Le due
poesie sono tratte dal volume Una lucida disperazione, di Piera Oppezzo, a cura
di Luciano Martinengo e Giancarlo Majorino, Interlinea Edizioni, Novara, 2016.
Attorno mi circondano
Tengo
la porta chiusa con tutto il corpo
Perché
almeno oggi nessuno entri.
Ho qui
tutti questi conti da regolare
Con
l’orgoglio il tono di voce
La
lucidità il razionale l’irrazionale.
Non
posso farlo se attorno mi circondano
Qualche
volta magari indifferenti
La
loro vita completamente da un’altra parte.
Se
capitano
Cerco
subito di raggiungere il loro posto
Senza
allontanarmi dal mio
Perché
il mio è una sedia con lo schienale
Che
almeno mi tiene le spalle.
Così
li raggiungo sempre in bilico
Illudendomi
per un po’
Di non
avere problemi di equilibrio.
Continuo
a fantasticarci su
Anche
quando sono ormai distesa dalla loro parte
E mi
dico che era questo che volevo.
Ma
quando sono lì distesa
E mi
sento chiedere sempre di più
E
sorrido e regalo con entusiasmo
Scopro
che quelli si stanno gustando il superfluo
Mentre
io mi svuoto dell’essenziale.
Gente che aspetta e sospetta
Vivo
in una città
Di
finestre ben serrate
(qualcuna
ha anche i doppi vetri).
È una
città come tutte le altre
Per
questo mi sembra il centro del mondo
E
anche perché c’è chi i vetri li ha rotti
E sta
affacciato appoggiando i gomiti alle schegge,
indifferente
come un fachiro.
Si
tratta di curiosi insaziabili
Spaventati
all’idea di perdere una scena.
Gente
che aspetta e sospetta qualcosa,
non
sopporta i ritardi, impaziente,
ma che
non chiude mai con l’attesa.
Per
descrivere meglio dovrei dire
Che il
paesaggio è uniforme e tirato
Però
con delle crepe a sorpresa
Verso
cui io posso lanciare un segnale
O
salire e prendere posizione
O
semplicemente ridere e sparlare
Di
quelli che veloci abbassano la tendina,
quelli
che di fronte a qualunque evidenza
proprio
non vogliono esserci.
Maristella Diotaiuti: "Quella di Piera è una disperazione che non è ripiegata su se stessa ma si fa universale e investe il tempo e la vita di tutti. In questa chiave Piera Oppezzo si inserisce a pieno titolo nel solco di fine secolo, lì dove le grandi illusioni stanno tramontando, la comunità intesa come aggregato è finita, e il soggetto individuale assoluto fa il suo ingresso inarrestabile sul piano della storia.
Di questa realtà Oppezzo si fa lucida interprete, con uno sguardo affilato e abissale, quasi medico, autoptico che enuclea la solitudine degli individui, la loro inquietudine e la sua personale inconciliabilità con il mondo.
Guarda la realtà da una posizione di lucida disperazione, un continuo stato di allerta, uno stare con i nervi scoperti, che diventa postura privilegiata per meglio
leggere il mondo e le persone, penetrare la loro vera essenza, al di là degli infingimenti, dei mascheramenti, e delle sovrastrutture deformanti.
Piera è una creatura sola, che ricerca orgogliosamente la solitudine, in un atto volontaristico, decisionale, ma con la necessità spirituale dell’altro, che non trova appigli nella realtà sociale circostante, e che usa le parole come filtro a un mondo che non è capace a vivere e con le quali puntella il suo instabile equilibrio. Una non-felicità perseguita con accanimento, come fonte e molla di ispirazione.
Tutto questo lo vediamo chiaramente nella poesia attorno mi circondano e nella poesia gente che aspetta e sospetta in cui la solitudine investe regioni al di là dell’anima individuale."