sabato 18 gennaio 2025

Manola Frediani. Nota di lettura di Maristella Diotaiuti.

 



Nota di lettura di Maristella Diotaiuti per il volume di Manola Frediani, Attraverso le nuvole, Marco Battista Libertà Edizioni, 2021, scritta in occasione della presentazione alle Cicale Operose.

Il libro di Manola è una raccolta di 28 racconti, la maggior parte sono racconti brevi, alcuni brevissimi, quasi dei flash, pochissimi più lunghi, con una struttura più costruita, una misura vicina a quella del racconto lungo. Solo che qui sono scardinate le misure aristoteliche, quelle di spazio e tempo, le coordinate spazio-temporali, perché Manola si crea un tempo e uno spazio che rispondono alle sue esigenze narrative e di significazione, alla sua urgenza di dire e dirsi. La sua è una scrittura che a tratti si fa essenziale, scarna e paratattica, oggettivante, a volte si apre a squarci lirici di notevole intensità espressiva, soprattutto nelle parti descrittive, della natura in particolare, la pagina si accende così di colori e di vento, di odori, di salsedine, di erbe aromatiche, si riempie dei rumori del mare, dei passi della gente, degli sguardi che si incrociano.

È la sua Livorno che entra prepotentemente nella scrittura.

Quasi sempre la narrazione procede per brevi frasi, con un ritmo serrato, un accumulo di fatti, eventi e descrizioni che non lasciano spazio per prendere fiato, come in una salita, un affanno. Ma sempre le sue parole fanno appello alle emozioni, al coinvolgimento intimo. Ci chiamano in causa, inevitabilmente.

Il titolo è “Attraverso le nuvole”, cosa ci dice questo titolo? Ci dice innanzitutto che per Manola nel mondo, nell’esistenza, c’è un’ambivalenza, un doppio: c’è un sopra e un sotto, un qui e un altrove, c’è un prima e un dopo, un io e un loro, e in mezzo c’è lo smarrimento delle creature, degli esseri; ci dice anche che esiste una barriera, una cortina, o un velo, qualcosa che copre: cioè la visione delle cose può non essere limpida, c’è un filtro, ma anche una difficoltà oggettiva, un impedimento materiale a vedere il sole o la bellezza delle cose; ma c’è anche un’ostinazione, una pulsione a forzare questa barriera e andare oltre, una volontà inarrestabile a cogliere sempre e nonostante tutto la bellezza della vita recuperando l’energia germinativa dei sogni, la forza dell’immaginazione, praticare l’utopia; ci dice che si può e si deve vedere attraverso, che da qualche parte c’è un varco, una rarefazione, un assottigliamento, uno spiraglio, un taglio al quale Manola accosta coraggiosamente il suo occhio per vedere oltre. Ci racconta così quello che ha visto, ci restituisce la visione, che è proprio il compito degli scrittori e dei poeti.

La sua scrittura si anima dei grandi temi, quelli che riguardano tutti noi, che ci assillano, temi personali, individuali ma nello stesso tempo universali, le grandi questioni del vivere, le domande fondamentali. Si anima anche di temi di portata più civile, come la inondazione di Livorno, o la festa partigiana del 25 aprile.

Manola annota, segna, trascrive immagini per folgorazioni, riporta sulla pagina storie, eventi, persone, insomma ci fa entrare in un universo umano fragile e dolente, in una sequenza di incontri con persone reali,  che portano i segni di ferite più o meno profonde, nel corpo e nell’anima, che si fanno personaggi letterari sulla pagina, trasfigurati dalla scrittura.

È una rassegna di vite sbilenche, in bilico, di funamboli dell’esistenza.

A volte la penna di Manola è impietosa , a volte è arrendevole e in ascolto, quasi carezzevole.

Sono quasi sempre storie di una fragilità esposta, dichiarata, mai nascosta, che si fa coraggio, esplorazione di sé e degli altri, constatazione di una fragilità universale, condivisa. dove la fragilità è sempre data come valore, come luogo simbolico in cui ritrovare la comune essenza, l’umana condizione di finitezza.

I temi, dicevo, sono quelli importanti: il tempo che trascorre inesorabile, e lascia segni inconfondibili e inevitabili, un tempo di separazioni, di perdite, un tempo scisso tra passato e presente, e anche la scrittura asseconda questo movimento con continue prolessi e analessi, improvvisi balzi temporali, o arditi flashback (=analessi, cioè l’ordine cronologico degli avvenimenti è interrotto per inserire episodi del passato).

In diversi suoi racconti c’è quindi lo scarto del ricordo. Ricordare significa far rivivere (riportare in cuore) qualcosa o qualcuno che non è più qui o adesso ma come sentimento concreto, quindi praticando il ricordo come esperienza viva che ancora agisce come cura e responsabilità nel presente e nel futuro; la nostalgia: il tema del tempo è poi strettamente connesso con quello della nostalgia: nostalgia di un Eden perduto, di tempi e luoghi in cui tutto era ancora possibile, ancora allo stato germinale.

Ed è una nostalgia che si fa memoria del corpo involontaria, come un bisbiglio di sottofondo continuo e ostinato, che può anche trasformarsi in malinconia. Nostalgia che non è un voler tornare indietro, ma è dolore del ritorno, come ci dice, ancora una volta, l’etimo classico della parola che deriva da “nostos”= ritorno e “algia”=dolore.

Altro tema importante è quello che investe il rapporto con gli altri, la comunicazione tra gli esseri, il vedere gli altri. Qui Manola mostra una particolare sensibilità e capacità di attenzione per gli altri, una attenzione tutta sua ai particolari, alle piccole cose, alle cose minute, e soprattutto alle creature semplici, gli umili, gli ultimi, quelli che spesso si muovono ai margini. Quello di Manola è uno sguardo straordinariamente capace di cogliere sfumature che agli altri possono sfuggire. Ha la capacità di cogliere i pensieri nascosti degli altri, di percepirne le emozioni, di penetrare nelle vite altrui, negli sguardi degli altri, e lo fa sempre con naturalezza, estrema delicatezza e tatto, con rispetto ed empatia, come se stesse sempre un passo indietro.

Ci sono poi dei racconti, dei cammei, che sono veramente dei gioielli narrativi, alcuni brevissimi, dove è evidente anche la bravura di scrittura di Manola, la capacità di scrivere per immagini, di restituirci personaggi come scolpiti con pochi tratti efficacissimi di resa espressiva.

Il tema della fragilità percorre, come un filo rosso, tutti i racconti: della fragilità dei corpi, della loro caducità, del rischio sempre incombente di spezzarsi. come nel racconto una bambola rotta, dove compare anche l’elemento della condivisione di una dimensione tragica. In questo modo Manola riesce a farsi carico anche del dolore altrui, non nel senso di portarne il bagaglio, ma nel senso di “fare compagnia” durante il dolore che ognuno ha nella propria esistenza, come un viaggio per cui è importante che ci sta qualcuno accanto in certi tratti della strada per dirci “guarda che se ne esce” .

Valorizzazione della ferita: riconoscere come propria la fragilità degli altri significa anche assumere la fragilità a luogo simbolico, è accoglimento delle ferite, e saperle raccontare, perché “le parole sanno nominare le ferite” come ci dice nel racconto “il mio cielo” pag. 82, che è poi anche una dichiarazione di poetica, di scrittura.

Manola ci dice che il segreto è riuscire a stare a pezzi fino a che arriva qualcosa che rimette insieme, un collante che però non fa scomparire le ferite, anzi le mette ancora più in evidenza, ne fa narrazione. come avviene con la tecnica giapponese del kintsug, con la quale si rimettono insieme i cocci utilizzando come collante oro o argento liquido e resina laccata. E’ l’arte di abbracciare il danno, di non vergognarsi delle ferite, così le cicatrici diventano bellezza da esibire e racconto dell’unicità delle crepe.

Valenza della scrittura: allora si comprende bene cos’è la scrittura per Manola. La scrittura non fornisce risposte a quei nuclei di domande che resistono anche quando si è chiarito qualcosa, ma sicuramente ci colloca in un luogo in cui la domanda diventa sostenibile e addirittura l’avvio di una ricerca”.

 

M. D.