La linea sabiana, di Lucio Macchia
«Ho
fatto un sogno, e all’alba lo ritrovo.
Parlavano
gli uccelli, o in un uccello
m’ero,
io uomo, mutato. Dicevano:
NOI DI BECCO GENTILE AMIAMO I FRUTTI
SAPORITI
DEGLI ORTI. E SIAMO TUTTI
NATI DA UN UOVO.
Proprio
il sogno d’un bimbo e d’un uccello»[i]
(U.
Saba)
Pasolini definì le due tendenze fondamentali della poesia moderna italiana (nel dopoguerra). La prima tendenza, quella dominante, è la linea “novecentista”, prolungamento della tradizione ermetica, la cui cifra essenziale è quella della sperimentazione linguistica, nel tentativo continuo di disvelamento della verità, in una temperie dai tratti simbolisti, orfici. Su questa linea si collocano alcuni dei più importanti esponenti della “terza generazione”, quali Sereni e Luzi.
L’altra tendenza, dal tono “minore”, è quella anti-novecentista, che Pasolini chiama “sabiana” (in cui si collocano Penna, Caproni, Bertolucci) con riferimento al percorso poetico estremamente originale di Umberto Saba il quale, scrivendo a partire dagli inizi del novecento (lui era nato nel 1883) traccia genialmente una nuova rotta, partendo dalla lezione di D’Annunzio e poi muovendo altrove, progredendo in un contesto dominato dall’ermetismo (Porto sepolto di Ungaretti esce nel 1916), dalle recenti esperienza dell’avanguardia futurista. Saba conduce il suo percorso al di fuori di tutto questo, e ci consegna un’eredità che possiamo considerare ancora attuale. Una poesia onesta, così egli stesso la definisce, in cui la centralità è l’espressione della propria interiorità senza cedimenti al gusto dell’originalità a tutti i costi, alla ricercatezza formale fine a se stessa. Essere originali nostro malgrado, scrive genialmente per sintetizzare questo suo approccio. Un totale abbandono alle proprie forze psichiche, a una interiorità intesa come autonoma, eccedente: raccomanda, nelle sue prose, di opporsi alla pigrizia intellettuale che impedisce allo scandaglio di toccare il fondo. Non ci sorprende il suo incontro (anch’esso modernissimo) con Freud (va in analisi da Weiss, lo stesso psicanalista di Svevo, dal 1929 al 1931). Ma Saba, già “istintivamente” in contatto con una certa temperie moderna, era psicoanalitico prima della psicoanalisi[ii]. La sua ricerca lo porta verso una poesia dal linguaggio essenziale, a tratti rastremato, e dal carattere immediato, esperienziale, esistenzialista, davvero estremamente prossima a molti modi contemporanei, e lo fa in un contesto italiano totalmente estraneo a queste movenze, in cui anche le forme più pure di espressione sono costrutti astratti, simbolici. Emerge la quotidianità (celebri le poesie sul gioco del calcio del 1933-34) ma non come tratto rinunciatario, crepuscolare (Saba odiava essere accostato a quel movimento, che però ebbe il merito di mutare la prospettiva lirica a favore di una visione più minuta, vicina alla vita nel suo scorrere) ma come luogo dell’evento dell’esistere, in cui la vita si rivela facendosi istante per istante nell’esperienza corrente: Ho parlato a una capra / Era sola sul prato, era legata[iii]. In questa famosa composizione già scorgiamo i tratti di un certo modo lirico che prenderà forma definitiva, nel contesto generale, solo negli anni ’60: linguaggio che si avvicina al parlato, il soggetto che cessa di essere aulico, l’indebolimento dell’io poetico. E, al di sotto, il pulsare della vita sentita nel suo emergere reale, senza tentativi di irretimento intellettualistico. Vita autentica, animale. L’accadere del vivere: Che succede di te, della tua vita / mio solo amico mio, mia pallida sposa?[iv]. E ancora, chirurgicamente, dentro la condizione umana in questi splendidi tardivi versi: Uomo, la tua sventura è senza fondo. / Sei troppo e troppo poco. Con invidia / (tu pensi invece con disprezzo) guardi / gli animali, che immuni di riguardi / e di pudori, dicono la vita / e le sue leggi. (Ne dicono il fondo)[v]. E nell’esperienza così contemporanea del minimalismo e dello straniamento: Gli uccelli alla finestra, le persiane / socchiuse: un’aria d’infanzia e d’estate / che mi consola. Veramente ho gli anni / che so di avere? O solo dieci?[vi] Linea sabiana. Il quotidiano, la semplicità ma come medium verso una poesia totale e immediata. L’immanenza e, insieme, l’impossibile – del vivere.
Immagine: Matisse.