già stato detto
e fatto non è più possibile evocare in maniera credibile alcuna forma di
originalità o d’invenzione pura; tuttavia, questo non è un buon motivo per schiacciarsi
su modelli retrivi o assolutamente privi di atipicità e per aderire a formule lessicali,
retoriche e immaginifiche stereotipate, anacronistiche e polverose.
Bisognerebbe, semmai, aspirare a fare quello che facevano i greci, ovvero, con l’ecfrasi,
“gareggiare in forza espressiva con la cosa descritta”, evitando così, in questo
contesto poetico, quella vaporosità, inconsistenza e insieme convenzionalità che
in nessun caso appartiene alla pittura di Modigliani; perciò bisognerebbe
evitare sintagmi poetici e immagini fruste, come cuori trafitti, uccelli in
volo, nuvole in cammino, anime inquiete, remoti incanti, tramonti, ardori,
tremori, incantamenti... oggi francamente improponibili, non solo perché completamente
dissonanti rispetto al presente ma soprattutto perché appartenenti al grande
catalogo del déjà lu e cioè dell’acquisito, dell’invalso, che sembra tuttavia
gemmare dalla poesia – e a prescindere dall’occasione – così come le frasi di
circostanza, ovvero espressioni banali, impersonali e poco sentite, sono
sollecitate nelle occasioni formali e sociali in cui vengono sfoderate. Dal che
si evince che certa poesia, quella invero predominante, diventa poesia di
circostanza a prescindere dal suo essere poesia d’occasione, come in questo
caso. Ovvero, quando si tratta di poesia tendiamo ad attualizzare, con gran
passatismo, un Sublime del sentire e del parlare che non solo non è più
allineato col nostro tempo ma che è diventato insipido e scadente proprio per
abuso.
Ora, se questo tipo di Sublime non è più proponibile, né
tantomeno accettabile, allo stesso modo non è più facilmente sostenibile una
postura poetica che sia solo lirica, se non correndo il forte rischio di risultare
naif. E con ciò non siamo certo qui a cercare imporre estetiche normative –
ognuno può e deve scrivere come meglio crede, anche perché la poesia ha una sua
intrinseca valenza terapeutica –, ci inseriamo semmai in un dibattito, e sempre
sulla scia della riflessione scaturita dal nostro concorso su Modigliani, che
anima lo scenario della poesia italiana iper-contemporanea, diviso appunto,
grosso modo, tra chi sostiene la “poesia lirica” e chi la cosiddetta “poesia di
ricerca” e gioca la partita proprio sulla postura dell’io e della soggettività,
avvertita quest’ultima come ancora efficace o, viceversa, ormai inefficace. Ciò
detto, per quel che riguarda chi parla in questo momento, persino le
espressioni “poesia lirica” e “poesia di ricerca” sono svuotate di senso per
eccesso di utilizzo, divenute ormai formule di lesta comprensione, etichette assiologiche
– si potrebbe forse più produttivamente recuperare locuzioni come “poesia di
stampo tradizionale”, o “di ascendenza petrarchesca”, e “poesia di stampo dantesco
e poi modernista” – e, soprattutto, la partita di cui sopra non dovrebbe
giocarsi tanto e pregiudizialmente su soggettività o non soggettività (esiste
infatti ancora una lirica alta così come esiste una poesia sperimentale, aliena
all’io, che è mediocre e scimmiottante) quanto, più semplicemente, sulla qualità
poetica. Se il soggetto poetante non ha nulla di interessante da dire o è
allineato al solito sfogo effusivo-sentimentale è bene che la poesia rimanga un
esercizio privato, a maggior ragione se non si trovano modi di qualità per il
dire: il già noto, il già fatto – mutatis mutandis, le pose di Martini e
i colli di Parmigianino – se va detto, va detto in modo personale, con
ciò intendendo non “intimo” ma inconfondibile, “stilisticamente riconoscibile”,
alla maniera di Modigliani. Se non si trova un modo nuovo per dire
l’interiorità semplicemente ci si allinea all’estrinsecazione continua dell’io
sui social in cui si dà perennemente tutti libero sfogo a inquietudini varie,
delusioni d’amore, traumi infantili eccetera… Proprio i social, con la loro
semplificazione e banalizzazione comunicativa, in cui il posizionamento è
sempre quello dell’io (ipertrofico), rendono oggi ancora più problematico e complicato,
dal mio punto di vista, l’approccio lirico, perché per risultare inconfondibili
e riconoscibili bisogna stagliarsi non solo dalla tradizione poetica ma anche
da quel tipo di comunicazione massificata in cui a predominare è il linguaggio corrente,
convenzionale, stereotipato di cui sopra. Non che la soluzione risieda nella
coltivazione della ricercatezza estetica, un po’ perché la ricerca del bello e
del virtuosismo linguistico nell’arte verbale è anch’essa già stata praticata
in lungo e in largo e dall’illud tempus della parola, e un po’ perché i
nostri tempi, all’insegna dell’immagine si diceva, sono anche caratterizzati da
un’estetizzazione massiccia e soverchiante, dalla pubblicità alla moda alla
cura del corpo ai complementi d’arredo alla creazione di contenuti online eccetera,
e quindi una poesia estetizzante rischia di apparire (o scomparire) come ideologicamente
allineata e confusa in questo flusso – o brodo – estetico di massa in cui siamo
immersi.
L’unica via di fuga, sempre per chi parla, ovviamente,
risiede allora, nella complessità del testo poetico: un testo, cioè, che
non sia immediatamente fruibile e comprensibile come lo è il già noto, il già
fatto – ovvero esauribile proprio come un prodotto di consumo, un prodotto usa
e getta –, pertanto, un testo che non sia riducibile o riconducibile a formule
facili, a etichette, a diluizioni e facilitazioni del senso. Con questo non
s’intenda un testo necessariamente “difficile”, giacché, per esempio, una
qualsiasi opera poetica può presentare un dettato linguistico piano, semplicissimo,
ed essere comunque complessa per stratificazione o sovrabbondanza di senso e
per capacità di ingaggiare col lettore un dialogo che non sia di circostanza,
tanto per tornare al nostro punto di partenza. Se si adotta il criterio della
complessità come giudizio di valore si esce dalle pastoie del binomio “poesia
lirica”-“poesia di ricerca” poiché la qualità della complessità è trasversale,
disappartenente all’uno e all’altro campo in quanto rispondente, senza
compromessi, di volta in volta, solo a sé stessa. Ecco, per chiudere, sento di
poter dire che in questa sede, pur nella legittima eterogeneità dei gusti e
delle vedute dei giurati, che peraltro sono sempre giusta e necessaria garanzia
di equanimità per chi partecipa a un concorso, hanno alla fine prevalso sugli
altri quei testi che presentavano un maggior livello di complessità (leggi: creatività,
peculiarità… e tutto quanto siam venuti dicendo prima) e, di conseguenza, un
minor grado di prevedibilità e scontatezza di dettato e d’immaginario.