Agli
inizi della guerra in Ucraina Adriano Sofri ha sostenuto una tesi davvero
interessante. “L’ossessione di Putin per
l’Ucraina somiglia a quelle di certi uomini per la ex moglie che hanno amato,
al punto di ucciderla. Mi è sembrato un pensiero folgorante: l’Ucraina è
mia perché lo è stata, e se non vuole essere più mia non sarà di nessun altro.
Un corto circuito fra guerra e femminicidio: mai casus belli è stato più
nitido”. Se aggiungiamo che stiamo parlando del paese dove la pratica della
maternità surrogata è più diffusa, il cerchio sembrerebbe chiuso. Ed invece il
cerchio lo riapre Simon Weil. Nella sua riflessione che illumina ancora oggi
incontriamo la rilettura dell’Iliade. “La
forza ne è l’unico eroe. (…) L’amarezza verte sull’unica giusta causa di
amarezza: la subordinazione dell’anima umana alla forza, cioè, in fin dei
conti, alla materia”. La forza rende chiunque le è sottomessa pari ad una
cosa. A questo punto, mi permetto di ribaltare la tesi di Sofri, cui potremmo
aggiungere il tema dell’accanimento di Israele su Gaza – Tu non mi vuoi, allora
io ti distruggo. Non è la guerra, evento particolare, paradigma della guerra al
patriarcato, struttura generale. Forse è il contrario, i femminicidi sono
archetipo della generale indomabile soggezione di tutti gli esseri umani alla
legge orrenda della Forza, e, nello specifico, della Forza del genere maschile
sul genere femminile. Se così fosse, la liberazione femminile, prima di tutto
dalla violenza subita, acquista un valore universale e politico, di liberazione
umana.