Nota di lettura di Maristella Diotaiuti per il volume La
Fortuna, di Valeria Parrella, Feltrinelli
Editore, 2022, scritta in occasione della presentazione alle Cicale Operose.
Con questo libro Valeria abbandona i personaggi di cui si era occupata fino ad oggi, personaggi
solitamente femminili in cui
probabilmente Valeria si sentiva più a
suo agio, si identificava
anche, e dei quali era facile parlare,
ma qui il personaggio è maschile: è
un giovane uomo, Lucio, che racconta la sua storia, in prima
persona tra l’altro, cosa che dà
immediatamente alla narrazione un tono intimo e confidenziale. Nel nuovo libro ‘La fortuna’ ritroviamo, si
rintracciano, molti echi, tematiche, riflessioni, e anche direi
certi modi della narrazione che erano presenti nei libri precedenti di Valeria, anche se Valeria ci ha abituati ad altre storie e ad altri personaggi, o meglio, ad altre personagge.
La vicenda di cui narra Valeria Parrella si muove in un tempo e un luogo lontano,
cioè nella Pompei del periodo imperiale
che va dal 62 al 79 d.C., un
periodo che si apre con il terremoto
del 62 e si chiude con
l’eruzione del Vesuvio del 79, un arco di tempo che coincide con la storia di Lucio, con
la sua vicenda esistenziale.
Ma in realtà è un libro solo
apparentemente lontano da noi, perché anzi scopri che è un romanzo
molto moderno, racconta una storia
che ci riguarda, poi vedremo in che senso. Non è quindi un romanzo
storico, anzi è un libro contemporaneo,
in cui però il presente non viene
raccontato attraverso il passato, il mondo classico, ma indaga se il classico, restando classico, riesce a raccontare il
contemporaneo.
La trama. Di cosa parla questo libro?
Lucio, il protagonista, è
un ragazzo che nasce in una ricca, importante famiglia patrizia di Pompei, quindi in una situazione favorevole, con tutti i vantaggi che ne derivano, destinato a un futuro certo, importante, ad avere un
ruolo di prestigio, di potere,
diventare cioè un Senatore, ma che ad un certo punto
sente che questi vantaggi non lo sono
poi tanto perché vorrebbe essere
altro nella vita. E scopre anche
di avere un difetto fisico. Quindi, questo romanzo può essere letto
anche come romanzo di formazione,
c’è un ragazzo che deve passare da un’età infantile, fanciullesca ad una età
matura, e quindi acquisire
consapevolezza di sé e ritagliarsi
il suo posto nel mondo, nella
società e nella storia, con tutti i
canonici e non canonici riti di passaggio che Lucio attende e disattende nello stesso tempo.
Lucio nasce durante un terremoto, e nasce con un limite visivo, ha un occhio storto da cui non
vede bene. quindi ha dei limiti, e nasce con il presagio di una tragedia, di uno sconvolgimento, un cataclisma che poi si avvererà, accadrà
realmente, di cui però non può avere coscienza, non può’
avere conoscenza, non lo sa spiegare, l’unica cosa che può fare è affrontarlo,
attraversarlo, farne esperienza, perché le cose accadono tuo malgrado, o perché tu le fai accadere, ma accadono. E certamente ognuno di noi nella propria vita si è trovato
di fronte a un limite, un ostacolo,
che inevitabilmente ti si pone davanti e ha dovuto fare i conti con un proprio difetto, una propria mancanza.
Ecco che questo libro che all’inizio mi
sembrava lontano, distante da me, si trasforma invece in un una narrazione che
mi riguarda, che mi chiama in causa, e con me gli altri lettori. È chiaro che perché questo accada il
lettore deve rendersi disponibile a questo
richiamo, a lasciarsi attraversare
da questa storia, da questa narrazione. Quindi posso dire che La fortuna non è un romanzo semplice, non si può leggere con l’idea di seguire una
bella storia, pacificante, rassicurante, pretende invece uno sforzo in più dal suo lettore, chiede fiducia,
voglia di capire, coraggio di
affrontare anche se stessi.
E Valeria ci racconta di fatti e di personaggi storici (I maestri di Lucio sono tanti, uomini di cultura e di potere, personaggi storici realmente esistiti:
Quintiliano, Plinio il Vecchio,
ma anche persone più o meno comuni:
un marinaio cieco, il timoniere Porzio, la nutrice Ascla, il servo Orazio, e anche l’amante Aulo, e altri),
dell’eruzione del Vesuvio, ma il suo è
un racconto intimo e anche poetico, perché poi, in fondo, quella
stortura dell’occhio di Lucio è lo sguardo obliquo del poeta, è la stortura della sua postura di fronte al mondo
e alla realtà, proprio quella
stortura che consente al poeta di vedere cose che altrimenti non vedrebbe,
che altri guardano senza vedere.
E di andare in una direzione ostinata e contraria come diceva De André, e come Valeria scrive, non a caso proprio nella primissima riga, ad apertura
di romanzo, la rotta era facile: andare dove nessuno sarebbe andato.
Si tratta quindi, per Lucio, ma anche per noi,
di trasformare il limite in punto di
forza, e avere il coraggio di
farlo, perché non è vero che la
rotta è facile, anzi. Andare
controcorrente è difficile, difficoltoso, anche rischioso.
Ma Lucio ci
dice che più è difficile e più bisogna intraprenderla, è una
sfida che Lucio ingaggia contro il
destino, la sorte, il caso (anche perché poi la Fortuna nel mondo latino
ha molte accezioni), e contro i
determinismi sociali, economici, culturali. La sfida, cioè, è con la Parca di mezzo, Làchesi, quella
che tesse il filo dell’esistenza,
quella in divenire, perché l’inizio e
la fine, la nascita e la morte sono già decise, stabilite. Si può intervenire solo su Lachesi e
quindi direzionare la propria vita dove
si vuole che vada. Intervenire su questo processo di costruzione esistenziale (leggi
pag. 33 e 35), e vedere fin dove ci si
può spingere. Lucio,
quindi, ci insegna che è possibile
prendere il mano il proprio destino, per non lasciare il filo in mano
alla parca e afferrarlo anche quando
tutto sembra perso e scuro, quando il sole è più simile alla luna, anche
quando tutto ti dice che non puoi
proseguire, non puoi andare avanti. Allora questo libro
di Valeria è il libro sì del dolore,
della perdita, della caducità e finitezza
delle cose, della morte, ma è anche un romanzo che ci dà il senso
stesso dell’esistenza dell’uomo:
essere e decidere, scegliere chi
essere e come.
È il libro
della constatazione che le cose possono finire ma che poi possono risorgere, come è accaduto appunto a Pompei.
Pompei è una testimonianza che si può vivere di nuova vita. Paradossalmente
Pompei, che è una città dei morti,
abitata da soli defunti, è in realtà
viva e integra e a differenza di altri monumenti, siti archeologici, non è invecchiata. quindi Pompei è l’esempio di come si possa
riemergere dopo una caduta, una catastrofe,
una fine.
Ho trovato
molto interessante la costruzione formale del libro, la sua architettura, struttura o strategia narrativa, perché il racconto si apre ex abrupto, siamo immediatamente immersi in una situazione
indefinita, con una situazione
di incertezza, in cui non
sappiamo bene cosa sta accadendo, chi parla, dove si trova. Sappiamo
solo che qualcuno è dentro una
nube grigia e si muove con
difficoltà, non avendo punti di
riferimento. E quando usciamo finalmente dalla nube non ci viene
spiegato nulla, ma il racconto
ha una brusca virata, torna
indietro, ma noi ancora non lo sappiamo, e ci troviamo di fronte all’improvviso al racconto della nascita di Lucio,
della circostanza speciale in cui è
avvenuta, e dimentichiamo la
nube, non ci ricordiamo più della nube da cui proveniamo.
Da questo
momento in poi seguiamo Lucio nella sua crescita, nel racconto della sua vita di ragazzo che fa le sue esperienze fino a quando poi ritroviamo la nube e ci immergiamo nuovamente in quella
situazione iniziale di incertezza, e un po’ alla volta capisci di cosa si tratta, e alla fine del libro ti ricordi della nube
iniziale e senti di dover
tornare all’inizio e rileggere
quelle pagine di apertura ma con
la nuova consapevolezza di lettori che hanno attraversato tutta la narrazione,
hanno cioè fatto esperienza, insieme al protagonista e all’autrice stessa,
della scrittura.
Valeria Parrella ha creato così uno straordinario cortocircuito di forma e
di senso.
Perché la scrittura stessa è esperienza, e come diceva Proust, solo dopo aver scritto e letto il libro si può finalmente
scrivere il libro della propria vita, e così accade a Lucio, a noi lettori e a Valeria stessa. Nessuno di questi tre protagonisti sarà più lo
stesso dopo aver chiuso il libro. Ed è la cosa più straordinaria che possa realizzare la scrittura, la
letteratura.
Certo Lucio ancora non sa, e non lo so io, non lo sappiamo tutti noi, non lo sa l’autrice, quali saranno i contorni della sua vita, i nuovi approdi, i nuovi porti che si aprono lungo una costa dalle linee sconvolte, ancora non sa a quale nuova vita rinasce.
Ma quello che so con certezza è che questo libro di Valeria non arriva per
caso e che vuole dirmi qualcosa, e io, come sapete, credo fortemente nella letteratura,
nella scrittura, nella poesia.
Nel libro ci sono cinque parole
chiave, connotative, che sono, secondo me, fondamentali per entrare nel libro, e che sono collegate tra loro:
La Fortuna, che ne
costituisce anche il titolo: che però nel modo classico aveva un’accezione più
ampia, e la si può tradurre come ‘sorte’,
e non è né positiva né negativa.
- il limite,
la curiosità, il desiderio, lo stupore:
Il limite che, come abbiamo detto, deve essere continuamente forzato, spinto sempre
in avanti. Ho trovato particolarmente interessante il fatto che Lucio
superi il limite, sia prendendo in mano la propria vita, ma anche entrando in
una relazione profonda con le cose del mondo, a volte diventando la cosa
stessa, come fa con la nave che per governarla deve sentirla, anzi diventare un
tutt’uno con la nave stessa, un unico corpo, e si abbraccia all’albero mettendosi
in ascolto della nave, cioè la relazione è totale e totalizzante. E questo l’ho
letto come un invito a non accontentarsi mai di un rapporto superficiale,
tiepido, sbiadito con le cose, ma di realizzare sempre e il più possibile un
contatto empatico, profondo col il mondo e con gli altri esseri, le altre
creature. E soprattutto avere sempre uno sguardo nuovo sul mondo, uno sguardo
meravigliato sempre, di stupore, che permette a Lucio di avere coraggio, di scoprire
cose nuove, di mettersi sul cammino della conoscenza. lo dimostra andando
incontro al prodigio, entrando nella nube nera, pur non sapendo cosa stia
accadendo, di cosa si tratti.
Sul desiderio: bisogna essere “desideranti”. Solo desiderando si può uscire dalle abitudini paludose , dallo scontato, dal già stabilito, e anche uscire dalle zone buie della nostra esistenza, come ci suggerisce l’etimo della parola
“desiderio” da de-sidus:
parola (come più volte ho espresso) legata alle stelle, vuol dire ‘fuori dalle stelle’ che non significa, o non significa solo, mancanza di stelle, ma piuttosto la particella ‘de’ non deve essere intesa come mancanza, ma come prefisso che indica provenienza e
orientamento. Desiderio è
una parola che ci invita a spingerci oltre noi stessi,
a "cercare" nello spazio
siderale (cioè al di là del consueto) qualcosa di impossibile che però ci riguarda in profondità. Il desiderio infatti ci porta a uscire da noi stessi, a decentrarci, ci mette al riparo dall'ipertrofia dell'io e dall'antropocentrismo più bieco. Senza desiderio, senza radicamento
nelle stelle, non sarebbe nata nessuna
saggezza, nessun fare gratuito e nessun vero amore.
Sulla curiosità: è un propulsore formidabile, anche del desiderio. Lo dice Lucio stesso: restavo indietro
perché mi incuriosiva tutto (pag. 65 -66), questo restare indietro permette di vedere cose che altrimenti non
vedremmo. e non potremmo possedere le cose, il mondo.
(leggi pag.
65 -66)
Sullo stupore: ho trovato particolarmente
interessante il fatto che Lucio superi il limite, stia prendendo in mano la
propria vita, ma anche entrando in una
relazione profonda con le cose del mondo, a volte diventando la cosa stessa,
come fa con la nave che per governarla deve sentirla, anzi diventare un tutt’uno con la nave stessa,
un unico corpo, e abbraccia
l’albero mettendosi in ascolto della
nave, cioè la relazione è totale e totalizzante. Questo l’ho letto come un invito a non accontentarsi mai di
un rapporto superficiale, tiepido, sbiadito con le cose, ma di realizzare sempre e il più possibile un
contatto empatico, profondo col il mondo e con gli altri esseri, le altre
creature. E soprattutto avere
sempre uno sguardo nuovo sul mondo, uno sguardo meravigliato sempre, di
stupore, e di essere curiosi, che ci permette di andare oltre il limite
appunto e quindi oltre noi stessi per Lucio
lo stupore gli permette di non avere paura, di scoprire cose nuove, di mettersi
sul cammino della conoscenza. lo
dimostra andando incontro al prodigio, entrando nella nube.
[…]
Sulla sintassi e l’operazione sulla
lingua:
Lo stile, la sintassi che Valeria Parrella utilizza per questo libro, sembra portare i segni della personalità di Lucio,
aderisce al personaggio, quasi una soggettiva libera indiretta, una sintassi che corrisponde all’andare
curioso e inquieto di Lucio. Mi
spiego: Lucio è una creatura
inizialmente irrisolta, in divenire, e così anche la sintassi. I
periodi procedono come se non fossero mai definitivi, cercano sempre un completamento in un dettaglio nuovo, che si aggiunge continuamente a un altro.
Lo dice assai bene lo stesso Lucio, quando deve costruire il discorso secondo un ordine preciso, come insegnava Quintiliano nella sua scuola ai futuri Senatori che
dovevano conoscere l’arte della retorica, del buon parlare, del buon eloquio in
pubblico. C’è una sintassi franta,
frasi nominali, una punteggiatura non allineata alla
tradizione. Valeria scardina la sintassi tradizionale, asserve la
punteggiatura e la piega a seconda delle esigenze.
Le frasi assomigliano alle onde del mare che Lucio solca con le sue navi,
di diversa intensità, che si susseguono, si accavallano una sull’altra, una dentro
l’altra, onde che a volte si infrangono sugli scogli, a volte contro la
prua, e a volte schiumano sulla spiaggia. E soprattutto troviamo anche qui la stessa atmosfera che la scrittura di Parrella sa
creare, a cui ci ha abituati, il
suo personalissimo lirismo, la
sua attenzione al paesaggio,
alle emozioni e alle riflessioni dei suoi personaggi, del
protagonista Lucio. La verosimiglianza impediva cioè l’uso di vocaboli inerenti
a un immaginario moderno, è evidente che Valeria doveva stare attenta a non usare
quei termini che sono conseguenze di scoperte successive, come quelle nel campo
dell’ottica, per non incorrere in quel terribile inconveniente dell’orologio
nel film. Un altro tratto del dizionario messo in campo da Valeria è
l’inclusione di tanti termini legati ad oggetti antichi che ormai non si usano
più, che impediscono anche di non disperdere un patrimonio linguistico e i
significati anche emozionali legati a quegli oggetti.
M. D.
[…]