Appunti di Maristella
Diotaiuti per introdurre l’opera di Wanda Marasco Il genio dell’abbandono, Neri Pozza
Editrice, in occasione del Festival VOCI, a cura de Le Cicale Operose.
Intervento, a seguire, di Manuel Cohen. Letture: Aldo Galeazzi.
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Stasera incontriamo il romanzo di Wanda Marasco, Il genio dell’abbandono, Neri Pozza Editrice, attraverso le letture, la voce di Aldo Galeazzi (poeta, scrittore e attore bravissimo e livornese) e prima l’intervento di Manuel Cohen (linguista e critico letterario di notevole profilo, studioso di poesia dialettale) che ci accompagneranno, ci faranno entrare nell’universo straordinario di questo romanzo.
Perché un
romanzo dentro una rassegna poetica?
Perché Il genio dell’abbandono è un
romanzo poetico, e di una poesia
fortemente incentrata sulla oralità, sulla voce, e che della poesia conserva le caratteristiche genetiche costitutive, connotative: la visionarietà,
la evocazione, la plurisignificazione, la messa in immagini, l’uso di simbologie, le apparenti illogicità lessicali, il rimescolamento dei termini, e soprattutto il ritmo, la musicalità.
Infatti l’intero romanzo è costruito come una partitura, è una partitura, è fortemente strutturato, come fosse uno spartito musicale. Per quanto questo testo sia visionario, c’è dentro una matematica precisa, molto precisa, una misura interna geometrica che ritroviamo in ogni singola pagina, è applicata ad ogni pagina.
Perché
partitura?
Perché l’epicità, il carattere epico ed eroico, donchisciottesco di Vincenzo Gemito, del personaggio principale, ma anche della città di Napoli (la storia della città è epica), e degli altri personaggi, per Wanda non potevano essere raccontati se non attraverso la creazione di una sinfonia (lei la chiama proprio così, ed è così).
Questa sinfonia Wanda la ottiene attraverso il linguaggio, il tipo di linguaggio scelto, utilizzato, che è un impasto, una miscidanza (un pastiche) di italiano e napoletano, dove il dialetto entra non solo nell’uso dei termini, delle parole, ci sono proprio parole napoletane, ma anche a livello del giro di frase, del costrutto della frase e del periodo stesso.
E non poteva essere altrimenti, Wanda non poteva dare una lingua diversa a Vincenzo Gemito essendo stato un popolano, un illetterato e quasi ignorante per gran parte della vita, cioè prima di iscriversi all’accademia di Belle Arti, prima di andare in Francia. Parlava una lingua molto popolare, vivianea che sarebbe stato impossibile adottare, nessuno poi l’avrebbe intesa, il lettore di oggi non avrebbe certamente compreso un linguaggio simile a quello di Viviani. Quindi Wanda ha adottato un napoletano rivisitato,, che viene un po’ dalla mistura della lingua napoletana di Eduardo De Filippo, di Salvatore Di Giacomo, di Ferdinando Russo, insomma questo tipo di commistione.
La lingua è sicuramente il personaggio principale del romanzo, ed è usata da Wanda come una maschera, ha la stessa funzione di una maschera, come lo è Gemito. Wanda ha adottato Gemito e la sua lingua come maschere per poter dire attraverso loro – che diventano dimensioni reali, diventano entità nella narrazione – per poter dire tutto quello che riguarda la nostra dimensione umana, i temi universali dell’uomo: il dolore, la passione, la fatica del vivere, la vita e la morte, e per Gemito anche l’amore per l’arte, l’innocenza dell’opera d’arte.
Mi fermo, vi lascio all’ascolto di Cohen e di Aldo.
grazie e buon ascolto.
M. D.