Appunti di Maristella Diotaiuti per la serata dedicata a Matilde Serao, organizzata e a cura de Le Cicale Operose. Scelta dei testi a cura di Maristella Diotaiuti. Letture: Anna Botta, Sandra Mazzinghi, Stefania D'Echabur, Annalisa Bove.
Donna
Matilde, come veniva chiamata dagli amici, è stata una donna e un’intellettuale
inafferrabile, non inquadrabile in un canone.
Purtroppo la
sua opera è ancora poco ricordata nelle storie letterarie e nelle antologie
scolastiche. Quando se ne parla, di solito viene tratteggiata come una verista
minore, una narratrice a tinte forti, tardo-romantica, che racconta storie
d’amore infelice, che abbonda di patetismo, di espressioni dialettali e colore
napoletano. appunto la napoletana verace.
Matilde
conquistò Parigi, trovò traduttori e lettori un po’ dovunque, commosse duchesse e cameriere, ma le venne a mancare
la considerazione degli artisti e
l’attenzione dei critici. Sulla sua scrittura pesò a lungo la severa opinione
di Renato Serra, autorevole critico dell’epoca.
Certo ci
sono state delle eccezioni importanti:
-
CROCE,
in un saggio del 1903, le riconosce una
fantasia mirabilmente limpida e viva;
-
MOMIGLIANO
la definì la più grande pittrice di folle
che abbia mai dato il nostro verismo;
-
CARDUCCI
la giudicò la più forte prosatrice
d’Italia”;
-
e
D’ANNUNZIO le dedicò un romanzo.
Ma mi preme sottolineare qui che quando di Serao scrittrice e giornalista
si parlava in termini encomiastici era perché in lei e nella sua scrittura si
rintracciavano tratti maschili. Infatti
D’Annunzio così diceva: Voi (Matilde) date in Italia l’esempio di una
operosità virile.
E Carducci: Una signora che, diventando autore, rimase donna (come a dire che quando produce opere mirabili e realizza letteratura è perché ha acquisito tratti e modi maschili, e viceversa. Ma questa è una mia polemica che può essere accettata o meno).
Negli ultimi 20 anni, però, c’è stata una vasta produzione di studi universitari su Serao, studi molto sofisticati e accurati:
-
EMMA
GIAMMATTEI la definisce Scrittrice del
grande romanzo di Napoli
-
MICHELE PRISCO Serao internazionale e mondana
-
ANTONIO
PALERMO (Docente di Letteratura Italiana alla Federico II) parla del suo Realismo abbondante
(per citarne solo alcuni).
Purtroppo, nonostante questa seria fioritura di studi si continua ad ignorarla, non c’è un pubblico di lettori e di studenti, non ci sono opportune e selezionate ristampe. Questo anche perché ancora oggi Serao è sostanzialmente legata al suo ruolo ufficiale di “Donna Matilde”, con una accentuata se non esclusiva venatura localistica.
Così quasi nessuno conosce la sua voce autentica perché essa non ci parla attraverso i testi che vengono ristampati assai poco, e non sempre scegliendo il meglio della sua torrenziale produzione.
Ma allora dove
ricercare la Serao autentica e i tratti più distintivi della sua personalità? Mi
faccio aiutare dalle parole che scrisse per la Serao un testimone d’eccezione,
EDITH WHARTON: una celebre scrittrice, grande signora cosmopolita, abituata a
frequentare tutto il bel mondo anglosassone e francese dell’epoca. Whorton
conobbe Matilde a Parigi in un celebre salotto di una contessa Rosa de
Fitz-James. Edith scrive: Tra le donne
che ho incontrato là, la più straordinaria è stata senza dubbio Matilde Serao,
la scrittrice e giornalista napoletana… con il suo abbigliamento e la sua
cadenza stridenti, appariva assurda in quel salotto, dove tutto era in penombra
e in semitono – ma quando incominciava a
parlare era padrona del campo… Ella non parlava mai dall’alto, né cercava di
predominare nella conversazione, le interessava soltanto lo scambio di idee con
persone intelligenti. Il suo tirocinio come giornalista le aveva data una
conoscenza immediata della vita, e una esperienza di questioni pubbliche che
mancava completamente nei salotti delle donne, in cui primeggiava per spirito
ed eloquenza. Aveva un senso virile del fair-play, sapeva ascoltare e non si
dilungava mai troppo su un argomento, ma interveniva con le sue battute al
momento giusto, e lasciava spazio ad altri interlocutori. Ma quando era incoraggiata
a parlare, e le era dato campo libero, allora i suoi monologhi raggiungevano
altezze superiori alla conversazione di qualsiasi altra donna che io abbia mai
conosciuto. La viva immaginazione della narratrice era alimentata da vaste
letture e da una varia esperienza di classi e di tipi che le veniva dalla sua
carriera giornalistica; e la cultura e l’esperienza si fondevano nello
splendore della sua poderosa intelligenza.
Cosa c’è da aggiungere? Vediamo qui l’aristocratica Wharton, la raffinata dama dell’alta società anglosassone che si inchina di fronte all’italiana sgraziata e goffa, stridente, la telegrafista figlia del giornalista tuttofare, dalla vita affannosamente trascorsa sul filo della miseria.
I SUOI TRATTI ORIGINALI
- La sua poderosa intelligenza;
- aveva opinioni proprie e le sapeva
esprimere;
- era originale nel fondere cultura ed
esperienza;
- aveva il coraggio delle proprie idee;
- la spavalderia nel gestire il
suo personaggio pubblico con azioni controcorrente come un matrimonio alla pari
e poi la separazione e la successiva unione da cui ebbe a 48 anni la figlia Eleonora;
- la
libertà di esprimersi e di scrivere professionalmente, cioè
guadagnandosi da vivere con la scrittura.
Per questo la Serao godeva a Napoli, e non solo, di una indiscussa autorevolezza negli anni a cavallo tra 8-900, quando le altre donne non avevano ancora diritto al voto. Una donna, quindi, straordinariamente moderna, capace di affermarsi in qualsiasi ambiente, a cominciare da quello tutto maschile sprezzante e difficile per le donne, del giornalismo professionista, per finire all’ambiente dei salotti aristocratici dove si imponeva per la forza magnetica della sua personalità.
E questa
personalità dirompente la trasfonde nei suoi scritti migliori.
Anche qui è
difficile racchiudere la vasta produzione della Serao entro gli schemi
ristretti di un genere letterario.
In linea
generale si tende a far rientrare la sua scrittura nel filone della letteratura
realista.
Ma presto la
Serao, non più soddisfatta dei programmi veristi, cercò altre soluzioni
narrative e formali, avviando così la letteratura verso formule nuove.
Si può dire
che la narrazione della Serao muove da dati realistici, dall’osservazione
diretta delle cose per trascolorare ben presto nell’autobiografismo.
Ma si tratta
di un autobiografismo di altro genere, mai dichiarato, anzi dissimulato
attraverso l’utilizzo di maschere. lei stessa ebbe a dire, cito: io scavo nella mia memoria, dove i ricordi
sono disposti a strati successivi, e vi dò le note così come le trovo…dal primo
giorno che ho scritto non ho mai voluto e saputo essere altro che un fedele,
umile cronista della mia memoria.
Si tratta
quindi di un autobiografismo ambiguo, sempre affidato a voci narranti, sia
femminili che maschili molto somiglianti a lei, delle maschere.
Come ne La conquista di Roma, ne Vita e avventure di Riccardo Joanna, e
nell’uso frequente di pseudonimi che poi molto spesso sono nomi dei protagonisti
dei suoi libri.
Altro dato
costante: è un misto di modernità e conservazione, una rara capacità di
cogliere i mutamenti del gusto e di
risolverli in soluzioni narrative originali ed innovative.
Ma la novità
e la forza della sua scrittura non va cercata nei suoi romanzi, ma va cercata
dove non c ‘è la forzatura di una trama
o di un modello moralistico. Ciò lo ritroviamo in alcune splendide novelle
degli anni ’80 e soprattutto in quel capolavoro che è Il Ventre
di Napoli: nato come inchiesta giornalistica a seguito dell’epidemia di
colera del 1884, e dalla famosa frase del Ministro Depretis: Bisogna sventrare Napoli pronunciata
dopo la visita del re Umberto ai quartieri poveri della città.
In realtà il
ventre di Napoli è molto di più di un’inchiesta giornalistica, è un’appassionata
rivisitazione degli splendori passati e delle miserie attuali di una città amatissima,
una città-madre di cui la scrittrice – figlia rivela il lato oscuro, il ventre
malato, appunto, con una scrittura dettagliata venata di pietà e di
indignazione, una lingua efficacissima perché spuria, mescolata di termini
dialettali ma fortemente creativi, piena di scorsi impressionistici, ad
effetto, di coralità, di pagine di denunce sulfuree e accorate.
Il meglio
della Serao lo ritroviamo anche nelle novelle dove sono protagoniste le bambine
del popolo. Qui domina una denuncia malinconica e senza speranza, come nella
raccolta giovanile piccole anime del 1883, con la descrizione dei corpi di
bimbe e donne magre viste come icone di miseria e di malessere, esseri
repulsivi. È la domma de-carnalizzata, de-femminilizzata e non attraente perché
non accetta il suo ruolo femminile e quindi è destinata a morire.
Allo stesso
modo il tema della fame è visualizzato con drammaticità nei corpi di bambine nei due racconti Una fioraia e Canituccia, in cui muoiono letteralmente di fame.
Su tutto aleggia la pietà materna di Matilde, che qui si rivela ma che resterà predominante in tutta l’opera, e il suo vivace occhio scrutatore ne è pervaso togliendo così alla narrazione asetticità e freddezza.
Per
chiudere, mi incuriosisce sapere quello che lei stessa pensasse del suo
scrivere, e per questo voglio leggere
alcune sue parole in una intervista a Ugo Ojetti: Io che sono stata tanto accusata di scrivere in una lingua cattiva,
imperfetta, io che anzi confesso di non
sapere scrivere bene, ammiro in ginocchio chi scrive bene… ma vi confesso che
se per caso imparassi a farlo non lo farei. Io credo che con la vivacità di quel linguaggio incerto e di quello stile
rotto, di infondere nelle opere il mio “calore” che non solo vivifica i corpi,
ma li preserva da ogni corruzione del tempo.
E se siamo
qui stasera, 6 maggio 2016, a parlare di lei e leggere alcuni suoi scritti,
allora vuol dire che Matilde ci aveva visto proprio giusto.
Con queste
parole su Matilde Serao spero di lasciare in voi la curiosità di andare a
leggere qualcosa di questa scrittrice e giornalista che amò profondamente la
città di Napoli, l’umanità e la vita.
M. D.