Appunti (sintesi) di Maristella Diotaiuti per la presentazione del volume A corpo vivo, di Anna Segre, Marietti1820 Editore, 2023, alle Cicale Operose.
Letture: Giuditta Cambieri.
È un libro di poesie, di poesie
sull’amore, intorno all’amore, ma
non ci ritroviamo l’amore che ci aspetteremmo, quello idealizzato, stereotipato, perché Anna ci racconta di un amore imperfetto, quotidiano, sporco, corporeo, con le sue lotte i suoi
conflitti, anche rude e per certi
aspetti sconveniente, che alterna
luci ed ombre bellezza a
meschinità, mancanze a esuberanza,
eccesso. L’amore elefante , lo
chiama Anna nel libro La distruzione dell’amore, sfonda le sedie, fa scricchiolare il
pavimento.
Un
amore faticoso: questo è il tipo
di amore che interessa ad Anna, e che indaga, quasi con metodo scientifico,mettendolo
sotto una lente di ingrandimento, o se preferite sul vetrino di un microscopio e lo viviseziona, lo smembra, lo destruttura, lo smonta per analizzarlo
in tutte le sue parti, quasi in
maniera impietosa. Non solo verso
l’oggetto della sua indagine ma anche
verso i soggetti che lo vivono, ne
sono i portatori (nemmeno poi tanto sani).
Una indagine che occupa tutta
la raccolta , infatti questa non
è divisa in sezioni, e i testi
poetici sono senza titolo, sono contraddistinti solo da numeri, quindi siamo di fronte quasi a un racconto in forma
poetica, a un lungo dire, un
interrogarsi continuo e inesausto
intorno all’amore, senza interruzioni,
molte poesie, ad esempio, sono legate tra di loro da parole, o sintagmi che
ritornano nei testi in una
specie di mise en abime, o una trama, una rete semantica (ma anche
sintattica, se vogliamo). Una sorta di
flusso di pensiero ed emozione insieme, perché c’è razionalità ma anche
molta istintualità.
È un flusso poetico quasi magmatico, incandescente, non solo
nel tema ma anche nella
scrittura, nel registro
linguistico, prosodico,
una scrittura quindi che si accende, si infiamma, si infuoca, una scrittura che non è mai tiepida, o pallida, o asettica, ma sempre molto
arroventata, ustionante.
Oltre a un racconto c’è anche un dialogo, un dialogo con la persona amata, e indirettamente con noi lettori, c’è sempre un ‘tu’, pur (essendoci) in presenza di un io evidente, esposto, anche sovraesposto se volete, ma c’è
sempre un dialogo perché l’amore
è un sentimento che ci vede tutti
coinvolti, ci accomuna tutti.
Ed è un discorso, questo di Anna, che viene da lontano, occupa anche il libro precedente, “La distruzione dell’amore”, si comprende allora che questo coso, come lo chiama Anna, perché non lo può definire, è un mistero, per Anna è un pungolo che la incalza, la tallona, è un nodo problematico fondamentale, imprescindibile, che si porta dietro, dentro, da un po’, come un fardello. Perché l’amore è un sentimento che ritorna continuamente, ad ogni giro di boa, ogni giro di vita, di anni, di circostanze, di incontri, nonostante la distruzione, e nonostante sia distruttivo, rovinoso, catastrofico, è doloroso, è terribile, e nonostante questo noi ogni volta lo accogliamo, ci rendiamo disponibili ogni volta che ci tocca.
Un altro aspetto delle poesie
di Anna è che sono poesie-corpo,
mettono al centro il corpo, cioè
quello di cui parla Anna è un amore
materiato, materico, carnale, sostanziale, appunto un corpo vivo come ci dice già il titolo, le stesse poesie escono dal corpo, “dalla
pancia” dice Anna nella poesia a pag. 45: queste stupide poesie / che mi
uscivano dalla pancia / quando eri lontana. E questo, detto per inciso, fa
parte proprio della scrittura delle donne (questa prerogativa tanto negata e tanto contrastata, a volte denigrata,
una scrittura che si fa nel corpo,
nella esperienza del corpo, e passa poi nella memoria del corpo ).
Quindi quello di cui parla Anna è un corpo energetico, desiderante, desiderio
è una parola importante nell’economia di questa raccolta, perché ci restituisce una delle proprietà fondamentali del sentimento amoroso, nella parola desiderio
quel ‘de’ non e’ privativo ma ha
valore di origine o provenienza e
anche indica tensione verso qualcosa (de sidus).
Ma il “de” può essere letto anche come elemento destrutturante che ribalta, interrompe, cambia uno stato: desiderio, allora, come pulsione che destabilizza, rovescia, scombina
l’ordine, la perfezione delle costellazioni, per creare un nuovo ordine. Perché l’amore appunto, come tutti abbiamo sperimentato nella vita,
quando lo proviamo ci sconvolge,
ci destabilizza ma ci dà anche nuova energia, è una forza che distrugge, annienta ma ci
spinge in avanti, produce altra
energia, ci fa fare cose che mai avremmo pensato di fare.
Questo è il punto, sta qui l’ambivalenza di questo sentimento di
cui parla Anna.
In una poesia di pag. 21 Anna scrive:
è
la catastrofe dell’amore /
l’unica vera fonte / di vita / che sposta il nord.
Anche la parola “catastrofe” che Anna usa, è molto interessante, ha in sé la doppia natura dell’amore,
l’ambivalenza di cui parlavo, perché deriva dalla parola greca
katastrophé in dipendenza del
verbo greco katastrépho,
e significa letteralmente
“capovolgimento”, “rovesciamento”. lo dice il prefisso greco katà-,
che nel suo uso preposizionale più semplice esprime il movimento dall’alto verso il basso. L’immagine concreta che ci appare,
quella a cui rimanda è quella
dell’aratro che rivolta la terra, la ferisce, la taglia ma nello stesso tempo porta alla luce ciò che
sta sotto. Il sopra va sotto,
migliorando le proprietà fisiche, chimiche e biologiche del terreno e predisponendolo alle successive operazioni di concimatura e di semina. E
non è un caso che la stessa Anna parla
spesso, nelle sue poesie di
semina, di semi (pag. 50:
“oggi, prima della battaglia, / pianta un seme”).
C’è una
parola che
significativamente apre la raccolta,
quasi una dichiarazione di poetica, di intenti, che dà un po’ il senso a tutta
la raccolta, la parola avrakedavra ( noi la conosciamo,
la pronunciamo come abracadabra).
È una parola ebraica, risale all’aramaico probabilmente
(avrah ka dabra) che significa “creo
mentre parlo” , quindi dalla
parola alla cosa, cioè come dire le
parole mettono al mondo il mondo. Quindi Anna usa le parole per dare concretezza, realtà a questo sentimento indistinto,
e non a caso usa le parole poetiche,
perché poesia vuol dire proprio fare,
costruire, è un’azione concreta.
La scrittura quindi diventa
non solo ordinatrice di un caos
ma anche creatrice di esistenza.
Credo che questa importanza che Anna dà alla parola sia molto ebraico: (Anna
appartiene alla cultura ebraica). Come
ho già ricordato altrove, Baal Shem Tov (abbreviato in Besht), fondatore del chassidismo, insegnava
che un individuo nasce con un numero
stabilito di parole. Quando sono
state tutte pronunciate quell’individuo muore. Di conseguenza, ogni parola che pronunciamo ci avvicina alla
morte e quindi dovremmo
chiederci, ogni volta che stiamo per utilizzarla, se vale la pena morire per
essa. C’è necessità di non sprecarle, di utilizzarle nel modo migliore. Questo
per dire l’importanza delle parole, e
dell’uso che se ne fa, e Anna ne
fa un uso accorto e straordinario: ogni parola è una scusa / per
giustificare / l’inspiegabile / un tentativo di sovvertire la ragione. Ma poi in altri punti Anna mette in guardia
sulla inaffidabilità della parola, scrive ad esempio, a pag. 37: non leggermi. / sono parole incantesimo. /
sono gli occhi di Medusa. / sono le foglie bagnate diSibilla / (che ti
semineranno i futuri / possibili).
[,,,]
La poesia
di Anna è modernissima ma anche piena di rimandi, di echi della migliore tradizione della poesia
amorosa, da Saffo a Catullo, dalla poesia trobadorica, provenzale con i suoi topoi (topos) dell’amore
non corrisposto, della donna
ritrosa, fuggente, della donna deificata ma non angelicata , ad Ariosto con il simbolico amoroso di
Angelica che fugge dall’amore, anche con la sua ironia, passando per le poete del ‘500 come Gaspara Stampa con il suo canzoniere
sull’amore non corrisposto, malcorrisposto (per il conte Collatino di
Collalto). Gaspara scrive in un verso
famoso “viver ardendo e non sentire il male” che è, vedremo, un’immagine ricorrente nella poesia di Anna. Senza tralasciare Petrarca, il grande modello della poesia
amorosa di Petrarca, il cantore
dell’amore che distrugge,
che annienta, stravolge il corpo e lo
spirito, che è tanto moderno in questo (a differenza di Dante che è
poeta profondamente medievale), eppure
tanto rifiutato oggi soprattutto da un certo tipo di poesia, di poesia di
ricerca, e invece Anna lo recupera.
Quindi una poesia dotta, che si
muove nella scia della tradizione ma è fortemente moderna per il suo linguaggio esplicito, la sua sincerità, la capacità di rivelare anche i lati problematici, sconcertanti di un
rapporto amoroso.
[…]
Alla fine della raccolta compare
una poesia sulla madre, e dentro a un discorso amoroso, di rapporto duale. Questa presenza
inattesa mette in campo tutta una serie di interrogativi, sull’amore materno, sull’immagine, sul modello stereotipato di questo amore
che ci è stato trasmesso, imposto
,insegnato. Tu ci dici invece che anche
l’amore materno non è perfetto, è problematico, non è così scontato. È
una poesia bellissima oltre che significativa, tenera e tremenda nello stesso tempo. (domanda)
[…]
(Domande)
[…]
M. D.