sabato 18 gennaio 2025

Raffaella Zinelli. Note di lettura di Maristella Diotaiuti.

 


Nota di lettura di Maristella Diotaiuti per il volume Cuore lontano, di Raffaella Zinelli, Intrecci Edizioni, 2021, scritta in occasione della presentazione dell’autrice Segue la nota di lettura del secondo volume dell’autrice, Qui abita un coniglio, Porto Seguro Edizioni, 2022. Alla presentazione Fiorenzo Buti espone le sue opere pittoriche, Luce astratta.

 

È un romanzo apparentemente semplice, di facile e scorrevole lettura, molto piacevole, ma che ha, al suo interno, continui slittamenti verso altri piani di lettura. È, in sostanza, il racconto di una storia esistenziale e di amore tra due personaggi che si propongono come principali ma che poi, vedremo, non lo sono, un uomo e una donna che si relazionano negli affetti, con le loro problematiche esistenziali, relazionali, loro difficoltà, e intorno ai quali si muovono altri personaggi, che si dispongono anche questi apparentemente secondari, sullo sfondo di una natura meravigliosa, come può essere un’isola dei Caraibi (Tenerife), ma che poi scopriremo essere piuttosto parte integrante del tutto.

Raffaella è molto attenta e molto brava a disseminare qua e là sin dall’inizio espedienti narrativi che ci portano da un’altra parte, che funzionano da elementi stranianti, o da elementi spia che ci rivelano, anche icasticamente, che c’è dell’altro, un’altra realtà che si muove sullo sfondo, c’è un’altra storia, altri personaggi. ma è altrettanto brava, accorta a non rivelarci nulla, solo a rimandare continuamente l’agnizione, a citare solo allusivamente, questo “altrove”.

Ciò che caratterizza maggiormente questo romanzo è lo stile, la scrittura. Innanzitutto  l’impianto narrativo è molto interessante, sia sul piano dell’intreccio, sull’innesco di un narrato che si muove su diversi piani che scorrono traslati uno sull’altro, ma anche uno dentro l’altro, sia che su quello della rappresentazione e caratterizzazione dei personaggi che si presentano sulla pagina come se fossero su un palcoscenico, e che scopriamo un po’ alla volta, man mano che agiscono la loro storia o la subiscono. Sono personaggi molto ben caratterizzati, scolpiti a tutto tondo, indagati con perizia nella loro psicologia. Si avverte da parte di Raffaella un’attenzione quasi amorosa verso i suoi personaggi, non è mai giudicante, li osserva, li guarda vivere, ma li accompagna anche nel loro percorso esistenziale. Allo stesso modo si avverte il suo amore, la passione verso la scrittura, e anche la allegrezza, gaiezza. Raffaella è davvero felice di scrivere, ha un rapporto molto sereno con la scrittura. Infatti, ad un certo punto della sua vita Raffaella ha fatto una scelta precisa, anche molto coraggiosa: di abbandonare la sua professione di insegnante e di dedicarsi alla scrittura.

È una prosa paratattica, sulla pagina si susseguono, si giustappongono spezzoni, frammenti di prosa, o, se volete, brevi o brevissimi paragrafi che realizzano un racconto di fatti e una narrazione per immagini, direi, davvero molto efficace. È come assistere a una sequenza filmica, a una sequenza di fotogrammi che poi il lettore stesso ricompone nella macrostruttura del testo. L’autrice fa un uso molto particolare del tempo narrativo, perché le vicende dei personaggi si svolgono in simultanea, per cui il lettore sa cosa succede contemporaneamente, nello stesso momento, come se avesse davanti più schermi sui quali passano le immagini. E questo è molto interessante perché chiama in causa il lettore che deve ricomporre il tutto, finisce così con lo svolgere una funzione attiva nella composizione del testo. L’autrice si muove come un’operatrice di una cinepresa, come una sapiente regista, che è anche onnisciente, sa cosa sta accadendo e come le cose andranno a finire. Una sorta di demiurgo che regola e controlla tutto il processo creativo, di scrittura, è dentro la sua scrittura e la domina con grande maestria, grande perizia, capacità. Tutto questo serve a Raffaella per realizzare un mosaico di storie che solo apparentemente sono slegate ma che in realtà si toccano e si intrecciano, anzi sono intimamente connesse, per cui nessun tassello della storia può essere rimosso senza danneggiare l’insieme, senza provocarne la caduta, la rottura, quasi una non potrebbe esistere senza l’altra. Una costruzione salda e nello stesso tempo armonica, perché questa giustapposizione non risulta rigida, spigolosa, ma ogni parte scivola nell’altra, le varie parti, le scene (per riprendere la metafora filmica) sono unite tra di loro dalla classica tecnica della dissolvenza.

Quello di Raffaella è un universo in cui le persone, nonostante vivano in una percezione di solitudine esistenziale, in realtà sono fortemente connesse tra di loro, sono strette in vincoli che non possono essere sciolti. Che non è un vincolo per forza fisico o formale, è piuttosto un vincolo che si nutre di altro, che però non ci viene detto , ed è questo poi il fascino maggiore di questo libro. Ogni essere è connesso con il mondo stesso, nel quale è immerso, sommerso, completamente.

C’è un libro, un trattato filosofico il ‘de vinculis’ di Giordano Bruno che ci fa scoprire la magia dei vincoli degli universi: le forze che legano in prospettiva universale sono il dio, il demone, l'animo, l'essere animato, la natura, la sorte e fortuna, infine il fato. questo grande reticolo di vincoli, che copre l'universo e non può essere designato con unica denominazione, non lega sotto specie e senso di corpo: il corpo infatti non percuote il senso da sé, ma attraverso un genere di energia che nel corpo risiede e dal corpo procede. e questa energia che metaforicamente si designa come la mano che lega: e questa che, con varia preparazione, si piega ed orienta a gettare i suoi lacci. Mi sembra una riflessione molto opportuna per la materia trattata da Raffaella. Quindi per dire tutto questo c’è bisogno di una certa scrittura, è quindi molto evidente la cura che Raffaella mette nella scelta e nella elaborazione di una scrittura che sia capace di veicolare la materia oggetto di racconto, e anche la sua visione del mondo, il suo sguardo sulle cose, si sente che per Raffaella lo stile è molto importante, e che dietro al libro finito c’è stata una elaborazione teorica.

A quale materia, a quale memoria Raffaella attinge, ha attinto per scrivere questo libro? Per rispondermi mi faccio aiutare da una citazione, come dice Mario Vargas Llosa nella prefazione a La pazza di casa, di Rosa Montero: uno scrittore non scrive soltanto con quello che sa, quello che ha imparato, sogna, ricorda e inventa, ma con tutto quello che tiene dentro di sé, e principalmente con quegli incubi che ha seppellito nel profondo del subconscio, perché non ne vuole più sapere e perché è terrorizzato dalla loro esistenza.

Il perturbante: ecco, mi sembra che questa citazione (con i dovuti aggiustamenti che poi vedremo) vada a cogliere uno degli aspetti fondamentali di questo romanzo di Raffaella, e cioè il perturbante che circola in tutto il racconto, che avvicina questo romanzo al genere del realismo magico. Infatti circola in tutto il racconto un’aria di mistero, un’atmosfera quasi onirica, ma anche qualcosa di spaventoso, una sorta di inquietudine che permea i personaggi, ma anche le geografie, i luoghi, il tempo stesso. tutto sembra in attesa di qualcosa, di qualcosa che deve accadere, o che è già accaduto e potrebbe ritornare, minaccioso. Il perturbante è la traduzione di quello che Freud chiamava l’unheimlich, il raccapricciante, che per Freud è il ritorno del rimosso, è tutto ciò che avrebbe dovuto rimanere segreto e che invece è affiorato. Quella sorta di spaventoso, allontanato dalla consapevolezza, la cui presenza ci rende inquieti. È il primitivo, il magico e il sovrannaturale che pensiamo di aver superato. Un sovrannaturale che però (almeno per Freud) non è mai benefico, fausto, divino, ma è un sovrannaturale diabolico, che ha molto a che fare con i nostri abissi interiori, i nostri fantasmi, le nostre paure, le nostre zone d’ombra. Infatti il perturbante è il nostro vibrare a un demonico che ci appare più intimo, più  segreto, più privato del divino. Anche se raffaella sembra approdare ad esiti diversi.

Per immettere nel racconto il perturbante, Raffaella non costruisce mondi altri, distopici o fantascientifici, anzi il fantastico non è mai distaccato dal reale, la realtà  è presentata in maniera iper-realistica, quasi sovresposta, ma aggiunge, introduce qua e là nel racconto, sul piano diegetico, un elemento straniante , un elemento magico, misterioso, perturbante appunto. Quindi c’è la coesistenza di una rappresentazione oggettiva e di atmosfere sospese e surreali: quasi un ossimoro. Ci sono tracce di incantamenti e di mistero anche quando la narrazione è realistica. Tutto è integrato in una narrativa dai toni stregati, in un’atmosfera che intreccia l’elemento fantastico e magico con quello mimetico e realistico, dando vita a una prosa, a un narrato di forte impatto emotivo. Come se il perturbante, il fantastico di Raffaella avesse bisogno del reale per manifestarsi. Il paesaggio stesso, pur essendo reale ha in sé qualcosa di favoloso e anche di spaventoso, sempre al limite tra realtà e trasfigurazione immaginifica. Questo tipo di paesaggio è la testimonianza della necessità del fantastico di Raffaella di poggiarsi sul dato geografico, per cui il mare è il mare ma è anche qualcos’altro, il vulcano è il vulcano, una montagna ma anche la bocca, il passaggio agli inferi, o fucina di energia creativa. Tutta la vicenda si svolge in un luogo reale, in un villaggio dell’isola di Tenerife, l’ambiente intorno ai personaggi è descritto con precisione topografica, ma poi subito dopo il racconto, il paesaggio trasmigra nello straordinario: il vulcano diventa minaccioso, all’improvviso si sente un boato sotterraneo e un tremore della terra, o il mare si fa in tempesta, o compare una melma verdastra e rossa che imbratta l’azzurro intenso del mare, un vento improvviso che si solleva a stravolgere l’aria, o la piazza del paese è imbrattata di uno strano liquido rosso di cui non si conosce la costituzione né l’origine. In questo mondo quindi i confini sono labili : i confini tra razionalità e non razionalità, tra mondo dei vivi e mondo dei morti, tra il visibile e l’invisibile, tra ragione e sentimento, tra un qui e un altrove, tra passato e presente, sono molto sottili. Ne viene fuori un mondo di pluralità, in cui non ci si stupisce se accadono fatti prodigiosi La linea di demarcazione tra una dimensione e l’altra è sottile, forse inesistente. Raffaella mette sulla pagina la logica della complessità del mondo e degli esseri. Sin dalla prima pagina, dall’esordio della narrazione, compaiono già tutti, o quasi tutti, gli elementi del fantastico che troveranno svolgimento nel farsi del racconto, quegli che poi concorrono a creare la tensione interna del testo. Già dall’incipit, che è costruito su una interrogativa che immediatamente introduce il lettore in un’atmosfera di incertezza, e lo sollecita subito, catturando la sua attenzione. C’è una insistenza su alcuni stilemi che ritornano quasi ossessivamente da una pagina all’altra, e che legano i personaggi tra di loro e anche le varie parti della narrazione, ma nello stesso tempo contribuiscono a rendere il mistero, e soprattutto a creare una simultaneità temporale degli avvenimenti. ad esempio “aveva fame”, “la porta aperta” che compariranno insistentemente tra le righe. C’è immediatamente l’irruzione sulla scena di alcuni personaggi, Blanca, Carlos, Cupido, un personaggio misterioso, un gatto senza un occhio che presumibilmente è anche nero, o almeno così ce lo lascia intuire Raffaella, un gatto che sembra provenire da un altrove per non si sa quale demoniaca missione. C’è come un respiro che attraversa il paesaggio, il vento, l’energia ctonia del vulcano, e l’inesauribile energia vitale delle acque marine. Tutto avviene dentro a un tempo sospeso, inceppato, che scorre su due piani, o con due velocità.  

Elemento principe del perturbante, del realismo magico, è il sogno. Qui mi viene in mente Calderon De La Barca, La vita è sogno? o il sogno è la vita? Una riflessione fondante e fa riferimento a una zona intermedia della realtà dai contorni sfumati in cui umano e divino, realtà e sogno, assoluto e relativo si compongono e si confondono. Addentrarsi ne La vita è sogno, comporta l’addentrarsi in riflessioni filosofiche di straordinaria entità: la vita umana intesa come processo verso la vera conoscenza, in chiave platonica o cristiana, e come avviene questa conoscenza: attraverso le cose reali, sensibili, o attraverso eikasía o mera immaginazione, corrispondente alle ombre delle cose sensibili ; oppure tra realtà e non realtà, ma questo ci porta lontano, ma vedete come un romanzo, il romanzo di Raffaella in questo caso, porta lontano, apre orizzonti infiniti, è il potere della letteratura, della scrittura!

[…]

C’è anche l’irruzione del sacro, elemento tipico del realismo magico femminile, basti pensare a Paola Masino o a Grazia Deledda. Infatti nel romanzo di Raffaella la visione onirica avviene di domenica, il giorno sacro per eccellenza, e il sacro ha una forte contiguità con il demoniaco e con il demonico, quindi con il perturbante. C’è il primo accenno a un bestiario fantastico, animali , figure fantasmatiche, fortemente perturbanti: il gatto senza un occhio, una balena, (ma poi ce ne saranno altre ). Le balene, creature mitiche, o quasi fantasmi, anche queste compaiono e scompaiono nel nulla, sono creature liminali tra la leggenda e il reale, che all’improvviso qui si trasformano in creature malvagie portatrici di morte. Ma ci sono anche due creature femminili, due gemelle, investigatrici dell’occulto quasi, che forse hanno a che fare con le sirene. E poi ci sono gli oggetti:– anche loro fanno da ponte, sono oggetti, come ad esempio una misteriosa scatola che compare e scompare, che passa di mano in mano e che dovrebbe contenere la rivelazione di tutto, le risposte al mistero; un cappello sulla testa di un uomo misterioso, ‘l’uomo con il cappello’ appunto, che ha a che fare con la scatola, un uomo sconosciuto, venuto da chissà dove, che porta con sé un’aria ambigua e misteriosa, che diffonde un’atmosfera di prodigio ma anche di paura, di angoscia. Sono tutti oggetti-soglia: l’oggetto mediatore, che mette in comunicazione il mondo reale con quello fantastico e sovrannaturale, creano meraviglia, incredulità, attesa, ma anche inquietudine,  sono oggetti quotidiani, ma spogliati del loro aspetto abituale e osservati, percepiti come se fossero insoliti … e questo crea inquietudine.

Tra gli oggetti il più simbolico e perturbante è senz’altro il taccuino, un quaderno: un oggetto di una potenza inaudita. Il quaderno è una sorta di quaderno-testamento che funge da oggetto mediatore ma anche da oggetto-rivelatore, ma che in realtà non rivela nulla, anzi, aggiunge mistero a mistero. Il quaderno sul quale il vecchio Santiago scrive la sua verità, forse la verità, un quaderno che nessuno può aprire o leggere, perché è il confine invalicabile oltre il quale la mente umana non si può spingere, il limite del conoscibile, sanciscono la finitezza dell’umano, oltre quel limite c’è la morte o la conoscenza assoluta totale, non ci è dato sapere, se non vivendo la trasgressione, la violazione. Ma in quel diario c’è dell’altro: la consapevolezza che la scrittura è l’unico strumento capace di penetrare il mistero, di stare accanto e governare le forze che ci trascendono, l’elemento che al tempo stesso governa e crea il caos. E non è un caso che a scrivere su questo quaderno sia un vecchio malato di Alzheimer, cioè colui che si è spogliato di tutte le caratteristiche che lo legavano alla condizione umana, a ciò che secondo noi definiscono l’umano: la razionalità, la normazione, il pensiero logico. È il vecchio che ride, si prende gioco di chi crede nella realtà fattuale, di chi si prende troppo sul serio. Il riso è portatore di sensi altri, scardina l’ordine costituto, mette in ridicolo il potere, alleggerisce la pesantezza della materia.

Il vecchio Santiago poi paradossalmente possiede le parole che gli altri personaggi non riescono a pronunciare, che forse hanno smarrito, di parole non ce n’erano più, scrive Raffaella nella primissima pagina. Si è così verificato un rovesciamento significativo: quello che credevamo malato in realtà non lo è, anzi è la c.d. sanità ad essere viceversa una malattia. C’è quindi un desiderio di autenticità, di un candore arcaico, la nostalgia dell’origine che ritroviamo nell’appello alle energie cosmiche da cui le creature discendono e con cui aspirano a ricongiungersi, che spesso Raffaella fa nei panni di Blanca, che prega l’oceano e l’universo.

L’esperienza del perturbante, nel romanzo di Raffaella, e per i suoi personaggi, finisce per rivelarsi un’occasione liberatoria di potenziamento del sé e di apertura a una dimensione più consapevole dell’esistenza, il perturbante rappresenta la circostanza dell’agnizione, l’autentico momento in cui le apparenze si rivelano ingannatrici e le ombre provvidenzialmente amiche.

M. D.

Nota di lettura di Maristella Diotaiuti per il volume Qui abita un coniglio, di Raffaella Zinelli, Porto Seguro Edizioni, 2022. Alla presentazione Fiorenzo Buti espone le sue opere pittoriche, Luce astratta.

Cifra narrativa (richiamando il precedente lavoro dell’autrice) è questa commistione di realtà e immaginazione o, meglio, di trascendente, di sovrumano, commistione di razionalità e di irrazionalità, di illogico, misterioso, arcano, e anche magico, che permette un tipo di lettura dinamica, partecipata da parte del lettore che deve mettere in atto slittamenti verso altri piani di lettura. Raffaella ci racconta una storia di ordinaria quotidianità in cui noi tutti possiamo ritrovarci, la storia di una donna che, a metà della sua vita, intorno ai 40 anni, fa un po’ il bilancio esistenziale e si accorge che sta vivendo una vita che non le piace, non sente sua, soprattutto in ambito lavorativo, con un lavoro di educatrice precario, sottopagato e sottostimato, non tutelato, e con rapporti interpersonali inautentici e a volte problematici. Una donna che vive in perenne disequilibrio nei confronti del mondo, o meglio di un certo tipo di mondo, sente che la vita è altro ed è altrove, e cerca la via per arrivarci. Allora si innesca un lento progredire, faticoso, a volte doloroso, ma necessario, un cammino verso se stessa, partendo da una realtà priva di significato per arrivare a una chiara conoscenza di sé, e degli altri. naturalmente. Una sorta di romanzo di formazione che è, cito la definizione di Lukásc, precisata da Goldmann per il romanzo borghese 900esco,  la storia di una ricerca degradata … di valori autentici, fatta da un eroe problematico, in un mondo degradato. Quindi è una narrazione che partendo dal dato personale finisce per essere anche una cronaca sociale. Questo libro è sostanzialmente un’autobiografia, perché è scritto in prima persona, ci racconta e ci trasmette una sua personale esperienza, di donna, di individuo problematico alla ricerca di una sua collocazione nel mondo, di una sua autenticità, impegnata nella costruzione di un suo universo valoriale al quale far coincidere la sua esistenza. Ma, nello stesso tempo questo libro diventa una cronaca sociale, una denuncia, un atto di accusa nei confronti di tutto ciò che è inautentico, verso di un tipo di società che ha smarrito il senso della comunità e i valori che dovrebbero tenerci uniti come singoli individui ma in relazione con gli altri. La protagonista del romanzo, Viola, è quindi un individuo dimidiato cioè incompleto, parziale,  ma soprattutto scisso: tra ciò che è realmente, quello che sa di essere, la sua reale identità e , ciò che viceversa si vede fuori, quello che appare sul piano sociale. Scissa tra ciò che vive e ciò che vorrebbe vivere. Questo si riflette anche sul piano della scrittura del romanzo. Anche sul piano della costruzione letteraria troviamo questa scissione. Infatti ci troviamo immersi in due mondi, due piani contrapposti, quindi, ma anche due tempi, in cui, e questo è molto interessante: il piano quello della realtà e della razionalità, Zinelli ce lo disegna, lo rimanda grigio, appiattito e senza colore, dominato da un tempo statico, inceppato, in cui anche i personaggi sono fermi, bloccati, solo apparentemente si muovono, addirittura alcuni sono iperattivi (come ad esempio la professoressa Tritesi ribattezzata Tristezzi dagli alunni), ma che in realtà sono bloccati, girano su se stessi, in una ripetitività sterile, improduttiva , che non porta a nulla, sono personaggi che non evolvono, e il loro tempo e il loro agire è intransitivo perché non si trasferisce sugli altri, non ha conseguenze positive sugli altri. L’altro piano che qui emerge ogni tanto, quello della autenticità, della immaginazione, della creatività, della irrazionalità, di quella parte di noi che pure ci costituisce ma che non ci è richiesta, diciamo così, dalla società, non è utile alla società, anzi è percepita come dannosa, pericolosa. È il piano che irrompe nella pagina, e dà l’innesco al tempo che finalmente procede, ed è a questo punto che anche la narrazione si accende, e si accende di colori e di vitalità.

Il rimando ai dipinti di Fabrizio Buti qui esposti è immediato: nelle sue opere che rappresentano appunto la riconquistata nuova luce, la nuova consapevolezza di sé e del mondo, vi è il rimpossessarsi della materia ed è questo il legame profondo che si può leggere tra la scrittura di Raffaella Zinelli e la pittura di Fiorenzo Buti, nella quale ritrovo la stessa ricerca della luce, una luce che sembra, o lo è almeno inizialmente intrappolata nel caos della materia, nella materia informe, ma che in realtà esplode poi in tutta la sua energia creativa. Ma questo dopo tutto un processo di ripensamento e di manipolazione della materia, che parte dal corruttibile, dall’impuro, dagli scarti, che Brandi utilizza nelle sue composizioni, parte dalla materia indegna, quella che gli alchimisti chiamano ‘terra dannata’, e attraverso una disgregazione della materia, approda ad un corpo materico glorioso, fatto di sostanza incorruttibile, una quintessenza generata dall’unione degli elementi, in questo caso di tutti i colori”. Dice Tommaso D’Aquino, nel ‘trattato sull’arte alchemica’ spiegando meravigliosamente tutto questo che faticosamente cerco di dire:

e dopo un mese o due vorrai osservare i fiori vivaci e i colori principali dell’opera, ovvero il nero, il bianco, il giallo citrino e il rosso, allora senza alcuna altra operazione manuale, ma solo con la regolazione del fuoco, ciò che era manifesto sarà nascosto; ciò che era nascosto sarà manifesto.

Ed è ciò che vedo, che leggo, almeno io personalmente, nei quadri di Fiorenzo , e che mi suggerisce la scrittura di Raffaella.

Ritornando al libro, a questo mondo, arido, privo di fantasia, di originalità, che ovviamente non è solo quello della scuola ove l’autrice ne denuncia le storture, Raffaella contrappone, propone, un altro mondo, completamente antitetico, o meglio un altro modo di vivere, nel recupero della dimensione emozionale, dell’autenticità nelle relazioni con le persone ma anche con la natura, il cosmo, le creature viventi, con se stessi. Un mondo già presente, alluso nel titolo stesso: Qui abita un coniglio, che ci riporta ad “Alice nel paese delle meraviglie”, titolo che veramente apre a tutta una serie di significati, con il riferimento esplicito al bianconiglio di Alice, figura ricca di archetipi e simboli. Non a caso il coniglio viene spesso descritto come ‘animale guida’, come ‘Caronte’, un traghettatore tra il nostro mondo e l’altro, è colui che conduce, che chiede di essere seguito, ma anche nelle pratiche yoga, come ‘svuotamento del sé, regressioni ipnotiche, meditazioni alchemiche, o come l’apertura del terzo occhio. E soprattutto, nel romanzo di Carroll, il bianconiglio porta ‘sotto la terra’, unisce i due mondi, spinge ad andare oltre lo specchio, ad entrare in se stessi, invita, cioè al ‘conosci te stesso’. Questa la funzione che ha il coniglio nel romanzo di Raffaella, la stessa funzione che ha la donna, la vecchia Penelope: permettono di andare in posti altrimenti non accessibili, offrono possibilità. Il coniglio e Penelope, sono la scintilla di curiosità che attiva il risveglio spirituale, la ricerca di senso, di se stessi, sono la spinta ad abbandonare quello che si era prima, stritolati in un ingranaggio perverso, e avere il coraggio di entrare nel buco, nell’ignoto,  entrare nella tana del coniglio significa avere il coraggio del cambiamento, morire a se stessi per rinascere. Perché correre rischi può essere spaventoso, ma stare fermi può essere ancora più spaventoso, senza correre rischi e sfidare noi stessi non cresciamo e non miglioriamo. Ad ognuno di noi prima o poi nella vita ci si presenta questo coniglio o una figura misteriosa, un evento inaspettato e apparentemente inspiegabile che apre ad una realtà altra, che sconvolge in un solo attimo le convinzioni di una vita. Occorre quindi fare attenzione ai piccoli eventi apparentemente insignificanti.

Ed è questo il viaggio che fa Viola, la protagonista del romanzo, alias Raffaella Zinelli, una vera e propria caduta, per poter poi ritrovare la sua vera identità.

M. D.