mercoledì 22 gennaio 2025

Rosa Pierno. Nota di lettura di Maristella Diotaiuti.


 

Nota di lettura di Maristella Diotaiuti per il volume Botanico brogliaccio, di Rosa Pierno, Terra d’ulivi Editore, 2022, scritta in occasione della presentazione alle Cicale Operose.


Rosa si muove in una ampiezza e ricchezza e vivacità di interessi e di cultura. Il suo è un percorso fra le arti, tra poesia, musica, arti figurative, in una eccezionale eterogeneità ma anche interdisciplinarietà, senza trascurare la scienza, i suoi interessi scientifici, che sono molto presenti in quest’ultimo libro, come anche la speculazione filosofica, il cogitare, il pensiero. Infatti possiamo anche parlare di poesia concettuale quindi (che non temo di definire filosofica, questo anche per sfatare la convinzione fin troppo diffusa e consolidata che poesia e filosofia siano distanti, divergenti, se non addirittura conflittuali) .

Il libro è in sostanza una indagine, una indagine sulla natura,come lo stesso titolo, Botanico brogliaccio ci suggerisce immediatamente. Botanico si riferisce al mondo naturale fatto di erbe, piante, fiori, alberi, brogliaccio si riferisce a un quaderno di appunti, di note, che ci rimanda all’idea, all’immagine, a un’operazione di catalogazione, di classificazione, a una sorta di erbaio, di essiccatoio, di collezionismo di esseri vegetali. Ma questa indagine sulla natura, è svolta da Rosa attraverso la scrittura poetica, la poesia, ma che assume, (apparentemente) la forma e l’andamento appunto del brogliaccio, quindi è una scrittura discontinua, non lineare, anche se accurata, c’è un rigore che esula un po’ dalla semplice prima nota.

Questo approccio poetico alla natura si contamina, si confronta anche con altri tipi di indagini, di approcci e quindi di scrittura, di tipo scientifico, filosofico, artistico. Dal punto di vista del contenuto è un tema molto praticato, soprattutto negli ultimi tempi, visto le urgenze climatiche, anche da parte di scrittori e poeti, con l’antispecismo, l’ecopoesia, l’ecoletteratura, l’ecocritica, cioè un’attenzione, da parte di autori e poeti, sempre maggiore alla natura che diviene centrale in alcuni casi, portando ad esiti anche molto interessanti e originali. Uno su tutti, quello di Tiziano Fratus: un poeta viaggiatore che attraversa i boschi del mondo cercando una connessione profonda e spirituale con gli alberi, lui stesso si definisce “homo radix” uomo radice, e ha coniato, dato vita a concetti come homo radix, dendrosofia, alberografia, bosco itinerante, ha realizzato un tipo di approccio orizzontale con la natura, di contatto diretto, di immersione e di profonda compenetrazione con la natura. Ci sono poi altri contributi di voci poetiche autorevoli come: Niccolò Scaffai, Laura Pugno, Italo Testa, per citarne solo alcuni. Ci sono stati anche in passato autori, autrici che hanno dedicato alla natura il loro lavoro di poeti o di scrittori, basti pensare a Leopardi, Lucrezio, l’elenco sarebbe lunghissimo.

Ma il lavoro di Rosa Pierno, pur affrontando lo stesso tema della natura, si distacca notevolmente da questi lavori, è estremamente originale. Innanzitutto perché il testo di Rosa non vuole essere di denuncia sui danni apportati alla natura, né cerca compenetrazioni con la natura, né connessioni spirituali, almeno non esclusivamente, anzi vedremo come addirittura alcune volte vada proprio nella direzione opposta. Soprattutto, la cosa più interessante, secondo me, è che Rosa parte dalla natura che è più pensata che vissuta, come fosse a pretesto di qualcos’altro, per addentrarsi in una speculazione, in una ricerca che travalica la natura stessa. Parte col farsi delle domande sulla natura: cioè cosa sia la natura, cosa è veramente naturale nel mondo in cui viviamo, esiste la naturalità della natura? Per allargare il campo di indagine e interrogarsi sull’atto creativo stesso, sull’opera stessa, di quanto questa sia adeguata a interpretare, a spiegare la natura e la realtà, noi stessi, e quant’altro ci circonda.

È una riflessione importante questa, soprattutto oggi che gli intellettuali, i poeti, gli artisti hanno perso il loro mandato, il loro ruolo nel mondo). Rosa si pone, cioè, il problema di quale approccio sia più idoneo, se quello scientifico, o quello artistico, o quello della scrittura, della poesia.

Solitamente si affida alla scienza questo compito, la scienza è ritenuta la disciplina più idonea a cogliere la realtà delle cose, ma Rosa si chiede non solo se esistono altri approcci diversi dalla scienza, ma anche quanto in questo processo conoscitivo-creativo contino la creatività, lo stupore e l’intuizione (che sono costitutivi della poesia) per giungere a qualcosa che perlomeno si avvicini alla realtà. È chiaro che qui entra in gioco la facoltà creatrice della poesia.

Certo la poesia può essere paragonata alla scienza perché entrambe mirano alla conoscenza del mondo, e, almeno all’inizio, i due approcci, poetico e scientifico non si discostano molto: sia il poeta che lo scienziato, per descrivere la natura, partono dal proprio stupore, da intuizioni, appunto, ma mentre il poeta è cosciente del mistero che la natura porta lo scienziato cerca di misurarla, e ne prende le distanze, non vive il paradosso (come fa il poeta) di essere all’interno di qualcosa fuori dalla portata dell’uomo. Tra l’altro anche la scienza, considerando gli studi recenti, si sta appoggiando sempre di più su tesi probabilistiche, le teorie della nuova fisica quantistica, quelle di Robert Lanza con la sua teoria sul biocentrismo.

Rosa si chiede tutto questo, ma va anche oltre, si chiede se esiste la realtà in sé o c’è altro da sé che la crea, che la fa esistere. Questo è il filo rosso che attraversa tutta questa raccolta di Rosa.

Ed è una indagine attraverso il pensiero ma anche attraverso i sensi, che sono allertati. Dice Rosa: dal conoscere concettualmente all’esperire sensitivamente.  Questo è il percorso conoscitivo di Rosa poeta.

È anche un testo molto letterario. Ci sono molte citazioni colte: Boccaccio, Tasso, in filigrana intravvediamo Leopardi, direi anche Ortese, la Ortese delle piccole cose, ci sono molti pittori, artisti, e ci sono gli scienziati, la scienza, anche teorie della nuova fisica quantistica, c’è Robert Lanza, dicevo.

È un testo non assertivo, ma che stimola fortemente a superare le soglie, a sconfinare. E poi ci restituisce tutta la fatica della ricerca, lo smarrimento del poeta, l’affanno del poeta, l’inquietudine mentale di chi si addentra nel mistero e ogni volta crede di aver compreso qualcosa, acquisito una verità e l’attimo dopo perde questa certezza e si rimette in cammino, è una sorta di viandanza, con soste, tappe, in cui si trova e si perde qualcosa. Quindi è un testo aperto, inconcluso, e non poteva essere altrimenti, perché frutto di speculazione, ricerca e la poesia, quindi è un testo molto onesto. E anche la scrittura, la lingua, lo stile, si adegua a questa discontinuità, con cambi, anche bruschi, di registro, si spazia da un vocabolario, una sintassi scientifica a una impennata fortemente poetica, a tratti lirica, passando attraverso una lingua di comunicazione, più quotidiana, più orizzontale.

Ed è una scrittura che si fa quasi disegno, è molto vicina all’ekphrasis che è la descrizione verbale, con la parola, di un’opera d’arte visiva, come ad esempio un quadro, una scultura o un’opera architettonica, e in questo caso anche la natura. Rosa ricorre all’ekphrasis anche per la descrizione di quadri di opere d’arte che a loro volta ritraggono la natura. C’è una bellissima pagina (pag 10) dove descrive dei quadri di Giorgione che dopo leggiamo.

Ma come la poesia può restituire la realtà? Oggi si ricorre a una poesia sempre più oggettivante e oggettivata, si pratica la tecnica dell'eavesdropping, si ricorre al googlismo, al cut up, etc., pratiche che tendono a cogliere la realtà il più possibile nella sua essenza, così com’è, senza la mediazione, l’interferenza della soggettività, facendo scomparire l’io, senza la pervasività dell’io autoriale, emotivo, autoreferente, autobiografico, eliminando la soggettività, l’emotività, il sentimentalismo, è la realtà che va verso la poesia e non viceversa. Rosa, in questo testo, sembra proprio capovolgere questa postura e giungere ad affermare il contrario: e cioè che la natura, la realtà è creata dal soggetto che la guarda, che la sperimenta, che ne fa esperienza. In diversi punti del testo Rosa solleva, affronta questo problema della creazione della realtà: la realtà è nella cosa in sé o la riceve dall’esterno?  pag. 32 scrive: un sasso è un sasso, però poi aggiunge: me lo porto a casa per memento di una certa qual bellezza, conferitagli dall’erosione dell’acqua e dalla presenza di una riga bianca che lo attraversa simmetricamente. leggo nel ciottolo ciò di cui esso non è consapevole. un sasso merita certamente la mia firma. Cioè è il soggetto, che vede, osserva, descrive, a costruire la realtà oggettuale, materiale, fenomenica.È come se l’artefatto fosse più reale del naturale (dell’oggetto naturale). Apag, 36 scrive infatti: L’immagine è per me più del referente.

Come dicevamo, il brogliaccio rimanda alla tendenza dell’uomo a catalogare, a ordinare, a incasellare, a fissare qualcosa definitivamente, c’è questo bisogno tutto umano, da esseri finiti quali siamo, di rendere finito ciò che finito non è, il bisogno di circoscrivere. È un bisogno, secondo me, che nasce per mettere ordine nel caos, perché così la realtà, o le forze che ci prescindono e ci sovrastano, l’ignoto, l’imprevedibile, possono essere addomesticati, nasce dalla nostra paura della fine, della morte, della dispersione di noi, del nostro corpo in cui abbiamo identificato esclusivamente la nostra essenza, con un materialismo estremo. Nel testo il concetto di morte ricorre spesso, anche se non proprio esplicitato, soprattutto riferito alle piante raccolte e poi lasciate essiccare, quindi morire. A pag. 25 Rosa scrive: foglioline a coppie, da rigirare fra il pollice e l’indice, fino a stritolarle, ottenendone un verde resinoso succo. strofinare poi i tinti polpastrelli sulla carta del brogliaccio. dell’anima il verde segno ho classificato. E appena prima: non si potrà nascondere l’efferato delitto: aver privato del polline i pistilli, il velluto cremisi dei petali giace sparpagliato sul tavolo ricoperto di broccato. In queste immagini, secondo me, c’è l’effetto ultimo di questa azione di conoscenza che, nel tentativo di cogliere l’essenza delle cose, può anche produrre morte, ma anche eternarla.

Nel testo di Rosa c’è una bella pagina (pag. 40) che evidenzia un aspetto molto interessante delle piante, a cui spesso non pensiamo, cioè all’intelligenza delle piante, importante perché se noi riconosciamo una intelligenza alle piante, forse riusciamo ad assumere un atteggiamento di rispetto verso la natura, e quindi di cura, di tutela. Tra l’altro sappiamo anche da studi scientifici che le piante comunicano tra di loro, creano legami, si lanciano uno con l’altro allarmi di pericolo per difendersi. È stato osservato che in un bosco, un’area arborea, c’è sempre al centro un albero, l’albero-madre, o alcuni alberi genitori, e tutti gli altri alberi fanno da corona protettiva. Sotto il terreno le radici si espandono fino a toccarsi e comunicare così chimicamente tra di loro. Tra l’altro l’etimo stesso di pianta ci dice di questo movimento, perché solitamente pensiamo alla pianta come a qualcosa di piantato a terra, di fermo, di immobile, invece pianta significa proprio il contrario, deriva dal latino ‘planta’ che si collega alla radice ‘plat’ che esprime l’idea di allargarsi, estendersi, espandersi.

Vorrei finire ritornando alla scrittura, perché questo libro è prima di tutto un lavoro letterario, di scrittura, e un lavoro rigoroso, accurato, molto attento alla forma, alla resa artistica. In questo lavoro di Rosa Pierno si evidenzia la sua maestria, la portata lirica di una scrittura che si fa poesia, filosofia e scienza nello stesso tempo. Una scrittura fortemente letteraria che ci restituisce anche tutta la cultura di Rosa e la sua sensibilità artistica.

M. D.