venerdì 7 marzo 2025

Donne e buoi dei paesi tuoi, di Rita Ciatti; letture antispeciste di Teodora Mastrototaro.

 








In occasione dell'8 marzo, Giornata Internazionale (per i diritti) della donna, Rita Ciatti scrive un interessante articolo sui legami tra femminismo e antispecismo e sulla violenza dell'uomo agita nei confronti del sesso femminile, di qualsiasi specie. 

Più in basso nella pagina: Letture antispeciste di Teodora Mastrototaro (testi + audio).

Ringraziamo le due Autrici per il gentile contributo al blog delle Cicale.


Donne e buoi dei paesi tuoi.

Sei una vacca, sei una troia, che zoccola, stupida come un’oca, come una gallina, cagna!

Ma anche: che culo, che tette, che figa, stasera andiamo a fregna.

        Cosa hanno in comune questi due gruppi di espressioni spesso usati per riferirsi alle donne e talmente normalizzati nell’uso quotidiano da essere usati anche simpaticamente dalle donne stesse? Il primo, la riduzione all’animalità, macro-insieme già di per sé connotato negativamente rispetto a quello a cui dichiariamo di appartenere, cioè l’insieme dell’umano (che scientificamente dovrebbe essere un sottoinsieme del primo, ma in realtà si è culturalmente costituito come gruppo a parte e in opposizione al primo); il secondo la riduzione della persona di sesso femminile a una parte precisa del corpo (processo semantico che si chiama sexage, cioè sessualizzazione della persona tramite appunto la riduzione a una precisa parte del corpo), che è esattamente quanto avviene per le varie parti dei corpi animali usati nell’industria della carne e suoi derivati: individui di altre specie che una volta trasformati in prodotti divengono dei meri referenti assenti, cioè, pur venendo nominati restano invisibili (mi dia una fettina di fesa di tacchino, della vitella bianca, del filetto, del controfiletto, una coscia di pollo, il petto di anatra, un litro di latte, una dozzina di uova).

        E poi ancora: nei bordelli a norma di legge in quei paesi dove la prostituzione è stata regolamentata, ai clienti consumatori (CLIENTI CONSUMATORI) viene proposto un menù che elenca le varie tipologie di donne in base a etnia, età, varietà di prestazioni, determinate caratteristiche fisiche. Nel prezzo sono inclusi in omaggio una birra e un wurstel. Un wurstel. O un burger. Rachel Moran, sopravvissuta al sistema prostituente e industria del sesso, autrice del saggio “Stupro a pagamento”, dice: non si può paragonare lo sfruttamento dei lavoratori al nostro e quindi pensare di regolamentarlo con delle semplici leggi perché mentre chi lavora da McDonald’s viene sottopagato per friggere hamburger e può migliorare la propria condizione, nei bordelli o nelle strade, i burger siamo noi. Carne manipolata, usata, consumata, svilita.

        Cito Carol J. Adams e il suo saggio intitolato “Carne da macello. La politica sessuale della carne. Una teoria critica femminista vegetariana” per analizzare la stretta correlazione tra l’uso, simbolico e materiale, dei corpi delle donne e di quelli degli animali e al fine di comprendere quanto mettere in discussione il primo senza il secondo sia un’operazione non solo miope, ma profondamente ingiusta. Combattere la mercificazione dei corpi femminili lasciando intatto l’apparato concettuale e ideologico che consente la stessa cosa agli individui delle altre specie significa infatti mantenere un circolo escludente entro cui andare a rigettare, di volta in volta, chiunque vogliamo scartare per ragioni politiche, economiche e di mantenimento del sistema dei privilegi, di fatto validando razzismo, maschilismo e anche classismo (poiché, ad esempio, le donne prostituite appartengono sempre a categorie marginalizzate per motivi economici).

        Ridurre qualcuno all’animalità significa non riconoscergli la complessità della sua individualità e quindi svilirlo a pura materia, a pura corporeità, che è ciò che è stato fatto per secoli a noi donne, private di uno status ontologico e morale pari a quello degli uomini e di fatto relegate al solo ruolo della maternità e della riproduzione. Le donne ribelli definite isteriche, ridotte a una parte del loro corpo (Il termine “isterica” ha la stessa radice della lingua greca per utero e fu coniato da Ippocrate per indicare una serie di disturbi provocati da quest'organo che rappresenta, secondo il modello della parte per il tutto, l'intero organismo femminile), pazze, schizofreniche (cioè donne uterine), incapaci di intendere e di volere, troie, cagne, zoccole, vacche. La donna ribelle, cioè colei non conforme alle imposizioni della società e cultura patriarcali e che tenta di sottrarsi ai ruoli stabiliti, è una donna che non funziona bene proprio in quella parte del corpo deputata alla riproduzione perché alle donne non si riconosceva intelletto, pensiero, tanto meno intenzioni e volontà, ma erano sempre e solo pura materia deputata ai figli o al piacere sessuale. Moglie o puttana. Utero per fare figli (per trasmettere il cognome del padre). Mogli e buoi dei paesi tuoi, quindi poste sullo stesso piano degli animali da acquistare alla fiera di paese; buone a, adatte a, con fianchi larghi e prosperose, come deve essere una buona madre, una buona vacca. Materia organica a rendere profitto ed eredi, braccia per lavorare nei campi.

        La dicotomia maschile e femminile si arricchisce poi di ulteriori concetti antitetici, quello tra natura e cultura, istinto e ragione, follia e buon senso, animalità e umanità.

Tutti concetti che ritroviamo nell’antitesi uomo e animale e nella gerarchia di valore in cui la nostra specie sta al vertice e a seguire tutte le altre, da quelle che ci assomigliano di più e quelle parecchio distanti da noi: homo sapiens parametro e misura di tutte le cose, di tutti i viventi.

        C’è quindi un legame fortissimo tra le femmine degli altri animali di cui viene sfruttata la riproduttività e noi femmine umane, con la differenza che mentre diamo valore alla nostra maternità (ma a sua volta elemento che ancora definisce l’esser donne, che include ed esclude), sfruttiamo quella delle mucche, capre, pecore, bufale, galline e altri volatili.

        Le mucche (e così le pecore, capre, bufale) vengono ingravidate a forza, letteralmente stuprate, al fine di ottenere la lattazione; separate dai loro cuccioli, i quali, se maschi, saranno nutriti con latte artificiale e mandati al macello non appena raggiunto il peso ottimale richiesto dal mercato, se femmine, talvolta allevate fino alla maturità sessuale per poi essere usate come le loro madri. Dopo una brevissima vita, massimo cinque anni, cinque anni di stupro, parti, separazione dai cuccioli e mungitura, vengono mandate al macello, così subendo un doppio danno, quello di essere state prima sfruttate e poi uccise.

        Se ciò lo consideriamo normale e naturale è perché, oltre a essere cresciute e cresciuti in una società patriarcale, abbiamo anche interiorizzato lo specismo, cioè la costruzione narrativa ed ideologica che sostiene, giustifica e legittima lo sfruttamento e l’uso in generale degli animali con dei pretesti che non sono altro che pregiudizi, ignoranza, luoghi comuni, falsità, ma validati da una scienza antropocentrica e quindi autoreferenziale che dà valore a tutto ciò che è di pertinenza dell’umano - maschio, bianco - e svilisce chi non conforme, anzi, di più, che ha proprio bisogno di svilire l’altro al fine di magnificare sé stesso.

        Sono diventata femminista perché ho potuto capire meglio questi processi culturali e sistemici materiali di esclusione e oppressione grazie al modo in cui trattiamo gli animali in genere e in particolare le femmine delle altre specie. Comprendere l’oppressione degli animali mi ha aiutata a comprendere l’oppressione delle donne in quanto analoghi sono i dispositivi di potere, simbolici e materiali, per opprimere l’alterità (donna in relazione all’uomo, animale in relazione all’umano).

        Io e la vacca, la cagna, la pecora, la gallina siamo individui senzienti complessi e non oggetti validati e considerati solo grazie allo sguardo e consenso maschili o  alla capacità di produrre un tot di litri di latte o di uova al mese. Non esistiamo in funzione di, ma in funzione di noi stesse, soggetti della nostra vita.

        La nostra esistenza è irriducibile a qualsiasi produzione, mercificazione, valore altro che non sia quello inerente all’esser soggetti della nostra stessa vita.

        Femminismo e antispecismo non soltanto si intersecano, ma si rendono necessari  perché le due oppressioni si legittimano e rafforzano a vicenda e non sarebbe giusto mettere in discussione i privilegi maschili senza mettere in discussione anche quelli della nostra specie sulle altre.

        È di qualche giorno fa la notizia, confermata da Lav, associazione per i diritti animali, di terribili esperimenti compiuti su dei ratti di sesso femminile per studiare gli effetti cognitivi e fisici della violenza sulle donne. In particolare: queste rattine sono state strangolate fino a pochi istanti prima di morire e in alcuni casi è stato necessario rianimarle.

        Mi domando a chi sia venuto in mente di studiare gli effetti di una violenza commettendo quella stessa crudeltà su altri esseri senzienti. Mi sembra follia, ma una follia normalizzata, legittimata, sistemica, quindi accettata e per questo ancora più pericolosa. Combattere un’oppressione opprimendo altri esseri senzienti per dimostrarne la crudeltà non può essere un processo che porta alla decostruzione simbolica e alla liberazione materiale delle donne, né di qualsiasi altro gruppo oppresso.

        Ecco perché non si può essere femministe se non si è disposte a mettere in discussione anche i privilegi della nostra specie sulle altre, cioè lo specismo. 

Rita Ciatti


Rita Ciatti si occupa di antispecismo e femminismo, è autrice di un saggio dal titolo “Ma le pecore sognano lame elettriche?” e di un romanzo “Buon pane, buon vino e cattiva gente”, entrambi pubblicati da Marco Saya Edizioni; tiene corsi di scrittura creativa e collabora con diverse riviste dedicate al veganismo e antispecismo. Vive a Viterbo.

Immagine di Andrea Festa. L'immagine, visti i temi trattati, è da considerarsi in pubblico dominio. Realizzata con l'ausilio dell'AI.



LETTURE ANTISPECISTE DI TEODORA MASTROTOTARO


Per ascoltare le letture di Teodora Mastrototaro cliccare sull'immagine.



Da Legati i maiali – Marco Saya editore


***

 

Madre, non ho il permesso per le stagioni:

devo crepare in assenza di stelle, in assenza di sole.

Nella trappola la verità di un fiore tagliato mi meraviglia

la sua crudeltà: siamo orfani da quando siamo stati partoriti.

Madre, andrò a dormire senza invecchiare, senza avere armi,

senza leccare la neve se mai arriverà.

Madre che infliggi la vita, guardami!

Non piango più, ormai ci somigliamo.

 

***

 

Sotto sedici mammelle una bara bianca

piccola quanto l’indice mozzato il martedì.

Di legno di acacia non profuma non ronza di api

ma petali neri di loto.

Unisco i punti dei tuoi peli e abito la costellazione

dove ora sei sepolto.

Sotto il cielo di cemento le macchie sul tuo pelo

sono stelle e sono spente.

Sepolta insieme a te ancora viva

per allattare chi si attacca con violenza della fame nella sete.

Le setole somigliano a tuo padre, la provetta bianca e nera

con impressa l’etichetta: un po’ porco un po’ stallone.

Tra le sbarre della gabbia cerco acqua

che col labbro che mi taglio è mista a sangue.

Compressi i muscoli per reggere il volume,

distaccata la capsula dolorosa,

ferite sulla fascia di nervi per il troppo turgore.

Sono io che ti ho schiacciato, io che ti ammazzo.

Stesa sul fianco il pancreas è dentro il duodeno

tu non guardi non guaisci gemente.

Lo spazio qui è stretto, l’azoto stozza il fiato...

Soffiarti dal grugno non alita vita.

Veglio la tua salma perché mi voglia ancora bene.

Raccolgo gli ultimi stracci di carne e lo faccio con cura.

Ti ho dato il cuore alla fine del giorno e l’ultimo grugnito

alla fine del tuo tempo.


***

 

Sottratta alla maternità

sono corpo morto che cade senza figli,

senza fili a cucirmi il cuore che resiste

nell’attesa della morte.

Sopravvivo al denudarmi del mio sangue

finché mi rendi spoglia dei miei figli.

Amami, mio amore, quando ancora ti sentivo 

nel vagito del tuo primo pascolo

all’aria chiusa del mio ventre.

 

Madre tu che insegui il mio cadavere in prigione

portami del latte - che io ne senta l’odore -

perché mi fanno cieco - ed è giusto che tu sappia -

che ogni tuo vitello è diventato un necrologio

scritto sulla pietra ancora prima di morire.

 

***

 

Siamo Mucche a terra,

mendicanti della nostra stessa carne.

Bestia che cade non riposa.

Con il trattore mi sollevi insieme all’erba nera

dove ho cacato immobile.

Sono il punto di partenza delle mosche.

Madre dalle mammelle che puzzano, dai capezzoli sporchi,

dal latte finito e dal figlio morto senza essere ammazzato.

China su di me rinnego il cielo e mangio la terra.

Divento la tua preda senza che tu possa turbarti

col sorriso che ti pende sottovoce.

Corpo senza bara scaricato come scarto

dentro al camion: scompaio.

 

***


Braccia lunghe con lunghi peli

estraggono dal ventre della vacca

la sua più bella malattia: un maschio.

 

La vacca sarà fecondata

per tornare a essere madre

di un figlio che sarà padre

di una figlia che sarà fecondata

per essere madre di un figlio

il cui seme lo renderà padre

di una vacca che sarà fecondata

per tornare a essere Matrioska

fino alla fine del seme

 


da Voce del verso animale – Pietre vive editore

 

Il collo incatenato alla parete fa del corpo

la prigione. Dalla porta che si apre

entra il tempo che dentro si spezza

e si fa giorno e poi la luna cieca

tra le palpebre di una madre mucca

muta incatenata.

Ore tutte uguali alle ore anche domani.

Le tue dita, uomo, battono una ninna nanna

una ninna mamma al ritmo delle urla di un

vitello - mio fratello-  figlio di una mucca

madre anonima.

Stretto su me stesso senza nome non esisto.

Dalla fessura una farfalla entra nella stanza

di mucche madri immobili allevate,

cerca una foglia sull’asfalto o una forma

che rassomigli a un fiore.

 

Da Il piano finale – Rivista Liberazioni n 57

 

Piano ventitré

 

Sono lapidi per terra

stese in gestazione

dal seno il nutrimento

che fa morire i corpi

sulle tombe-robot

automazione.

 

Tutto meccanico anche la sorte.

 

 


Da Il Riflusso – dalle vere testimonianze dei lavoratori dei mattatoi (monologo)


*

….

  Una volta ho sbudellato una vacca, no?

L’avevamo chiamata Brigitte e Bordò no, che è l’attrice preferita di Michele, Brigitte e Bordò eh, non la vacca.

Michele l’aveva chiamata Brigitte e Bordò e noi ci siamo messi tutti a ridere.

Michele si era messo a ballare con lei quando era a capa sotto, Brigitte e Bordò era a capa sotto non Michele.

Solo che Brigitte e Bordò era appesa ancora viva perché non era uscito tutto il sangue dalla gola.  Siccome era ancora viva no, si muoveva appesa a capa sotto e sembrava che ballava veramente con Michele! Brigitte e Bordò aveva le convulsioni e sembrava che ballava perché era un poco viva.

Comunque, pace all’anima sua, di Brigitte e Bordò, la vacca non l’attrice che non so se è morta! La vacca sì, sicuramente. L’ho sbudellata io!

Ho aperto tutta la pancia, no? E c’era al lato dello stomaco una cosa che era come una borsa no, tutta rossa no, per sbaglio ho squartato quella borsa…

Ho visto una zampa no, era del vitellino e ho capito che la vacca era incinta no?

Era uscito tutto il liquido.

Il feto era già formato, con il pelo addosso no, La vacca stava per partorire.

La vacca non teneva l’utero fragile come mia madre… stava per partorire no?

Allora Antonio mi ha detto: Di non perdere la testa, di sbudellare la vacca, e il feto di buttarlo lì!


E allora il figlio era li, rannicchiato sul pavimento no?

Come si dice, in posizione fetale, come i bambini dentro alle pance delle mamme no? Che stanno sicuri dentro alle pance.

Suo figlio era lì, coperto di sangue che sembrava un lenzuolo, un lenzuolo di lino, come il lenzuolo della mia prima notte di nozze quando si è sporcato.

Un lenzuolo che puzza di vecchio e di sangue quello che copre suo figlio, che era lì, caduto per terra in una cascata di liquido e merda e di sangue che gli dava colore, che luccicava dentro alle macchine grosse e di acciaio che la mattina sono tutte pulite e dopo si sporcano anche di feti riflessi.

Brigitte e Bordò continuava a ballare da sola, mentre il figlio caduto per terra le sfiorava la bocca col muso, mentre la madre ballava, a capa sotto.

Nel mattatoio le madri ballano a capa sotto cosi sfiorano il muso dei figli caduti per terra. Brigitte lo vedi?

…….



Teodora Mastrototaro, poetessa, drammaturga di testi teatrali, attivista per i diritti animali. La sua ultima pubblicazione di poesia antispecista è Il piano Finale, che affronta il tema del grattacielo (allevamento e mattatoio) dei maiali in cina, pubblicata sulla rivista di critica antispecista Liberazioni.  Da Aprile 2024 sta portando in scena il suo monologo teatrale Il Riflusso – dalle reali testimonianze dei laboratori dei mattatoi. La sua ultima performace è Per il nostro bene - Performance sulla sperimentazione su animali vivi, con il ballerino Stefano De Martino.