Nota di
lettura di Maristella Diotaiuti per
il volume Con amore e con amicizia. Lisetta
Carmi, di Anna Toscano, Electa Edizioni, 2023, scritta in occasione della
presentazione alle Cicale Operose.
Katherine Mansfield disse: voglio essere tutto ciò che sono
capace di diventare. Sicuramente
Lisetta Carmi è vissuta secondo questo principio. Infatti lei stessa diceva di sé: posso dire di essere una
persona libera di fare quello che è giusto fare nel momento giusto.
Un libro piccolo, in realtà molto denso, ricco, e direi prezioso per le cose che vengono dette e come vengono dette. Un singolare
piccolissimo libro con una veste
editoriale di particolare raffinatezza, una bella grafica, accurata che richiama un po’ i modi, alcuni
stilemi tipici del design editoriale italiano degli anni ‘70. La dimensione tascabile, o supertascabile
e il numero delle pagine inferiore a
100, pensato dentro a un progetto
di lettura ad alta voce del testo, da compiersi in breve tempo in circa 45 minuti. Insomma, libri concepiti come taccuini, quaderni di appunti da sfogliare e
sfogliare, annotare, sottolineare, libri da vivere! La collana, “oilà” è curata da Chiara Alessi,
ed è tutta dedicata a figure femminili,
alle donne che si sono distinte
nel panorama creativo, culturale italiano, in ambiti di discipline e
professioni ritenute da sempre
appannaggio esclusivo dell’universo maschile, come ad esempio l’architettura, la musica, la grafica, la fotografia, il design, la moda, e
altre. Cioè in questa collana vengono pubblicate le biografie proprio di alcune
tra le più geniali interpreti culturali del novecento. Tra l’altro, il titolo della collana “oilà” riprende il canto politico, il famoso canto delle mondine. E oilà suona proprio come una esclamazione,
una “chiamata alle armi” delle
donne per una nuova consapevolezza
e una riscrittura della storia anche
culturale di cui le donne sono protagoniste ma o eclissate o
messe in posizione, in condizione ancillare. Siamo cioè dentro un
progetto di una necessaria
ricostruzione della genealogia femminile. Alla base di questa collana
c’è l’idea di mettere in relazione donne del presente con le donne che ci hanno
preceduto “le nostre amiche remote” come le chiamava Anna Banti, donne che
parlano di altre donne. quindi relazione
è la parola chiave per
questo libro, e per gli altri pubblicati nella collana. E cosa vuol dire ‘donne che parlano di donne’? Significa
adottare una modalità empatica,
di connessione, significa entrare in profonda relazione con l’altra,
e parlarne da queste vicinanze.
E quindi,
per tornare al libro, qui Anna Toscano fa esattamente questo: scrive
la biografia di Lisetta Carmi e si
mette in relazione con Lisetta, senza per questo perdere di vista il rigore filologico, metodologico, di ricerca. Tra
l’altro la relazione empatica, apertamente dichiarata già nel titolo, con amore e con amicizia, è più volte ribadita nel corso della narrazione
con quel continuo riferimento al filo
rosso che corre tra mani occhi e
cuore, che è di Lisetta Carmi ma
anche di Anna e tra Anna e Lisetta.
Anna qui realizza non una semplice biografia
ma appunto un racconto biografico, con modalità precise che evidenziano proprio la relazione, a
cominciare dalla tecnica dialogica,
cioè Anna si rivolge direttamente a Lisetta,
le pone delle domande, alle
quali Anna stessa fa corrispondere
delle risposte di Lisetta inserendo
frasi realmente pronunciare o scritte da Carmi, è quasi un botta e risposta, come
avviene nelle interviste, nelle
chiacchierate tra amiche. Dialogismo
interrotto dalla narrazione
ma che ritorna sempre. Ma c’è anche un
altro dialogo, un’altra
relazione, questa volta tra Anna
e il lettore, la lettrice,
perché spesso Anna si rivolge a chi sta leggendo, lo chiama in causa, gli chiede di ricordare cosa ha detto all’inizio del libro, o in qualche pagina precedente, lo tira dentro ed esige da
lui o da lei una presenza attiva.
E ancora, c’è da parte di Anna l’uso della scrittura come una
macchina fotografica, cioè proprio lo stesso strumento utilizzato da Lisetta, con la realizzazione,
nella scrittura, di tecniche proprie
della fotografia, zoomate su
particolari come i volti, o
visioni grandangolari, chiaroscuri come con aperture e
chiusure dei diaframmi, o sovraesposizioni,
o dissolvenze e quant’altro.
Questa tecnica di scrittura di Anna come fosse
una macchina fotografica la ritroviamo
a partire dall’incipit, dall’inizio del libro, con l’immagine di Lisetta seduta sul tetto della sua casa in Puglia,
come in uno scatto fotografico,
o in un fermo immagine, e poi
c’è la dissolvenza di questa immagine
per andare a ritroso nel tempo e
partire col racconto dall’infanzia di Lisetta,
opera una sorta di analessi, o retrospezione o flashback, che dir si voglia. Immagine
che poi sarà ripresa alla fine del libro, come a chiudere il cerchio ma solo della narrazione, non dell’esistenza di Lisetta che
sembra senza tempo, proprio come avviene nelle fotografie.
L’intento di questo libro è di restituirci
una Lisetta Carmi intera, nella sua
totalità e complessità, quindi non
è facile spiegare chi è stata
Lisetta Carmi, è impossibile
racchiuderla in una definizione, Anna parla efficacemente di identità
nomade, forse la più idonea
è quella di anima in cerca,
perché nella sua vita ha sempre cercato
qualcosa di ulteriore, non si è
mai fermata ad una acquisizione,
ad una tappa della sua vicenda
esistenziale, si è sempre messa
alla prova molte volte, da
musicista, pianista di grande talento a fotografa del mondo, e anche verso la fine della sua vita ha sperimentato nuove forme di espressione dell’arte ma anche di se stessa.
L’amore per la musica la salva
durante l’esilio in Svizzera, di famiglia
benestante ebrea, è costretta a fuggire
in seguito alle leggi razziali. Poi
è stata concertista, anche molto apprezzata, carriera promettente, che
però non l’appaga completamente,
perché, come lei dice, non le permette
di entrare in stretta relazione con l’umanità. Interrompe bruscamente quando
entra a contatto con le rivendicazioni
politiche nella sua città, con le
manifestazioni di protesta degli operai, lo sciopero generale, e sente l’urgenza di impegnarsi in prima
persona, è come se avesse compreso di doversi difendere dalla sua stessa passione
che la isolava dagli altri.
Intorno al 1960 Carmi incontra la fotografia, e anche questo passaggio dalla musica
alla fotografia sembra casuale,
e lo stacco sembra netto, ma in realtà, come lei stessa dice, quegli anni di
studio rigoroso e di ricerca in solitudine rimasero come un sottofondo e si
riversarono nella fotografia, il lavoro della musica, che è astratta, si riversò
al di fuori, nell’immagine. Ma sin
da subito rivela il motivo preciso che sta alla base del suo lavoro di fotografa:
capire la realtà e le persone che sceglieva di riprendere,
non per produrre immagini, per fare scoop, o lavori sensazionalistici, non aspetta commissioni, richieste, fotografa il mondo e quello che le
interessa del mondo, ha l’esigenza di raccontare le persone, il bisogno
di raccontare l’altro, anche per definirsi , ma soprattutto raccontare le marginalità sia lavorative che esistenziali, dare voce agli ultimi, i dimenticati.
Anche dentro la fotografia però Lisetta porta la sua inquietudine, e infatti dentro
quest’unico ‘contenitore’ della fotografia, ci sono tante fasi, tante vite ancora, tanti lavori: fotografa di scena al Teatro Duse di Genova, reportages di documentazione e di denuncia
sociale, come quello sui lavoratori
del porto di Genova, “camalli” in genovese (nessuno prima di lei
aveva avuto il coraggio di documentare le condizioni disumane in cui quegli
operai erano costretti a lavorare).
Ma anche il dossier del 1962
dedicato ai lavoratori dei cantieri e
delle acciaierie dell’Italsider e tanti altri reportages realizzati durante i suoi viaggi all’estero, in Europa e in
molte parti del mondo: Venezuela, Colombia, Messico, Israele, Nepal, a Parigi, dove scatta fotografie in bianco e nero nella metropolitana (1966).
Le interessa
il mondo dei sommersi, del sottosuolo, i piani temporali sfasati, non
coincidenti, di chi è fermo, come i poveri, i barboni, e quelli che si
muovono, corrono, gli efficienti della società, i produttivi . Il tanto famoso lavoro sui travestiti del ghetto di Genova. Il lavoro
nel cimitero monumentale di Staglieno dal titolo (straniante) “erotismo
e autoritarismo a Staglieno”, (1966) in cui Sarmi indaga sul desiderio patriarcale di eternarsi
nel marmo, affermando il proprio
potere maschilista anche attraverso la rappresentazione erotica
del corpo nudo femminile nei monumenti
funebri di fine ‘800.
E poi le foto della vita, scattate in una sala parto
(1968) nell’ospedale Galliera di
Genova, che documentano le fasi
della nascita, e la postura
di Carmi, frontale alla donna, alla partoriente è emblematica del suo modo di
concepire la fotografia: mettersi di fronte alle cose e raccontarle così come
sono, senza fronzoli, senza orpelli, quasi senza il filtro del suo sguardo,
del suo ‘io’ autoriale.
In tutti questi lavori fotografici c’è
l’uso della fotografia come strumento
di conoscenza ma anche di
analisi sociale e antropologica ma soprattutto sono lavori originali, anticonvenzionali, e, per certi versi, destabilizzanti. Nonostante
il clima libertario che si respirava in quei primi anni ‘70, i suoi
lavori erano troppo innovativi, il lavoro di ricerca di Carmi era distante da quello dei fotoreporter a lei
contemporanei, perché Carmi
raccontava la dimensione più intima e oscura del disagio esistenziale, e usava
la fotografia come strumento di compartecipazione empatica verso gli esseri
umani e le loro storie
Di forte impatto, è il lavoro sulla comunità di travestiti
del centro di Genova, a due passi da quella via del campo cantata da De André, un mondo di invisibili e di reietti come li considerava la società
di allora. Di fatto risultò scandaloso per le modalità con cui Lisetta lo
svolse e per gli esiti. Nei sei mesi
di quasi convivenza e intimità con questo gruppo di persone, Lisetta
condivideva momenti della loro quotidianità: l’avevano accolta in casa
loro, la invitavano alle feste, si
fidavano del tutto della donna prima che dell’artista, e soprattutto a Lisetta interessava far emergere proprio la
normalità della vita di queste persone, cogliere i travestiti nei
momenti di consuetudine e familiarità, in
un interno italiano metà anni sessanta simile a tanti altri, nelle sue foto non c’è nulla che evochi la
trasgressione, solo normalità, Carmi ci mette il suo sguardo e il suo il senso di pietas e devozione
che vanno oltre la cronaca.
Lo
testimoniano le vicende editoriali
piuttosto travagliate del libro che seguì al lavoro fotografico, a partire dalla difficoltà ad essere
pubblicato, e poi diffuso. Gli editori
non rischiavano, e la pubblicazione si ebbe grazie all’impegno di Sergio Donnabella che lo pubblicò a proprie spese fondando allo scopo la Essedì Editrice a Roma. Ma una volta uscito, l’unica presentazione
del libro si ebbe a Roma, e non alla modernissima e anticonformista Feltrinelli
al Babuino, bensì dall’irriducibile Remo Croce a corso Vittorio. Croce comprò
100 copie del libro, ed erano presenti Dacia Maraini, Alberto Moravia, il poeta
Dario Bellezza, e l’antropologo Lombardi Satriani – entrambe le librerie non
esistono più. Le librerie lo
rifiutarono, i librai lo
nascosero lontano dalle vetrine, e alla lunga finì al macero. ne furono
salvate centinaia di copie da Lisetta stessa, l’editore, il grafico e altre persone, copie che furono smistate ad
amici o vendute sottobanco, ma fu la
scrittrice Barbara Alberti a mandare
un camion a Milano, alla tipografia Nava, per salvare la tiratura rimanente, un migliaio di copie, custodendone
molte in casa, come soprammobili e trovando poi negli anni il modo di
regalarle. Tanto che oggi le sono
rimaste solo due copie. Tra l’altra oggi gli esemplari rimasti, pochissimi, sono oggetti di culto e costosissimi, possono arrivare anche a duemila euro se autografe. Questo lavoro fu molto significativo anche
per la stessa Carmi, lei stessa scrive:
ho capito che non esistono gli uomini e le donne, esistono gli esseri
umani … i travestiti mi hanno insegnato ad accettarmi per quello che sono: una
persona che vive senza ruolo. Osservare i travestiti mi ha fatto capire che
tutto ciò che e’ maschile può essere anche femminile, e viceversa. Non esistono
comportamenti obbligati, se non in una tradizione autoritaria che ci viene
imposta fin dall’infanzia. Sono parole
molto significative.
Lo sperimentalismo
fotografico su Il quaderno musicale di Annalibera. Mi ha molto intrigato il lavoro di Lisetta su Il
quaderno musicale di Annalibera, di Luigi Dallapiccola, una composizione per il compleanno della figlia in stretto stile dodecafonico che segue la teoria musicale di Arnold Schonberg che opera
una radicale trasformazione della
musica del ‘900, perché mette in
crisi e dissolve la tonalità, l’armonia, realizzando un tipo di musica
disarmonica, dissonante, che
causa all'ascoltatore un senso di disagio e tensione, ma anche inquietudine ed un senso
di angoscia. Non so se e quanto
interessasse a Carmi questa dimensione della musica, queste innovazioni
in sé, ma credo che
sicuramente a lei interessasse tradurre
in immagine questo tipo di musica perché coglieva gli aspetti più drammatici dell’umanità. Tra
l’altro la musica dodecafonica
ha molto a che fare con il silenzio,
con l’assenza, il vuoto, quella dimensione che poi tanta parte avrà nella
fase finale della vita di Lisetta. Lisetta inventa una tecnica tutta particolare che dà dei risultati, secondo me, straordinari e anche bellissimi (mi
ricorda Kandinsky per l’astrattismo e le linee). Non si tratta di fotografie vere e proprie, ma di foto-grafie (scusate il gioco di
parole): Carmi traduce le 11 partiture
musicali in 11 fotogrammi astratti realizzati graffiando il negativo nero, poi mi sembra lo sovraesponga,
insomma fa tutta una serie di
operazioni che si fanno in
fotografia, giocando con le fasi
dello sviluppo, che nemmeno vi
saprei ridire. Questi negativi
furono poi stampati in un
fascicolo che la stessa Carmi rilegò a mano, in poche versioni, ognuna differente dall’altra nell’impostazione
grafica e nella dimensione.
La stessa Lisetta
motiva e spiega questo lavoro, scrivendo: Ho
fatto questo lavoro per un impellente necessità interiore. Avevo lasciato la
musica – la forza divina che ha sempre guidato la mia vita – ed ero ormai una
fotografa. Ho voluto creare un legame tra Dallapiccola, che amo, e il segno
fotografico, allora ho inventato una tecnica che mi consentisse di dare un
significato grafico ad ogni pezzo del quaderno musicale di Annalibera.
Ezra Pound C’è poi un altro gruppo particolare di fotografie, che rientrano nell’interesse di Carmi per il ritratto, dove dalle
immagini d’insieme passa al singolo, alla persona senza contorno, come restringendo la focale, mi riferisco a quelle scattate al poeta Ezra Pound a
Rapallo nel 1966. In un brevissimo arco di tempo
di soli 4 minuti riuscì a scattare 20
foto tra le quali ne scelse 12, quelle che conosciamo. Queste foto hanno a che fare anche con il silenzio: quel silenzio colto da Carmi, da fotografa, nella visione fuggevole di Pound vecchio e malato, e silenzioso,
ormai lontano dal mondo (non disse nulla). Mi ha
molto impressionato la modalità con
cui si è svolta questa vicenda,
e che Anna Toscano racconta nel libro (pag.68-71).
Anna scrive: Carmi
scrive con la fotografia il silenzio di Pound.
Israele Qui Carmi prova una profonda sofferenza (pag. 51), scrive: per me è stato un grande dolore vedere che i
popoli non sanno vivere insieme, che il razzismo subito può subito trasformarsi
in un razzismo verso un popolo fratello,
che è obbligato a vivere sula stessa terra in uno stato di inferiorità e anche
di prigionia, lei, ricordiamolo,
ebrea, che aveva subito le leggi razziali, che era dovuta fuggire, ragazzina, in Svizzera per salvarsi, riconosce che il seme del razzismo può
attecchire anche dove sarebbe impensabile trovarlo.
Carmi e il femminismo Nella sua
esperienza di fotografa, Lisetta ha fotografato molto le donne, soprattutto
le donne lavoratrici, come quelle nei
sugherifici in Sardegna, a Calangianus, e qui Carmi affronta un altro tema a lei caro, quello delle donne e del loro contributo all’interno
della società. Le donne sono
oggetto del suo interesse anche nel suo
viaggio in Sicilia, dove scatta
delle foto straordinarie, bellissime alle donne siciliane, all’interno di un progetto sulle sue acque che si tradusse in un catalogo, un libro a colori e in bianco e nero dal titolo Acque di Sicilia, al quale partecipò anche Sciascia con un suo testo. A me ha
ricordato un po’ lo stesso atteggiamento di Goliarda Sapienza, verso il femminismo di
allora, o di Letizia Battaglia,
e altre, che esercitavano il loro
femminismo attraverso le loro opere ed anche con la loro stessa esistenza, secondo il principio il personale è
politico, il partire da sé
teorizzato e praticato proprio dal femminismo di quegli anni.
Carmi e lo spiritualismo Poi ad un certo punto si apre per Carmi un’altra vita: in seguito all’incontro nel 1976 in India con il maestro Babaji che la immetterà in un percorso spirituale,
mistico, che la porterà ad abbandonare
la fotografia e a fondare in Puglia,
a Cisternino, un ashram,
un centro spirituale, non religioso, di
accoglienza e condivisione, che dirigerà
per 20 anni e che nel tempo è
diventato sempre più importante (anche
se, mi dicono, ha avuto dei risvolti turistici, è diventato un indotto
economico importante, è stato preso d’assalto dalle persone dello spettacolo, i
c.d. vip, rischiando di stravolgere l’identità originaria del luogo). È come se tutte le esperienze passate fossero
state di preparazione a questa fase in cui si sente finalmente libera e appagata, o meglio come se
la fotografia e le altre vite di prima fossero state un lungo apprendistato per arrivare a quella piena e totale
com-prenetrazione con gli altri che aveva cercato sin dall’inizio, un po’ come chiudere il cerchio ma senza chiuderlo perché anzi questa nuova fase, nuova
esperienza, implica una apertura
illimitata verso gli altri. Un percorso
teso a cogliere la spiritualità dell’umanità e la verità della vita, e che ora si realizza completamente, e il mezzo fotografico non le serve più.
È
il silenzio dove si incontra il
divino, il sacro, un silenzio che però è definito, nel libro dei re e dei
profeti, “voce di silenzio sottile”,
il silenzio che rompe il rumore, che
in lingua ebraica è espresso con la parola “demama”(l’ebraico ha più parole per esprimere, significare i
diversi modi del silenzio). È come un morire-in-vita, ma per rinascere a
un livello superiore.
Ultima fase In realtà c’è ancora un’ulteriore sperimentazione di sé per Lisetta, una fase ancora in cui Lisetta ritrova la musica, e
prende il pennello, la china per cimentarsi nella calligrafia cinese, nella scrittura degli ideogrammi,
sperimenta la lentezza orientale
e nuovi spazi di libertà interiore,
alle soglie del congedo definitivo
avvenuto all’età di 98 anni.
M. D.