lunedì 20 gennaio 2025

Antonella Cilento. Nota di lettura di Maristella Diotaiuti.

 



 

Nota di lettura (sintesi) di Maristella Diotaiuti per il volume Morfisa o l’acqua che dorme, di Antonella Cilento, Mondadori, 2018, scritta e utilizzata in occasione della presentazione alle Cicale Operose.  

Antonella Cilento: Le storie hanno il potere più grande e sottovalutato: quello di farci sognare. Sogniamo perché la vita è breve e tormentata e chiede di essere vissuta in una prospettiva più ampia e collegata. Sogniamo perché la notte è spaventosa e al tempo stesso ricca di opportunità. Le storie e lo stile con cui le raccontiamo informano una nuova idea di bellezza: e la bellezza è l’unica salvezza, nel senso antico e greco del termine.

Antonella Cilento è una moderna Sherazade, l’eroina de Le mille e una notte che non smette di narrare (nel caso di Sherazade, per essere risparmiata dal sultano). In quanto scrittrice, in quanto intellettuale, Antonella si fa carico di questo ruolo di narratrice di storie proprio perché assegna alla letteratura un compito altissimo. La sua scrittura è generosa, ricca, sovrabbondante, anche straripante, inesauribile perché inesauribile è la fonte che la genera e la nutre: l’amore per la sua città, per il suo lavoro, per la vita stessa. Antonella attinge alle storie di Napoli, le racconta, attribuendo ad esse potere salvifico. Nei romanzi di Antonella, Napoli non è mai un semplice contorno, non è una ambientazione interscambiabile, ma diventa personaggio essa stessa. Antonella ha la capacità di percepirla e coglierne i suoi segreti. Ne sente le voci, gli odori, i colori, le pulsazioni anche le più sotterranee, ne insegue i misteri, le magie, e ci traduce le storie, e ci restituisce ogni cosa attraverso la sua scrittura.  

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Tutto questo si riversa il maniera straordinaria, mirabile, nel suo ultimo romanzo: Morfisa o l’acqua che dorme

Un romanzo potente, di grande epicità, dove si ritrova l’origine del narrare: la favola, il mito, il cunto. Questo lavoro potrebbe essere ben inteso come una pietra miliare e momento riassuntivo, in quanto riprende tutti quegli elementi a lei cari tra cui la figura centrale della donna, il tema della creazione (non esclusivamente letteraria), la città di Napoli.  Presenta una trama avvincente, complessa, a tratti surreale e grottesca.  Una trama che si accende di storie, di personaggi, che porta il lettore a intraprendere un lungo viaggio attraverso i secoli, ma anche le tradizioni, le magie, i miti, favole, fino alla contemporaneità. Infatti il romanzo si svolge in un arco di tempo esteso, che parte dal presente, e con un immenso flash back attraversa i secoli incominciando dal misterioso anno mille per tornare ai giorni nostri, chiudendo così il cerchio. In questo romanzo tutto può essere trovato, come accade nei migliori romanzi barocchi: storia e racconti popolari, la corte e il mercato, il mare e la montagna, i monasteri e i baccanali, i bordelli e le chiese, la vita e la morte, il reale e il fantastico in una girandola che confonde e mescola tutto.

Questo romanzo è, quindi, molte cose insieme:

– è romanzo storico;  

– è romanzo di fantasia (i due aspetti si fondono mirabilmente, in un intreccio inestricabile);

– è romanzo bizantino, anche nella struttura;

– è romanzo meta letterario.

 

Romanzo storico: Antonella ci descrive un periodo della città di Napoli con una sapiente architettura d’epoca: molti personaggi sono realmente esistiti e molti eventi sono effettivamente accaduti. Si viene così a conoscere il mondo ecclesiastico e monacale, il mondo politico con i vari giochi di potere, le diatribe, i contrasti sociali, la corruzione, i tradimenti… Una descrizione dei luoghi così puntuale che spinge il lettore a cercare concrete testimonianze geografiche artistiche e urbanistiche di questa epoca, producendo un sicuro arricchimento culturale. In quanto romanzo storico, il romanzo è ambientato, almeno come punto di partenza, nell’anno mille, nella Napoli Ducale (tanto vagheggiata anche da Croce), sei lunghissimi secoli di cui si parla poco, un periodo cioè in cui Napoli ha goduto di una inaspettata libertà, anche se formalmente era sotto l’influenza di Bisanzio. Antonella coglie il ducato napoletano alla vigilia del suo disfarsi e ormai sull’orlo di una apocalisse. In questo periodo storico sono molti i pretendenti che la desiderano: i longobardi l’hanno persa, i salernitani la odiano, gli amalfitani la contendono, i mori la pretendono, i normanni l’occuperanno, i bizantini aspirano allo scisma, e il Papa non la vuole sotto il suo protettorato perché i napoletani sono più greci che cristiani. Antonella mette in relazione Napoli con Bisanzio. Anche se Napoli è più antica di Bisanzio, entrambe le città sono state importanti capitali, e nelle quali la grecità ha avuto un ruolo centralissimo e fondante, entrambe crogiuoli di etnie, culture e religioni stratificate, entrambe hanno vissuto l’esperienza, tragica ma anche vivificante per certi aspetti, di essere sottomesse a diverse dominazioni. Entrambe sono visitate da scrittori e artisti alla ricerca di un passato o di una identità perduta. Entrambe sono sfondo di narrazioni mitiche e fiabesche. E poi c’è il tempo della relazione tra le due città durata secoli a causa di ragioni politiche e amministrative. E anche durante la fase indipendente di Napoli dall’Impero, rimase sempre ispirata a Bisanzio nella gestione amministrativa, e questo ci parla di una identità culturale molto avvertita.

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Romanzo di fantasia: nel romanzo agiscono personaggi inventati, umani e non, creature meravigliose e terrifiche, e tutti i personaggi sono trascinati in un vortice di avventure fantastiche, surreali, a volte inquietanti, eventi prodigiosi: monache che volano, badesse che praticano l’arte della riduzione, asceti miracolosi, fontane che mutano il sesso, viaggi onirici, spostamenti temporali e geografici, trasformazioni di forma, ecc, ecc. Un repertorio fantastico davvero rutilante. In esergo ritroviamo un brano tratto dal libro di Rosa Montero la pazza di casa che è la nostra fantasia, considerata come una pazza appunto e quindi da nascondere, da relegare nell’ultima stanza della nostra casa. Purtroppo nel nostro presente l’immaginazione, la fantasia è considerata una componente inutile, anche infantile, a volte pericolosa, soggiogati come siamo da un’urgenza di realismo che ci fa tanto adulti, dobbiamo stare nel reale perché dobbiamo essere efficienti. Invece per i medievali l’immaginazione aveva un’importanza enorme, quella che Dante chiama immaginativa, che permette la scrittura, che è la base di tutta l’architettura della Commedia come viaggio ultramondano. Per spiegare l’immaginativa Dante ricorre all’esempio del sogno che pur essendo irreale produce effetti materiali, fisici evidenti, quali la sudorazione, l’accelerazione del battito cardiaco, e quando ci risvegliamo magari non ricordiamo i particolari del sogno, i fatti, ma riportiamo intatta la sensazione materiale che è poi quella da cui germina la narrazione.

Nel romanzo di Antonella, l’immaginazione è associata alla balena che compare e scompare nel mare, si vede sempre e solo per dettagli, per particolari, e le idee vengono proprio così, come improvvise illuminazioni, che se non siamo veloci ad afferrare, ci sfuggono e le perdiamo per sempre, presi, distratti da necessità quotidiane. E così perdiamo anche la nostra preziosa capacità di fantasticare, di meravigliarci e di raccontarci.

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 Romanzo bizantino: come nel suo precedente romanzo, anch’esso presentato alle Cicale, Lisario o il piacere infinito delle donne, anche la trama di Morfisa è fatta di avventure cicliche, di narrazioni rotatorie, un po’ rocambolesche. È un genere letterario anche un po’ bistrattato, che l’8oo definiva feuilletton, che Boccaccio prendeva in giro nella novella di Alatiel. Ma nel romanzo di Antonella questo genere narrativo acquista una dignità altissima. L’intento è tornare indietro alle forme che precedono Cervantes, di solito considerato all’unanimità il fondatore del romanzo moderno, e che porta per forza di cose a Bisanzio, così come ogni strada porta ad Ariosto o a Basile, insomma alle soglie del Rinascimento che è in fondo rifusione e reinvenzione della letteratura, che viene da oriente e da occidente.

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Romanzo metaletterario: nel tessuto fantasmagorico della narrazione c’è molta letteratura passata, attuale e futura, quindi il tema metanarrativo è centrale. Vi ritroviamo, nascosti, il Moby Dick, Pinocchio, Romeo e Giulietta, la versione babilonese di Orgoglio e pregiudizio, il Don Chisciotte di Cervantes, il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov, Saramago. C’è, quindi, la letteratura già scritta, ad esempio, in citazioni di situazioni letterarie. Per dirne una, le monache che si alzano in volo per combattere contro gli invasori nemici richiamano le streghe sia di Bulgakov che del Faust di Goethe.

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I personaggi

I personaggi maschili sono quasi sempre personaggi negativi, anti-eroi, sono esseri deboli, deficitari, quando non sono violenti, e comunque sempre arroganti nella loro pochezza, finitezza, incapaci di conoscersi, di migliorarsi, di mettersi in una relazione sana con gli altri e con il mondo. Nel romanzo di Lisario è Avicente (medico fallito giunto a Napoli per rifarsi una reputazione) qui è Teofanès, ma lo è anche il duca, e Costantino, e tutti gli altri, concentrati su se stessi, ingabbiati nelle proprie ambizioni, nelle smanie di potere, gli intrighi, i tradimenti, sempre pronti a progettare guerre.

Si salvano, non a caso, solo quei personaggi maschili che quasi non sono umani, perché magari praticano la magia che è un’arte da sempre ritenuta appannaggio delle donne, sono migliori perché vicini alle donne, perché depositari di saperi antichi e misteriosi che condividono con le donne.

Teofanès Arghili: è il primo personaggio di cui facciamo subito la conoscenza dalla prima pagina del romanzo e che immediatamente si fa conoscere nei suoi tratti caratteristici: è poeta erudito, senza talento e senza immaginazione, e fifone, allevato da mamma e ancelle che avrebbero voluto fosse femmina, ma che disprezza le donne, messo imperiale bizantino delle Imperatrici Zoe e Teodora, inviato a Napoli con una missione importante che non saprà portare a termine, e che viene scaraventato in un vortice di cruente e fantastiche avventure, per nulla congeniali alla sua indole sedentaria e per niente coraggiosa, cerca scorciatoie alla fatica e all’impegno dello studio e della scrittura. cerca la chimera del successo, oggi diremmo della facilità commerciale, va in giro per l’impero e per i secoli con il suo manoscritto che non finisce mai. e cerca in maniera ossessiva le storie che non sa immaginare né raccontare in Morfisa e nel suo mistero.

I personaggi femminili

Nel tempo in cui è ambientato il romanzo c’è un forte residuo di matriarcato: le Imperatrici di Bisanzio sono due donne, Teodora e Zoe. È un’epoca in cui sono le donne a gestire certi mestieri e a gestire il potere, a costituirsi in gruppi di potere determinanti per le sorti delle città e del mondo. Infatti a Napoli troviamo:

- Le virgiliane: sibille dotate di poteri magici, il residuo di un paganesimo potente e ancora vivo a Napoli;

- Le sangennare: seguaci, devote di San Gennaro, che auspicano l’affermazione totale del cristianesimo, combattono strenuamente contro le prime, e che si fanno portavoci del nuovo che avanza.

 Le donne protagoniste dei due romanzi di Antonella, Lisario e Morfisa, non sono soggetti passivi, sono due inaffondabili bambine o ragazzine potenti, nonostante le violenze subite e da subirsi. Morfisa sembra racchiudere in sé tutti gli incanti

e tutte le contraddizioni della città alla quale appartiene, ne è probabilmente l’anima più segreta, è l’esatto contrario della bella principessa delle fiabe. L’etimologia del suo nome ci dice che è polimorfa come l’acqua. Può mutarsi in ciò che vuole: balena, aquila, cinghiale, atleta che, come l’Atalanta del mito, vince tutte le gare e si impone sui segni e sui sogni che chi in sonno la rievoca produce.

Morfisa compie miracoli, è il “monstrum vel prodigium”, crea i sogni, entra nei sogni altrui, e sa raccontare le storie, anzi è depositaria delle storie passate e future, e quindi ha a che fare con l’uovo di Virgilio, con le sorti della città di Napoli.  

Morfisa è figlia di una violenza, rinnegata dal padre e rinchiusa in una grotta. Richiama, in un certo senso, la figura letteraria del principe di Polonia Segismondo che, chiuso nella sua torre, riflette e confonde il piano reale con quello fantastico ma, se il Segismondo Calderoniano non riesce a distinguere i due piani, Morfisa non solo li conosce bene ma riesce anche ad ammaestrarli tanto che il sogno si trasforma in realtà: lo munno è sogno, lo sogno che ognuno sogna.

Morfisa è la theotokos, la marunnella: venerata protettrice di Napoli, a una sorta di potente madre nostra che governa di fatto la città, la ragazza bruna e deforme nata dalla contaminazione e dallo stupro, portata a riva, come molte delle nostre madonne, dalle acque del mare. Acqua, in fondo, ella stessa, Morfisa è detentrice di saperi segreti e di poteri sovrannaturali, custode del virgiliano uovo magico dal cui destino dipende quello della città. Sorella minore di Crisorroé per parte di madre, Morfisa è figlia del duca per la legge, per questo è chiamata ducissa, ma in realtà è nata dall’unione della madre con il principe arabo che l’ha rapita, quindi deve al suo vero padre la pelle scura che la apparenta alle madonne nere delle icone. La piccola non può camminare ma miracolosamente entra nei sogni di tutti. Possiede anche il dono che fu di Sheherazade: quello di inventare storie all’infinito, storie che catturano l’attenzione, storie che sfidano il tempo, storie che contrappongono alla prosaica realtà il mondo travolgente del sogno e della poesia.

Nei confronti di Morfisa, Teofanès nutre sentimenti contrastanti: adora ascoltare le sue storie, ma è divorato dall’invidia per la sua immaginazione inesauribile ed è anche spaventato dalle arti magiche grazie alle quali quell’insolente bambina dalla pelle scura e dai piedi deformi è in grado di trasformarsi in aquila, balena o cinghiale, e padroneggia i misteri del mondo delle acque. C’è inoltre, scopre Teofanès, un oggetto che racchiude, materializzato, il dono di Morfisa di produrre storie: un grande uovo che la ragazzina porta sempre con sé e che – scopriremo in seguito – lei è in grado di ricreare qualora venga distrutto.

L’uovo di Virgilio: un altro elemento che fa da collante alla storia del romanzo è l’uovo magico, quello virgiliano, del famoso castello napoletano omonimo sul mare, l’uovo conteso e determinante per il destino della città. L’uovo, con la sua simbologia di vita, di morte, di movimento e di perfezione della forma, acquista nella scrittura di Antonella uno spunto di riflessione sull’esistenza umana e sulla ineluttabilità del fluire del tempo. È un uovo magico che possiede doni e qualità inimmaginabili e strabilianti. Quest’uovo  magico diventerà l’ossessione divorante di Teofanès, per impadronirsene è pronto a tutto, perché quell’oggetto potrebbe assicurargli la gloria poetica.  

L’acqua

È l’elemento che permea di sé tutto il romanzo. Scorre su tutto, ma proprio tutto. L’acqua che si vede e quella sotterranea, l’acqua tempestosa e l’acqua che dorme. Se pensiamo a Napoli, oltre al mare, ovviamente importante, c’è una tradizione legata alle acque scomparse. Fiumi (Sebeto ed altri), rivoli, ruscelli di cui oggi non vi è più traccia. Poi le acque termali dei Campi Flegrei.

L’acqua di Morfisa è magica, è un modo per attraversare il tempo e lo spazio, le permette di passare da un’epoca all’altra. L’acqua ospita Morfisa quando diventa balena, l’acqua è il veicolo che aiuterà i protagonisti di questo lungo viaggio: basterà tuffarsi anche in un barile che contiene l’acqua, o in una semplice pozzanghera, per raggiungere i secoli a venire. O l’acqua che dorme, attraverso la quale si può consultare il presente, il passato o il futuro, presaga di vita o di morte.

La lingua, lo stile

L’acqua sembra aver levigato anche la lingua di questo romanzo, qualcuno ha parlato di lingua acquatica, in cui il greco e il napoletano si infiltrano, appunto come acqua, in maniera raffinata in un italiano alto, e si contaminano a vicenda, si rigenerano nella loro osmosi, acquistando così una potenza evocativa altrimenti impensabile” (Carmelo Niccolò Benvenuto). L’acqua sembra essere passata anche sui nomi di alcuni personaggi, come ad esempio Theofanés, che in greco ha l’accento acuto sulla penultima sillaba, Theophànes, in latino l’accento si sposta e diventa Theòfanes, e nella lingua di Antonella diventa ossitona, cioè Teofanès. La stessa sorte subisce la parola in greco Theotòkos, la genitrice di dio della tradizione teologica bizantina, che si napoletanizza e diventa theotokòs, ma anche Strategòs. Morfisa stessa è in fondo una parola napoletana di probabile origine greca, un nome che le fonti indicano come una delle più potenti casate della Napoli bizantina, e che sopravvive nella toponomastica attuale di Napoli, ad esempio nel nome della chiesa di San Michele Arcangelo “a Morfisa”, nella zona corrispondente all’attuale quartiere del Nilo che è stato sede del potere nella sua fase bizantina.

È come se la stessa lingua si facesse avventura: un italiano morbido, dalle radici greche, malleabile che si lascia attraversare, contaminare dal napoletano. Un linguaggio avvolgente, ricco di termini e di espressioni vivaci, una lingua quasi barocca, un’idea barocca di lingua, che non significa inutilmente complicata, anzi piana ma carica di immagini.

Nel romanzo di Antonella il mito di Morfisa e dell’uovo generatore di storie è una celebrazione della letteratura, ma è una celebrazione che non ha nulla di magniloquente, di ufficiale, di ingessato, porta invece con sé l’ironia , l’humor e l’allegria irriverente della Napoli popolare e festaiola, che esorcizza tutti i problemi con la risata e la dissacrazione

Una lingua che porta con sé l’ironia , l’humor e l’allegria irriverente delle feste e delle canzoni che nei secoli hanno celebrato le mille rinascite di Napoli, il suo spirito peculiare, i tesori della suoi miti e delle sue leggende.

M. D.