Nota di lettura di Maristella Diotiuti per il
volume di Lorenza
Foschini, Il vento attraversa le nostre anime, Mondadori Editore, 2019, Segue la nota
di lettura per il volume L'attrito della vita. Indagine su Renato Caccioppoli
matematico napoletano, La
Nave di Teseo Edizioni, 2022. Entrambi i volumi dell’Autrice presentarti alle
Cicale Operose.
Il vento attraversa le nostre anime.
Una storia di sentimenti tra due geni dell’arte: uno molto conosciuto, Marcel Proust, l’altro purtroppo poco noto, almeno al grande pubblico, e almeno prima del libro di Lorenza, cioè Reynaldo Hahn. Un’opera molto ben documentata e nello stesso tempo va oltre il dato tecnico, il dato asettico, freddo della ricerca, e quindi il lavoro si riscalda di una partecipazione emotiva, perché è il racconto di un amore, del primo grande amore di Proust, è il racconto un sentimento travolgente, trasgressivo, divergente dalla morale comune, soprattutto per quegli anni. Ma Lorenza tratta questo argomento, ancora oggi purtroppo spinoso, con estrema naturalezza e delicatezza, con tatto e rispetto. Ce lo dice già il titolo scelto per il libro, che ci fornisce la cifra della sua scrittura e della sua posizione: il vento attraversa le nostre anime”, una frase delicata, poetica, connotativa, ed è una annotazione che Hahn, che era un musicista, un compositore, scrisse d’impulso a margine dello spartito dell’opera che stava componendo, l’ile du reve, proprio nei giorni in cui si stavano conoscendo e stava per esplodere la passione, cioè l’estate del 1894.
Lorenza attiva sempre uno sguardo obliquo su personaggi e fatti, parte sempre da un angolo di visuale insolito, questo sguardo le permette di evidenziare e vedere aspetti altrimenti non visibili, o comunque non rilevanti, o comunque di non facile trattazione, e di poterne parlare in un certo modo, sempre obliquo, direi. Nel caso di Proust e Hahn, ha permesso a Lorenza di poter parlare della loro omosessualità quasi non parlandone, in una sorta di preterizione, o parlandone parlando d’altro. E la struttura del libro ce lo testimonia. Infatti, le reali inclinazioni di Proust e Reynaldo non vengono rivelate subito, ma nel compiersi della storia (di questa storia d’amore), nello svolgersi stesso della narrazione. C’è quindi un rovesciamento di prospettiva, di sguardo, appunto, non il grande Proust della Recherche, ma e quindi ci restituisce un Proust privato, inedito, colto nel quotidiano, con le sue passioni, le sue nevrosi, le sue manie, i suoi lati oscuri. Ma sempre in filigrana Lorenza ci lascia intravedere l’eccezionalità di questi artisti, il genio del grande scrittore che ha cambiato le sorti del romanzo borghese occidentale (della scrittura), che è al centro degli studi e delle teorie dei più grandi critici letterari, come Lukasc, Goldmann, Aurerbach, Contini, per citarne alcuni. Lorenza ci fa entrare nel mondo, nel privato di Proust, nella sua casa, nelle sue stanze, nelle sue frequentazioni mondane, e soprattutto ci fa risalire, ci ricostruisce, all’origine della creazione artistica di Proust, quando ancora tutto era da farsi, ci fa toccare con mano l’humus di cui si è nutrito il creatore di quell’opera straordinaria che è la Recherche.
Anche dal punto di visto del genere letterario, questo libro è obliquo (volendo usare ancora questo termine), originale, perché rappresenta uno strano ibrido, non è né un romanzo né un saggio, ma finisce per essere entrambi: la componente saggistica emerge dalla ricerca che c’è dietro il romanzo, testimoniata dalla ricca bibliografia in nota; e la componente romanzesca, l’afflato narrativo lo ritroviamo in certe strutture e in certe espressioni, come ad esempio nelle prime pagine o in alcune frasi, sembra di vederli, lui e Reynaldo, instancabili, percorrere su e giù i boulevard a piedi.
Il procedimento della scrittura è cinematografico, lo scopo è quello di catturare l’attenzione del lettore, (e quindi di avvicinare un pubblico più ampio al grande scrittore francese), di interessarlo all’argomento facendo leva su sensazioni e su immagini da film, ci appaiono proprio dei fotogrammi, dei capitoli in cui Lorenza Foschini condensa (dichiarandoli già nel titolo) un luogo e un momento delle vite di Proust e di Hahn, e poi alla fine del libro, a fine lettura, avviene spontaneamente da parte del lettore il montaggio di questi fotogrammi, e si realizza finalmente la visione totale, d’insieme, di tutta la storia. Quindi alla fine questo libro rivela una sua precisa identità: che è quella del romanzo-documentario ma anche visivo e fabulatorio.
Lorenza è comunque sempre molto attenta nel mantenere un accurato equilibrio tra le vicende personali e quelle artistiche, e poi attraverso queste finisce per ricostruire, nello stesso tempo, un’epoca e una società, quella francese, parigina, salottiera e borghese, di fine ‘800 e inizi ’900, con le sue regole, le sue contraddizioni, i suoi meccanismi di difesa ma anche i suoi inevitabili segnali di cambiamento, che di lì a poco si manifesteranno in tutta la loro forza, ci sarà la guerra come spartiacque di due tempi della storia.
È anche un libro di grande tenerezza, e di bellezza aggiungerei, ma che nello stesso tempo non si sottrae alla constatazione che esiste il lato oscuro degli esseri e dell’amore: cioè che può esistere una passione travolgente, che distrugge e si distrugge, ma che dal fuoco, dalla combustione si salva appunto la tenerezza, la cura, e il sentimento dell’ amicizia che dura per sempre. Una bellezza che appartiene non solo ai due personaggi, Proust e Hahn (per la loro genialità e la grandezza della loro arte), ma che appartiene anche alla penna e soprattutto allo sguardo e all’animo di Lorenza Foschini.
M. D.
L'attrito della vita. Indagine su Renato Caccioppoli matematico
napoletano.
Questo ultimo libro è la biografia , accurata, puntuale, di Renato Caccioppoli (1904-1959), matematico partenopeo come viene solitamente definito, un uomo straordinario, e il termine‘straordinario’ mai come in questo caso è appropriato,‘o genio”, come veniva affettuosamente chiamato dai napoletani che lo amavano.
Dopo la sua morte, per suicidio, è diventato una figura leggendaria, ma leggendario (perché avvolto in un alone di mistero) Caccioppoli lo era anche in vita, direi, soprattutto per alcuni tratti della sua personalità, per essere sempre fuori centro, eccentrico, deviante, anticonformista, a volte bizzarro, sicuramente estroso. ma sempre carismatico, fascinoso, coinvolgente. Con il suo modo di essere aveva dato vita addirittura ad un paradigma comportamentale e di stile, tanto che Raffaele La Capria ha potuto dire vestivamo alla caccioppoli. Ma era anche un uomo profondamente inquieto, insofferente, sempre alla ricerca di qualcosa, malinconico, Lorenza ci dirà di questo suo male di vivere, che a Napoli si chiama‘pucundria, Lorenza dedica un paragrafo intero a questo malessere indefinibile che si fa evidente soprattutto verso la fine della vita di Renato, si può dire che lo consumò, insieme all’alcool.
Il popolo napoletano lo amava, e ne aveva profondo rispetto, non lo ha mai preso in giro per le sue stranezze anzi gli venivano tutte perdonate e accolte, accettate come corollari, come ulteriori e inevitabili manifestazioni della sua genialità. Lo amavano i suoi studenti, i suoi amici e collaboratori, gli intellettuali, i tantissimi uomini di cultura, scrittori, poeti, scienziati, musicisti, con cui si relazionava. Solo il potere costituito, prima e dopo la guerra, lo temeva, aveva paura della sua intelligenza fuori dal comune, ne intuiva la sua carica eversiva, rivoluzionaria. Caccioppoli fu sempre antifascista e anche dopo la guerra contestò lo strapotere della DC, appoggiò la contestazione giovanile studentesca e operaia, e fu vicino al PCI, ma non ne prese mai la tessera di partito. La polizia, prima e dopo la guerra, fascista prima e repubblicana dopo, lo tiene sotto controllo, lo fa incarcerare e chiudere in manicomio, lo si ritiene pazzo perché in tal modo si addomestica e neutralizza la pericolosità di una mente pensante. Caccioppoli era professionalmente un matematico, docente alla Federico II, ma poi vedremo, insieme a Lorenza che questa definizione di matematico è del tutto insufficiente.
È un libro biografico ma che finisce con l’essere, inevitabilmente, vista la personalità del suo protagonista, molto altro: nel libro infatti si intrecciano vicende storiche, familiari, storie personali e di famiglie illustri, di uomini di cultura, di gente comune, in un mosaico davvero vivace e variegato. Una sorta di caleidoscopio che se lo smuovi ti mostra di volta in volta squarci, panorami e aspetti diversi, e suscita varie riflessioni e domande. Il libro quindi è anche la fotografia dell’Italia colta in anni, periodi storici cruciali, quali quello del fascismo, del ventennio fascista, della guerra , del dopoguerra, e soprattutto il libro diventa anche la biografia di Napoli sempre di quegli anni, che vede l’egemonia della DC con il potere di politici come Gava, e di imprenditori-politici come Achille Lauro, una certa politica collusa con imprenditori e camorra, gli anni della speculazione edilizia, insomma gli anni delle mani sulla città, con l’atteggiamento del PCI tutto chiuso nel suo rigore ideologico e di partito, e nella sua morale provinciale e un po’ bigotta (del quale Ermanno Rea parla nel suo bellissimo libro Mistero napoletano, e che Lorenza cita più volte, anche perché Francesca Spada fu amica di Caccioppoli. Ma c’è nel libro di Lorenza anche una Napoli inedita, quella che solitamente non viene raccontata, quella dei quartieri signorili, con i loro salotti culturali e artistici, la Napoli dei grandi ingegni, la grande vivacità di un gruppo di uomini di cultura, intellettuali, artisti, pensatori e musicisti, scienziati, dal profilo altissimo, di rilievo internazionale, la Napoli crocevia di incontri e scambi culturali. Un aspetto del quale di solito non si fa menzione, si preferisce parlare del degrado, delle sparatorie, dei vicoli, di tutto un immaginario distorto e denigratorio di una città complessa come Napoli. Questo è uno dei tanti, tantissimi pregi del libro di Lorenza, di restituirci realtà di solito messe in ombra, trascurate. L’amore che Lorenza ha per Napoli è simile a quello di Caccioppoli, c’è un legame profondo tra Napoli e Renato, quasi uno stato di simbiosi. Nel libro c’è anche un legame con Livorno, attraverso la figura di Giovanni Ansaldo: che fu direttore de Il Mattino nel 1957, e prima era stato nel 1936 direttore de ‘Il Telegrafo’ di Livorno, di proprietà della famiglia Ciano. Un personaggio molto particolare, Ansaldo, che ha saputo cambiare pelle spesso, e che conosceva Renato, abitava nello stesso palazzo di Caccioppoli, palazzo Cellammare.
L’indagine di Lorenza è meticolosa e accurata, perché Lorenza è giornalista, come giornalista mette in campo tutte le sue competenze, le sue qualità e doti che sono veramente tante: la sua capacità di farsi le domande giuste, di saper guardare dentro i fatti, di capire dov’è la verità e quando la notizia è falsa, la capacità di partire, di seguire un indizio preciso ma, nello stesso tempo, anche di lasciarsi portare fuori strada, anche lontano da quell’indizio, di cogliere l’imprevisto, e comunque sempre con equilibrio e gestendo magistralmente la materia da brava, ottima ricercatrice e scrittrice qual è.
Per questo il risultato finale di questo lavoro di indagine e di ricognizione è la restituzione di un Renato Caccioppoli non solo inedito per certi aspetti, ma soprattutto ripulito di tutte quelle superfetazioni leggendarie e stereotipate che un personaggio come Renato si porta inevitabilmente dietro. Lorenza ha meticolosamente smontato molte di queste dicerie, e lo ha fatto attraverso fonti e documenti certi, attraverso ricerche di archivi e biblioteche, e testimonianze dirette e indirette sempre sottoposte al vaglio, vagliate scrupolosamente, e quindi del tutto credibili e attendibili. Soprattutto non è mai una indagine fredda, ma è sempre riscaldata dalla partecipazione emotiva di Lorenza, dal dato “sentimentale”, una emozione però, anche sempre composta, controllata, misurata, mai eccessiva, sono tutte doti, qualità, queste a cui ci ha già abituati Lorenza, che abbiamo già ritrovato nei suoi libri precedenti, in particolare quelli su Proust: vi ritroviamo la stessa eleganza di scrittura, la stessa delicatezza, e attenzione, nell’affrontare temi scomodi e certi aspetti non facilmente raccontabili, lati oscuri della personalità dei protagonisti, la stessa capacità di narrarci di dati di archivio, di ricerca come fossero trame, intrecci di romanzo.
Qui, nel nuovo libro, il dato personale è più forte perché scopriamo che Lorenza ha legami di parentela con Renato Caccioppoli ma che è rimasto, nella storia della loro famiglia, qualcosa di incompiuto, di sospeso, e Lorenza in qualche modo se ne fa carico, si investe del ruolo di dover riempire un vuoto.
Il libro, quindi, con tutti questi rivoli, queste diramazioni che ha al suo interno, permette diverse esplorazioni nei vari campi e contesti, ma anche tutta una serie di riflessioni, anche di ordine filosofico, se vogliamo, derivanti dalla complessità e straordinarietà della personalità di Caccioppoli, domande che Caccioppoli si poneva, o meglio viveva sulla propria pelle, ma che riguardano noi tutti: le fatidiche domande sul ‘senso della vita’, sulla morte, sul ‘male di vivere’, l’attrito della vita, come disse Paola Masino a proposito di Caccioppoli, ma che molte persone avvertono e subiscono, soprattutto quelle dotate di sensibilità estrema. Credo che questa afflizione di Renato abbia molto a che fare con la solitudine del genio, con il fatto che il genio tocca, con le sue intuizioni, le sue continue vette di assoluto che sono interdette ai più, e che danno vertigini ma anche cadute rovinose quando queste, questi momenti di esaltazione terminano, e c’è appunto lo scontro con la realtà, con la finitezza delle cose, la loro anche mediocrità, e quindi la incapacità, direi la impossibilità del genio di stare a contatto con la banalità quotidiana, delle persone, dei fatti, delle relazioni. Ha detto molto bene (Lorenza lo riporta nel libro, a pag. 180) il matematico Ennio De Giorgi, allievo di Caccioppoli,: sottolinea il fatto che in Renato vi fosse una tensione costante verso l’armonia, in frizione continua con una realtà invece profondamente disarmonica, una armonia che non ha saputo dargli la matematica, ma che forse gli restituiva solo la musica.
Ho trovato molto bello l’intrecciarsi di genialità, queste relazioni amicali e artistiche, questa sintonia di anime affini nella loro creatività, quali De Filippo, ma anche l’allora giovane musicista e allievo del conservatorio Roberto De Simone, solo per dirne alcuni, Lorenza ad esempio racconta un episodio di De Filippo che scrive la sua Napoli milionaria proprio a casa di Caccioppoli, di cui fu ospite per qualche giorno. Caccioppoli era un uomo che usava molto bene le parole, era un affabulatore, affascinava anche con le parole ma era a sua volta affascinato dalle parole. Ho trovato molto significativa e anche singolare la circostanza che sia stato un matematico a dare tanto valore alla parola, a dare vita a riflessioni importanti intorno alla parola, riflessioni che solitamente svolgono i poeti. Ma, come Lorenza racconta, verso la fine Renato si è chiuso sempre di più nel silenzio, in un progressivo svuotamento della sua vita, anche di cose materiali, (ci racconta di una casa priva di mobili) in un progressivo asciugamento anche del suo corpo, diventava sempre più magno e inconsistente, trovava via via la parola sempre più insufficiente a esprimere la realtà, gli si allargava dentro, ma anche intorno a lui. Emblematico è l’episodio che Lorenza racconta di un comizio che doveva tenere e che invece si trasformò in un concerto al pianoforte (pag. 175), cioè la musica sostituisce la parola nella significazione del mondo. Ed ho trovato molto significativa e iconica l’altra immagine (sempre a pag. 175) di Caccioppoli che dimostra la distanza incolmabile tra la parola e la vita dimostrando ad uno studente come sia impossibile per la mano toccare il polso. È una riflessione che appunto assilla dolorosamente i poeti, così è stato per Caproni, per l’ultimo Caproni che elabora una poesia fatta di un punto, un solitario punto nero al centro della pagina bianca, vuota. Così è stato anche per Dante, che dovendo descrivere il Paradiso, la materia di cui è fatto il Paradiso e la natura divina, dovendo esprimere l’inesprimibile, l’ineffabile, dichiara tutta la sua personale incapacità, e la incapacità della parola stessa, della parola umana, e anche lui ricorre alla musica, ai colori, alla luce, alla matematica, ma paradossalmente fa tutto questo sempre e comunque attraverso la parola. È un paradosso sublime, quasi un’aporia che ritrovo anche in Caccioppoli.
M. D.