Nota di lettura (sintesi) di Maristella Diotaiuti per i volumi La cura dell’acqua salata (Neri Pozza Editrice, 2017) e La Mammana (Einaudi Editore, 2014), di Antonella Ossorio, presentati alle
Cicale Operose.
Ringraziamo Antonella per essere qui con noi e per averci
regalato questi due romanzi, due romanzi potenti, evocativi che, vi confesso, ho amato da subito, sin dalle prime pagine.
Sono tornata al ricordo delle letture
adolescenziali, quando facevo in fretta tutte le altre cose per
riprendere la lettura del libro, e ho
provato le stesse emozioni, di empatia, di fascinazione, di vicinanza, nei
confronti dei personaggi che ho
faticato a lasciare quando sono arrivata fino in fondo, e ho dovuto chiudere
il libro, ho pianto, e ho mandato immediatamente un messaggio ad Antonella. Intanto
fuori albeggiava!
I due romanzi sono davvero ricchi
di spunti di riflessione, i temi
sono tanti e importanti.
- Il tema della
diversità, che è visto da Antonella mai come un disvalore ma piuttosto
come un grande valore aggiunto,
un’occasione di ricchezza e di crescita. I protagonisti dei romanzi hanno a che
fare con l’accettazione della propria
diversità e poi farla accettare da una società ( di metà ‘800) che la
rifiuta;
- Il tema della fuga, come strategia per il raggiungimento di una propria identità, perché questi personaggi obliqui rispetto a una società che non li prevede e non li contiene, sono alla ricerca di un posto nel mondo dove poter vivere liberamente e legittimamente la loro differenza, sono in sostanza dei “migranti”, non molto dissimili quindi dai migranti del nostro presente;
- Il tema della fragilità, che oggi è bandita come un disvalore,viceversa se fosse agita nel nostro orizzonte esistenziale aprirebbe a importanti scenari di umanità;
– Il tema della sorellanza, perché questi romanzi, soprattutto La Mammana, sono storie di donne, sono romanzi connotati al femminile e sperimentano quella relazione di apertura e di condivisione tra donne che si nominerà solo molti decenni a venire;
– Il tema della
maternità, di un’altra maternità,
non quella dello stereotipo maschilista e patriarcale che ha inchiodato la
donna in un ruolo asfissiante, ingabbiante, strumentale e funzionale;
– E poi ci sono i temi più che mai attuali della identità di genere;
– Su tutti il tema dell’amore, un amore che non è mai distruttivo conduce alla rinascita, alla ricostruzione di una vita. L’amore che è in perenne contrasto con l’emarginazione, la cattiveria, i pregiudizi, le credenze popolari radicate profondamente in un certo tipo di mentalità. Un amore declinato in tutte le sue sfumature: l’amore tra la madre e la propria figlia, il sentimento la complicità e passione tra un uomo e una donna, il legame tra una zia e un nipote.
Sono due romanzi di lettura scorrevole, piacevole empatica, entri subito in contatto con i personaggi e nelle vicende narrate, eppure ti accorgi che ci sono piani di lettura molteplici e che la narrazione si apre a percorsi più nascosti e stimolanti.
La cura dell’acqua salata ha un impianto più complesso, una trama articolata ma fluida nello stesso tempo, che incrocia in continuazione passato e presente, alternando capitoli ed eventi, ricca di personaggi e di storie che si incontrano, e con incursioni in altre storie personali, ma anche qui le unità aristoteliche di tempo e luogo si frantumano, e i piani temporali sono scompaginati, dando vita a tre piani temporali e tre luoghi diversi tra loro:
1730: Galizia
1943: Napoli
1915: Tripolitania
C’è poi una dimensione altra, di sospensione, che è quella della nave, del viaggio per mare che il protagonista, Brais, compie di immersione nel proprio io, come percorso di catarsi, per poter rinascere e affermare la propria identità. Il viaggio del protagonista, Brais Barreiro, è lo stesso che compie Lucina, ne La Mammana, tra i vari paesi dell’entroterra napoletano e casertano e la città di Napoli, ma anche all’interno della stessa città.
Qualcuno, per entrambi i romanzi, ha parlato di romanzi storici, in realtà credo che piuttosto bisognerebbe parlare di ambientazione storica, anche perché solo alcuni avvenimenti, vicende dei personaggi si svolgono in tempi passati, più o meno lontani, con continue sovrapposizioni col presente. È come se l’autrice sentisse l’esigenza di recuperare la memoria del passato per fare chiarezza sul presente, per comprenderlo meglio. Certo è che queste ambientazioni storiche sono sempre puntuali e accuratamente ricostruite e caratterizzate, e quindi presuppongono anche un serio lavoro di ricerca e di documentazione. Così Antonella riesce a fornire sempre un quadro realistico, e soprattutto permette al lettore di comprendere fatti e avvenimenti dalla prospettiva della gente comune, di chi si trova a viverli, e magari ne viene travolto.
Ne La Mannana i fatti storici rilevanti sono i moti del 1848 che sconvolgono la città di Napoli e nei quali Lucina, la protagonista suo malgrado si troverà immersa, anche a rischio della propria vita. Inoltre la realtà dell’ambientazione si mescola con il soprannaturale, con la dimensione magica, e qui entrano in gioco sia Napoli con tutta la sua carica di mistero e di esoterismo, di energie cosmiche, di contiguità con il soprannaturale, con la morte, sia la formazione letteraria di Antonella, nutrita di letture di autori sudamericani del realismo magico, come Amado, Marquez, Allende, ma anche di altre provenienze come Saramago.
Pur essendo romanzi che narrano vicende accadute in secoli passati, sono romanzi attuali, che con ogni evidenza parlano di noi e dei nostri conflitti identitari.
I due personaggi femminili, le personagge, le protagoniste, sono Lucina e Stella, che sin dal loro primo apparire sono strettamente legate ad una dimensione di diversità eversiva, Lucina ha un segreto identitario e Stella è albina, e per questo viene rifiutata dai genitori e sarà Lucina a prendersene cura.
Sono talmente eversive che addirittura il loro apparire è accompagnato da eventi
sconvolgenti: Stella nasce in una notte da fine del mondo, illuminata
dalla luce di una stella cometa
vista dalla gente comune come foriera
di sventure (ci sono le pagine
iniziali bellissime dove
Antonella descrive gli effetti sconvolgenti sulla natura e gli animali
di questo passaggio cosmico, poi ce le leggerà). Tutto intorno a queste
personagge è deviazione dall’ordine costituito, a cominciare dalla stella
cometa, che già di suo è una stella
anomala, non solo perché è visibile raramente, ma non è nemmeno una stella vera e propria, è piuttosto un corpo celeste, un
asteroide, un ammasso di residui, di
materia cosmica, è un composto di polveri, rocce, ghiaccio e gas. Il nome Lucina significa “portatrice
di luce” ed ha anche connotati
demoniaci, luciferini. Lucifero
significa proprio colui che porta e diffonde la luce e cioè la verità,
la saggezza, e Lucifero è associato a Venere
che è l’astro che annuncia il mattino e dunque la fine delle tenebre.
L’albinismo della bimba, Stella, chiamata ‘a capa janca, ha la pelle di alabastro, e
sembra cosparsa di polvere d’argento.
Quindi su tutto domina il bianco e il bianco, ricordiamolo, ha una valenza simbolica molto forte. Innanzitutto è il colore del femminile, infatti è associato a Iside, una delle grandi dee madri, e quindi dea della fertilità e della maternità. Iside è anche rivelatrice della forza di una donna che ama e del potere della sofferenza che tutto trasforma. Ma è anche la dea che ha insegnato alle donne d’Egitto l’agricoltura, a macinare il grano, a filare il lino, a tessere, e ad addomesticare gli uomini a sufficienza per riuscire a vivere con loro. E i sacerdoti e le sacerdotesse di Iside indossavano una veste bianca di lino.
E il bianco nella “grande opera” alchemica della materia, della vita, sulla via della perfezione, rappresenta
la fase dell’albedo che è detta
appunto opera al bianco, e significa trasformazione e rinascita.
Infatti segue la fase
della nigredo quella in cui la materia
imputridisce e precipita nel caos, e questa massa informe nella fase successiva
dell’albedo viene sottoposta a un processo di distillazione e preparata per la
sua successiva sublimazione, e quindi di rinascita ma su di un piano superiore. Ecco perché la mammana è un
romanzo soprattutto al femminile, anche se ne La cura dell’acqua salata
sono proprio due personaggi maschili a prendere una decisione importante, anzi
“la decisione” che cambierà il corso degli eventi, che metterà fine
definitivamente a …
Ma certo sono anche questi personaggi liminali, obliqui: un vecchio e un bambino (mi ricorda un po’ Morante del il mondo salvato dai ragazzini). Ne La mammana c’è poi un personaggio maschile, Bartolomeo, che è davvero lontano, e positivamente, dal prototipo del maschio dominante, capace di un sentimento totale e totalizzante, libero da sovrastrutture o preconcetti. Ma sono soprattutto i personaggi femminili a campeggiare, non solo quelli principali, anche figure femminili più o meno secondarie: zia Lena, la balia della cura, la maestra, oltre a Carolina e alla giovane Spina, alla donna Marianna che salverà Brais, lo curerà e lo amerà incondizionatamente. Credo che le pagine che meglio possono restituirci il senso profondo del femminile sono quelle che descrivono il ragazzino Biagio incantato di fronte alle al mondo e alle opere femminili. C’è quella bellissima descrizione del pane che è un simbolo femminile di cura, di nutrimento, ci riporta al mondo delle nostre nonne, delle nostre mamme, al mondo rurale, delle famiglie allargate, che io ho avuto la fortuna di vivere, dove c’era una comunità di donne che reggevano e gestivano le sorti di tutti, dei legami affettivi, della casa stessa, dove i gesti quotidiani erano, e forse lo sono ancora, il frutto di una sapienza antica, condivisa tra donne, un sapere trasmesso attraverso i secoli, attraverso la memoria ancestrale.
Il simbolo di questa sapienza è un’altra figura molto forte, potente, quella di zia Lena che insegnerà a Biagio non solo un mestiere , ma anche e soprattutto il coraggio di riconoscersi, di guardarsi dentro, di vivere fino in fondo la propria diversità, e di fare di questa diversità un dono anche per gli altri.
Voglio ricordare qui come la professione di levatrice un tempo era accettata di buon grado, perché gli uomini, i medici, disdegnavano il parto o le interruzioni di gravidanza come vili competenze femminili. mentre oggi è piuttosto mal vista. Diciamo che era una delle poche professioni mediche concesse alle donne, insieme a quella di infermiera. La prima donna laureatasi in medicina in Italia, a Firenze, o meglio a Pisa, (perché a Firenze c’era una sede distaccata dell’Università di Pisa) fu Ernestina Paper nel 1877.
Anche La cura dell’acqua salata è un romanzo sul tema dell’identità e delle radici: è la storia di un orafo della Galizia, Brais Barreiro, e della sua creazione: un gioiello, il sapo gallego, un pendente in filigrana molto elaborato tradizionale della Galizia, che ha anche una valenza simbolica dell’oggetto magico che si trova nelle fiabe.
Il romanzo è anche la storia di una maledizione legata al sapo che si tramanda di padre in figlio e attraversa i secoli e lo spazio fino ad Napoli e al secondo dopoguerra, in seno ad una famiglia, quella dei Romeo, eredi di Brais, e qui qualcosa si incrina. Il sapo ha una forte valenza simbolica: è il peso che molto spesso all’interno delle famiglie ci si trasmette di padre in figlio: gli obblighi, quel qualcosa che impedisce di essere esattamente ciò che si è votati ad essere, è questo il problema, anche il nostro: riusciamo a diventare chi siamo? Spesso purtroppo no!
Nel romanzo si delineano relazioni familiari complesse, i cui protagonisti cercano di sciogliere nodi antichi di segreti e paure. Ma il senso della famiglia è molto forte e l’amore sarà il collante fortissimo che salverà i personaggi. Il personaggio dominante è Brais, un uomo in guerra con se stesso, alla ricerca di una redenzione che raggiunge cercando di venire a patti con la sua natura sanguigna, ma con pochissimo successo. Nemmeno la cura dell’acqua salata riuscirà a guarirlo. Ma l’acqua salata è davvero curativa? E qual è il suo valore simbolico? Quando Brais si imbarca sul mercantile inglese, oltre a soffrire di marusia, soffre anche, banalmente di mal di mare. Il primo ufficiale gli spiega che non dovrà rintanarsi in cuccetta e stendersi, come è tentato di fare, ma dovrà guardare la linea dell’orizzonte. Simbolicamente Brais non deve sfuggire alla sua sorte nascondendosi, rintanandosi, ma deve guardare in faccia l’origine del suo male, quindi curare il male attraverso il male stesso. E Brais ad un certo punto si accorge che funziona davvero, che sta meglio. Brais comprende che ciò che fa male va affrontato, e può anche far guarire.
Il male che colpisce Brais e i suoi discendenti maschi è la marusia che non è mal di mare, ma l’inquietudine del mare (un termine gallenico ormai in disuso), una parola che racchiude l’angoscia, lo smarrimento, la paura e si insinua nei sogni, nuota al largo, tra le onde del mare, nella forma di un mostro marino.
Un altro
protagonista importante di entrambi i romanzi, ma quasi impercettibile
perché naturale e apparentemente spontaneo, è il linguaggio, la lingua
della scrittura, una lingua
insieme desueta e moderna, orecchiante
i suoni di un italiano perduto, ancora intriso di localismi. Una
scrittura in cui è molto forte la contaminazione
di forme, lingue e linguaggi sempre in un equilibrio vivacissimo,
un linguaggio
appropriato al periodo storico scelto e ai personaggi. È uno stile che
fluisce leggero quanto rigoroso, anche con l’uso sofisticato del
lessico. Una lingua dove il dialetto napoletano, con i suoi proverbi,
le frasi tipiche, i costrutti, e anche quello galiziano ne La cura dell’acqua salata, permeano di sé il tessuto linguistico creando un ritmo, una pulsazione,
un’atmosfera, un suono e un odore che ci trasportano nella città di Napoli e
nella Galizia, luoghi ai quali Antonella è legata profondamente per
appartenenza e identità. E sicuramente
questo linguaggio rende la narrazione ancora più avvincente, è il mezzo
che più di ogni altro traduce le
emozioni dei personaggi e le porta direttamente alla sfera emotiva del lettore.
Non mancano anche momenti vivacissimi di ironia , che fanno anche sorridere. Sono
entrambi libri che raccontano storie anche di sofferenza, ma la leggerezza non
cede mai alla drammaticità, sono storie comunque avvolte in una sorta di atmosfera
fiabesca. I due romanzi sono anche
storie di animali, sono gli animali a subire per primi gli influssi
astrali che sconvolgono e sovvertono l’ordine costituito, Antonella dedica pagine bellissime ai cani, ai
gatti, uno in particolare: Almanegra,
l’unico essere che entra in contatto profondo con Brais, che diventa il
custode dell’animo di Brais, fino all’epilogo finale...
M. D.