Nota di
lettura di Maristella Diotaiuti per il volume Botanico brogliaccio, di Rosa Pierno, Terra d’ulivi Editore,
2022, scritta in occasione della presentazione alle Cicale Operose.
Rosa si
muove in una ampiezza e ricchezza e vivacità di interessi e di cultura. Il suo è un percorso fra le arti, tra poesia,
musica, arti figurative, in una eccezionale
eterogeneità ma anche interdisciplinarietà,
senza trascurare la scienza, i
suoi interessi scientifici, che sono molto
presenti in quest’ultimo libro, come anche la speculazione filosofica, il cogitare, il pensiero. Infatti possiamo anche
parlare di poesia concettuale quindi (che non temo di definire filosofica, questo
anche per sfatare la convinzione fin troppo diffusa e consolidata che poesia e filosofia siano distanti,
divergenti, se non addirittura conflittuali) .
Il libro è in sostanza una indagine, una indagine sulla natura,come lo stesso titolo, Botanico brogliaccio ci suggerisce
immediatamente. Botanico si riferisce al mondo naturale fatto di erbe,
piante, fiori, alberi, brogliaccio
si riferisce a un quaderno di appunti,
di note, che ci rimanda all’idea, all’immagine, a un’operazione di catalogazione, di classificazione, a una sorta di erbaio, di essiccatoio, di collezionismo di esseri vegetali. Ma questa indagine sulla natura, è svolta da Rosa attraverso
la scrittura poetica, la poesia, ma che assume, (apparentemente) la forma e l’andamento
appunto del brogliaccio, quindi
è una scrittura discontinua, non lineare, anche se accurata, c’è un rigore
che esula un po’ dalla semplice
prima nota.
Questo
approccio poetico alla natura si contamina, si confronta anche con altri tipi di indagini, di approcci e
quindi di scrittura, di tipo scientifico, filosofico, artistico. Dal
punto di vista del contenuto è un tema molto praticato, soprattutto
negli ultimi tempi, visto le urgenze climatiche, anche da parte di
scrittori e poeti, con l’antispecismo, l’ecopoesia, l’ecoletteratura,
l’ecocritica, cioè un’attenzione, da parte di autori e poeti, sempre maggiore alla natura che diviene centrale in alcuni casi,
portando ad esiti anche molto
interessanti e originali. Uno su tutti, quello di Tiziano Fratus: un poeta viaggiatore che attraversa i boschi del mondo cercando una connessione profonda e
spirituale con gli alberi, lui stesso si definisce “homo radix” uomo radice, e ha
coniato, dato vita a concetti come homo radix, dendrosofia,
alberografia, bosco itinerante, ha realizzato un tipo di approccio orizzontale con la natura, di contatto
diretto, di immersione e di profonda
compenetrazione con la natura. Ci sono poi altri contributi di voci
poetiche autorevoli come:
Niccolò Scaffai, Laura Pugno, Italo Testa, per citarne solo alcuni. Ci sono stati anche in passato autori, autrici che hanno dedicato
alla natura il loro lavoro di poeti o di scrittori, basti pensare a Leopardi, Lucrezio, l’elenco sarebbe lunghissimo.
Ma il lavoro di Rosa
Pierno, pur affrontando lo stesso tema della natura, si distacca notevolmente da questi lavori, è estremamente originale. Innanzitutto perché il
testo di Rosa non vuole essere di denuncia
sui danni apportati alla natura, né
cerca compenetrazioni con la
natura, né connessioni
spirituali, almeno non esclusivamente, anzi vedremo come
addirittura alcune volte vada proprio nella direzione opposta. Soprattutto,
la cosa più interessante,
secondo me, è che Rosa parte dalla
natura che è più pensata che vissuta, come fosse a pretesto di
qualcos’altro, per addentrarsi in una
speculazione, in una ricerca che travalica la natura stessa. Parte col
farsi delle domande sulla natura: cioè cosa
sia la natura, cosa è veramente
naturale nel mondo in cui viviamo, esiste la naturalità della natura? Per allargare il campo di
indagine e interrogarsi sull’atto creativo stesso, sull’opera stessa, di quanto questa sia
adeguata a interpretare, a spiegare la natura e la realtà, noi stessi, e
quant’altro ci circonda.
È una riflessione importante questa,
soprattutto oggi che gli intellettuali, i poeti, gli artisti hanno perso il
loro mandato, il loro ruolo nel mondo). Rosa si pone, cioè, il problema
di quale approccio sia più idoneo,
se quello scientifico, o quello artistico, o quello della scrittura, della poesia.
Solitamente
si affida alla scienza questo
compito, la scienza è ritenuta la disciplina più
idonea a cogliere la realtà
delle cose, ma Rosa si chiede
non solo se esistono altri approcci diversi dalla scienza, ma anche quanto in questo processo conoscitivo-creativo
contino la creatività, lo stupore e l’intuizione (che sono costitutivi della poesia) per giungere a qualcosa che perlomeno si
avvicini alla realtà. È chiaro che qui entra in gioco la facoltà creatrice della poesia.
Certo la poesia può essere paragonata alla scienza perché entrambe mirano alla conoscenza del mondo,
e, almeno all’inizio, i due approcci, poetico e scientifico non si discostano molto: sia il poeta che lo scienziato, per descrivere la natura, partono dal proprio stupore,
da intuizioni, appunto, ma mentre il poeta è cosciente del mistero
che la natura porta lo scienziato cerca di misurarla, e ne prende le distanze, non vive il
paradosso (come fa il poeta) di essere all’interno di qualcosa fuori dalla
portata dell’uomo. Tra l’altro anche la
scienza, considerando gli studi
recenti, si sta appoggiando sempre
di più su tesi probabilistiche, le
teorie della nuova fisica quantistica, quelle
di Robert Lanza con la sua teoria sul
biocentrismo.
Rosa si chiede tutto questo, ma va anche oltre, si chiede se esiste la realtà in sé o c’è altro da sé che la crea, che la fa esistere. Questo è il filo rosso che attraversa tutta questa raccolta di Rosa.
Ed è una indagine attraverso il pensiero ma anche attraverso i sensi, che sono allertati. Dice Rosa: dal conoscere concettualmente
all’esperire sensitivamente. Questo è il percorso conoscitivo di Rosa
poeta.
È anche un testo molto letterario. Ci sono molte citazioni colte: Boccaccio,
Tasso, in filigrana intravvediamo Leopardi, direi anche Ortese,
la Ortese delle piccole cose, ci
sono molti pittori, artisti, e
ci sono gli scienziati, la
scienza, anche teorie della nuova fisica quantistica, c’è Robert Lanza, dicevo.
È un testo non assertivo, ma che stimola fortemente a superare le soglie, a
sconfinare. E poi ci restituisce
tutta la fatica della ricerca, lo smarrimento del poeta, l’affanno del poeta, l’inquietudine mentale di chi si addentra nel mistero e ogni
volta crede di aver compreso qualcosa,
acquisito una verità e l’attimo dopo perde questa certezza e si rimette in cammino, è una sorta di viandanza, con soste, tappe, in cui si trova e si perde qualcosa. Quindi è un testo aperto, inconcluso, e non
poteva essere altrimenti, perché frutto di speculazione, ricerca e la poesia, quindi è un testo molto onesto. E
anche la scrittura, la lingua, lo stile, si adegua a questa discontinuità, con cambi,
anche bruschi, di registro, si
spazia da un vocabolario, una sintassi
scientifica a una impennata fortemente poetica, a tratti lirica, passando
attraverso una lingua di comunicazione, più quotidiana, più orizzontale.
Ed è una scrittura che si fa
quasi disegno, è molto vicina
all’ekphrasis che è la descrizione
verbale, con la parola,
di un’opera d’arte visiva, come
ad esempio un quadro, una scultura o un’opera architettonica, e in
questo caso anche la natura.
Rosa ricorre all’ekphrasis anche
per la descrizione di quadri di
opere d’arte che a loro volta
ritraggono la natura. C’è una bellissima pagina (pag 10) dove descrive
dei quadri di Giorgione che dopo leggiamo.
Ma come la poesia può restituire la realtà? Oggi si ricorre a una poesia sempre più oggettivante e oggettivata,
si pratica la tecnica dell'eavesdropping, si ricorre al googlismo, al cut up, etc., pratiche che tendono a cogliere la realtà il più possibile nella sua
essenza, così com’è, senza la
mediazione, l’interferenza della soggettività, facendo scomparire l’io, senza la pervasività dell’io autoriale, emotivo,
autoreferente, autobiografico, eliminando
la soggettività, l’emotività, il sentimentalismo, è la realtà che va verso la poesia e non viceversa. Rosa, in questo testo, sembra proprio capovolgere questa postura e giungere
ad affermare il contrario: e cioè
che la natura, la realtà è creata dal
soggetto che la guarda, che la sperimenta,
che ne fa esperienza. In diversi
punti del testo Rosa solleva, affronta
questo problema della creazione della
realtà: la realtà è nella cosa
in sé o la riceve dall’esterno? A pag. 32 scrive: un sasso è un sasso,
però poi aggiunge: me lo porto a casa per memento di una certa qual
bellezza, conferitagli dall’erosione dell’acqua e dalla presenza di una riga
bianca che lo attraversa simmetricamente. leggo nel ciottolo ciò di cui esso
non è consapevole. un sasso merita certamente la mia firma. Cioè è il
soggetto, che vede, osserva, descrive, a costruire la realtà oggettuale,
materiale, fenomenica.È come se l’artefatto fosse più reale del naturale (dell’oggetto
naturale). Apag, 36 scrive infatti: L’immagine
è per me più del referente.
Come dicevamo, il brogliaccio rimanda alla tendenza dell’uomo
a catalogare, a ordinare,
a incasellare, a fissare qualcosa definitivamente, c’è
questo bisogno tutto umano, da
esseri finiti quali siamo, di rendere
finito ciò che finito non è, il
bisogno di circoscrivere. È un
bisogno, secondo me, che nasce
per mettere ordine nel caos, perché così la realtà, o le forze
che ci prescindono e ci sovrastano, l’ignoto, l’imprevedibile, possono essere
addomesticati, nasce dalla
nostra paura della fine, della morte,
della dispersione di noi, del
nostro corpo in cui abbiamo identificato esclusivamente la nostra essenza, con
un materialismo estremo. Nel testo il concetto di morte ricorre spesso, anche se non proprio esplicitato,
soprattutto riferito alle piante
raccolte e poi lasciate essiccare, quindi morire. A pag. 25 Rosa scrive: foglioline a coppie, da rigirare fra
il pollice e l’indice, fino a stritolarle, ottenendone un verde resinoso succo.
strofinare poi i tinti polpastrelli sulla carta del brogliaccio. dell’anima il
verde segno ho classificato. E appena prima: non
si potrà nascondere l’efferato delitto: aver privato del polline i pistilli, il
velluto cremisi dei petali giace sparpagliato sul tavolo ricoperto di broccato.
In queste immagini, secondo me, c’è l’effetto ultimo di questa azione di conoscenza che, nel tentativo di cogliere l’essenza delle
cose, può anche produrre morte, ma anche eternarla.
Nel testo
di Rosa c’è una bella pagina (pag. 40) che evidenzia un
aspetto molto interessante delle piante, a cui spesso non pensiamo, cioè all’intelligenza delle piante,
importante perché se noi riconosciamo
una intelligenza alle piante, forse riusciamo ad assumere un atteggiamento di
rispetto verso la natura, e quindi di cura, di tutela. Tra l’altro sappiamo anche da studi scientifici che le piante comunicano tra di loro, creano legami, si lanciano uno con
l’altro allarmi di pericolo per difendersi. È stato osservato che in un
bosco, un’area arborea, c’è sempre al centro un albero, l’albero-madre, o alcuni alberi genitori, e tutti gli altri alberi fanno da corona protettiva. Sotto il
terreno le radici si espandono fino a
toccarsi e comunicare così chimicamente tra di loro. Tra l’altro l’etimo stesso di pianta ci dice di
questo movimento, perché solitamente
pensiamo alla pianta come a
qualcosa di piantato a terra, di
fermo, di immobile, invece
pianta significa proprio il contrario, deriva dal latino
‘planta’ che si collega alla radice
‘plat’ che esprime l’idea di
allargarsi, estendersi, espandersi.
Vorrei finire ritornando alla
scrittura, perché questo libro è
prima di tutto un lavoro letterario, di scrittura, e un lavoro
rigoroso, accurato, molto attento alla forma, alla resa artistica. In questo lavoro di Rosa
Pierno si evidenzia la sua maestria,
la portata lirica di una scrittura che
si fa poesia, filosofia e scienza nello stesso tempo. Una scrittura fortemente letteraria che
ci restituisce anche tutta la
cultura di Rosa e la sua
sensibilità artistica.
M. D.