mercoledì 16 luglio 2025

Poesie per Amedeo Modigliani. Premiazione. Tutte le poesie.

 


Poesie per Amedeo Modigliani. Premiazione. Tutte le poesie.


Maristella Diotaiuti (Le Cicale Operose): "L’idea del concorso, del premio, per noi delle Cicale Operose, in sintonia con il significato di questo nome, è sempre stato solo un pretesto, un’occasione per trascorrere insieme una sera d’estate, parlando di poesia e di arte. Infatti, anche quest’anno, al termine della premiazione si azzera tutto, e tutti i poeti e le poete presenti stasera, che hanno partecipato al premio, ci leggono le loro poesie, proprio nello spirito di festa e di condivisione, di amicizia che tanto ci piace, in una visione orizzontale, non gerarchica del fare poesia e arte."

Pubblichiamo, come da Regolamento, le poesie delle e dei partecipanti alla celebrazione per Amedeo Modigliani del 13 luglio 2025.
Nella pagina sono indicate le poesie prime tre classificate, le poesie menzionate e le poesie segnalate. Tutte le altre poesie partecipanti sono pubblicate indistintamente, in ordine alfabetico.
Tra le poesie partecipanti, troverete una video-poesia di Raffaella Fazio proiettata in corso di serata alle Cicale Operose.
In calce alla pagina troverete interessanti riflessioni scritte di Chiara Serani, autorevole Giurata de Le Cicale Operose, da lei espresse anche in corso di serata.
Teniamo a ringraziare tutti i poeti che hanno partecipato e le Giurate e i Giurati che hanno valutato le poesie: Laura Giuliberti, Vincenzo Guarracino, Renata Morresi, Chiara Serani.

Le Cicale Operose
 
*qualora vi fossero imperfezioni nell'impaginazione, esse sono dovute alla pagina del blog, mentre ai Giurati le poesie sono pervenute in formato corretto.


PRIMA CLASSIFICATA EX AEQUO

 

Marco Bini


Quel particolare grigio che si dice uniforme

cambia - uguale non è mai - in decine di miscele

di beton brut, di vernici per pareti,

varia in ragione dell’epoca e del costruttore,

dell’arte praticata, dell’acqua per come infiltra,

e se invece di seguire le scie dei Ryanair

da e per BLQ mi mettessi a osservare

il livello di realismo dei capannoni e il compromesso

tra la forma e, quest’ultima al ribasso, la felicità,

nel prefestivo che mi ha depistato alla rotonda

volendomi proprio qui

vedrei l’equivalente dell’albero che cade

anche se nessuno guarda -

sussurra dal retro di un tir angles morts

l’adesivo in un francese che suona provenzale -

perché, anche se è fatica crederci,

questo posto esiste anche quando tutto è chiuso

e non è così diverso dal guardare la corsa degli anni

in cui niente cambia perché possa cambiare tutto

e lasciarmi fermo lì, cireneo commosso del mio secolo,

e dunque, nel desolato sabato del villaggio

artigianale, ho pensato di dire il tuo nome all’abitacolo

e chiamarti da questo sedile cigolante

perché devo, in tenerezza devo, sentire la tua voce

per riavviare il tempo, farci irrompere nella storia.

 



PRIMA CLASSIFICATA EX AEQUO

Virginia Farina

 

Musa


ad Amedeo Modigliani

 

È li nella gola che ha nido
la voce, che origina il canto
nel cavo che vibra nel fiato
e nomina il mondo

ed è lì che si tende l'invisibile
corda che trema
tra il mento e le spalle
e si stira affamata di vento,

e allora tu resta così, immobile ancora,

altissima, come in preghiera,
così viva da lasciarti vedere:
musa che vieni alla luce
nella mia vigile tela.

 

 

SECONDA CLASSIFICATA EX AEQUO

Giuseppe Giannotti

 

La Ragazza dal Collo d’Anatra

 

Tra le pozze di marea di Via Sarpi

nell’aura rabbiosa di un sabato

la cui notte fumosa e le genti

s’inzuppano dei propri odori

nascenti, lo stridulo baccano

dei tegami colmi di uccelli laccati

scintilla e sinfònia con

lo sfrigolio di croccanti carpe

traboccanti sugli orli della follia.

 

Nel ventre profondo del fracasso

appare ieratica e lunare

Dolce efebo lattiginoso

la ragazza dal collo d’anatra

col suo cono d’ombra silenzioso.

 

Occhi bassi sopracciglia grosse

un nero cappello con visiera

a render la postura meno austera

 

Ma la bocca, quella bocca dalle labbra rotte

all’ingiù senza pose di maniera

urla ai passanti dalle parvenze distratte

i silenzi non detti di questa notte così nera.

 

Questa poesia è per Te,

ragazza che vendi i colli dell’anatra

al bancone di un mercato di Chinatown

in via Paolo Sarpi

ai margini e quindi così al centro

della vita non conosciuta che amiamo

per definizione creder esser la più vera.

 

SECONDA CLASSIFICATA EX AEQUO

Pasquale Vitagliano

Musa nascosta

 

Ecco che ti manifesti tu

Pietà inversa

A farti abbracciare dal sudario

Per cucirti addosso

L’odore del più pietoso

Dei tessuti

Né madre né sorella

Nessuna cura è stata

L’esatta formula algebrica

Del corpo smemorato

Annotati la felicità pronunciabile

Che non è più cieca

E ha preso la forma precisa

Di ogni suo contenuto

Nutri gioendo nuota

Nell’abisso familiare

Nel quale risuona la risposta

Che solo a noi

È dato ascoltare.

 


TERZA CLASSIFICATA

Erika Signorato

 

Agli sguardi cercati, agli occhi spersi

“Quando conoscerò la tua anima, dipingerò i tuoi occhi” (A. Modigliani)

 

 

di lieve vento quelle nubi

chiare a figura, sipari

 

a est e a ovest sulla scena

come veli a tendere

ascolti di nessuno - stagliarsi,

allungare fiato e volto -

 

informe nudo lo sguardo

 

e non conosce timbro

l’anima che mi mancate.

 

 


MENZIONE DI MERITO

Myrna Bongini

Stele per Modì

 

Fame e sete ti hanno forgiato

come una lama rituale,

non era carne la tua

ma fibra elettrica,

linea in tensione

tra Africa e Giappone.

 

Eppure tu eri un figlio di Livorno

selvatico e muto e fu una stradina

la tua opera prima

come pudore in posa

e già sapevi

che ogni volto è un sentiero

che si perde.

Toscano,

scrutavi l'Oriente

senza muoverti mai.

 

Mi parlano di te

pietre antiche come il sangue

Tu, un dio gentile,

uno di noi

con un'anima di rame, leggendaria,

dai secoli lustrata.

 

Mi parlano di te

e trovo la tua essenza

nelle Statue Stele

al Castello in Lunigiana.

 

I tuoi volti d'ebano non conoscono sorriso

ma la tua arte è questa:

la tua fame non finisce neanche nella pietra.

 

Conquistato dalla voce spezzata di Anna

in stanze d'ombra e confine

i versi della Achmatova ti accompagnano

libero dal peso del possesso.

 

E Jeanne, Jean ti amava fino a seguirti nella morte,

abbandonando il vostro frutto e il fiore ancora in boccio,

restando la sua anima vibrante

prigioniera dei vostri corpi in amore,

fluttuando nel silenzio,

a tuo decoro.

 

Mi parlano di te

una curva di collo

che tende al cielo,

occhi socchiusi

e lì ci siamo tutti:

le donne, la polvere, la Lunigiana, il Giappone

l'Africa e Livorno che ti ama.

 

Decolla il tuo aereo

e tu rimani,

 resti nell'ombra sacra

di ogni volto assente.

 

 


MENZIONE DI MERITO

Anila Hanxhari

C’è chi non ammise la meraviglia

la rubarono dal quadro della bellezza

la profezia della conversione

il campanile gotico

il fiore vuole essere guardato

il miracolo mio signore preso per mano

tutto accade nei cinque fiati d’allodola

nei rami mozzati appeso il torsolo

ora una fiaba

ora potere della guarigione l’aurora

come si fa ad arrivarci senza mani

senza dire parola

La meraviglia pubblicava avvisi

disposta a tutto a dare lezioni

esperta di cucito e stregoneria

resuscitava la scintilla

la manodopera del senso

la solita storia

vitto e alloggio per sopravvivere

al banco dei pegni

alzati Prismanima, disse l’inquisitore

lei mise una fiaccola, una carezza, il tempo

la costola di luce nell’universo

 

 

 

MENZIONE DI MERITO

Adriana Tasin

 

                               Dedo e Noix de coco

 

 

volevo accavallare le mie gambe, le guardavo senza capirne l’intenzione, stavano ferme su una riga di luce. piuttosto sarebbero cadute di lato.                                Jeanne, il tuo collo [intanto] sosteneva il viso, tratteneva la corsa del sangue nell’allungata nudità. appesi all’ovale gli occhi caduti dentro [come nelle doline carsiche l’inghiottitoio conduce a cavità sotterranee, la finestra di un quinto piano all’eternità].

                                                    Noix de coco, nessun rumore, tutto fermo sulle piccole labbra, così chiuse [aperte solo all’amore]. le mani posate a croce sul pube. sull’ottavo. nessun ritocco alla fine.

 

 


SEGNALAZIONE DI MERITO

 

Erika Bartoli

 

 

Cinquième étage

 

Non è questa sera

incrinata di gelo sui vetri,

le voci care trasudate dal muro,

il tuo moto di pesce pigro nel ventre,

o la vita possibile, perdonami,

insufficiente.

È questo luogo orfano di orbite cieche,

lassenza del respiro spezzato,

il davanzale appeso su cui siedo,

come una scheggia dura,

e il cuore già schiantato sul selciato che chiama

insistente.

 

 

 

SEGNALAZIONE DI MERITO

 

Antonio D’Auria

 

 

 

baruch (benedetto)

 

Nascere a Livorno sempre,

morirvi mai.

 

Se poi cieli e occhi

sono gli stessi a Parigi

e il salmastro è ancora

a patinare lo sguardo

ricercato nel vuoto,

oltre cerulee pupille.

 

Oblunghe,

magre,

solenni,

agognate

e severe

istantanee d’anime nascoste

ma spogliate

su foglio o tela bisunta.

 

Tagliare luce

e ansia di fuga

allora

fino a tossire

il colore del sangue

che la tavolozza non dava.

 

 

SEGNALAZIONE DI MERITO

 

Lucio Macchia

 

Il dono

 

La vita è un dono dei pochi ai molti: di coloro che sanno e che hanno a coloro che non sanno e che non hanno (A. Modigliani)

 

I suoi occhi

pieni-vuoti

orlano il caos.

 

Parigi,

il mondo:

ogni cosa

a schiudersi

in dono nuovo

e vivo: il collo

lieve, la testa

sbozzata, i tagli

della luce,

e – sui volti –

ambigui, tenui,

i buchi d’azzurro

polvere.

 

Morirci,

nell’addensare

le forme, e curvarle:

essere ancora così

ingenui e spavaldi

lì a credere

alle linee-ali, al colore

esatto, a far nascere

ogni volta

da noi il nuovo

(creare, solo creare!)

da noi indifesi

e geniali:

noi sperduti enfants

– invincibili.

 

 

SEGNALAZIONE DI MERITO

 

Loredana Magazzeni

 

Tentativi di riflessione su bellezza, arte [etc.]

 

Volevo essere Jeanne Hébuterne               posare per quei ritratti di donna     dai lunghi colli

inseguire la notte    nelle cantine di Montparnasse        alle costole dell’artista     famoso e maledetto.

 

Volevo essere io l’eletta     l’amata del suo cuore      la pluriritratta    l’intima amica    la divina

piccola Musa ispiratrice.        Volevo essere la mai delusa      che non resse    la morte improvvisa

 

del suo amore       non accettò di sopravvivere      a un sogno

di farsene una ragione.       Jeanne Hébuterne                tu la più amata

 

donna dal lungo collo     e dalla calda   coscia levigata         Jeanne dagli occhi di carbone    o azzurri specchi d’acqua          avrei voluto leggere          le tue divine lettere a lui          se solo avessi

potuto      avessi saputo     sopravvivere.

 

*

 

Avrei voluto essere Beatrice la ribelle        Hastings di nome           giornalista e scrittrice

colei che sapeva     criticare a ragione   i difetti del suo sesso       ma adorava    farsi ritrarre da te

 

Amedeo   artista bello e misterioso     che dalle belle     donne potevi     estrarre    un sorriso distratto e la vita stessa     oppure il desiderio     la voglia di vivere          e amavi chi         ricambiava        anarchia e coraggio

 

controcultura e      futuro.        Donne ribelli e lucide         adatte ai tuoi colori      corpi nudi su terre

ocra      dentro telai luminosi      sulla porta di amici       mercanti      quando      il futuro può dimostrarsi

 

l’essere      così totalmente     disponibili       al nuovo        così fragilmente temerari       da offrire

la propria anima       ritornata colore           e materia.

 


SEGNALAZIONE DI MERITO

 

Jonathan Rizzo

 

Tubes pressés

 

Surtout une belle poitrine et Modigliani.

 

Le soleil et Modigliani.

Une jeune fille de Modigliani, courtisée par le vieux

réalisateur de comédies américaines

par son fils bilingue, est une native du numérique.

L'avenir lui appartient, et moi, un homme

fait de papier et de stylo, je suis vieux et démodé.

Modigliani me regarde sans yeux.

Comme la mort l'a fait avec lui.

Modigliani ne peut pas se tenir debout.

Il titube au seuil de ces couleurs

qui s'égouttent de certains tubes pressés.

 

 

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Fabia Baldi

 

Come bianche calle

i volti oblunghi

ondeggiano su affusolati colli.

Sguardi inesistenti

del color dell’assenzio

affiorano da amare lontananze.

 

Stregato dal tormento

dello sfuggente eterno foeminino

vaga Modì con passo di funambolo

tra realtà e visione

 

 

Francesca Boddi

Dedo

Pensieri intrisi di sale

mi ispirarono

rapidi,

dolci,

primitivi corpi.

 

I lunghi colli

dal mare

mi portarono

come un sogno a Parigi,

vivace e creativa

come la mia Livorno.

 

E fu scandalo

perché forse

 in quei corpi senz’occhi

si vedeva troppa anima.

Colli lunghi

per battiti di cuore intensi

per baci di tramonto

per carezze sui velluti rossi.

Poi Jeanne,

la vidi tra le tinte e i colori

e il nostro amore

fu subito libeccio.

 

Ebbi poca fortuna

sia di salute che di successo

ma per amore e dolore

la mia Jeanne mi raggiunse in cielo

tra le sculture che finii lassù

osservando ancora Livorno.



Patrizia Camedda

 

la bellezza ha anche dei doveri dolorosi

 

Ci nutriamo
di briciole divine
cadute
dall’anima degli altri.

 

Non lo diciamo
ma restiamo lì
ad ascoltare
quando una voce trema
e un silenzio apre una crepa.

 

La Bellezza
non è un premio
è un dovere
che a volte brucia
le mani
che lo toccano.

 

C’è un vulcano
in fondo al petto
ogni giorno
una colata
si fa parola
o ferita
o sogno sfigurato

e noi ci stiamo dentro
senza scudi

non ci sono mappe
solo corpi
che tremano
senza rompersi

tra le fiamme.

 

 

Cinzia Caputo

 

Cammino di sera

attraverso un cielo color  cobalto

gli uccelli si muovono

insieme

prendono forme diverse

sotto la volta celeste

appaiono stelle

come  libri aperti in volo 

 storni colorati

formano un mutevole arazzo

intrecci di fili di senso.

 

 

Antonio Cantamesse

 

Un desiderio muto

  

Un desiderio muto

si staglia nel cielo

delle parole non dette

immagine ideale

interpretata

con i colori del sogno

gli sguardi

scrivono una storia

sulla pagina limpida dell’anima

sguardi

che scrutano in profondità

come nei dipinti di Modigliani.

 

Un desiderio muto

che veleggia

in un complice mare calmo

mentre una matita

si compiace

nei morbidi contorni della figura

il mondo

è una panchina di fantasie

irrinunciabili

spazi

che si dilatano testardamente

in cerca di un domani.

 

Un desiderio muto

sincero e misterioso

può diventare unico

frutto spontaneo

maturato

sull’albero dell’esistenza

la verità

vive ovattata

dentro un concetto primordiale

una realtà

di solidità interiore

come nelle sculture di Modigliani.

 

 

 

Gianpaolo Castellani

La tua assenza nutre desideri terrorizzati dalla tua eventualmente presenza, la voglia di vederti è più forte del terrore di sopportare il troppo incanto, l’odore della tua bellezza amputa l’eloquio, non vedo più i tuoi occhi. Già fatto. Non voglio le tue labbra, non voglio la tua schiena. Ho occhi solo per le tue caviglie e da lì che voglio cominciare da l’inizio, DALL’INIZIO DI TE. Sfiorarle per il trambusto, la confusione, turbamento che scateni. Scateni tempeste di fremito e ipnotizzarci nell’attesa che non c’è più. Finita.

 


Nadia Chiaverini

 

                   Cariatidi

a Modì

Reggono il peso del mondo    e non solo

le donne            i pesi di ogni giorno

colonne vitali sull’acropoli di Atene                                            

donne di Caria prigioniere

rese eterne                    e schiave

prede di guerre      sempre

a Delfi immortalate nel tesoro dei Sifni

 

Tempio incompiuto di bellezza                       

intima essenza / colore che sostiene la vita

non tradiscono fatica

maschere che celano l’identità più profonda

che si anima in forma  colonne di tenerezza           

celebrano la donna, la forza la fermezza

il valore dell’origine di ogni cosa

 

Tracce / linee curve e spezzate                       

impronte primigenie

nel cammino dell’umanità




Carlo Chionne

 

C’era una volta Dedo…

 

C’era una volta, a Livorno, un bambino

estroso, dolce, ma un po’ gracilino…

Con la sua vita ha segnato il destino,

non solo suo, ma di due città,

con le quali, per sempre, si intreccerà…   :

 

Ultimo nato di quattro fratelli:

trascorre l’infanzia tra colori e pennelli:

Dedo è il nomignolo che gli fu dato

da chi lo conobbe,da chi l’ebbe amato…

 

passava giornate a disegnare,

Fantasticava, amava creare :

A 15 anni dal Maestro Micheli

apprese il più estroso di tutti i mestieri.

 

Correva l’anno millenovecento:

nella sua vita ci fu un cambiamento

Umano, artistico e culturale:

l’arte classica, rinascimentale

studiò in Italia, grazie alla madre,

a Roma, a Firenze e altre contrade.

 

sei anni dopo, una nuova vita:

l’accoglie Parigi … cosmopolita,

Dove egli muove i suoi primi passi

insieme ai Soutine, ai Brancusi, ai Picassi

ed altri pittori e fu proprio lí

che Modigliani divenne…Modì…

India, Egitto: culture lontane

gli ispirano  forme di teste africane

Su e giù per Montmatre , dentro i bistro,

ricorda via Roma, ma beve pernod…

Su e giù a Montparnasse, davanti ai caffè,

la luna è sui tetti,  ma Livorno… dov’è …

 

Quanti ritratti nel suo taccuino

Che spesso regala in cambio di vino!

Se gli interessa un certo soggetto,

Ne tira fuori un ritratto perfetto ,

Che poi dipinge su tela a colori:

ma al posto degli occhi lascia …dei fori :

occhi… che sembran guardare lontano

tanto da fargli tremare la mano :

 

La linea tracciata non sempre la stessa:

a volte più fine,a volte più spessa,

con elegante delicatezza,

Dà ai suoi ritratti, un’amara…dolcezza:

 

Con forme semplici, un po’ allungate,

così Dipinge le donne più amate…

ma È  Jeanne Hébuterne che ama davvero:

lei lo ricambia d’un affetto sincero:

Il suo bel collo somiglia ad un cigno,

La sua bocca è come uno scrigno

In cui risplendono pèrle e diamanti:

gli occhi son simili a due brillanti …

 

Delicatezza ed estrema dolcezza,

son di Jeanne la più grande bellezza…

Infine Amedeo ha dipinto se stesso,

davanti a uno specchio, seduto, si è messo.

Ma in quell’anno:1920,

i suoi occhi si sono spenti

e hanno acceso, tra gioia e tristezza,

dentro di noi, una nuova bellezza…

 

 

 


Gabriella Cinti

 

Trampoliere inquieto

Ad Amedeo Modigliani

 

Fenicotteri grigi

i colli delle tue donne

in viaggio verso l’oltre, 

 

obliqui come la tua vita,

come il tuo destino sghembo,

trampoliere inquieto

che ospitavi l’immenso.

 

Attraversavi gli abissi 

nel vuoto latte degli occhi

crocifissi di bianco. 

 

Il tuo pegno di immedicata solitudine 

è cuore trafitto rovesciato

in durata di luce implosa. 

 

Ogni tua pena è per noi

eterna preghiera di bellezza.

 

 

Tiberio Crivellaro

 

L’ultima pennellata di Modì

 

In punto di morte affili la bocca notturna,

truce violenza che scorre sul dorso dei nervi

quando l’onda nera pietosa ti chiuderà gli occhi.

Non è questa l’orrenda infamia o mutilazione

di ogni morale, nucleo che appesta l’umano

torcendo le radici della memoria in schisi;

silenziosa ruota che naviga nel tempo, tempo

che mostra corpi, volti, le loro orbite vuote

dando un senso alla penombra con la funere imago.

Poco contano i nervi affranti, preludio all’ultimo sospiro.

No, non è questo l’orrore, ma la perdita dei sensi,

la luce e l’odore nei capelli sciolti dal vento,

il riso lepido di Pablo, il collo sinuoso di Jeanne incinta

e la lingua gonfia che ammutolisce la parola, anche quella che avevi scritto,

o uno sciame di altre rimaste nel vuoto a bollire come segnali di fumo.

Per questo nulla si chiude nella tua vita che non lascia memorabile recapito.

Non ti resta che navigare nel fiume tetro dell’inadeguatezza lasciando

che tuo figlio si conduca a un diverso approdo da quello tuo. Eri approdato

                                                                                            poi infine, dove?

Del tuo essere stato amante di uno scivoloso specchio,

amante del vino ombroso alle osterie a Saint Germain?

 

Ma ora trasudi ammainando le tue orbite rosse

verso una corrente che allora contava, a farti sbattere

adesso a un nodo di scogli, a naufragare desolatamente nel selciato.

E le ore che ora passi a pensare come raccomandarti l’anima che non hai,

dal profondo, da dove provieni, secondo orribili religioni da abortire

come lo sono tutte del resto, religioni della morte.              Forse ora

qualcuno ti accompagna al fianco o nell’altra tua guancia che non

porgesti mai, neppure adesso che ti guizza intorno il lampo della resa?

 

Così, in punto di morte neppure affili la bocca, neppure una smorfia

ti scorre sul dorso dei nervi,  mentre l’onda nera ti avvolge gli occhi.




Emanuela Dalla Libera

 

Da un lume spento un’eternità di luce

 

Vanno i canali, al margine

degli occhi, fluendo in una calma

noncuranza, oltre il fosso il cielo

si macchia di colore sul mare

in fondo, aperto e smisurato.

Smisurata sta l’anima impaziente

a distillare dalla pietra un segno

che dica l’immagine più pura

e pulsi di vita nelle vene come

i gabbiani in volo dentro il sole.

Di là del mare è la città che aspetta,

sobbolle di tormento nell’oscurità

del tempo e poi di fumi ed estasi

ed assenze mentre derive portano

le notti in squallore di abitacoli,

a giorni grami densi di miseria.

Esala dalla tela il nitido valore

e del disegno la fermezza piena

in linee ondulate e morbidi abbandoni,

teste inclinate in un vedere cieco

campi di colore come visioni salde

nella notte, lo sguardo che si tende

oltre il vivere caduco, oltre la spietata

morte la voce nella mano,

da un lume spento un’eternità di luce.

 

 

Ketty D’Echabur

 

Ci siamo amati

 

Ti ho amato

tra le luci cupe della collina

intrecciando le mani come stelle

rannicchiate nel sonno della notte,

ti ho amato

stordito dal rumore della tosse...

che graffiava

come un gatto tra i tetti.

 

Amedeo amore eterno

Amedeo folle amore incompreso

il respiro sulla bocca

parlami guardami

sei immobile

ho paura...

 

Ti ho amato

contro le urla della borghesia,

tenendoti per mano

con le braccia rivolte al cielo

funi volanti sopra il fiume azzurro

l'acqua nelle mani.

 

Amedeo respiro silenzio

piccoli passi e cadute

con gli occhi

colorati tra sogni spenti.

 

Ti ho amato tra il pianto delle

nuvole intasate

sfiorando

le trecce bagnate.

 

Amedeo rispondimi

parlami urla sussurra

ma parlami anche attraverso

i nostri silenzi

dimenticati sopra quella panchina.

 

Amore le gocciole cadono

sull'erba bagnata di lacrime

le nostre promesse

sigillate dalle labbra ormai vizze

mentre le nostre mani si sono intrecciate come radici per l'eternità.

 

 

 

Carlo Di Legge

 

                            Modigliani

 

Portò altro tempo, un retaggio

che non poteva ricordare e una chiamata.

Ebbe a che fare con un dio, certamente.

Andò giovanissimo in giro, fino a Parigi,

come presago del suo tempo breve.

Beveva assenzio e fumava hashish, intento

alla cattura dei fantasmi, in certe ore del buio.

Lo definirono amabile, e le donne

lo amarono, chi ha da ridire faccia pure,

come lo amò chiunque lo conobbe,

forse con invidia:

riamò la gioia dei corpi femminili

e dei colori caldi

 

Dei soldi non gl’importava, anche su questo

ognuno pensi a modo suo.

Se, come disse, lo sguardo rivela qualcosa,

ebbe gli occhi di un uomo buono.

Non mancò un solo dipinto o una statua,

essi vivono per lui. Per

qualunque motivo ci abbia lasciato,

era molto giovane, lo braccava la malattia.

 

La sua lingua la riconosce chiunque.

I visi le figure gli occhi

inventarono una cosmogonia,

un gesto religioso, primitivo

unisce semplice eleganza e sensualità.

Se fosse vissuto più a lungo, scommetti

che sarebbe uguale.

 

Chi lo crede indecente faccia pure:

abitava nell’arte, là ti risponde.

 

 

Pierre Ech-Ardour

 

Epicentre du ciel quand fascine amandé chrysalide l’effigie,

éveille orageuse nue du fond de soi la misère de perdre

outrageuse en l’œuf l’évidence du visage

 

Quelle grâce inspire

parfumé l’éternel éclair ?

Quelle amante de ton âme

choisis-tu entre tes yeux,

minéral le pouls du silence ?

 

Sur la feuille croque et esquisse inorganique

sybarite le visage sculptural le trait de muses

 

En ton vase de pigments et de pierre

tu creuses le ciel de ses yeux

et ponctues ses caresses d’une ivresse de désir

 

Sauvages se souviennent tes amours

des brèches intimes de chaque secret,

des incendies en la coupe des mots

 

Sur l’opacité du miroir érigent les couleurs

de tes mains nées sans mots le corps de souvenirs 

 

Dans la cage des toiles, flotte fluide l’irréelle lumière

du temps miraculé d’une aube

Tu fais danser amoureuses intangibles les apparences en l’immobilité d’impalpables silences

 

Par un secret dépouillement

démantèle inachevé le rêve,

grave le faciès des anges

les traits du souffle envolé

 

Luit en vos regards évidés

l’intense nuance du vide

 

Illuminent deux bougies vos âmes éthérées

 



Francesca Farina

 

Tu, vestito di velluto grigio

Rapato come un evaso

O coi ricci scomposti come nuvole

Neri turbini nel cuore

A Livorno per una torta di ceci

Senza mai un soldo in tasca

Un carretto di pietre scolpite

Ubriaco fino al delirio

Sobrio fino alle stelle

Carico di vernice in ogni dove

Amanti in ogni quartiere

La Parigi di Utrillo e di Suzanne

L’umiliazione del rifiuto razziale

Un carattere di porco e di perla

Hashish e cognac a colazione

Molti nudi dati a Zborowski

Spogliando l’anima di una donna

Manifesto della vita sovraesposta

Jeanne più nuda che svestita

La fame che attraversa tutti i giorni

Il male che fa sangue tosse sputo

L’abbandono al sepolcro come a un sogno

I lunghi colli più del Parmigianino

Derisi da chi non sa vedere

Senza più occhi che per ingannare

Non si curò d’altro che della sua tela

La figlia nata e quella ancora a nascere

Amore per creature mai più viste

Passione per la vita e per la morte

Il cielo ti ha donato la sua sorte.

 

 

Raffaela Fazio

 

 Ogni volto

 

(per Amedeo Modigliani)

 

Ogni volto che fissi ti fissa.

Un ritaglio con forbici svelte

per sottrarre una scaglia

al fluire scomposto indistinto.

Ma come si arresta

sulla tela una vita?

Volto dopo volto

vuoi capire te stesso.

E il volto che indossi

è schermo e spiraglio

come maschera che amplifica la voce

serrandone il mistero

(fiamma nera nascosta

nel vuoto di pupille

fiamma azzurra che si allunga sul collo

oltre i corpi in sé chiusi o indifesi).

Mai arreso

l’occhio infranto si è aperto

nell’ultimo salto.

Il volto si rompe, si rompe lo specchio

in ogni riflesso

e il riflesso di nuovo lo compone.

Dioniso smembrato dai titani

mentre nel guardarsi vede il mondo:

l’immagine è illusione

e conoscenza

sembianza che ribolle in mille forme

per sete belluina d’infinito.

L’umano è un sogno sacro

irredento

che inizia

nel suo rispecchiamento.


Raffaela Fazio

Ogni volto (video-poesia)







Annamaria Ferramosca

 

Bambina in abito azzurro-- Amedeo Modigliani (1918), Olio su tela, 116 x 73 cm, Pinacothèque de Paris


 

forse non è ancora mattina

forse è un sogno scuro che ancora morde

o è voce destinata che cade sul mio capo

maman mi sveglia

mi stringe i capelli col nastrino rosso

mi fa indossare l’abito azzurro-calmo

oggi andiamo da Amedeo

ma tu vedi come dentro scalpito

come resisto e stringo le labbra

( lupi dal futuro già s’avventano)

 

mi hai sistemato in posa - bambola-nell’angolo -

raccomandato resta così ferma

mi stringo le mani una sull’altra come

mi stessi da sola dicendo addio

 

non so se intera e vera

sto trasmigrando sulla tela

sento gli occhi staccarsi dal loro cielo

così a lungo ho fissato una fronte inquieta

dita febbrili cosa mi vuoi strappare?

ho solo questo mio blu spaurito

e tutta l’incertezza del mondo

 

dal tuo respiro una pena segreta

continua ad alitare m’incendia il viso

tu dipingimi ti prego le pupille

fammi occhi chiari ben fissi nei tuoi

 

dovranno dire a infiniti occhi in stupore

di te di me

nel lunghissimo tempo

 


 

Aldo Galeazzi

 

Modigliani

Il miracolo all’alba

 

All’alba le cose

rispondono all’appello della luce

tu lo sai bene

il genio è affar loro

 

Un carretto non è un’opera d’arte

sogghignano le facce i musi

ma le teste han quasi tutte gli occhi chiusi

ma le teste han quasi tutte gli occhi chiusi

 

Jeanne tu covavi in grembo già suo figlio

ma un volo senza ali

dal buio del cilindro

hai estratto al posto del coniglio

 


Laura Garavaglia

 

Amore

sai che non potevo vivere nell’assenza

di ciò che sei stato per me.

Tu sempre tormentato

nascondevi il dolore l’eccesso

nella semplicità dei ritratti

figure e volti allungati verso

irraggiungibili cieli

l’enigma degli sguardi senza

pupille.

E non è stato facile vivere accanto a te

amarti nel dolore della tua malattia.

E non è stato facile scegliere di morire

sapendo che una vita stava per sbocciare

e la portavo in grembo.

Ma vedi Amedeo, amore mio, l’anima mia

è rimasta nei ritratti che mi hai fatto, ed in

quelle tele io sono ancora come allora

lunghi e castani i miei capelli

e gli occhi neri e vivaci

l’abito bianco e semplice che copriva il mio corpo.

e io, amore, non potevo lasciarti andare

dovevo sfidare il mistero

sapendo che nei tuoi quadri sarei vissuta

molto più a lungo di quanto mi sarebbe

stato concesso

La tua Jeanne

 

 

 

 

 

Ilaria Giovinazzo


Maudit

Noi anime inquiete
abbiamo lasciato il passato ai morti
calpestato paludi di fango
senza farci risucchiare

Noi anime inquiete
soprassediamo alla perfezione
poiché nati dall'imperfetto sogno
di vecchi pazzi ubriachi

Noi folli noi disperati noi solitari
camminiamo contro i muri
per non farci vedere
scivoliamo nelle crepe della notte
per non farci catturare
e odoriamo di miseria e dannazione
perché siamo anime scalze
che anche quando non infuria il vento
partoriamo tempeste

 

 

Stefano Iori

 

Anna e Modì: nel vero del ricordo

Guanti spaiati

in palmi congiunti

Il verde nel nero

 

Quando già risuonava

squallida e maligna

l'ora del vicino addio

supplicasti bambino:

“Muori con me!”

 

“Amico diverso

lontano divino

l'ultimo fiato porrò

nella tenebra tua

ormai nostra” risposi

 

Fuoco di rose rosse

spande scintille

nella casa vuota

 



Paola Landini

 

     Ritratti

 

                                      Tristi occhi azzurri

                                      come il mare lontano.

Volto smunto perso nel nulla.

Nudo corpo disteso

abbandonato al vuoto

della città che

tutto promette

tutto permette

e tutto nega.

Non più Amedeo

né Modigliani. Ma

          Modì        

 

 

 

Abele Longo

 

Zbo e Modì

 

Storia di un’amicizia

dove io ero Zbo e tu Modì

 

o come diceva la ragazza

che mi donò la cartolina

 

stessa barba e portamento

da principe dell’aria

 

pensavo di scriverti la biografia

senza farti mancare il tabacco

 

seduto con le mani affusolate

nell’unico abito con cravatta

 

finii invece per scrivere lettere

dove inseguivo amori

 

l’ombra delle sfumature sullo sfondo

linee semplificate dietro al velo delle pupille

 


 

Eliza Macadan

 

Nel respiro sottile dell’anima

Nel respiro sottile dell’anima
oscillano sogni,
come lune sbieche
su cieli silenziosi di tela.

Non erano corpi,
ma pause dipinte,
occhi che non vedono
ma custodiscono il vuoto.

Nel gesto raccolto d’un fianco
si riposa un addio,
e ogni nudo
è un grido sussurrato
nel lino dell’assenza.

C’è un altare,
in certe figure emerse:
non invocano,
attendono —
e nell’attesa
sciolgono il tempo.

Nel vino secco dei tratti
scivola la notte,
e la città si stringe, ancora,
intorno a quel pennello
che cercava il volto
di un dio dimenticato.

 

 

 

Marcello Marciani

 

Modìana

 

Coronato era il capo in una cloche.

Luccicava la pelle in ocra avvolta.

Il collo da giraffa era una scala

per arrivare a occhi cavi in cielo.

 

Per esaltarmi in fondo ad uno scroscio

di forme e tinte m'ero infisso il volto

della donna che tutto mi regala:

la maschera che avvera ogni mia tela.

 

Più volte l'ho tradita per scordarla

ma lei è tornata indomita a guidarmi

polso e pennello con nuova energia.

 

La bellezza è una guerra fatta ai tarli

di un legnoso pianeta che si allarma

se mai l'arte s'accoppia all'eresia.

 


 

Elena Miglioli

 

Gli occhi di vetro
sotto cappelli e frange
sopra colli esili appesi
a fili di firmamento
come mezze lune
a fare da lumini
dicono che l’anima
di tutte le donne è una sola

Tu l’hai sfumata col pennello
ché non ha forma né colore
sfugge allo sguardo insolente
di chi vorrebbe coglierla
e metterla in quel vaso
a prendere luce dall’abbaino
per serbarle i fiori ai fianchi
vibranti di doglie e desiderio

L’anima delle donne piange un pianto
che non si sa da dove scenda
per quali antiche anse risalga
piange ogni pianto della terra:
afferra una verità specchiata
dentro la lacrima in chiaroscuro
caduta giù dal ventre dell’eterno
venuta a nascerci l’universo
col suo mistero materno.

 

 


Isabella Moretti

 

Anna-Modì                                                       ti sfioro a labbra socchiuse

                                                                           in poesia

                                                                           petali di quelle rose gettate per te

                                                                                             

 

 

Le  mani arrese cingono il bicchiere,

cerchio di solitudine, confine.

 

Nei  polmoni sfasati, dentro, in fiamme,

si snodano le vene,

piste battute

a lungo

verso un approdo, un riconoscimento

che non viene.

 

Allora consegnarsi a laghi d’occhi,

cercare la salvezza

nella forma di un’arca

di bellezza.

 

L’incontro avviene a giugno,

in un caffè. Parigi.

 

Tessiture di sguardi.

Quello di lei vilucchio

esile e malinconico si svolge

fino a intrecciarsi al suo.

 

Seguitano a vedersi,

sotto un ombrello nero,

in vicoli isolati

puzzolenti di piscio.

 

O sui boulevard.

Sedersi accanto stanchi per cantarsi

scambievolmente i versi di Verlaine.

 

Poi nello studio freddo

a lume di candela,

volti lunari di tre quarti intorno,

quasi divinità di un tempio sacro

 

e  rose dappertutto.

 

Nuda pelle di miele, talismano,

con la testa agghindata

da regina africana,

 

tra schegge di una pietra troppo dura

e pigmenti danzanti sulla tela

 

libera lei

lo slega

e insieme lo affattura.

 

Invaso – evaso.  Amore.

 

 

Enrica Notarfrancesco

 

Tua per sempre, Jeanne

 

Se mi lasciai fu per la perduta gioia

me la donai

già un paio di destini fa

incastrata tra i denti

come il morso del tuo sorriso

sulla mia bocca

come gemme di accennate pupille

incastonate sulle pareti

del nostro novello spazio

anima

fertile di vuoto.

 


 

Claudia Palombi

 

Modì

 

Modì, Modì, ma di’
Di’ mò ben so

tu étais maudit

mais Dieu t’aimait
et elle t’appelait Modì

 

Modì tu le faisais coucou

tu le disais mon petit chou

elle a ri d’amour

tu lui as mordu le cou
elle a tramblé d’amour


e tu amore a labbra

sul flessuoso collo

amore nelle mani

da scolpirlo nel marmo

da dipingerlo su tela

da segnarlo a matita

 

quel collo, quegli occhi

ancora e ancora

dolce ossessione

visione d’arte

a cercare l’anima, la vita

                  

                   dis-moi, Modì, as-tu vu la vie

                   l’âme que tu cherchais?

 

 


 

Alfredo Panetta

 

Jeanne

 

In fondo al dolore abita

la morte o una mangiatoia?

 

Lo sguardo basso, poche nuvole

a lambire la chioma del tempo.

 

-Potrei cadere dal cielo, lei dice

come una piuma da un sogno andato a male.

O aprire varchi, riflette, tra i pettegolezzi

e le crepe numinose della mia stirpe.

 

Amare troppo, che poi vuol dire amare

non è diabolico, come pensano gli umani

ma è un canto di sirena dalle pinne sbranate.

 

Isolare il mare, liberarlo

dai rumori rendendolo intimo

è aggrapparsi a una strofa di ginestra

mentre il colle precipita.

 

Pensare che solo un volo, se non noi

può salvare l’universo e quel che è stato.

 

E le pietre che verranno, i soffi

di nulla su un petalo di viola.

 

 

 

 

Jonathan Rizzo

 

Tubetti spremuti

     Particolarmente un bel seno e Modigliani.

Il sole e Modigliani.

Una ragazza di Modigliani corteggiata dal vecchio

regista di commedie americane

   dal figlio bilingue è nativo digitale.

Il futuro è suo, ed io uomo

fatto di carta e penna sono vecchio e superato.

Modigliani mi guarda senza occhi.

Come la morte faceva con lui.

Modigliani non riesce a stare in piedi.

    Barcolla sulla soglia di quei colori

   sgocciolati da certi tubetti spremuti.

 




Valeria Silvestri

 

 A Dedo, lo sfortunato Genio livornese.

 

Quante volte, Dedo, avrai sognato il mare della tua città e quella brezza fine che profuma di alghe e sale.

Ormai lontano, vedevi i giorni tutti uguali, il volto emaciato, gli occhi scavati e tristi in attesa di un sorriso che non arrivava mai, quello della vita!

Le tue dita correvano veloci su tele, a volte un po’ sdrucite, con trame di colori opachi, spenti, che sapevano di terra.

Stanco per le notti insonni, all’ ombra di quell’ albero ti stendevi. Sempre lo stesso albero, amico della tua solitudine. Al Jardin Sauvage de la rue St. Vincent, in quella Montmartre che non sapeva niente di te, chi tu fossi e quali …..quanti ….. i tuoi sogni.

Chi vide, chi ammirò, chi comprese i tratti precisi, i volti austeri, i lunghi colli protesi e gli occhi………quegli occhi piccoli e incredibilmente, sempre …. vuoti.

La morte ti portò via con se, all’ improvviso, in un freddo e buio gennaio. Quando la vita stava per regalarti tutto, tutto finì!

Mentre tu giacevi ormai immobile, Lei, la tua Jeanne, il grande amore! gettò la sua vita e quella di tuo figlio, giù attraverso un abisso di dolore, giù in un disperato volo …… dalla “gioia” al “nulla”.

 

 


Carlo Stasi

 

Maudit Modì

 

pennella la lingua

dal tuo seno

al collo piegato

bianco cigno

ponte di carne

tra cuore e mente

 

dove sono le tue pupille?

dov’è l’anima tua?

 

voglio spogliarti

i colori dell’anima

solo quella io cerco

te la dipingo negli occhi

 

solo nei tuoi occhi Jeanne

pupilla dei miei occhi

ho trovato l’anima

 

io che m’ero perso

in te mi sono ritrovato

 

 

Angela Suppo

 

Modigliani

A qualcuno poi basta una matita

un nero che rischiara

la realtà,

evocata di sogno

ed essenziale.

 

In una vita anche confusa

allontana il superfluo per restare.

 

 


Alex Tonelli

 

Abbiamo cenato insieme a Parigi

In un ristorante al 89 di Rue Lemercier

Che, con poca fantasia, si chiama Quatre Vingt Neuf.

Tu hai preso il pescato del giorno

Un tonno un po' troppo cotto

Io il manzo marinato allo stile tataki

E questa volta credo di aver scelto meglio io.

Dal mio lato del tavolo

(Una lastra di legno che dà sul finestrone)

La città è calda di un fine giugno mediterraneo

Dal tuo lato del tavolo, il mio stesso posto, a quanto pare, la sera è ormai buia e un po' freschina

Il tuo giugno svogliato è appena iniziato

E Parigi è in ritardo con l'estate.

Abbiamo cenato insieme in questo ristorante

Che tu mi hai suggerito

Siamo stati allo stesso tavolo, intorno alle venti,

Ma la mia serata è quindici giorni più luminosa

Vicina al lento solstizio,

La tua è ancora primaverile.

Abbiamo cenato insieme a Parigi

Seduti allo stesso tavolo

Che cosa importa se tu sei stata qui alcuni giorni prima di me?

Il tuo profumo ancora è qui

E la tua presenza passata

È più forte della tua assenza presente.

 

 



Francesca Totaro

 

Maudit

 

Dicevano invece fosse un drago,

un acchiappasogni,

un mangiafuoco,

un mosaico,

un lupo mannaro,

un full di jack,

una scala reale, troppo ripida ormai.

Ebbro di sinuosi incavi di vita e occhi di tempesta, 

le sue ali cercavano un colore di eternità. 

Di lui, Jeanne accoglieva il precipizio

ed il gorgo assetato dell’inquietudine. 

Ma infine sola rimase a contemplarne i ricordi

dispersi qua e là in una stanza vuota e grave di lutto,

ove lo attese invano in un ardore di luce.

 

 

 

Rubina Valli

 

 

Con lo sguardo bagnato di

Remoto incanto e

L’audacia inconsapevole dei corpi celesti

Mi offro alla città con

Identità spoglia

Scevra di qualsiasi altrove

Se non i lembi scomposti della memoria

Qua, ora

In questa nicchia indolente come

Un dattero maturo

Attendo le tue parole

A districarmi dalla folla

A individuare il nocciolo che chiamo “io”

Per adornarlo d’ un nuovo nome.

 

 

 

 

 

Marzia Venturelli

 

 

 Mon maître

 

I colli lunghi

gli occhi senza un centro

dallo sguardo infinito e poi l'ombra su di un volto stanco.

Con urgenza

hai afferrato l’amore

che ti ha bruciato l'anima

ed hai danzato tra gli angoli di una umanità disumana

che ci accompagna ancora.

 

 


Roberto Veracini

 

Come ti guardano le donne di Modigliani

 

Uno sguardo triste, senza tempo,

“Sono qui, lo diresti?” ma niente

illusioni, gli occhi racchiudono il mondo

che non sarà



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BREVI RIFLESSIONI DI CHIARA SERANI PER LA PREMIAZIONE DEL CONCORSO.


Che senso ha, oggi, un concorso di poesia dedicato a una figura come quella di Modigliani e, dunque, più in generale, la poesia d’occasione, che spesso si presenta, va detto, come avvitata intorno a moduli stanchi, logori, di circostanza (e qui ci sovviene che in francese, lingua ben rappresentata stasera, la poesia d’occasione è detta appunto poésie de circonstance) e, infine, vuoti? Cosa può offrirci la poesia d’occasione oggi, in cui peraltro tutto è occasione di celebrazione continua? E cosa può dirci – se può – della poesia italiana contemporanea? Io credo più di quanto si possa pensare d’acchito; in particolare in questo caso specifico in cui la poesia d’occasione si offre anche come uno spunto per riflettere sul fenomeno dell’intermedialità, ovvero sulla mescidanza fra diversi linguaggi artistici, fenomeno che oggi la fa da padrone quale cifra di una mentalità ormai incline alla fluidità dei media artistici piuttosto che alla loro categorizzazione è che è diventato sempre più, soprattutto dopo la rivoluzione digitale, un concetto imprescindibile per capire la nostra epoca, la sua estetica e i suoi meccanismi comunicativi. Non è un caso, del resto, che oggi assistiamo a un grandissimo ritorno dell’ecfrasi (cioè, nella sua forma più elementare, della descrizione verbale di un’opera visiva, fondata, nel caso della pittura, sul principio classico dell’ut pictura poiesis) e altresì assistiamo all’ascesa degli iconotesti, cioè di quei testi in cui scrittura e immagine si affiancano in vario modo; d’altronde non potrebbe essere altrimenti in una realtà come la nostra, totalmente permeata e dominata dall’immagine, è infatti il cosiddetto “regime scopico” a meglio definire la nostra condizione postmoderna, all’insegna di una “totale saturazione dello spazio culturale da parte dell’immagine” (v. Fredric Jameson). Dunque, abbiamo già un aggancio con l’attualità poetica, e, in effetti, a questo concorso sono naturalmente e per forza di cose pervenuti numerosi testi di natura ecfrastica, dedicati, va detto, quasi esclusivamente ai ritratti femminili di Modigliani – così come a prevalere, su un altro versante, quello biografico, è stato il dato della sua tragica storia d’amore con Jeanne Hébuterne. E anche questo, di per sé, è un dato interessante e significativo, che ci suggerisce il modo in cui tendiamo ad accostarci a un artista come Modigliani e alla sua opera, cioè cogliendone in primis gli aspetti più eclatanti, o più noti, che più colpiscono un’immaginazione di stampo romantico (con quest’aggettivo inteso non in senso storico ma nella sua accezione derivativa di “inclinazione alle suggestioni del sentimento, della passione e del malinconicamente sognante” [così ci dice Treccani]). Dunque, quel tipo di immaginazione che ancora, nonostante il datato ma forse apparente trapasso del Romanticismo (qui sì, inteso come fenomeno storico) produce una poesia di filiazione “romantica”, intendendo con ciò quella poesia che del Romanticismo coglie solo gli elementi più appariscenti e vulgati, ovvero quelli immediatamente lirici.

Ma se analizziamo l’opera di Modigliani, constatiamo che di romantico non ha quasi niente; non ha quasi niente dello spontaneismo, del sentimentalismo o del lirismo puro, non ha niente di effusivo, è semmai un’arte che raffredda questi elementi da una parte col ricongiungimento intellettuale e stilistico con la tradizione pittorica italiana e dall’altra con l’accoglienza del primitivismo quale espressione avanguardistica del suo tempo. Per fare un esempio,  le pose femminili e i colli lunghi e affusolati che hanno dominato così tante ecfrasi pervenute non sono un’invenzione di Modigliani, ma risalgono a modelli trecenteschi e cinquecenteschi, a Simone Martini, per esempio, con la sua eleganza formale, o al Parmigianino (pensiamo alla sua Madonna dal collo lungo), e sono dunque l’equivalente di quelle che in poesia chiameremmo allusioni o citazioni intertestuali: sono quindi un frutto studiato, così come i suoi volti stilizzati e oblunghi si allineano alla sperimentazione primitivista sua coeva ricercando strutture arcaiche, archetipiche, universali dell’immaginario e della rappresentazione visiva. Il tutto, per sintetizzare, all’insegna dell’arte come “bricolage e rifunzionalizzazione”, come avrebbe detto Claude Lévi-Strauss. Quello che Modigliani fa è pertanto fondere in maniera personale e originale, nuova, rivoluzionaria, queste e altre componenti pittoriche, rifacendosi sì al passato ma assimilandolo e superandolo, in una sussunzione che assolutamente rifugge ogni forma di accademismo o epigonismo e dà vita a una pittura immediatamente riconoscibile – non si può in alcun modo confondere lo stile di Modigliani, se ci pensate è praticamente impossibile. Dunque, io credo che se il nostro soggetto poetico è rappresentato da Modigliani e dalla sua arte, quel che si dovrebbe fare è riconoscere e omaggiare questa originalità – per carità, oggi, in cui tutto è già stato detto e fatto non è più possibile evocare in maniera credibile alcuna forma di originalità o d’invenzione pura; tuttavia, questo non è un buon motivo per schiacciarsi su modelli retrivi o assolutamente privi di atipicità e per aderire a formule lessicali, retoriche e immaginifiche stereotipate, anacronistiche e polverose. Bisognerebbe, semmai, aspirare a fare quello che facevano i greci, ovvero, con l’ecfrasi, “gareggiare in forza espressiva con la cosa descritta”, evitando così, in questo contesto poetico, quella vaporosità, inconsistenza e insieme convenzionalità che in nessun caso appartiene alla pittura di Modigliani; perciò bisognerebbe evitare sintagmi poetici e immagini fruste, come cuori trafitti, uccelli in volo, nuvole in cammino, anime inquiete, remoti incanti, tramonti, ardori, tremori, incantamenti... oggi francamente improponibili, non solo perché completamente dissonanti rispetto al presente ma soprattutto perché appartenenti al grande catalogo del déjà lu e cioè dell’acquisito, dell’invalso, che sembra tuttavia gemmare dalla poesia – e a prescindere dall’occasione – così come le frasi di circostanza, ovvero espressioni banali, impersonali e poco sentite, sono sollecitate nelle occasioni formali e sociali in cui vengono sfoderate. Dal che si evince che certa poesia, quella invero predominante, diventa poesia di circostanza a prescindere dal suo essere poesia d’occasione, come in questo caso. Ovvero, quando si tratta di poesia tendiamo ad attualizzare, con gran passatismo, un Sublime del sentire e del parlare che non solo non è più allineato col nostro tempo ma che è diventato insipido e scadente proprio per abuso.

Ora, se questo tipo di Sublime non è più proponibile, né tantomeno accettabile, allo stesso modo non è più facilmente sostenibile una postura poetica che sia solo lirica, se non correndo il forte rischio di risultare naif. E con ciò non siamo certo qui a cercare imporre estetiche normative – ognuno può e deve scrivere come meglio crede, anche perché la poesia ha una sua intrinseca valenza terapeutica –, ci inseriamo semmai in un dibattito, e sempre sulla scia della riflessione scaturita dal nostro concorso su Modigliani, che anima lo scenario della poesia italiana iper-contemporanea, diviso appunto, grosso modo, tra chi sostiene la “poesia lirica” e chi la cosiddetta “poesia di ricerca” e gioca la partita proprio sulla postura dell’io e della soggettività, avvertita quest’ultima come ancora efficace o, viceversa, ormai inefficace. Ciò detto, per quel che riguarda chi parla in questo momento, persino le espressioni “poesia lirica” e “poesia di ricerca” sono svuotate di senso per eccesso di utilizzo, divenute ormai formule di lesta comprensione, etichette assiologiche – si potrebbe forse più produttivamente recuperare locuzioni come “poesia di stampo tradizionale”, o “di ascendenza petrarchesca”, e “poesia di stampo dantesco e poi modernista” – e, soprattutto, la partita di cui sopra non dovrebbe giocarsi tanto e pregiudizialmente su soggettività o non soggettività (esiste infatti ancora una lirica alta così come esiste una poesia sperimentale, aliena all’io, che è mediocre e scimmiottante) quanto, più semplicemente, sulla qualità poetica. Se il soggetto poetante non ha nulla di interessante da dire o è allineato al solito sfogo effusivo-sentimentale è bene che la poesia rimanga un esercizio privato, a maggior ragione se non si trovano modi di qualità per il dire: il già noto, il già fatto – mutatis mutandis, le pose di Martini e i colli di Parmigianino – se va detto, va detto in modo personale, con ciò intendendo non “intimo” ma inconfondibile, “stilisticamente riconoscibile”, alla maniera di Modigliani. Se non si trova un modo nuovo per dire l’interiorità semplicemente ci si allinea all’estrinsecazione continua dell’io sui social in cui si dà perennemente tutti libero sfogo a inquietudini varie, delusioni d’amore, traumi infantili eccetera… Proprio i social, con la loro semplificazione e banalizzazione comunicativa, in cui il posizionamento è sempre quello dell’io (ipertrofico), rendono oggi ancora più problematico e complicato, dal mio punto di vista, l’approccio lirico, perché per risultare inconfondibili e riconoscibili bisogna stagliarsi non solo dalla tradizione poetica ma anche da quel tipo di comunicazione massificata in cui a predominare è il linguaggio corrente, convenzionale, stereotipato di cui sopra. Non che la soluzione risieda nella coltivazione della ricercatezza estetica, un po’ perché la ricerca del bello e del virtuosismo linguistico nell’arte verbale è anch’essa già stata praticata in lungo e in largo e dall’illud tempus della parola, e un po’ perché i nostri tempi, all’insegna dell’immagine si diceva, sono anche caratterizzati da un’estetizzazione massiccia e soverchiante, dalla pubblicità alla moda alla cura del corpo ai complementi d’arredo alla creazione di contenuti online eccetera, e quindi una poesia estetizzante rischia di apparire (o scomparire) come ideologicamente allineata e confusa in questo flusso – o brodo – estetico di massa in cui siamo immersi.

L’unica via di fuga, sempre per chi parla, ovviamente, risiede allora, nella complessità del testo poetico: un testo, cioè, che non sia immediatamente fruibile e comprensibile come lo è il già noto, il già fatto – ovvero esauribile proprio come un prodotto di consumo, un prodotto usa e getta –, pertanto, un testo che non sia riducibile o riconducibile a formule facili, a etichette, a diluizioni e facilitazioni del senso. Con questo non s’intenda un testo necessariamente “difficile”, giacché, per esempio, una qualsiasi opera poetica può presentare un dettato linguistico piano, semplicissimo, ed essere comunque complessa per stratificazione o sovrabbondanza di senso e per capacità di ingaggiare col lettore un dialogo che non sia di circostanza, tanto per tornare al nostro punto di partenza. Se si adotta il criterio della complessità come giudizio di valore si esce dalle pastoie del binomio “poesia lirica”-“poesia di ricerca” poiché la qualità della complessità è trasversale, disappartenente all’uno e all’altro campo in quanto rispondente, senza compromessi, di volta in volta, solo a sé stessa. Ecco, per chiudere, sento di poter dire che in questa sede, pur nella legittima eterogeneità dei gusti e delle vedute dei giurati, che peraltro sono sempre giusta e necessaria garanzia di equanimità per chi partecipa a un concorso, hanno alla fine prevalso sugli altri quei testi che presentavano un maggior livello di complessità (leggi: creatività, peculiarità… e tutto quanto siam venuti dicendo prima) e, di conseguenza, un minor grado di prevedibilità e scontatezza di dettato e d’immaginario.

 

 Chiara Serani