Nota di lettura (sintesi) di Maristella Diotaiuti per il volume L’ira notturna di Penelope, di Antonella Sica, 2022, Prospero Editore,
letta in occasione della presentazione alle Cicale Operose per il Festival VOCI I Edizione.
In copertina troviamo la fotografia di una gabbia divelta, dettaglio dell’opera “damen”, dell’artista e fotografo Pietro Mari. Nella gabbia si intravede l’astina colorata sulla quale molto probabilmente si è posato, per chissà quanto tempo, un uccellino, che è finalmente evaso, volato via. All’esterno della gabbia è rimasta una targa con scritto “damen” cioè donne.
La donna
che era lì, nella gabbia, è andata via, Penelope se n’è andata. Ha
preso consapevolezza di sé e ha operato una ribellione e una scelta.
[...]
L’ira di Penelope è una rilettura e riscrittura del femminile.
Partendo proprio da Penelope che è la figura, insieme ad altre e forse più di altre, che dà vita a un apparato simbolico forte, immediato e condiviso, e quindi dà vita a un modello sociale di stampo patriarcale che ha funzionato, e che funziona tutt’ora. Penelope è l’archetipo della buona moglie, paziente, ubbidiente, chiusa nel suo privato delle sue stanze dedita a lavori prettamente femminili, invisibile e silenziosa, in attesa di un uomo che vive libero l’avventura della sua vita.
Antonella Sica, invece, capovolge questo modello e dà voce a Penelope, le dà la parola, anzi una
parola urlata, le parole dell’ira. Un’ira che non si
addice a Penelope, quindi, quella di Penelope, e anche questa di Antonella, è un’azione eversiva, Ora ritroviamo
una Penelope che si racconta, che esce dal silenzio, che si indaga e rivendica
una propria voce, i propri diritti, la propria identità, in cui davvero noi
donne possiamo riconoscerci, ritrovarci.
È chiaro che prima c’è stato tutto un percorso, ed è proprio di questo percorso che parla il libro di Antonella: percorso esistenziale che ha significato presa di coscienza, dolore, ribellione, lacerazione, coraggio, e infine partenza, creazione di sé. La raccolta stessa è un itinerario scandito dalle varie sezioni, che corrispondono grosso modo ai vari momenti di questa crescita, di questa emancipazione e liberazione.
[…]
Non c’è terra mai
ma il viaggio,
rimani sulla prora
e segna la tua strada
col volo della sabbia
non lasciare castelli
all’orizzonte, non lasciare boe
per i ritorni; scia di nave
prima o poi scompare
e non sai più
chi ha solcato quel mare
la distesa di acqua dietro si placa,
tu solo porti i segni della traversata.
Il riferimento è al viaggio, e Antonella
Sica mette in atto espedienti fonosimbolici, figure di suono funzionali al suo
discorso. Ad esempio, nella seconda strofa troviamo una forte allitterazione
sui nessi -sci-, -scia e -sco (lasciare-scia-scompare) in consonanza con -sol
di solcato, e allitterazione sulla lettera ‘s’ in ridondanza, che riproducono
il suono della nave che solca il mare, lo sciabordio dell’acqua sotto la
chiglia e, nello stesso tempo, anche il suono del vento che accompagna il
procedere della nave in una navigazione a vela. Anche i continui enjambement,
reiterati ad ogni fine verso, riproducono, quasi visivamente, plasticamente, il
moto ondoso, l’andirivieni delle onde con un bell'effetto
di evidenza, di rilievo. Anche le rime, per lo più assonanti e consonanti,
(strada-sabbia, nave-scompare-mare, placa-traversata) distribuite nell’intero
corpo della poesia, sono rime più per l’orecchio che per l’occhio, e
contribuiscono a innervare il testo di suoni e ritmi.
Così Penelope è esploratrice del
mondo come Odisseo, non a caso il penultimo verso rimanda all’Ulisse dantesco,
con un chiaro riferimento al suo naufragio per sottolineare la distanza con il
viaggio di Penelope che non vede naufragi, semmai infiniti ritorni e rinnovate
partenze.
M.D.