Appunti di Maristella
Diotaiuti per la presentazione del volume di Paola Landini, Una vita in cento pagine. Esposizione delle
opere pittoriche di Franco Baroni.
È una sorta di prosimetro.
Sul lato del contenuto ce lo dice già il titolo, una vita in cento pagine (dove c’è già
una forte connessione tra vita e scrittura), è il racconto di una vita. Sono pagine dove Paola ha riversato pensieri, sensazioni, emozioni, riflessioni vissute, provate nell’arco degli anni, e appuntati via via, in maniera extravagantes, una vita raccontata per fatti salienti, quelli che l’autrice ha ritenuto salienti, una sorta di diario, o meglio un’autobiografia ragionata, potremmo
dire, dove certi fatti privati,
personali, certi avvenimenti, accadimenti sono pensati, rielaborati
attraverso il pensiero, oltre
che il sentire, e servono, sono serviti a Paola come pretesto per parlare di sé, ma
anche e soprattutto di altro, e
quindi andare oltre da sé, partire da sé per com-prendere altro.
Quindi la sua scrittura
acquista, prende questo ritmo da
diagramma cardiaco, da dentro-fuori
e viceversa, una sorta di osmosi
dove cioè la realtà esterna, la storia
passa, filtrata, attraverso la sua biografia, attraverso
i suoi pensieri, la sua sensibilità. E la sua individuale storia, esistenza, non è mai isolata dal contesto ma è sempre in relazione, deterministicamente e non, con la realtà. In dialogo anche generoso, perché laddove l’autobiografia è, per definizione, o può sembrare un atto egocentrato, egocentrico, Paola la trasforma in qualcos’altro, in una sorta di diario aperto, uno spazio
condiviso. Questa apertura fa,
suggella la cifra della scrittura di Paola. Infatti, non è un caso che il libro inizi, ad
esempio, con la storia di zio Gigi, navicellaio di Uliveto, che
è il paese d’origine di Paola. E non è
un caso che anche la successione
e la titolazione delle sezioni che compongono, strutturano questo libro scorrono significativamente dal “fondo” alla “riemersione” per attestarsi su un “terzo tempo” in cui,
appunto, il dentro e il fuori si
mescolano, uno spazio comune,
di condivisione. E non è un caso anche
che, in questo percorso di scrittura,
nel suo privato, faccia irruzione (oltre la grande storia, i grandi
fatti, epocali) anche la storia minuta,
in cui accanto ai personaggi più grandi,
più famosi, si accampano anche personaggi sconosciuti, quelli che non verranno mai ricordati, ma che la storia la fanno, l’hanno fatta, come ad esempio il datteraio livornese, Emilio, con la sua città, Livorno, con la sua storia, con le sue bellezze e i suoi degradi, i suoi guasti.
Apprezzo molto questa postura di Paola, frontale, coraggiosa, onesta, etica
possiamo dire, senza sentimentalismi ma
empatica, questo sguardo
di Paola, questa attenzione all’esterno,
al di là del proprio io. Il suo
è sempre uno sguardo lucido e
disincantato sul mondo e gli
individui che non si sottrae alla vista anche dei lati scomodi, dolorosi
del mondo, della vita, ma uno sguardo
anche capace di sorprendersi, di meravigliarsi
ancora, e soprattutto Paola non
indulge, non si ferma su posizioni
attardate, nostalgiche, è sbilanciata in avanti, le sue riflessioni servono per aprire a nuove possibilità di azione,
aprono a nuovi spazi generativi. Anche questo assumere la scrittura come mezzo, strumento per
raccontarsi e raccontare di questo esterno, di quello che le accade
intorno, che poi è, e deve essere la funzione della scrittura, della poesia: non accarezzamento idilliaco, sentimentale,
di se stessi, del proprio dolore,
della propria solitaria edificazione,
ma una funzione di testimonianza, di innescare processi di assunzione di coscienza
per sé e per gli altri, di consiglio
a vivere con attenzione, in presenza. In questo senso, entro la
sua scrittura si fa spazio un colloquio attento con il presente. Proprio
per questo suo sguardo vigile, anche per il tono di denuncia che, se pur indirettamente, certe parti di questo libro assumono,
di questa sua capacità di sentirsi
parte di un insieme, di un tutto,
dentro un flusso che ci accomuna tutti,
di non isolarsi edonisticamente su un io personalistico, perché Paola proviene da
una cultura, una stagione
in cui la parola, la poesia, la letteratura, era militanza,
in cui gli intellettuali prendevano la
parola per dire quello che pensavano, in cui ci si sentiva chiamati in causa, singolarmente, a una presa di responsabilità, la responsabilità della parola e delle azioni, naturalmente. E c’è tutta Paola che si dà con generosità, senza nascondersi, si
racconta, c’è la sua giovinezza,
i sogni, le esperienze personali, la famiglia, ci sono i suoi pensieri, le sue
riflessioni, i suoi ricordi,
i suoi stati d’animo, di tutta una vita
che ha attraversato anche fatti
dolorosi e periodi difficili (la guerra, le ristrettezze, la ricostruzione)
ma anche entusiasmanti (la stagione del ‘68, gli anni ‘70, il riflusso degli anni ‘80, ecc, ecc.).
La prosa è molto curata, asciutta
ma densa, con dentro un afflato
emotivo caldo ma contenuto, e nella
poesia Paola può lasciarsi
andare, pur nella misura che la contraddistingue e contraddistingue la
sua scrittura, a slanci emotivi più intensi,
a momenti più lirici, a nostalgie e confidenze meno velate. E appuntare lo sguardo anche su cose minute,
le piccole cose che poi sono così importanti.
In questo dono che Paola ci fa ci ritrovo la sua vocazione all’insegnamento, a dare agli altri la propria
conoscenza, la propria
esperienza. E quando la
scrittura si fa dono per gli altri, diventa impegno, e anche impegno per cambiare il mondo, come
si diceva una volta (e ci si credeva!).
[...]
M. D.