giovedì 13 marzo 2025

Una riflessione sulla scrittura di Beatrice Hastings, di Maristella Diotaiuti. Atti del Primo Convegno per Beatrice Hastings, Le Cicale Operose, 2021

 











Una riflessione sulla scrittura di Beatrice Hastings

di Maristella Diotaiuti


Per gli Atti del Primo Convegno di studi su Beatrice Hastings, Le Cicale Operose, 2021.

Uno dei meriti di questo workshop, tra i tanti che si potrebbero elencare, è di aver messo in rilievo, sia attraverso le voci teoriche che quelle narrative, il carattere proteiforme di Beatrice Hastings, della sua personalità, della sua scrittura, del suo pensiero, evidenziandone, in particolare, il suo essere “eccentrica”, cioè  fuori dal centro e, in ambito letterario, fuori dal canone consolidato.”  Il soggetto eccentrico, così come teorizzato dalla critica femminista,  è  un soggetto che sta dentro e fuori, è critico e autocritico. Pur essendo cosciente della sua determinazione storica, è tuttavia attivamente impegnato in un continuo processo di riscrittura del sé che gli consenta di posizionarsi in modo de-centrato, dis-locato, dis-identificato, al di là delle regole.”.[2]  E tale è sicuramente Beatrice Hastings, così come emerge dagli scritti presenti in questo volume. Soprattutto Hastings, come le altre donne eccentriche, riconosce nella scrittura un atto di sopravvivenza e di resistenza per le donne, e il segno della loro identità.

Per questo, Hastings, da oggetto di rappresentazione è voluta essere soggetto di scrittura, ha voluto raccontarsi, non farsi raccontare, non stare dentro una narrazione tutta declinata al maschile. Per Beatrice il femminile è percepito come l’altro rispetto al maschile, una alterità che emerge nella scrittura del sé che irrompe nel testo. 

Beatrice, infatti, scrive mettendo in campo la sua identità, la sua autobiografia e la sua esperienza, in una forte correlazione tra identità femminile, corporeità e scrittura/autorialità. Il corpo e la sua materialità si riflettono nella scrittura di Hastings in un discorso complesso e ricco di sfumature.

La scrittura di Hastings, a prima vista avvertita come complessa, difficile, astrusa, non è una scrittura estemporanea, anzi è il frutto di una ricerca consapevole, muove da una esigenza e da una constatazione precise. Nasce dalla consapevolezza che il linguaggio non è mai neutro, e che quello dominante è un linguaggio tutto al maschile che esclude la donna; per millenni l’uomo si è espresso in una lingua della quale era padrone, e avere la padronanza della lingua significa esercitare un dominio, un potere fortissimo. Quindi è difficile per una donna esprimersi in una lingua che la esclude, in un linguaggio nettamente patriarcale e inadeguato per la donna che deve far emergere la sua differenza.

Nasce da qui l’esigenza di una teorizzazione prima e di una elaborazione poi di una scrittura, di un linguaggio, di un testo  che portino con sé tracce di un vissuto diverso, tracce del sé che diventano parte della testualità, una lingua, un testo, quindi,  intessuti, intrecciati alla materialità dell’essere donna.

Tale teorizzazione avviene già  negli anni giovanili di  Beatrice Hastings,  ed è rintracciabile nel paragrafo di “Note d’Oriolo II”, pubblicato nel periodico The New Age il 18 aprile del 1908, pagine estremamente complesse dal punto di vista esegetico, ma significative nella vita personale e artistica di Beatrice.

Hastings, oltre a un profonda riflessione sull’arte, sulla creazione artistica, sul rapporto tra arte e vita, arte e realtà, e una accorata meditazione sulla condizione politica delle terre d’Africa, in queste pagine    sente la necessità di portare avanti una revisione del canone linguistico e letterario, sente  la necessità di ritrovare una tradizione al femminile, di riscoprire le voci delle madri. Inizia così un lavoro   di rilettura e revisione del linguaggio. E’, in una certa misura, il concetto di revisione che, anni dopo, sosterrà  Adrienne Rich, quando nel famoso saggio “When We Dead Awaken: Writing as Re-Vision”, sottolinea l’importanza dell’atto di “ri-guardare, di vedere con occhi nuovi un testo vecchio da una nuova prospettiva critica”. Analogamente Beatrice Hastings opera questo atto di revisione, più che sui testi, sul linguaggio, sottolineando implicitamente la correlazione tra linguaggio/identità di genere.

Simbolicamente Beatrice affida la sua ricerca linguistica, la sua teorizzazione, alle pagine dedicate all’Africa. Qui entra con forza la sua esperienza giovanile in terra d’Africa con tutte le suggestioni sensoriali, percettive, mitiche, magiche e, non ultime, linguistiche, che tanta parte hanno avuto nella elaborazione di una sua personalissima idea di scrittura.

In questo contesto storico-esistenziale africano, Hastings  ha costruito la sua Heimat che, come dice Elisabeth Jankowskj nel suo saggio “Ascoltare la madre”, è “un concetto legato alle relazioni affettive stabilite durante l’infanzia con persone, la lingua madre e il luogo d’origine”, e ha imparato a diffidare delle lingue egemoni, delle civiltà dominanti, di fisse identità. La lingua materna è per lei associata all’idea di una casa che non è una città o uno stato, ma un luogo di relazioni dove può ascoltare ed essere ascoltata.

L’Africa, per Beatrice Hastings, rappresenta, infatti,  il punto di partenza, il materno, il punto comune da cui ha origine il femminile, il recupero di una dimensione prelogica, prestrutturata, con i suoi elementi liberi, anarchici, da dove ripartire per una rinominazione, una risignificazione nonché riscrittura  delle cose, del mondo.

E’ l’Africa a fornire a Hastings il nutrimento della lingua materna, l’Africa sarà per lei sempre la madre da cui si proviene e alla quale si ritorna.

Come afferma  Hélène Cixous, le donne scrivono con l’inchiostro bianco, cioè con la memoria del latte materno che scorre dentro di loro, il loro corpo/testo è “una traversata di fiotti canori”.[3] Trovo estremamente significativo questo coincidente riferimento al canto, i “fiotti sonori” di Cixous e il canto dell’oriolo di Hastings, uccello reale e simbolico nello stesso tempo. E’ il suono, la vibrazione della terra, è la voce materna che ci accompagna per tutta la vita come un brusio, una nenia, quella che Ida Travi in “Poetica del basso continuo” definisce come “[…] qualcosa di basso e ripetuto, anche un po’ ossessivo, qualcosa che si poteva misurare facilmente, qualcosa di molto imparentato al battito del cuore ...”.[4]

E Beatrice scrive, in Note d’Oriolo IV (The New Age, 25 luglio 1908), creando una forte connessione tra suono e parola: “Sillabe che si gonfiano in un suono, […] Le ascolto avvolgendosi nella spirale della mia mente: e il mio orecchio intorno le va accordando. Spuntano sulle mie labbra e dico A con l’erba, B con le api, O con gli uccelli  […] cantano la canzone che Eva gli insegnò.”.[5]

Si afferma così una scrittura che si riconosce in una fluidità senza fine, un parlare del corpo sulla pagina bianca in segni che affermano la differenza e il potere dell’immaginario femminile. Il testo diventa allora un’opera aperta fondata sulla circolazione del desiderio, dell’eccesso, dell’arcaico perduto di cui emergono però delle tracce.

Nel paragrafo Note d’Oriolo II, Beatrice Hastings si riferisce ad un viaggio attraverso il deserto, una terra desolata, una regione della pre-parola, per cui l’atto di Hastings di ordinare gli oggetti in una lista, equivale all’atto di rinominarli. Vuol dire rivendicarli e ridare loro una nuova esistenza, una nuova carica di significazione.

 

Acqua : fango : albero : mobilio chippendale

Acqua : fango : girino : cotolette de crapaud

Acqua : fango : io : aulici versi.

La vita si fa beffe di chi vuol fare un inventario”[6]

 

 E’ una esposizione oggettivante, paratattica che si affida alla variazione nell’identico. Le combinazioni semantiche sono infinite, non è possibile quindi una cristallizzazione della parola in un significato univoco, come invece fa il linguaggio normato. La parola, quindi, si apre ad una libera associazione di idee, di immagini, di senso, che è prima di tutto libertà di pensiero, fantasia, immaginazione.

Hastings si avvia, così, ad elaborare un nuovo stile spezzato, vario, che assecondi il flusso mutevole dell’esistenza, uno  stile che possa infrangere il decoro,  la compostezza omogenea della scrittura.

 Scrive più avanti, sempre in Note d’Oriolo II, “Non abito tempio alcuno. Quant’è rigido il linguaggio, sfuggente il pensiero. Scrivo, per i poeti, che eternità di pensiero separano parola e parola […]”.[7]

Da queste premesse Beatrice Hastings  approda, così, ad un linguaggio e uno stile che potremmo definire burlesque: uno stile leggero e sofisticato, vario e mosso, perché, secondo Beatrice, varia e mossa è la vita, è la realtà.  Un linguaggio, uno stile in cui convivono seduzione ed ironia, con una buona dose di esibizionismo e di verve parodistica, a tratti sarcastica. Un lessico, un sistema linguistico, tutto al femminile che innova, certamente, ma che, al tempo stesso, attinge alla lingua arcaica, ancestrale, che quindi si muove tra il nuovo e la tradizione.

Una scrittura solo apparentemente disorganica, divagante, sempre appassionata, dirompente, a tratti lirica, soprattutto nelle pagine dedicate all’Africa.

 Una lingua aperta, quindi,  ma nello stesso tempo lingua sincera, aderente all’oggetto, perché, come la lingua materna a cui tende, “è concreta, non astrae. Perché è dinamica, narra per eventi … va avanti non si sofferma”,[8] e ancora “Una lingua che nomina le cose per quelle che sono: questa è la bocca. Questo è il seno. Questo è un albero. Questo è un uccello. Questo è un fiore … Una lingua che nomina quello che è, nient’altro. Non ci può essere fraintendimento. Eppure si tratta di tutt’altro. Questo può fare la lingua parlata sul nascere: indica la realtà mentre crea immagini.”.[9]

Mi sembrano riflessioni che ben si attagliano alle sperimentazioni che Hastings andava svolgendo nei primi anni del ‘900 sul linguaggio e sulla scrittura, e che ci testimoniano una filiazione e una convergenza tra donne, tra intellettuali e poete, che va assolutamente evidenziata.

Una scrittura fortemente aderente alla realtà certamente, quella di Hastings, ma con ampi ricorsi all’immaginifico, individuando nell’immaginazione una qualità sapienziale e rigeneratrice, una funzione trasgressiva, rivoluzionaria, il fulcro da cui far partire le sue istanze libertarie e di opposizione alla normalità programmatica che costringe gli individui dentro una uniformità mediocre e grigia, reprimendo gli slanci del gioco e della fantasia, della bellezza e della libertà.

Una lingua, quindi, divergente, eccessiva, eccentrica, oppositiva anche e soprattutto alla imperante normazione maschile,  per questo inaccettabile e di fatto inaccettata dall’egemonica presenza maschile nel mondo culturale di inizio novecento.

E’ quanto di solito gli uomini intellettuali rimproverano alle donne di scrittura, di essere eccessive, umorali, irrazionali, sentimentali. Ad Antonia Pozzi, per esempio, è stato  rimproverato, dal suo amico Remo Cantoni, un certo “disordine  nella scrittura, nel suo poetare, che era però anche disordine nelle idee, nella vita. In realtà quello che disorientava Cantoni, e che non sapeva cogliere nella scrittura di Pozzi, era il fatto che più che di disordine nella scrittura di Pozzi  c’è uno scarto,   un non allineamento. Come Antonia Pozzi anche Beatrice Hasting non si muove a suo agio nell’ordine del discorso che crea costantemente un sistema, se ne tira fuori, ed elabora un suo ordine basato sullo sbilanciamento, sullo squilibrio.

Per Hastings è paradigmatico in proposito l’atteggiamento di Ezra Pound.

Ezra Pound scrisse un articolo, all’indomani della partenza di Hastings per Parigi come inviata del The New Age, comparso nel 1918 sul giornale di Chicago “The little review” di Margaret Anderson, dove troviamo queste parole: “uno dei fondatori (del The New Age, cioè Alfred Orage) si è finalmente liberato di un’amante che può essere considerata una puttana e che scrisse copiosamente nel giornale, interferendo con tutti gli autori degni e, generalmente, volgarizzando il giornale. Lei è - grazie a Dio – andata nel continente ed è stata sostituita qui (spero permanentemente). C’era, nel precedente ordine delle cose, una costante smania editoriale di provare il primato della scrittura femminile (che sfortunatamente lei non rappresentava). Il giornale adesso stampa occasionalmente articoli leggibili”.

Questo articolo di Pound è la replica a posteriori di uno scritto, non l’unico,  di Hastings uscito sul The New Age, nell’ottobre del 1913, in cui lamentava la presenza copiosa e dilagante di Pound nel giornale (Pound fu assunto nel giornale nel 1908, dopo il suo arrivo a Londra) e ne criticava lo stile, giudicandolo “ambrosia réchaufée dal poeta più semplice che io conosca”.

Gli scontri tra i due furono forti e numerosi. La reazione di Ezra Pound è quella consueta degli uomini di fronte alle critiche che vengono loro mosse dalle donne: il discredito, la censura, e la rimozione.

Beatrice Hastings è stata sicuramente una donna divergente, deviante dal modello programmato, fuori dalle figure della femminilità codificata. Con i suoi scritti ha detto la rivolta, l’insubordinazione. Ha rivendicato il suo essere femminile attraverso una scrittura la cui cifra è l’eccesso, la dismisura. Beatrice ha fatto della scrittura il luogo per eccellenza della sua individuazione e lo strumento del suo stare al mondo.

Per Hastings - come sarà per Audre Lorde - la possibilità di sottrarsi alla violenza del linguaggio che inchioda in una identità passa attraverso la rottura del silenzio, attraverso la possibilità della presa di parola, e Hastings è stata donna di parola, donna sostenuta dalla parola e dal corpo, entrambi liberati dalla censura e dalla rimozione. Era quindi inevitabile che fosse avvertita come un’infrazione, una devianza, e quindi andava cancellata e dimenticata.

E’ l’uso sovversivo del linguaggio, che permette la resistenza all’atto linguistico del potere, ma è un uso complesso, difficile da esercitare, perché il linguaggio del potere è sempre capace di riassorbirlo, di ripiegarlo all’interno del proprio discorso.

Da qui l’imperativo di opporre la propria singolarità, la propria divergenza. L’infrazione di Beatrice Hastings è tutta in una costante tensione verso l’emersione della singolarità, perché  la resistenza, alla violenza del mondo, del pensiero, del linguaggio dominante maschile, si situa proprio in ciò che il linguaggio non può afferrare, cioè nella singolarità insostituibile.

E’  un nuovo uso del linguaggio che fa riferimento al legame della parola con il corpo, che non è mai un corpo in generale, ma sempre un corpo singolare al confine tra molte identità; anche in questa chiave vanno lette   le molte identità in cui Hastings si declina, le molte definizioni di sé che sfondano i confini delle identità decostruendole e moltiplicandole. Per questo  la riscrittura delle parole per Hastings deve passare attraverso un riscrittura del corpo, e attraverso lo spostamento del corpo biologico in testualità vivente. Il corpo è quello sessuato, è il corpo desiderante, capace di stabilire legami, di costituirsi come testo, attraverso quello che Lorde chiamerà “il potere dell’erotico”. E’ un corpo che parla con la propria voce, facendo risuonare a suo modo il suono delle parole, impregnandole del proprio stile, apponendovi la propria firma, inventando i propri pseudonimi, enunciandosi, performandosi e reinterpretandosi. In questo modo le parole determinano nuove configurazioni del reale, nuovi rapporti, strutturando un mondo in cui le differenze non subordinano e separano, ma mettono in comunicazione.

 




[1] 

[2] Botta, Farnetti, Le eccentriche scrittrici del Novecento, Tre Lune ed., 2003

[3] Hélène Cixous, “Il riso di Medusa”, 1997,  p. 230

[4] Ida Travi, “Poetica del basso continuo. La scrittura, la voce, le immagini”, Moretti&Vitali ed., p. 15

[5] Diotaiuti, Tortora, Beatrice Hastings in full revolt, 2020 p. 137.

[6] Ibidem, p. 130

[7] Ibidem p. 132

[8] Ida Travi, “L’aspetto orale della poesia” Moretti&Vitali ed., 2007, p. 38

[9] Ida Travi, “Poetica del basso continuo. La scrittura, la voce, le immagini”, Moretti&Vitali ed., 2015, p. 61