martedì 21 gennaio 2025

Anna Toscano (Lisetta Carmi). Nota di lettura di Maristella Diotaiuti.

 


Nota di lettura di Maristella Diotaiuti per il volume Con amore e con amicizia. Lisetta Carmi, di Anna Toscano, Electa Edizioni, 2023, scritta in occasione della presentazione alle Cicale Operose.

 

Katherine Mansfield disse: voglio essere tutto ciò che sono capace di diventare. Sicuramente Lisetta Carmi è vissuta secondo questo principio. Infatti lei stessa diceva di: posso dire di essere una persona libera di fare quello che è giusto fare nel momento giusto.

Un libro piccolo, in realtà molto denso, ricco, e direi prezioso per le cose che vengono dette e come vengono dette. Un singolare piccolissimo libro con una veste editoriale di particolare raffinatezza, una bella grafica, accurata che richiama un po’ i modi, alcuni stilemi tipici del design editoriale italiano degli anni ‘70. La dimensione tascabile, o supertascabile e il numero delle pagine inferiore a 100, pensato dentro a un progetto di lettura ad alta voce del testo, da compiersi in breve tempo in circa 45 minuti. Insomma, libri concepiti come taccuini, quaderni di appunti da sfogliare e sfogliare, annotare, sottolineare, libri da vivere!  La collana, “oilà” è curata da Chiara Alessi, ed è tutta dedicata a figure femminili, alle donne che si sono distinte nel panorama creativo, culturale italiano, in ambiti di discipline e professioni ritenute da sempre appannaggio esclusivo dell’universo maschile, come ad esempio l’architettura, la musica, la grafica, la fotografia, il design, la moda, e altre. Cioè in questa collana vengono pubblicate le biografie proprio di alcune tra le più geniali interpreti culturali del novecento. Tra l’altro, il titolo della collana “oilà” riprende il canto politico, il famoso canto delle mondine. E oilà suona proprio come una esclamazione, una “chiamata alle armi” delle donne per una nuova consapevolezza e una riscrittura della storia anche culturale di cui le donne sono protagoniste ma o eclissate o messe in posizione, in condizione ancillare. Siamo cioè dentro un progetto di una necessaria ricostruzione della genealogia femminile. Alla base di questa collana c’è l’idea di mettere in relazione donne del presente con le donne che ci hanno preceduto “le nostre amiche remote” come le chiamava Anna Banti, donne che parlano di altre donne. quindi relazione è la parola chiave per questo libro, e per gli altri pubblicati nella collana. E cosa vuol dire ‘donne che parlano di donne’? Significa adottare una modalità empatica, di connessione, significa entrare in profonda relazione con l’altra, e parlarne da queste vicinanze.

E quindi, per tornare al libro, qui Anna Toscano fa esattamente questo: scrive la biografia di Lisetta Carmi e si mette in relazione con Lisetta, senza per questo perdere di vista il rigore filologico, metodologico, di ricerca. Tra l’altro la relazione empatica, apertamente dichiarata già nel titolo, con amore e con amicizia, è più volte ribadita nel corso della narrazione con quel continuo riferimento al filo rosso che corre tra mani occhi e cuore, che è di Lisetta Carmi ma anche di Anna e tra Anna e Lisetta. Anna qui realizza non una semplice biografia ma appunto un racconto biografico, con modalità precise che evidenziano proprio la relazione, a cominciare dalla tecnica dialogica, cioè Anna si rivolge direttamente a Lisetta, le pone delle domande, alle quali Anna stessa fa corrispondere delle risposte di Lisetta inserendo frasi realmente pronunciare o scritte da Carmi, è quasi un botta e risposta, come avviene nelle interviste, nelle chiacchierate tra amiche. Dialogismo interrotto dalla narrazione ma che ritorna sempre. Ma c’è anche un altro dialogo, un’altra relazione, questa volta tra Anna e il lettore, la lettrice, perché spesso Anna si rivolge a chi sta leggendo, lo chiama in causa, gli chiede di ricordare cosa ha detto all’inizio del libro, o in qualche pagina precedente, lo tira dentro ed esige da lui o da lei una presenza attiva.   

E ancora, c’è da parte di Anna l’uso della scrittura come una macchina fotografica, cioè proprio lo stesso strumento utilizzato da Lisetta, con la realizzazione, nella scrittura, di tecniche proprie della fotografia, zoomate su particolari come i volti, o visioni grandangolari, chiaroscuri come con aperture e chiusure dei diaframmi, o sovraesposizioni, o dissolvenze e quant’altro.

Questa tecnica di scrittura di Anna come fosse una macchina fotografica la ritroviamo a partire dall’incipit, dall’inizio del libro, con l’immagine di Lisetta seduta sul tetto della sua casa in Puglia, come in uno scatto fotografico, o in un fermo immagine, e poi c’è la dissolvenza di questa immagine per andare a ritroso nel tempo e partire col racconto dall’infanzia di Lisetta, opera una sorta di analessi, o retrospezione o flashback, che dir si voglia. Immagine che poi sarà ripresa alla fine del libro, come a chiudere il cerchio ma solo della narrazione, non dell’esistenza di Lisetta che sembra senza tempo, proprio come avviene nelle fotografie.

L’intento di questo libro è di restituirci una Lisetta Carmi intera, nella sua totalità e complessità, quindi non è facile spiegare chi è stata Lisetta Carmi, è impossibile racchiuderla in una definizione, Anna parla efficacemente di identità nomade, forse la più idonea è quella di anima in cerca, perché nella sua vita ha sempre cercato qualcosa di ulteriore, non si è mai fermata ad una acquisizione, ad una tappa della sua vicenda esistenziale, si è sempre messa alla prova molte volte, da musicista, pianista di grande talento a fotografa del mondo, e anche verso la fine della sua vita ha sperimentato nuove forme di espressione dell’arte ma anche di se stessa.

L’amore per la musica la salva durante l’esilio in Svizzera, di famiglia benestante ebrea, è costretta a fuggire in seguito alle leggi razziali. Poi è stata concertista, anche molto apprezzata, carriera promettente, che però non l’appaga completamente, perché, come lei dice, non le permette di entrare in stretta relazione con l’umanità. Interrompe bruscamente quando entra a contatto con le rivendicazioni politiche nella sua città, con le manifestazioni di protesta degli operai, lo sciopero generale, e sente l’urgenza di impegnarsi in prima persona, è come se avesse compreso di doversi difendere dalla sua stessa passione che la isolava dagli altri.

Intorno al 1960 Carmi incontra la fotografia, e anche questo passaggio dalla musica alla fotografia sembra casuale, e lo stacco sembra netto, ma in realtà, come lei stessa dice, quegli anni di studio rigoroso e di ricerca in solitudine rimasero come un sottofondo e si riversarono nella fotografia, il lavoro della musica, che è astratta, si riversò al di fuori, nell’immagine.  Ma sin da subito rivela il motivo preciso che sta alla base del suo lavoro di fotografa: capire la realtà e le persone che sceglieva di riprendere, non per produrre immagini, per fare scoop, o lavori sensazionalistici, non aspetta commissioni, richieste, fotografa il mondo e quello che le interessa del mondo, ha l’esigenza di raccontare le persone, il bisogno di raccontare l’altro, anche per definirsi , ma soprattutto raccontare le marginalità sia lavorative che esistenziali, dare voce agli ultimi, i dimenticati.

Anche dentro la fotografia però Lisetta porta la sua inquietudine, e infatti dentro quest’unico ‘contenitore’ della fotografia, ci sono tante fasi, tante vite ancora, tanti lavori: fotografa di scena al Teatro Duse di Genova, reportages di documentazione e di denuncia sociale, come quello sui lavoratori del porto di Genova, “camalli” in genovese (nessuno prima di lei aveva avuto il coraggio di documentare le condizioni disumane in cui quegli operai erano costretti a lavorare). Ma anche il dossier del 1962 dedicato ai lavoratori dei cantieri e delle acciaierie dell’Italsider e tanti altri reportages realizzati durante i suoi viaggi all’estero, in Europa e in molte parti del mondo: Venezuela, Colombia, Messico, Israele, Nepal, a Parigi, dove scatta fotografie in bianco e nero nella metropolitana (1966).

Le interessa il mondo dei sommersi, del sottosuolo, i piani temporali sfasati, non coincidenti, di chi è fermo, come i poveri, i barboni, e quelli che si muovono, corrono, gli efficienti della società, i produttivi . Il tanto famoso lavoro sui travestiti del ghetto di Genova.  Il lavoro nel cimitero monumentale di Staglieno dal titolo (straniante) “erotismo e autoritarismo a Staglieno”, (1966) in cui Sarmi indaga sul desiderio patriarcale di eternarsi nel marmo, affermando il proprio potere maschilista anche attraverso la rappresentazione erotica del corpo nudo femminile nei monumenti funebri di fine ‘800.

E poi le foto della vita, scattate in una sala parto (1968) nell’ospedale Galliera di Genova, che documentano le fasi della nascita, e la postura di Carmi, frontale alla donna, alla partoriente è emblematica del suo modo di concepire la fotografia: mettersi di fronte alle cose e raccontarle così come sono, senza fronzoli, senza orpelli, quasi senza il filtro del suo sguardo, del suo ‘io’ autoriale.

In tutti questi lavori fotografici c’è l’uso della fotografia come strumento di conoscenza ma anche di analisi sociale e antropologica ma soprattutto sono lavori originali, anticonvenzionali, e, per certi versi, destabilizzanti. Nonostante il clima libertario che si respirava in quei primi anni ‘70, i suoi lavori erano troppo innovativi, il lavoro di ricerca di Carmi era distante da quello dei fotoreporter a lei contemporanei, perché Carmi raccontava la dimensione più intima e oscura del disagio esistenziale, e usava la fotografia come strumento di compartecipazione empatica verso gli esseri umani e le loro storie

Di forte impatto, è il lavoro sulla comunità di travestiti del centro di Genova, a due passi da quella via del campo cantata da De André, un mondo di invisibili e di reietti come li considerava la società di allora. Di fatto risultò scandaloso per le modalità con cui Lisetta lo svolse e per gli esiti. Nei sei mesi di quasi convivenza e intimità con questo gruppo di persone, Lisetta condivideva momenti della loro quotidianità: l’avevano accolta in casa loro, la invitavano alle feste, si fidavano del tutto della donna prima che dell’artista, e soprattutto a Lisetta interessava far emergere proprio la normalità della vita di queste persone, cogliere i travestiti nei momenti di consuetudine e familiarità, in un interno italiano metà anni sessanta simile a tanti altri, nelle sue foto non c’è nulla che evochi la trasgressione, solo normalità, Carmi ci mette il suo sguardo e il suo il senso di pietas e devozione che vanno oltre la cronaca.

Lo testimoniano le vicende editoriali piuttosto travagliate del libro che seguì al lavoro fotografico, a partire dalla difficoltà ad essere pubblicato, e poi diffuso. Gli editori non rischiavano, e la pubblicazione si ebbe grazie all’impegno di Sergio Donnabella che lo pubblicò a proprie spese fondando allo scopo la Essedì Editrice a Roma. Ma una volta uscito, l’unica presentazione del libro si ebbe a Roma, e non alla modernissima e anticonformista Feltrinelli al Babuino, bensì dall’irriducibile Remo Croce a corso Vittorio. Croce comprò 100 copie del libro, ed erano presenti Dacia Maraini, Alberto Moravia, il poeta Dario Bellezza, e l’antropologo Lombardi Satriani – entrambe le librerie non esistono più. Le librerie lo rifiutarono, i librai lo nascosero lontano dalle vetrine, e alla lunga finì al macero. ne furono salvate centinaia di copie da Lisetta stessa, l’editore, il grafico e altre persone, copie che furono smistate ad amici o vendute sottobanco, ma fu la scrittrice Barbara Alberti a mandare un camion a Milano, alla tipografia Nava, per salvare la tiratura rimanente, un migliaio di copie, custodendone molte in casa, come soprammobili e trovando poi negli anni il modo di regalarle. Tanto che oggi le sono rimaste solo due copie. Tra l’altra oggi gli esemplari rimasti, pochissimi, sono oggetti di culto e costosissimi, possono arrivare anche a duemila euro se autografe. Questo lavoro fu molto significativo anche per la stessa Carmi, lei stessa scrive: ho capito che non esistono gli uomini e le donne, esistono gli esseri umani … i travestiti mi hanno insegnato ad accettarmi per quello che sono: una persona che vive senza ruolo. Osservare i travestiti mi ha fatto capire che tutto ciò che e’ maschile può essere anche femminile, e viceversa. Non esistono comportamenti obbligati, se non in una tradizione autoritaria che ci viene imposta fin dall’infanzia. Sono parole molto significative.

Lo sperimentalismo fotografico su Il quaderno musicale di Annalibera. Mi ha molto intrigato il lavoro di Lisetta su Il quaderno musicale di Annalibera, di Luigi Dallapiccola, una composizione per il compleanno della figlia in stretto stile dodecafonico che segue la teoria musicale di Arnold Schonberg che opera una radicale trasformazione della musica del ‘900, perché mette in crisi e dissolve la tonalità, l’armonia, realizzando un tipo di musica disarmonica, dissonante, che causa all'ascoltatore un senso di disagio e tensione, ma anche inquietudine ed un senso di angoscia. Non so se e quanto interessasse a Carmi questa dimensione della musica, queste innovazioni in sé, ma credo che sicuramente a lei interessasse tradurre in immagine questo tipo di musica perché coglieva gli aspetti più drammatici dell’umanità. Tra l’altro la musica dodecafonica ha molto a che fare con il silenzio, con l’assenza, il vuoto, quella dimensione che poi tanta parte avrà nella fase finale della vita di Lisetta. Lisetta inventa una tecnica tutta particolare che dà dei risultati, secondo me, straordinari e anche bellissimi (mi ricorda Kandinsky per l’astrattismo e le linee). Non si tratta di fotografie vere e proprie, ma di foto-grafie (scusate il gioco di parole): Carmi traduce le 11 partiture musicali in 11 fotogrammi astratti realizzati graffiando il negativo nero, poi mi sembra lo sovraesponga, insomma fa tutta una serie di operazioni che si fanno in fotografia, giocando con le fasi dello sviluppo, che nemmeno vi saprei ridire. Questi negativi furono poi stampati in un fascicolo che la stessa Carmi rilegò a mano, in poche versioni, ognuna differente dall’altra nell’impostazione grafica e nella dimensione.  

La stessa Lisetta motiva e spiega questo lavoro, scrivendo: Ho fatto questo lavoro per un impellente necessità interiore. Avevo lasciato la musica – la forza divina che ha sempre guidato la mia vita – ed ero ormai una fotografa. Ho voluto creare un legame tra Dallapiccola, che amo, e il segno fotografico, allora ho inventato una tecnica che mi consentisse di dare un significato grafico ad ogni pezzo del quaderno musicale di Annalibera.

Ezra Pound C’è poi un altro gruppo particolare di fotografie, che rientrano nell’interesse di Carmi per il ritratto, dove dalle immagini d’insieme passa al singolo, alla persona senza contorno, come restringendo la focale, mi riferisco a quelle scattate al poeta Ezra Pound a Rapallo nel 1966. In un brevissimo arco di tempo di soli 4 minuti riuscì a scattare 20 foto tra le quali ne scelse 12, quelle che conosciamo. Queste foto hanno a che fare anche con il silenzio: quel silenzio colto da Carmi, da fotografa, nella visione fuggevole di Pound vecchio e malato, e silenzioso, ormai lontano dal mondo (non disse nulla).  Mi ha molto impressionato la modalità con cui si è svolta questa vicenda, e che Anna Toscano racconta nel libro (pag.68-71). Anna scrive: Carmi scrive con la fotografia il silenzio di Pound.

 Israele Qui Carmi prova una profonda sofferenza (pag. 51), scrive: per me è stato un grande dolore vedere che i popoli non sanno vivere insieme, che il razzismo subito può subito trasformarsi in un razzismo verso un popolo fratello, che è obbligato a vivere sula stessa terra in uno stato di inferiorità e anche di prigionia, lei, ricordiamolo, ebrea, che aveva subito le leggi razziali, che era dovuta fuggire, ragazzina, in Svizzera per salvarsi, riconosce che il seme del razzismo può attecchire anche dove sarebbe impensabile trovarlo.

Carmi e il femminismo Nella sua esperienza di fotografa, Lisetta ha fotografato molto le donne, soprattutto le donne lavoratrici, come quelle nei sugherifici in Sardegna, a Calangianus, e qui Carmi affronta un altro tema a lei caro, quello delle donne e del loro contributo all’interno della società.  Le donne sono oggetto del suo interesse anche nel suo viaggio in Sicilia, dove scatta delle foto straordinarie, bellissime alle donne siciliane, all’interno di un progetto sulle sue acque che si tradusse in un catalogo, un libro a colori e in bianco e nero dal titolo Acque di Sicilia, al quale partecipò anche Sciascia con un suo testo. A me ha ricordato un po’ lo stesso atteggiamento di Goliarda Sapienza, verso il femminismo di allora, o di Letizia Battaglia, e altre, che esercitavano il loro femminismo attraverso le loro opere ed anche con la loro stessa esistenza, secondo il principio il personale è politico, il partire da sé  teorizzato e praticato proprio dal femminismo di quegli anni.

Carmi e lo spiritualismo Poi ad un certo punto si apre per Carmi un’altra vita: in seguito all’incontro nel 1976 in India con il maestro Babaji che la immetterà in un percorso spirituale, mistico, che la porterà ad abbandonare la fotografia e a fondare in Puglia, a Cisternino, un ashram, un centro spirituale, non religioso, di accoglienza e condivisione, che dirigerà per 20 anni e che nel tempo è diventato sempre più importante (anche se, mi dicono, ha avuto dei risvolti turistici, è diventato un indotto economico importante, è stato preso d’assalto dalle persone dello spettacolo, i c.d. vip, rischiando di stravolgere l’identità originaria del luogo). È come se tutte le esperienze passate fossero state di preparazione a questa fase in cui si sente finalmente libera e appagata, o meglio come se la fotografia e le altre vite di prima fossero state un lungo apprendistato per arrivare a quella piena e totale com-prenetrazione con gli altri che aveva cercato sin dall’inizio, un po’ come chiudere il cerchio ma senza chiuderlo perché anzi questa nuova fase, nuova esperienza, implica una apertura illimitata verso gli altri. Un percorso teso a cogliere la spiritualità dell’umanità e la verità della vita, e che ora si realizza completamente, e il mezzo fotografico non le serve più.  È il silenzio dove si incontra il divino, il sacro, un silenzio che però è definito, nel libro dei re e dei profeti, “voce di silenzio sottile”, il silenzio che rompe il rumore, che in lingua ebraica è espresso con la parola “demama”(l’ebraico ha più parole per esprimere, significare i diversi modi del silenzio). È come un morire-in-vita, ma per rinascere a un livello superiore.

Ultima fase In realtà c’è ancora un’ulteriore sperimentazione di sé per Lisetta, una fase ancora in cui Lisetta ritrova la musica, e prende il pennello, la china per cimentarsi nella calligrafia cinese, nella scrittura degli ideogrammi, sperimenta la lentezza orientale e nuovi spazi di libertà interiore, alle soglie del congedo definitivo avvenuto all’età di 98 anni.

 M. D.