Quodditas, di Lucio Macchia
Alcuni rimasero aggrappati al presente e all’immediato, a ciò
che offre la propria presenza e dona la propria figura, a ciò che tremola tanto
è vicino. (M. Zambrano, Filosofia e poesia)
È molto arduo illustrare cosa si intenda in filosofia con il termine quodditas. Per tentare di farlo, partiamo dal concetto rispetto al quale tale prospettiva è sorta, ovvero il concetto di quidditas. Quidditas rimanda a quid ovvero alla domanda cos’è questo? Cos’è questo albero? La domanda e, conseguentemente, la risposta si inscrivono nell’ordine della formula, dello schema, della rappresentazione, dell’essenza. Alla voce Treccani troviamo che un ALBERO è una pianta perenne (cioè che vive più di due anni), legnosa, che ha un fusto a forma di cilindro detto tronco e si espande verso l’alto con rami…cioè troviamo una classe di appartenenza, un’astrazione, un’identità. Non sappiamo nulla di questo specifico albero che abbiamo di fronte durante una passeggiata, anzi il linguaggio della quidditas ci allontana dalla specificità della cosa. È questa la natura del logos razionale che da Platone in poi informa tutta la nostra civiltà. L’idea al posto della cosa. L’identità in luogo della differenza. L’idea è ciò tramite cui si può dire che cos’è quid. Si può darne l’identità, farne il disegno e darne la definizione nel senso. È ciò che chiamiamo l’essenza (Miller, L’Uno-tutto-solo). Eppure, l’idea ci strappa dalle cose. Il poeta, come Zambrano dice in un passo che amo sempre citare e ricordare, tenta di riconnettersi alle cose prima di questo strappo. Quella dimensione di ricongiungimento non è dicibile né pensabile perché è fuori dal logos costruito come identità. È una dimensione dell’ordine dell’esistenza specifica di quel singolo albero, della sua differenza e singolarità che ci si ripropone ogni volta, come ciò che specificatamente c’è, esiste e insiste (cfr. Deleuze) e che noi, ogni volta, soffochiamo nell’identità dell’idea. Quest’orizzonte impossibile, questa tensione verso l’esistenza singolare, apre alla quodditas, al ciò che è in quanto tale, unico, irripetibile. A ciò che non si lascia dire come un quid, del quale Non si può dire che cos’è, ma solo che è (Miller, L’Uno-tutto-solo), di cui non sappiamo nulla poiché non lo intercettiamo con gli strumenti del logos, ma che il poeta tenta comunque di raggiungere, pur dall’interno del linguaggio, quindi operando in una totale antinomia che è proprio il marchio caratteristico dell’espressione lirica. L’esistenza precede l’essenza, ha detto Sartre. Specularmente, la quodditas precede la quidditas e la quidditas porta in sé una nostalgia per la quodditas perduta. All’interno di questa temperie nostalgica abita il gesto poetico.
Immagine: E.
Schiele