venerdì 17 gennaio 2025

Cinzia Demi. Nota di lettura di Maristella Diotaiuti.


Nota di lettura (sintesi) di Maristella Diotaiuti per il libro di Cinzia Demi, Incontriamoci all’Inferno, Pendragon Edizioni, 2007. Illustrazioni di Maurizio Caruso.


La Commedia di Dante, quest’opera gigantesca, nella sua complessità e profondità, nella sua struttura, nella sua architettura, permette al suo interno una molteplicità di percorsi davvero sorprendente e straordinaria. Trovo questa lettura di Cinzia Demi particolarmente convincente, perché attesta una delle cifre più significative e connotative della Commedia: il realismo linguistico, descrittivo, situazionale, ovviamente dentro a un più generale e inedito plurilinguismo e polifonia del poema dantesco. Un realismo – quello dantesco - che ritroviamo dappertutto, persino dove non ce lo aspetteremmo mai, cioè nella Cantica del Paradiso dove tutto dovrebbe essere immateriale e ineffabile, etereo, e invece ci imbattiamo ad esempio, nell’invettiva di San Pietro, fortemente realistica e umana, (con un linguaggio basso, triviale) o nella visione finale della Trinità, anche questa materiale e reale, geometrica addirittura, con dentro la figura umana.

È evidente che il realismo permea di sé soprattutto la prima Cantica: nel linguaggio dei dannati, nel racconto degli avvenimenti, nella descrizione dei personaggi, che si attestano nella loro verità storica e nella loro plasticità. I personaggi danteschi sono personaggi realmente esistiti, hanno un nome e un cognome, un indirizzo, una professione, si presentano, ci raccontano la loro storia, sono quanto di più lontano dalla “descriptio personarum” raccomandata dalle retoriche del tempo che creava delle maschere fisse, dei personaggi-tipo, per cui ogni personaggio veniva fissato nella virtù o qualità d’animo che gli veniva attribuita, riconosciuta, virtù o vizio che fosse. Un esempio su tutti: Manfredi che viene descritto, nel III° Canto del Purgatorio, (ai vv. 103-145) con lo stilema biondo era e bello e di gentile aspetto, ecco, questa descrizione non era esclusiva di Manfredi ma era utilizzata anche per altri personaggi che incarnavano certe caratteristiche eroiche.  

Invece Dante (oltre a questo caso tra l’altro funzionale a certi suoi intenti) ci presenta una vasta galleria di personaggi individuati nelle loro specifiche peculiarità, individualità, personaggi che si riconoscono, in un gesto, un loro modo di atteggiarsi (es. Farinata che si erge impettito dall’arca), o si riconoscono per il loro modo di parlare, il loro eloquio che ci rivela lo status sociale e culturale, come per Francesca da Rimini, con il suo linguaggio forbito ed aristocratico, o di Pier delle Vigne che addirittura è privo di fisionomia umana ma è tutto nel suo parlare altamente e fittamente retorico (era un funzionario alla corte di Federico II, Dante lo riconosce subito proprio per il suo modo di parlare).

Ecco, senza questo realismo dantesco non sarebbe stato possibile a Boccaccio ritrarre tutte le varie figure umane presenti nel Decameron, figure come frate Cipolla, Ciappelletto, madonna Lisetta o Griselda, e non sarebbe stato possibile a Cinzia Demi scrivere questo libro con queste precise caratteristiche. Perché Cinzia ci ripropone sì alcuni

personaggi danteschi, ma questi personaggi compiono un ulteriore passo in avanti: escono dalla pagina, dai versi, diventano autonomi e si stagliano nella loro unicità, plasticità, fisicità, e addirittura attestano un proprio modo di essere che va a contraddire quello delineato dal loro creatore, lo contestano, e ci restituiscono un altro personaggio, con una sua verità, diversa da quella costruita da Dante.

I personaggi sono colti da Cinzia nella loro quotidianità, ne fa emergere i desideri, le frustrazioni, le rivendicazioni, le contraddizioni, li mette in relazione, li mette in scena (e in versi, i possibili dialoghi e litigi).

Soprattutto Cinzia dà voce alle donne, a quelle che non hanno potuto raccontarsi, ma che sono state raccontate, quelle che da sempre sono creature plasmate dall’immaginario maschile, sono state delle semplici muse, ispiratrici di artisti e scrittori, che non hanno mai potuto dire la loro, rivendicare la propria individualità e le propria autonoma identità ed essenza. Per questo Incontriamoci all’Inferno non è una semplice parodia dei fatti e dei personaggi che formano il racconto di Dante, ma è una sorta di riscrittura, è un modo, una maniera nuova, e per certi versi rivoluzionaria, di entrare nella complessità della poesia di Dante, della materia e della forma poetica dantesca. E non è certo un’operazione irrispettosa, irriguardosa, o blasfema nei confronti della Commedia - che è, ricordiamolo, la più grande opera letteraria che sia mai stata pensata e realizzata in tutti i tempi e in ogni latitudine - perché è la stessa Commedia che consente questa operazione.

Anzi, Cinzia accoglie la lezione di Dante e per certi versi la potenzia, la porta a compimento, la immette nella modernità, e arriva anche ad utilizzare la stessa ironia (che è molto presente nella Commedia) con la quale Dante aveva intessuto il suo poema: anche Dante nella Commedia scherza su tutto, su ogni aspetto dell’uomo, della vita, della religione, senza timori reverenziali sulla materia trattata, al di là e accanto a pagine di altissima poesia filosofica, dottrinale, cosmologica, di sperimentazione e di avanguardia stilistica e metrica (pensiamo all’invenzione della terzina).

Insomma Cinzia ci attesta che si può scherzare anche con la Divina Commedia, senza per questo sottrarre nulla alla sua grandezza, ma anzi rendendola meno austera e istituzionale, soprattutto per avvicinarla alle nuove generazioni, alle schiere di studenti ormai purtroppo molto poco interessati se non avversi nei confronti del poema dantesco, e in generale verso la poesia, perché lo sentono lontano, estraneo, difficile. Quindi ben vengano queste operazioni, che vanno sicuramente portate nelle scuole perché la nostra cultura umanistica è un bene preziosissimo e va tutelato.

È interessante anche, da questo punto di vista, la lingua usata da Cinzia: una lingua densa, corposa, plastica, un linguaggio ironico-giocoso, la lingua che si usa correntemente in Toscana. È un Toscano moderno, parlato nella zona di Piombino e lungo la costa, un volgare moderno, o neo-volgare. È una lingua familiare, che tranquillamente ci può capitare di sentire nel nostro quotidiano. Quindi (e anche per questo) il libro di Cinzia è ancora più prezioso, perché continua a rendere possibili, attraverso la scrittura, certe dinamiche interpersonali e contribuisce, in modo intelligente e divertente, a non far sparire il nostro patrimonio culturale immettendolo in un nuovo circuito di trasmissione.

M.D.