venerdì 31 gennaio 2025

Semiosfera e Complessità: introduzione a un metodo jazzistico a tre dimensioni. Di Enzo Nini.

 









Per la rubrica Semiosfera in Interplay, a cura di Enzo Nini:


Semiosfera e Complessità: introduzione a un metodo jazzistico a tre dimensioni. 

Definire le esperienze percettive è sempre difficile, io proverò a descrivere questa plurima possibilità, nonostante la sua apparente complessità”.

 Jurij Lotman ha chiamato SEMIOSFERA  lo spazio nel quale i diversi sistemi di segni in una cultura, la lingua, l'arte, le scienze ecc., possono sussistere e generare nuove informazioni.

È un processo individuale che tutti conosciamo quando viaggiamo non solo come turisti , ma come facevano gli esploratori di una volta, immergendoci negli odori, nei suoni, nelle immagini, nell'area dei processi dinamici interrelazionali di un ambiente che cominciamo a conoscere, nel quale ci addentriamo e che complessivamente assorbiamo come esperienza di una determinata cultura. 

È questo il caso in cui l'interazione avviene con dei fattori visivi, sonori, olfattivi che sinesteticamente noi viviamo attraverso i diversi linguaggi.

Un altro ambito in cui avviene questa percezione semiosferica è il sogno, il desiderio, l' amore.

Sono cose che succedono” e che sono fortemente legate alla nostra psiche e alla nostra cultura. 

Questo fin troppo lungo discorso è soltanto una premessa ad un'osservazione , a un metodo che può sembrare molto complesso; ma la realtà che ci circonda, anche quando ci appare familiare, è complessa. Quando vediamo una mela, la definiamo di colore rosso: da bambini la conosciamo così e quanto i bambini possono insegnarci sulle sinestesie espressive; quando vediamo il cielo lo definiamo più o meno azzurro; un bosco è verde e marrone; il mare è blu. Eppure se osserviamo davvero una mela da vicino, vediamo che le componenti visibili che ci fanno dire che la mela è rossa sono una falsa affermazione, perché in realtà è fatta di tanti altri colori. Così avviene col bosco, col mare col cielo: quanti verdi, quanti marroni, quanti colori fanno parte di quello che vediamo.

 Lo sanno bene i pittori figurativi che prima dellevento della fotografia cercavano di riprodurre con tecniche sempre più avanzate quello che vedevano.

Quindi quello che può sembrare complesso non è necessariamente difficile” ma è solo composto da elementi percettibili che ne costituiscono la sua ricchezza e unicità estetica.

La complessità” in tal senso, è quella dimensione che Edgar Morin, il grande filosofo vivente che da un bel poha superato i 100 anni, ci invita a coltivare per capire davvero la realtà dei nostri tempi.

E quindi la complessità dellInterplay può apparirci caotica come il centro di Napoli invaso dai turisti, ma se sappiamo muoverci nel modo giusto ne percepiremo i suoni e i colori come unicum” dellesperienza fatta.

LInterplay è, nellambito della musica jazz, quel viaggio” che intraprendono i musicisti dopo aver steso un tema convenuto verso lavventura sonora che nessuno conosce fino alla sua realizzazione. Ci si ascolta reciprocamente mentre si esegue, comprendendo, nella sua esecuzione, gli stimoli e le provocazioni possibili.

LInterplay è qualcosa di magico: immaginiamolo come sarebbe la comunicazione verbale umana se fossimo in grado di ascoltare mentre parliamo. Sarebbe un flusso verbale reciproco in cui la comunicazione è totale e quindi influenzata da quello che stiamo ascoltando e comprendendo(,) quindi producendo un dialogo sempre diverso e inimmaginato . Il dialogo infatti è  inevitabilmente  influenzato da quello che comprendiamo mentre esprimiamo linizio del nostro discorso precedentemente concordato quale tema dellargomento. Importante e basilare è, quindi, saper ascoltare e comprendere per dialogare, contrastare o accompagnare coerentemente il discorso dellaltro.

LInterplay è una sorta di palleggio di idee ascoltate ed espresse tra più persone, la cui reciproca e corretta comprensione permette un flusso coerente o in contrasto. Come una dialettica del linguaggio e dellascolto, che avviene nel tempo e sul tempo e nella mutua comprensione di un discorso non concordato.

Ognuno di noi ha un suo modo personale di ascoltare che si combina in modo maggiore o minore con quello di altri, esso dipende da vari fattori come la tradizione musicale a cui ci si riferisce; è comunque raro trovare due persone che ascoltino allo stesso modo la stessa musica. C’è chi ascolta conoscendo un repertorio più vasto di altri, chi riesce a selezionare culturalmente quello che sta ascoltando, chi si basa unicamente sulle proprie emozioni o su quelle prodotte dalla musica ascoltata. Nel caso del jazz noi stiamo parlando di una musica che è nata da una comunità e da una esigenza umana che definiamo prossimità e si è fatta comunità nel rapporto tra i musicisti e nel rapporto degli ascoltatori con i musicisti. In fondo quello che hanno in comune i musicisti e il pubblico è latteggiamento dellascolto: finalizzato e produttivo quello del musicista, fruitivo quello dellascoltatore, ma non è molto diversa lattenzione con cui ci si comporta rispetto a un vero ascolto.

Ora immaginiamo lo stesso processo allargato alla parola: in tal senso noi quando dialoghiamo con altri improvvisiamo quello che diciamo, e, salvo che per parole che ci aspettiamo come un pronto? ”, un buongiorno!” o un grazie” non sappiamo quello che ci verrà detto o che risponderemo in un dialogo: un Interplay appunto.

Durante un reading di solito il testo è determinato e la musica agisce e danza intorno, ma immaginiamo che il lettore si comporti come il musicista di jazz e modifichi il flusso sonoro delle parole sulle provocazioni” musicali; avremmo un reale Interplay a due dimensioni. Con larte figurativa avremmo un terzo performer che agisce nel nostro Interplay. Non come quando il flusso sonoro tra parola e suoni diventa una colonna sonora di tipo cinematografico, ma come azione visiva” estemporanea. Qui grazie allelettronica, le potenzialità visive possono interagire e variare quanto inizialmente mostrato come tema, e l’ “azione visiva” diventa performativa e interagente con gli altri linguaggi in tempo reale.  

In altri termini i colori, e le forme elaborabili con un computer, le citazioni da ritagli” di film o di altri riferimenti visibili evocheranno, mostreranno, agiranno sulla percezione visiva secondo lo stesso principio con cui abbiamo immaginato questo nuovo rapporto di derivazione jazzistica.

Un Interplay tridimensionale, quindi, di interazione come avviene per un quartetto di jazz, ma con possibilità di estetiche tridimensionali” estemporanee.

Il discorso non finisce qui ma, come disse Frank Zappa, parlare di musica è come ballare di architettura per cui arrivederci alla prossima performance di jazz tridimensionale, di Semiosfera in Interplay.

Enzo Nini

 

Per chi volesse approfondire:

1. Ingrid Monson “Saying Something, Jazz Improvisation and Interaction”

2. Jurij Mihajlovic Lotman “La semiosfera”

3. Edgar Morin “La sfida della complessità”




Claudia Ruggeri. Per il ciclo Clandestine, a cura di Maristella Diotaiuti.

 







Per il ciclo Clandestine, grandi poete dimenticate, alle Cicale Operose: Claudia Ruggeri,

a cura di Maristella Diotaiuti; Letture:Aldo Galeazzi; Musica: Nico Gori (piano, clarinetto).

Volumi di Claudia Ruggeri pubblicati con Terra d'ulivi Edizioni grazie all'azione meritoria di Elio Scarciglia di recupero dei testi di questa grande poetessa.



Cliccare sull'immagine per le letture di Aldo Galeazzi con il commento musicale di Nico Gori.


Appunti di Maristella Diotaiuti (Le Cicale Operose) per la presentazione dei volumi di Claudia Ruggeri.

Claudia Ruggeri e la sua poesia oltrecanone.

La poesia di Claudia Ruggeri si colloca in quella temperie culturale tra gli anni ‘80 e ‘90 del ‘900 in cui si andavano esaurendo le ultime spinte avanguardiste del gruppo ‘63, e quindi si andava verso una rinnovata spinta espressionista, e un diffuso simbolismo postmoderno sul modello forte di Milo De Angelis.

Ma questa attualità poetica non ha avuto una particolare influenza su Claudia Ruggeri-poeta così potentemente autoreferenziale, così lontana da avvicinamenti o compromessi, certo era però attenta a quanto accadesse intorno a sé. E anche la sua marginalità geografica, il fatto di essere una intellettuale Salentina, lontana rispetto ai grossi centri culturali ed editoriali, se l’ha esclusa da un immediato successo ha fatto anche in modo che la sua ricerca poetica si svolgesse senza condizionamenti.[…]

Claudia Ruggeri completa la sua prima raccolta “Inferno minore” dedicando e inviando il dattiloscritto a Fortini, accompagnandolo con la lettera del 1 marzo del 1990. Ma la risposta di Fortini la deluse moltissimo […], e da quel momento in poi Claudia non si sentirà capita né come persona né come poeta. Perché la poesia di Claudia Ruggeri è una poesia oltrecanone, nel senso che si colloca al di fuori del canone letterario da sempre declinato al maschile, nel senso che è una scrittura fortemente connotata al femminile, soprattutto nel suo essere scrittura dell’eccesso: eccessiva, ridondante, barocca, l’ha definita Fortini nella famosa lettera, Fortini invitava Ruggeri ad asciugare la sua parola poetica. E’ la stroncatura toccata in sorte a molte poete donne quali, ad esempio, Antonia Pozzi e Goliarda Sapienza. Lo stesso appunto viene oggi fatto alla scrittura di Beatrice Hastings, di essere ridondante.

In realtà la poesia di Ruggeri è una indagine, drammatica, dolorosa, sulla natura enigmatica del linguaggio, la sua inadeguatezza a descrivere la realtà, l’inconciliabilità tra significato e significante. La confusione, il disordine comunicativo, l’accumulo, appaiono a Ruggeri la soluzione più adatta per rappresentare il subbuglio della sua interiorità, e per rispecchiare, più in generale, lo spaesamento vissuto dall’uomo nella sua vita di ogni giorno. Ed è quindi una scrittura accumulativa, ridondante, perché deve lacanianamente compensare il vuoto che Ruggeri avverte come universale; la sua espressività proteiforme parte da una mancanza, da un’assenza, un vuoto che è di tutti, ma del quale non tutti sono pienamente consapevoli, solo il poeta, l’artista ne ha coscienza ed è suo compito convocare con la parola questo vuoto e cercare di colmarlo.

Claudia ha inventato una nuova lingua letteraria, un nuovo canone, come pochi sono riusciti nella sua generazione. Si tratta una lingua poetica tesa fino allo spasimo, in cui la parola è sempre fortemente stressata, aggredita con una forte esigenza di manipolazione (che sfocia nel dominio) un linguaggio in cui le parole sono continuamente caricate di sensi inediti e multipli. Claudia realizza un plurilinguismo e un pluristilismo molto simile a quello dantesco, in cui trovano posto tutte le letture, le conoscenze, i modelli di cui si è nutrita, un linguaggio svincolato da ogni convenzione e apparentemente privo di coerenza sintattica. Un pastiche linguistico fatto di incrinature, anche infrazioni, deformazioni lessicali, parole trobadoriche, riferimenti colti e popolari, tradizione italiana, orfismo, un simbolismo volutamente esasperato. E’ un linguaggio provocatoriamente antilirico: perché per Claudia la poesia non deve accarezzare il lettore, ma lo deve mettere in crisi, irritare, la poesia non deve mettere ordine, ma scompigliare, non deve domare il caos ma crearlo, la poesia non può essere accomodante, lenitiva, ma creare fratture, ferite, spaccature.

[...]

In quanto anarchica, la scrittura di Claudia è un problema per il lettore ma lo è soprattutto per la critica, per l’imperativo categorico che muove gli studiosi, gli esegeti, di catalogare, dare un nome, racchiudere in un canone le varie scritture. Un’operazione questa estremamente complessa, e a volte anche ingiusta, ma direi inopportuna se non proprio sbagliata, come nel caso della poesia di Claudia che non si riesce né si può né si deve collocare in un ambito, circoscrivere in una nozione ben definita. Le parole poetiche di cui si serve sono quasi impossibili da tradurre in un commento prosastico. Per cui ogni tentativo di lettura critica non può che essere provvisorio e superficiale.

Claudia era dentro una disperata vitalità (che bruciava la spazio tra i settenari e lo spazio bianco della pagina), che disperatamente voleva affermare la bellezza della vita, la bellezza persino della contraddizione, della fragilità, della indecisione. E Claudia era una donna sospesa, oscillante, bloccata su una soglia labile, sul confine. Non voleva rinunciare alla vita. ma era anche figlia di una terra tellurica, quella terra che convive quotidianamente con la morte, ha un rapporto speciale con le ombre, con dimensioni altre, e che ha generato la Sibilla, discendeva cioè da frasi che non si lasciano immediatamente decifrare ma che si ricompongono nell’animo di chi le coglie. Doveva parlare per ambiguità, e così ha fatto, perché solo nell’ambiguità poteva aderire alla totalità della creazione a cui aspirava, e in quell’ambiguità è rimasta sospesa.

Maristella Diotaiuti

 






mercoledì 29 gennaio 2025

Pasquale Lenge invita Alfredo Panetta, poeta dialettale calabrese.

 

Pasquale Lenge:

Quarcarunë recë

nù mena, sëccata

a quarcarunatë venë

lu trëmulizzë, la mbosta!


Ciuccië pè jastmà

mulë pé fatëá

cavaddë pè camnà


pè passà la jumara

amici sincirë e carë

quà lu screvë

qui l'ho detto

invito faccio al poeta

Alfredo Panetta.


Pasquale Lenge (poeta Lucano, curatore della rubrica Torrenti):

 "Si tratta di un invito ad attraversare il torrente; qualcuno afferma che è secco, altri, paurosi (trëmulizzë), che è in piena. Ognuno con i suoi mezzi simbolici: asini per bestemmiare, muli per lavorare, cavalli per viaggiare. Per guadare il torrente, amici sinceri e cari, poeti."



Lettura di Alfredo Panetta (in dialetto calabrese e in italiano), poeta calabrese, della poesia A folia d’a cucugghjiata (cliccare su questa immagine per ascoltare l'audio).



A FOLIA D’A CUCUGGHJIATA

 

Chiji chi si ndi jiru eranu

cristiiani nosthri. Ndi mancanu

i sò parrati, a caminata, i sònna.

A vita, bastarda! non rigala mà

na nticchjia ‘i tempu ‘i cchjiù.

Non nci spija ma’ com’è

a nu zuccu portatu d’a chjina

e mancu ò juncu vigliaccu

se ammata ò brisciri si prìcanta.

Nto nthramenti, iji e nui perduti

comu se u mundu fussi

sulu nto prisenti o d’i vivi.

 

Sarria nicessariu mu si mbattinu

ad unu ad unu, suli senza

specchjiu, menthri a non penzata

facianu pipì o l’amuri.

Tornari è jorna quandu

l’idea mu si dassa u Temphu

era l’urtima, sjancata, d’a lista.

 

E mbasciari ò hjiumi, zalari

‘n versu è hjiuri d’i bardani

scippari d’a rina na stroffa d’inula mbiscusa

jettari petrhi nt’è rivuleji

o tirarisilli ncoju. E jà

na bufficeja, jà n’agranciu

jà na belladonna… attenzioni!

D’a stroffa d’elicrisu si lurgi

‘n volu na cucugghjiata.

Nc’esti na folia bellissima

cu quatthru ova janchi a màcula

e ognunu ‘i nu, vivi e morti

tutti ngrugnati dinta.

 


IL NIDO D’ALLODOLA


Quelli che sono andati via

erano gente nostra. Ci mancano

le loro parlate, i passi, i sogni.

La vita, bastarda! non regala

mai un supplemento di tempo.

Non chiede mai com’è

a un tronco trascinato dalla piena

né  al giunco codardo

se ancora si stupisce all’alba.

Intanto, loro e noi persi

come se il mondo fosse

solo nel presente o dei vivi.

 

Sarebbe necessario rivederli

ad uno ad uno, soli senza

specchio, mentre distratti

facevano pipì o l’amore.

Tornare ai giorni in cui

l’idea di lasciare il Tempo

era l’ultima, sbiadita, della lista.

 

E scendere al fiume, urlare

un verso ai fiori di bardane

cavare dalla rena l’inula viscosa

gettare sassi sui rigagnoli

o tirarseli addosso. E lì

un ranocchio, lì un granchio

lì una libellula e…attenti!

Dal cespo d’elicriso s’alza

in volo un’allodola di fiume.

C’è un nido bellissimo

con quattro uova bianche

chiazzate, e tutti noi, vivi

e morti, accovacciati dentro.



Note biografiche

Alfredo Panetta è nato nel 1962 a Locri (R.C.). Nel 1981 si trasferisce a Milano dove tuttora vive e lavora nel settore infissi in alluminio. Scrive nel dialetto calabrese reggino della Locride. Ha pubblicato 5 raccolte di poesia, di cui la prima è Petri ‘i limiti (Pietre di confine, Moretti& Vitali, 2005); e l’ultima Ponti sdarrupatu (Il crollo del ponte, Passigli 2021). Di recente è uscito Canthu e Cuntracant (Canto e Controcanto, Puntoacapo editrice), lavoro a quattro mani con Giovanna Sommariva sul tema dell’emigrazione. Suoi testi sono contenuti in varie antologie: L’Italia a Pezzi, L’Almanacco della Poesia Raffaelli 2019, L’impoetico Mafioso, Il grido della terra ecc. Collabora con i  Blog di Angela Caccia e della Casa della Poesia al Trotter di Milano, dove ospita i maggiori poeti dialettali contemporanei. Ha condotto laboratori di Poesia per bambini nelle scuole primarie di Lecco e Gallarate. È membro di varie giurie di concorsi letterari per dialetto e in lingua. Tra i premi vinti: Montale, Pascoli, Gozzano, Noventa-Pascutto, Lanciano, Nosside, San Domenichino e altri. 


Le Cicale Operose ha avuto il piacere di ospitare Alfredo Panetta in occasione del Festival di poesia VOCI, II Edizione, dedicato alla poesia dialettale, invitando poeti di varie regioni d'Italia.










Sulla militanza politica di Beatrice Hastings.

 




Sulla militanza politica di Beatrice Hastings.

Beatrice Hastings, donna fabianista e poi militante comunista, editrice, giornalista, scrittrice, femminista libertaria, ha teorizzato un femminismo d'avanguardia, moderno, ancora oggi attuale e dirompente.

Donna libera “dalla nascita”, ha voluto affermarsi con tutte le sue forze in un mondo al maschile.

Il suo femminismo anarchico, prima di essere strategia normata di vita, è essenzialità di natura. Si esprime in un inesausto bisogno di libertà e di affermazione di sé. Per questo Beatrice è sempre contro, eversiva, dissenziente, dissonante, perciò avvertita come anomala, come violazione all’ordine costituito, finanche da alcune femministe contemporanee! Ed anticipa i più importanti punti nodali più avanti affrontati e teorizzati dal femminismo degli anni ’70.

Punta per tutta la vita, anche attraverso la sua scrittura originale e graffiante, a smantellare l’architettura ideologica, economica e sociale del potere capitalistico e patriarcale.

Per questo Beatrice Hastings è sempre al fianco di chi agisce concretamente per affermare e difendere la libertà di pensiero e di azione, i diritti primari degli individui e dei corpi sociali.

Conosce Emma Goldman a New York nel 1904-5 (Free Speech League), alla quale dedicherà, nel 1909, il suo saggio femminista "Woman's Worst Enemy: Woman". Grazie al lascito di Goldman abbiamo potuto rintracciare e raccogliere il prezioso allegato di Hastings alla rivista The New Age per la sua ripubblicazione.

Accoglie, nel suo giornale The Straight Thinker (1932), l’appello di Sylvia Pankhurst e del di lei compagno anarchico italiano Silvio Cori per salvare e liberare Velia Titta, la quale, dopo l’assassinio del marito, Giacomo Matteotti, è strettamente sorvegliata dai fascisti di Mussolini.

Nel 1932 si iscrive al Partito Comunista (Communist Party of Great Britain) e partecipa, il 4 ottobre 1936, alla Battaglia di Cable street, manifestando, insieme ai suoi compagni anarchici (tra i quali l’amico e editore Charles Lahr) e comunisti, contro la parata provocatoria dei fascisti di Mosley nel quartiere popolare di White Chapel.

[…]

Voce dissonante, quindi inascoltata e solitaria, è rimasta fedele alle sue idee nell’intero arco della sua vita.

Muore suicida, per le atroci sofferenze dovute a un cancro in fase terminale (referto autoptico: “organi interni devastati”), il 30 ottobre del 1943.

Federico Tortora

(nelle foto: Battaglia di Cable street; comizio di Emma Goldman a New York)

 


Per Beatrice Hastings. Tour di presentazioni del volume La Commedia delle fanciulle.

 





Per Beatrice Hastings.

In questo cartellone (bozza) inseriremo man mano le date del nuovo tour italiano per promuovere la nuova opera inedita di Beatrice Hastings raccolta da Federico Tortora (come per i precedenti volumi), La Commedia delle fanciulle, Terra d'ulivi Edizioni, a cura di Maristella Diotaiuti , traduzione di Rubina Valli, che ringraziamo per il grande impegno profuso nell'avvicinare la scrittura di Beatrice Hastings e per il suo entusiasmo.
Ringraziamo Elio Scarciglia, Terra d'ulivi Edizioni, per la cura e l'entusiasmo che rivolge alle opere di Beatrice Hastings.
Con grande gioia sveleremo presto i tratti salienti di questo prodigioso volume e presto avremo recensioni e note di lettura da diffondere, perché è giusto far riemergere dall'oblio e diffondere la scrittura di Beatrice Hastings, avverso le logiche di consorteria di ieri e di oggi.

martedì 28 gennaio 2025

Lettura di Aldo Galeazzi per Piera Oppezzo.








Per la rubrica Voci, lettura di Aldo Galeazzi delle poesie Attorno mi circondano e Gente che aspetta e sospetta, di Piera Oppezzo. Musica: Massimo Signorini (fisarmonica). Per l’evento Clandestine, a cura di Maristella Diotaiuti, presso il Giardino de Le Cicale Operose.

Le due poesie sono tratte dal volume Una lucida disperazione, di Piera Oppezzo, a cura di Luciano Martinengo e Giancarlo Majorino, Interlinea Edizioni, Novara, 2016.

 

 

Attorno mi circondano

 

Tengo la porta chiusa con tutto il corpo

Perché almeno oggi nessuno entri.

Ho qui tutti questi conti da regolare

Con l’orgoglio il tono di voce

La lucidità il razionale l’irrazionale.

 

Non posso farlo se attorno mi circondano

Qualche volta magari indifferenti

La loro vita completamente da un’altra parte.

 

Se capitano

Cerco subito di raggiungere il loro posto

Senza allontanarmi dal mio

Perché il mio è una sedia con lo schienale

Che almeno mi tiene le spalle.

Così li raggiungo sempre in bilico

Illudendomi per un po’

Di non avere problemi di equilibrio.

 

Continuo a fantasticarci su

Anche quando sono ormai distesa dalla loro parte

E mi dico che era questo che volevo.

Ma quando sono lì distesa

E mi sento chiedere sempre di più

E sorrido e regalo con entusiasmo

Scopro che quelli si stanno gustando il superfluo

Mentre io mi svuoto dell’essenziale.

 

 

 

 

Gente che aspetta e sospetta

 

Vivo in una città

Di finestre ben serrate

(qualcuna ha anche i doppi vetri).

È una città come tutte le altre

Per questo mi sembra il centro del mondo

E anche perché c’è chi i vetri li ha rotti

E sta affacciato appoggiando i gomiti alle schegge,

indifferente come un fachiro.

Si tratta di curiosi insaziabili

Spaventati all’idea di perdere una scena.

Gente che aspetta e sospetta qualcosa,

non sopporta i ritardi, impaziente,

ma che non chiude mai con l’attesa.

 

Per descrivere meglio dovrei dire

Che il paesaggio è uniforme e tirato

Però con delle crepe a sorpresa

Verso cui io posso lanciare un segnale

O salire e prendere posizione

O semplicemente ridere e sparlare

Di quelli che veloci abbassano la tendina,

quelli che di fronte a qualunque evidenza

proprio non vogliono esserci. 



Maristella Diotaiuti: "Quella di Piera è una disperazione che non è ripiegata su se stessa ma si fa universale e investe il tempo e la vita di tutti. In questa chiave Piera Oppezzo si inserisce a pieno titolo nel solco di fine secolo, lì dove le grandi illusioni stanno tramontando, la comunità intesa come aggregato è finita, e il soggetto individuale assoluto fa il suo ingresso inarrestabile sul piano della storia.

Di questa realtà Oppezzo si fa lucida interprete, con uno sguardo affilato e abissale, quasi medico, autoptico che enuclea la solitudine degli individui, la loro inquietudine e la sua personale inconciliabilità con il mondo.

Guarda la realtà da una posizione di lucida disperazione, un continuo stato di allerta, uno stare con i nervi scoperti, che diventa postura privilegiata per meglio  

leggere il mondo e le persone,  penetrare la loro  vera essenza, al di là degli infingimenti, dei mascheramenti, e delle sovrastrutture deformanti.  

Piera è una creatura sola, che ricerca orgogliosamente la solitudine, in un atto volontaristico, decisionale, ma con la necessità spirituale dell’altro, che non trova appigli nella realtà sociale circostante, e che usa le parole come filtro a un mondo che non è capace a vivere e con le quali puntella il suo instabile equilibrio. Una non-felicità perseguita con accanimento, come fonte e molla di ispirazione.  

 Tutto questo lo vediamo chiaramente nella poesia attorno mi circondano e nella poesia gente che aspetta e sospetta in cui la solitudine investe regioni al di là dell’anima individuale."  

 




lunedì 27 gennaio 2025

Lo strappo, di Lucio Macchia.

 











Opera Lo strappo, di Alberto Burri


Lo strappo, di Lucio Macchia.

L'Eden perduto è il mito fondativo dell'occidente. Ma l'Eden non è un altro mondo, ma è questo mondo come mondo della vita, Lebenswelt” (come lo ha chiamato Husserl): perduto perché dimenticato. Perché si è smarrito lo sguardo su di esso. Il dio che ci ha scacciato da quell'Eden è un dio "umano troppo umano": è il logos. Alla radice del pensiero occidentale c'è la scelta di sostituire alle cose le loro "rappresentazioni". Dall'idea platonica tutto ha proceduto in tal senso, speditamente, fino a Cartesio, Kant, Hegel. La ragione ha preso possesso del mondo, con l'indubbio dominio tecno-scientifico che ne è conseguito. In questo processo l'Eden è stato perduto: il logos ha impresso un taglio nel rapporto tra uomo e mondo, lo ha disincantato, concettualizzato, fino a dominare e irretire la vita stessa in quanto spontaneità, in quanto inassimilabile dal pensiero. Schopenhauer per primo si è fatto carico – in ambito filosofico – di questa tremenda scissione: Schopenhauer installa come categoria centrale del soggetto il voler vivere [...] constata la scissione tra rappresentazione e reale senza rappresentazione. È un reale apparentato con il voler vivere dato che, per lui, la volontà corrisponde a quello che Kant chiamava la “cosa in sé” (Miller, L’uno-tutto-solo). Il mondo si presenta insanabilmente diviso tra rappresentazione e volontà, con quest'ultima che sfugge a ogni rappresentazione, inaugurando una modalità di pensiero filosofico completamente diversa che tenta, attraverso movimenti "impossibili", di pensare l'impensabile, di oltrepassare lo schermo concettuale, guardando all’orizzonte del reale che elude la presa del pensiero. Che è, eminentemente, l'operazione tentata – per altra via – dal poeta che, come dice splendidamente Zambrano in Filosofia e Poesia, reagisce allo strappo della rappresentazione, insiste sul pulsare primigenio della forza vitale: Alcuni di quelli che hanno sentito la loro vita sospesa, la loro vita irretita dalla foglia o dall’acqua, non hanno potuto passare al momento successivo in cui la violenza interiore fa chiudere gli occhi cercando altre foglie o altra acqua più vere. Il poeta, detto in termini immediati, si rivolta all’installazione di dispositivi che disciplinano la vita entro le strutture concettuali, in un gesto di ritorno all’incanto. A ciò che manca. A ciò che è perduto.


Rubrica Torrenti, a cura di Pasquale Lenge.













Pasquale Lenge: 

“Torint, torente, turéntì, fos, fiumane, fiumiciedde, hjiumareja, ciumara, yumara e altri mille modi di descrivere un corso d'acqua. Dal flusso variabile con alternanza di piena e portata limitata o nulla: o della poesia dialettale.”


Pasquale Lenge è un senza fissa dimora mentale. Nato in montagna a Calvello nel 1972. Vive tra l' Alta Val di Merse nel senese e il paesello d'origine, in Lucania. Sue esercitazioni poetiche sono apparse in blog e riviste, sia in lingua che in dialetto. Coltiva l'illusione che, seppur senza mandato, si può rifondare la poesia nel mondo contemporaneo compromesso nelle fondamenta.

domenica 26 gennaio 2025

Rubrica Voci, a cura di Aldo Galeazzi.



               











Aldo Galeazzi: La rubrica Voci, a cura di Aldo Galeazzi, cercherà di intercettare quelle ecolalie, quei frammenti di discorso poetico (e non) che vagano nell’orizzonte letterario, nel turbinio delle parole. Voci conosciute e assoluti outsiders si alterneranno nelle registrazioni che verranno proposte, senza un ordine preciso, senza una cadenza determinata, a condire il pasto nudo servito sulla tavola del nostro nuovo inconscio collettivo. 

 


Aldo Galeazzi, poeta, attore.

Pigro ricercatore di verità smarrite, smozzicate, lette a voce alta.

Animo semplice, tiene il contegno dell'incontenibile, per adattarsi a non avere l'occhio contaminato dai fatti; siede tranquillo fuori dal bar per assecondare l'idea di tutti gli altri della sua mansuetudine, della loro possibilità di ignorarlo.

Celebra il rito di divozione al Dio Cannibale che è,

leccando via la schiuma del cappuccino dai baffi.

E sorride beota beato.                     

venerdì 24 gennaio 2025

Rubrica Semiosfera in Interplay, a cura di Enzo Nini.

  


Enzo Nini: Un dato FONDAMENTALE del jazz, per il quale si distingue dalle altre forme musicali, è il concetto di INTERPLAY: cioè la capacità di suonare e ascoltarsi reciprocamente durante l’esecuzione.

L’improvvisazione rappresenta un elemento primigenio di tutti i generi musicali ed anche nell’ambito della musica classica, dove la musica intesa musica colta in quanto scritta in realtà era stata composta da musicisti che erano grandi improvvisatori: Bach, Paganini (che, appunto, non … ripeteva), Mozart erano “improvvisatori”: arrivano alla trascrizione delle loro opere per “fissare” l’opera permettendo l’altrui esecuzione. Quindi non è elemento esclusivo del jazz  l’improvvisazione, ma è appunto Il cosiddetto Interplay. Nel linguaggio parlato non è possibile praticarlo: o ascoltiamo o parliamo dialogando con altri.

Nel jazz dopo l’esecuzione del tema tradizionalmente comincia  “l’avventura”: si esegue il tema, comunemente, e poi si seguirà quanto gli stessi esecutori non sanno cosa sarà se non nel momento dell’esecuzione stessa; a conclusione, la ripetizione del tema è come se fosse un ritrovarsi sul terreno convenuto.

È probabile ragione di questa esigenza di comunicazione tra linguaggi diversi quella che è immaginabile sia nata tra gli emigranti e le popolazioni di colore provenienti dall’Africa, che non potendo dialogare nel linguaggio parlato,  perché profondamente diverso, trovarono attraverso la musica i ritmi e quanto di emotivamente dentro di loro significativo della loro cultura; potevano così realizzare una possibilità comunicativa interagente.

Una esigenza culturale come bisogno di prossimità,  di appartenenza di chiedere all’altro chi fosse e di ricerca della propria nuova identità.

L’Interplay rappresenta quindi una possibilità di abbracciarsi, confrontarsi, dialogare e poter trovare un territorio emotivo, attraverso lo swing, su cui poter creare nuove espressioni estemporanee.

Se all’organico musicale aggiungiamo una o più voci recitanti e un “operatore creativo” le possibilità performative agiscono in un interplay a tre dimensioni come altrettanti jazzmen: ognuno attraverso il suo linguaggio generando quella che diventa:

SEMIOSFERA IN INTERPLAY

Esso è quindi un “work” in continuo “progress” che dalla SEMIOSFERA come intesa da Juri Lotman e dalla COMPLESSITÀ, concetto felicemente espresso da Edgar Morin, prende idee e metodo di relazione tra i linguaggi sonori e visuali.

È un percorso polilinguistico e sinestetico che diventa performativo attraverso l’estemporaneità jazzistica dove nulla è dato al caso e tutto è estemporaneo.


Enzo Nini: note biografiche

Già docente di Sassofono Jazz presso il conservatorio "L. Perosi" di Campobasso “U.Giordano” di Foggia, si è occupato di didattica  musicale per l’infanzia presso la Sequoia/Scuola Bilingue/American Studies Centre di Napoli.

È Formatore musicale per l’ Associazione Montessori di Napoli.

Ha suonato e registrato con numerosi artisti del panorama jazzistico. Ha diretto la “Moody Orchestra” (2010 Foggia con Ellade Bandini, Paolo Pallante e Valerio Zelli). Ha scritto musica per teatro come “L’incanto muore senza lutti” (2003 Festival dei Popoli Mediterranei con Roberto De Simone e Edoardo Sanguineti), “Cholera” (2003 di Roberto De Simone)

 “Lucì-Voci e volti dal faro” (2008 Premio del presidente Opera IMAIE). Si interessa sinesteticamente del rapporto tra la musica e altri linguaggi artistici. Ha pubblicato a suo nome i CD Quartieri Spagnoli (1990), Doppio Sogno Doppio (1997), Contrappunti in Utopia (2002), Paths of Thought (2008), 8 Jazz Club (2010) e, indegnamente, il libro di poesie Volendo Siamo Tutti Poeti (2008).

www.enzonini.it   www.myspace.com/enzonini