Ieri sera, mentre stavo attraversando la
strada sulle strisce pedonali, semaforo verde per me, una donna in auto mi ha
tagliato la strada, mancandomi per poco; non solo vedendomi non ha rallentato,
ma ha addirittura accelerato, guardandomi con aria di sfida, lo sguardo truce,
incattivito.
Ho pensato, sì, le donne stronze
esistono, anche violente, aggressive, cattive, spesso invidiose.
Ma questi sono tratti individuali,
caratteriali, che in nessun modo possono configurarsi come violenza di genere o
forme oppressive verso il sesso maschile. Non esiste il sessismo inverso.
Infatti, quando parliamo di violenza
sulle donne e di patriarcato non ci riferiamo a comportamenti messi in atto da
singoli o a caratteristiche soggettive, ma a schemi di pensiero e a pratiche
millenarie che da sempre hanno svantaggiato le donne sul piano materiale,
collettivo e individuale; pratiche di cui tutti gli uomini hanno usufruito per
ottenere e mantenere determinati privilegi e che le istituzioni hanno difeso.
Disparità salariale oggi, anche a
livello pensionistico, mancato accesso allo studio e al lavoro nel passato,
quindi mancata indipendenza economica da cui consegue mancata libertà,
sottomissione, dipendenza, ma anche mancata fiducia nelle nostre capacità e
mancato sviluppo delle nostre potenzialità, intellettuali, emotive e pratiche;
mancanza di autostima in cui abbiamo fortemente creduto e su cui abbiamo anche
ironizzato;
esaltazione di caratteristiche negative
o ritenute di poco conto;
sfruttamento dei nostri corpi
legalizzato, normalizzato e naturalizzato e fatto passare come "mestiere
più antico del mondo";
apprendimento differenziato tra i due
sessi, a partire dalla più tenera infanzia, con costruzione dei ruoli che
definisce il modo in cui i maschi pensano loro stessi e le femmine e viceversa,
con sbilanciamento di potere e di valore verso i primi, in favore dei primi
(gli uomini fanno le cose che contano, fanno il mondo, le donne restano a casa
a cucinare, a badare alla prole, chiacchierano di cose futili, trucco, ricette,
bellezza);
crescere e vivere, in quanto donne, nel
timore di essere molestate, violentate, uccise, picchiate, non considerate se
non per l'aspetto fisico, con tutto lo stress e la stanchezza che ne consegue e
che ci distoglie dai progetti e altro;
essere percepite e di fatto quindi
percepirsi - perché è questa l'immagine di noi che la società ci rimanda - come
"carne da macello", oggetti sessuali, elementi decorativi da cui
dipende o meno il nostro valore e su cui investiamo tanto, sia in termini di
tempo, ma anche di energie fisiche e mentali (ore e ore passate a renderci
accettabili per i canoni stabiliti dalla società - sempre più idealistici e
irraggiungibili, peraltro);
essere considerate "meno",
mancanti di qualcosa, più adatte a certi mestieri che non altri (ancora oggi ci
sono persone che non si fidano di donne professioniste);
svilimento di tutto ciò che appartiene
"all'universo femminile", compresa la narrativa e le tematiche di cui
scriviamo (se un autore scrive di sé stesso, della sua esperienza, la si
considera "universale", mentre se lo fa una donna e racconta delle
sue esperienze, delle sue problematiche, del suo corpo, il tutto non viene
visto come passaggio dall'individuale all'universale, ma come argomento
prettamente femminile e quindi di minore importanza; secoli di letteratura
maschile basata su simboli di forza, guerra, potere in cui l'uomo - dato per
l'universale "umano" - era centrale hanno fatto sì che nel momento in
cui abbiamo preso la parola noi donne, subito fossimo relegate ad aspetti
accessori, ancillari rispetto a un centro che è sempre maschile), l'arte, la
politica, l'economia, la filosofia, persino la medicina;
svalutazione del femminile in ogni
ambito poiché sempre sessualizzato, o comunque giudicato con parametri che
appunto attengono a un universale che è stato appiattito sull'umano in quanto
proprio uomo, maschio.
Questi sono solo alcuni esempi, ma spero
sufficienti a far capire perché si parla di patriarcato in quanto schema di
pensiero e pratica appresi e perché la frase "Not all men" ("Non
tutti gli uomini") è non solo fuorviante, ma anche abbastanza patetica.
Sì, oggi sulla carta siamo considerate
pari agli uomini, ma non nella pratica perché la cultura appresa e
interiorizzata, soprattutto se stratificatasi nei secoli e naturalizzata al
punto da non essere più percepita come ideologia dominante, ma come appunto
"natura", è difficile da decostruire e disinnescare; è difficile per
noi donne, ancora oggi, riuscire a pensarci come soggetti pienamente autonomi,
di valore, non in difetto o manchevoli di qualcosa, anche e perché soprattutto
la società continua a sussurrarci nelle orecchie che siamo solo corpi da
ammirare, dipendenti dallo sguardo e approvazioni maschili.
Stesso identico discorso per gli animali
in relazione all'umano come centro universale dominante.
* Auguriamo a Rita la migliore fortuna per il suo nuovo romanzo fresco di stampa, "Time lapse".
