lunedì 20 gennaio 2025

Gilda Policastro. Nota di lettura di Maristella Diotaiuti.

 


Nota di lettura di Maristella Diotaiuti per il volume Inattuali, di Gilda Policastro, Transeuropa Edizioni, 2016, scritta in occasione della presentazione alle Cicale Operose.

Più volte, nel corso di questi anni, realizzando eventi di poesia e sulla poesia, mi è capitato di sentirmi contestare lo statuto stesso di poesia in riferimento a testi poetici che non venivano percepiti come tali. Questi contestatori sono evidentemente legati ad un’idea di poesia sentimentale, una poesia “confessional”, che parla di noi ma nella misura in cui sia possibile riconoscersi, rispecchiarsi nell’io autoriale, e quindi chiedono una poesia leggibile, comprensibile, vedendo nella leggibilità - confondendo la leggibilità con l’autenticità - l’autenticità del fare poetico.

Si tratta di problemi che, tra l’altro, hanno animato e animano e arrovellano il mondo culturale, e aprono dibattiti anche piuttosto accesi, ma anche polemiche  (diceva il giovane Croce, a fine ‘800, la polemica mi rinfresca il sangue). E Gilda Policastro è una delle voci più forti e autorevoli in questo dibattito che sostanzialmente verte sulla crisi della poesia in Italia, qualcuno (articolo di Alfonso Berardinelli, comparso sul foglio nel 2015) si è spinto fino a parlare di morte della poesia, che si sarebbe fermata a Zanzotto, Fortini, etc.

Credo che il punto nodale sia nella contrapposizione netta tra due modi contrapposti di concepire e di fare poesia. Attualmente si contendono il campo della poesia due macroaree: da una parte la lirica, la poesia lirica (che comunque nelle sue migliori espressioni, ci rende Milo De Angelis, Valerio Mangrelli, Antonella Anedda, molto distanti dal poetese cui Sanguineti era così ostile) che non è altro che un modo di fare poesia più tradizionale, ad esempio andando a capo ed esprimendo in versi liberi un pensiero soggettivo, cioè un’idea personale del mondo e della eventuale frattura fra l’io e il mondo. Dall’altra parte c’è l’area della poesia di ricerca o la post-poesia (spesso fatta dipendere confusamente dall’avanguardia). Comunque è una poesia nella quale la soggettività è elusa o archiviata in favore di una percezione impersonale e frammentata del mondo, della realtà, e soprattutto lo stesso linguaggio, quello verbale, non è più in primo piano, in posizione gerarchica, rispetto alla contaminazione e ibridazione dei linguaggi, dal visivo al sonoro.

Ed è proprio questo aspetto a distinguere le ultime generazioni poetiche dalla neoavanguardia, cioè la messa in crisi della realtà passa ormai attraverso la completa destituzione di centralità del significante e la predilezione di altre forme (installative) su quelle comunicative. Il rischio che si corre è quello di trasformare la poesia in un ambito di verifica permanente, e vedremo subito dopo come Gilda Policastro risolve questo problema (praticando una terza via, quella della contaminazione dei linguaggi)

Ma partiamo da Inattuali per allargare poi il discorso alle riflessioni più generali sulla poesia. Perché è dentro la sua poesia, nel corpo dei suoi versi, che Gilda Policastro trasferisce e risolve (dando le sue risposte) il dibattito teorico sulla poesia.

Vi dico subito (per chi non li conoscesse già) che i testi di Inattuali non sono di facile lettura, ma non si arriva mai ad una oscurità noiosa per il lettore, e questo grazie alla personalità poetica dell’autrice che impedisce che i testi diventino un puro esercizio di stile, anzi questi testi sono sempre attraversati da una tensione, una densità drammatica, una energia polemica, ma anche da ironia e autoironia che innervano la poesia e la rendono viva anche nelle parti, diciamo, più astruse.

Il titolo, Inattuali, riprende il titolo di un’opera di Nietzsche considerazioni inattuali, che danno testimonianza di un Nietzsche che si sentiva alieno al mondo moderno e intraprende una battaglia contro il presente e la sua mancanza di vera cultura. Le sue considerazioni sono inattuali perché enunciano tesi contrastanti con i valori dominanti e operano per costruire un nuovo futuro anziché per avere successo nell’immediato e conquistare l’attualità.

Nonostante questa dichiarazione di inattualità è una scrittura poetica contemporanea, cioè radicata nel presente e da esso viziata. Soprattutto vi è un soggetto che osserva il mondo, entra in contrapposizione dialettica col mondo, aggiornandolo. Nessun nascondimento dell’io, quindi, al contrario, tutto il mondo contemporaneo è osservato da un soggetto che si fa un’opinione sui costumi, sul linguaggio e i cambiamenti determinati dalla tecnologia del XXI secolo. Gilda ha cioè reimmesso nella scrittura poetica l’io lirico dopo averlo depurato da sentimentalismi e cliché. Viene così abbandonata la chimera perseguita da tanta poesia di ricerca di giungere a un grado zero della soggettività.

I testi della raccolta (tredici, senza titolo e numerati) sono costruiti a partire da frasi, frammenti di dialoghi, affermazioni pseudo-sapienziali, raccolti per strada , nei bar, sull’autobus, secondo la tecnica dell’eavesdropping, cioè l’ascolto involontario dei discorsi altrui estratti dal chiacchiericcio quotidiano, poi riportati sulla pagina. Tutta la scrittura è invasa, attraversata dal rumore di fondo della vita contemporanea . In inattuali questi lacerti di discorso sono dentro le poesie lunghe di cui è costituita la raccolta, che poi in Esercizi di vita pratica si riducono in testi di pochi versi isolati nella pagina bianca, bianco che anziché attutire o assorbire i rumori delle parole, al contrario sembra amplificarlo. Nella poesia di Policastro si avverte quindi  quasi un’accumulazione del suono, o meglio del rumore del mondo, un sottofondo costante che ci dice due cose, innanzitutto della necessità, in poesia, nell’arte in generale, di rappresentazione della realtà, delle condizioni esterne, come le chiamava Sanguineti, che secondo Policastro vanno però restituite nelle modalità del conflitto e attraverso il rinnovamento delle forme e del linguaggio, smontando le gerarchie tra i diversi codici, sfumando la distinzione fra quelli egemoni della prosa e della poesia. Ma ci dice anche che tutto questo rumore in realtà denuncia un disagio, una richiesta di silenzio, e soprattutto l’ammissione della contemporanea incapacità (o meglio impotenza) del poeta di farsi sentire. E Gilda Policastro ce lo dice chiaramente nella poesia  numero 3, estremamente significativa in tal senso. E poi una volta preso atto di questa incapacità, il poeta, Gilda Policastro, comincia a giocare con le parole, si diverte, mettendo all’opera la propria intelligenza, come dire quasi sovraesponendola: come fa ad esempio nella poesia n. 8, dove è esibito anche uno straordinario acrostico. Qui Gilda varia sulla retorica dei fiori, la sottrae al contesto lirico che le sarebbe proprio, che le è congeniale.

(cosa ci dice questo? Ci dice che la modernità ha esaurito da un pezzo la sua carica eversiva, e che l’eversione contemporanea è la ricostruzione di senso)

Gilda Policastro: il mio stile è non avere stile (citando la chiusa di una poesia di Sanguineti) Sicuramente Gilda realizza in poesia una sua personale e originale sintesi della tradizione letteraria e del presente, sempre in relazione dialettica. 

Nella raccolta c’è una terza via che elabora elementi della linea di ricerca con quelli della linea lirica, giungendo a una loro ibridazione, a volte armoniosa, più spesso stridente, ma foriera di novità. Che è anche una via per uscire dallo stallo, dal vicolo cieco al quale conducono le due linee contrapposte. Gilda Policastro auspica cioè che le due esperienze parallele di poesia giungano a toccarsi, e perché no a confliggere, e non per giungere a una sintesi ma per potersi reciprocamente sabotare e rinnovare

Quindi, attraverso questa mediazione, porta dentro l’orizzonte della poesia contemporanea un’ipotesi di “scrittura altra”.

M. D.