Nota di lettura di Maristella Diotaiuti per il volume
Cuore lontano, di Raffaella Zinelli,
Intrecci Edizioni, 2021, scritta in occasione della presentazione dell’autrice
Segue la nota di lettura del secondo volume dell’autrice, Qui abita un coniglio, Porto Seguro
Edizioni, 2022. Alla presentazione Fiorenzo Buti espone le sue opere pittoriche, “Luce astratta”.
È un romanzo apparentemente semplice, di facile e scorrevole lettura, molto piacevole, ma che ha, al suo interno, continui slittamenti verso altri piani di lettura. È, in sostanza, il racconto di una storia esistenziale e di
amore tra due personaggi che si
propongono come principali ma che poi, vedremo, non lo sono, un uomo e una donna che si relazionano negli affetti,
con le loro problematiche esistenziali, relazionali, loro difficoltà, e intorno
ai quali si muovono altri personaggi, che si dispongono anche questi
apparentemente secondari, sullo sfondo di una natura meravigliosa, come può
essere un’isola dei Caraibi (Tenerife), ma che poi scopriremo essere piuttosto
parte integrante del tutto.
Raffaella è molto attenta
e molto brava a disseminare qua e là
sin dall’inizio espedienti narrativi
che ci portano da un’altra parte,
che funzionano da elementi stranianti,
o da elementi spia che ci rivelano, anche icasticamente, che c’è dell’altro, un’altra realtà che si muove sullo sfondo,
c’è un’altra storia, altri personaggi. ma è altrettanto brava, accorta a non rivelarci nulla, solo a
rimandare continuamente l’agnizione, a citare solo allusivamente, questo “altrove”.
Ciò che caratterizza maggiormente questo romanzo è lo stile, la scrittura. Innanzitutto l’impianto
narrativo è molto interessante, sia
sul piano dell’intreccio, sull’innesco
di un narrato che si muove su diversi piani che scorrono traslati uno sull’altro, ma anche uno dentro l’altro, sia
che su quello della rappresentazione e caratterizzazione dei personaggi
che si presentano sulla pagina come se fossero su un palcoscenico,
e che scopriamo un po’ alla volta, man mano che agiscono la loro storia o la
subiscono. Sono personaggi molto
ben caratterizzati, scolpiti a tutto tondo, indagati con perizia nella loro psicologia. Si avverte da parte di
Raffaella un’attenzione quasi amorosa
verso i suoi personaggi, non è
mai giudicante, li osserva,
li guarda vivere, ma li accompagna anche nel loro percorso
esistenziale. Allo stesso modo si
avverte il suo amore, la
passione verso la scrittura, e anche la allegrezza, gaiezza. Raffaella è davvero felice di scrivere, ha un rapporto molto sereno con la scrittura. Infatti, ad un certo punto della sua vita Raffaella ha fatto una scelta precisa, anche molto
coraggiosa: di abbandonare
la sua professione di insegnante
e di dedicarsi alla scrittura.
È una prosa paratattica, sulla pagina si susseguono, si giustappongono spezzoni, frammenti di prosa, o, se
volete, brevi o brevissimi paragrafi
che realizzano un racconto di fatti e una narrazione per immagini, direi,
davvero molto efficace. È come
assistere a una sequenza filmica,
a una sequenza di fotogrammi che
poi il lettore stesso ricompone nella macrostruttura del testo. L’autrice fa
un uso molto particolare del tempo narrativo, perché
le vicende dei personaggi si svolgono
in simultanea, per cui il
lettore sa cosa succede contemporaneamente, nello stesso momento, come se avesse davanti più schermi sui
quali passano le immagini. E
questo è molto interessante
perché chiama in causa il lettore
che deve ricomporre il tutto, finisce così con lo svolgere una funzione attiva nella composizione del testo. L’autrice si muove come un’operatrice di una
cinepresa, come una sapiente
regista, che è anche onnisciente,
sa cosa sta accadendo e come le cose andranno a finire. Una sorta di
demiurgo che regola e controlla
tutto il processo creativo, di
scrittura, è dentro la sua
scrittura e la domina con grande
maestria, grande perizia,
capacità. Tutto questo serve a Raffaella per realizzare un mosaico di
storie che solo apparentemente
sono slegate ma che in realtà si
toccano e si intrecciano, anzi sono intimamente connesse, per cui nessun tassello della storia può essere rimosso senza danneggiare
l’insieme, senza provocarne la caduta, la rottura, quasi una non potrebbe
esistere senza l’altra. Una costruzione salda e nello stesso tempo armonica,
perché questa giustapposizione non
risulta rigida, spigolosa, ma ogni parte scivola nell’altra, le
varie parti, le scene (per
riprendere la metafora filmica) sono unite
tra di loro dalla classica tecnica
della dissolvenza.
Quello di Raffaella è un universo in
cui le persone, nonostante vivano in una percezione di solitudine esistenziale,
in realtà sono fortemente connesse tra
di loro, sono strette in vincoli
che non possono essere sciolti. Che non è un vincolo per forza fisico o formale, è piuttosto un
vincolo che si nutre di altro, che però
non ci viene detto , ed è questo
poi il fascino maggiore di questo libro. Ogni essere è connesso con il mondo stesso, nel quale è immerso, sommerso, completamente.
C’è un libro, un trattato filosofico il ‘de
vinculis’ di Giordano Bruno che ci fa scoprire la magia dei vincoli degli universi: le forze che legano in prospettiva
universale sono il dio, il demone, l'animo, l'essere animato, la natura, la
sorte e fortuna, infine il fato. questo grande reticolo di vincoli, che copre
l'universo e non può essere designato con unica denominazione, non lega sotto
specie e senso di corpo: il corpo infatti non percuote il senso da sé, ma
attraverso un genere di energia che nel corpo risiede e dal corpo procede. e
questa energia che metaforicamente si designa come la mano che lega: e questa
che, con varia preparazione, si piega ed orienta a gettare i suoi lacci. Mi
sembra una riflessione molto opportuna per la materia trattata da Raffaella. Quindi per dire tutto questo c’è bisogno di
una certa scrittura, è quindi molto
evidente la cura che Raffaella mette nella scelta e nella elaborazione di una
scrittura che sia capace di
veicolare la materia oggetto di racconto, e anche la sua visione del mondo, il suo sguardo
sulle cose, si sente che per Raffaella lo stile è molto importante, e che dietro al libro finito c’è stata una
elaborazione teorica.
A quale materia, a quale
memoria Raffaella attinge,
ha attinto per scrivere questo libro? Per
rispondermi mi faccio aiutare da una citazione, come dice Mario
Vargas Llosa nella prefazione
a La
pazza di casa, di Rosa Montero:
uno scrittore non scrive soltanto con quello che sa, quello che ha imparato,
sogna, ricorda e inventa, ma con tutto quello che tiene dentro di sé, e
principalmente con quegli incubi che ha seppellito nel profondo del subconscio,
perché non ne vuole più sapere e perché è terrorizzato dalla loro esistenza.
Il perturbante: ecco, mi
sembra che questa citazione (con
i dovuti aggiustamenti che poi vedremo) vada a cogliere uno degli aspetti fondamentali di questo romanzo di
Raffaella, e cioè il perturbante
che circola in tutto il racconto,
che avvicina questo romanzo al genere del realismo magico. Infatti
circola in tutto il racconto un’aria di
mistero, un’atmosfera quasi onirica, ma anche qualcosa di spaventoso,
una sorta di inquietudine che permea i personaggi, ma anche le geografie, i
luoghi, il tempo stesso. tutto sembra in attesa di qualcosa, di qualcosa che
deve accadere, o che è già accaduto e potrebbe ritornare, minaccioso. Il
perturbante è la traduzione di quello che Freud chiamava l’unheimlich,
il raccapricciante, che per Freud è il ritorno del rimosso, è tutto
ciò che avrebbe dovuto rimanere segreto e che invece è affiorato. Quella
sorta di spaventoso, allontanato dalla consapevolezza, la cui presenza ci rende inquieti. È
il primitivo, il magico e il sovrannaturale che pensiamo
di aver superato. Un sovrannaturale che però (almeno per Freud)
non è mai benefico, fausto,
divino, ma è un sovrannaturale
diabolico, che ha molto a che
fare con i nostri abissi interiori, i nostri fantasmi, le nostre
paure, le nostre zone d’ombra.
Infatti il perturbante è il nostro
vibrare a un demonico che ci appare più intimo, più segreto, più privato del divino. Anche se
raffaella sembra approdare ad esiti diversi.
Per immettere nel racconto il
perturbante, Raffaella non costruisce
mondi altri, distopici o fantascientifici, anzi il fantastico non è mai
distaccato dal reale, la
realtà è presentata in maniera
iper-realistica, quasi sovresposta,
ma aggiunge, introduce qua e là nel racconto, sul piano diegetico, un elemento
straniante , un elemento magico, misterioso, perturbante appunto. Quindi c’è la
coesistenza di una rappresentazione
oggettiva e di atmosfere sospese
e surreali: quasi un ossimoro. Ci sono tracce di incantamenti e di mistero
anche quando la narrazione è realistica. Tutto è integrato in una narrativa dai
toni stregati, in un’atmosfera che
intreccia l’elemento fantastico e magico con quello mimetico e realistico,
dando vita a una prosa, a un narrato di
forte impatto emotivo. Come se il perturbante, il fantastico di
Raffaella avesse bisogno del reale per manifestarsi. Il paesaggio stesso, pur essendo reale ha in sé qualcosa di favoloso e anche di spaventoso,
sempre al limite tra realtà e
trasfigurazione immaginifica. Questo tipo di paesaggio è la
testimonianza della necessità del fantastico di Raffaella di poggiarsi sul dato
geografico, per cui il mare è il mare
ma è anche qualcos’altro, il vulcano
è il vulcano, una montagna ma anche
la bocca, il passaggio agli inferi,
o fucina di energia creativa. Tutta la
vicenda si svolge in un luogo reale, in un villaggio dell’isola di Tenerife, l’ambiente intorno ai personaggi è descritto con precisione topografica, ma poi subito dopo il racconto, il paesaggio trasmigra nello straordinario: il vulcano diventa minaccioso, all’improvviso si sente un boato sotterraneo e un tremore della
terra, o il mare si fa in tempesta,
o compare una melma verdastra e rossa che imbratta
l’azzurro intenso del mare, un vento improvviso che si solleva a stravolgere
l’aria, o la piazza del paese è imbrattata di uno strano liquido rosso di cui non si
conosce la costituzione né l’origine. In questo mondo quindi i confini sono labili
: i confini tra razionalità e non razionalità, tra mondo dei vivi e mondo dei morti, tra il visibile e l’invisibile, tra ragione e sentimento, tra un qui e un altrove, tra passato e presente, sono molto sottili. Ne viene fuori un mondo di pluralità, in cui non ci si stupisce se accadono fatti prodigiosi La linea di demarcazione tra una
dimensione e l’altra è sottile, forse inesistente. Raffaella mette sulla pagina la logica della complessità del mondo e degli esseri. Sin dalla prima pagina, dall’esordio
della narrazione, compaiono già tutti,
o quasi tutti, gli elementi del
fantastico che troveranno svolgimento
nel farsi del racconto, quegli
che poi concorrono a creare la tensione interna del testo. Già dall’incipit, che è costruito su una interrogativa che
immediatamente introduce il lettore in
un’atmosfera di incertezza, e lo
sollecita subito, catturando la
sua attenzione. C’è una
insistenza su alcuni stilemi che ritornano
quasi ossessivamente da una
pagina all’altra, e che legano i
personaggi tra di loro e anche le
varie parti della narrazione, ma nello
stesso tempo contribuiscono a rendere
il mistero, e soprattutto a creare
una simultaneità temporale degli avvenimenti. ad esempio “aveva fame”, “la porta aperta” che compariranno insistentemente tra le righe. C’è
immediatamente l’irruzione sulla scena
di alcuni personaggi, Blanca, Carlos,
Cupido, un personaggio misterioso, un gatto
senza un occhio che presumibilmente è anche nero, o almeno così ce lo
lascia intuire Raffaella, un gatto che sembra
provenire da un altrove per non
si sa quale demoniaca missione. C’è come un respiro che attraversa il
paesaggio, il vento, l’energia ctonia del vulcano, e
l’inesauribile energia vitale delle
acque marine. Tutto avviene dentro a un tempo sospeso, inceppato,
che scorre su due piani, o con due velocità.
Elemento principe del perturbante, del realismo magico, è il sogno. Qui mi viene in mente Calderon De
La Barca, La vita è sogno? o il sogno è la vita? Una riflessione fondante e fa riferimento a una zona intermedia della realtà dai contorni
sfumati in cui umano e divino,
realtà e sogno, assoluto e
relativo si compongono e si confondono. Addentrarsi ne La vita è sogno,
comporta l’addentrarsi in riflessioni filosofiche di straordinaria entità: la
vita umana intesa come processo verso la vera conoscenza, in chiave platonica o
cristiana, e come avviene questa conoscenza: attraverso le cose reali,
sensibili, o attraverso eikasía o mera immaginazione, corrispondente alle ombre
delle cose sensibili ; oppure tra realtà e non realtà, ma questo ci porta
lontano, ma vedete come un romanzo, il romanzo di Raffaella in questo caso,
porta lontano, apre orizzonti infiniti, è il potere della letteratura, della
scrittura!
[…]
C’è anche l’irruzione del sacro, elemento tipico del realismo magico femminile, basti pensare a Paola Masino o a Grazia Deledda. Infatti nel romanzo di
Raffaella la visione onirica avviene di
domenica, il giorno sacro per
eccellenza, e il sacro ha una
forte contiguità con il demoniaco e con il demonico, quindi con il
perturbante. C’è il primo accenno
a un bestiario fantastico,
animali , figure fantasmatiche, fortemente
perturbanti: il gatto senza un occhio, una balena, (ma poi ce ne saranno altre ).
Le balene, creature mitiche, o quasi fantasmi, anche queste compaiono e scompaiono nel nulla, sono creature liminali tra la leggenda e
il reale, che all’improvviso qui si trasformano
in creature malvagie portatrici di morte. Ma ci sono anche due creature femminili, due gemelle,
investigatrici dell’occulto quasi, che forse hanno a che fare con le sirene.
E poi ci sono gli oggetti:–
anche loro fanno da ponte, sono
oggetti, come ad esempio una misteriosa
scatola che compare e scompare,
che passa di mano in mano e che dovrebbe contenere la rivelazione di tutto,
le risposte al mistero; un cappello sulla
testa di un uomo misterioso,
‘l’uomo con il cappello’ appunto, che ha
a che fare con la scatola, un uomo sconosciuto, venuto da chissà dove, che porta con sé un’aria ambigua e misteriosa, che diffonde
un’atmosfera di prodigio ma anche di paura, di angoscia. Sono tutti oggetti-soglia: l’oggetto mediatore, che mette in comunicazione il mondo reale con quello fantastico e sovrannaturale,
creano meraviglia, incredulità,
attesa, ma anche inquietudine, sono oggetti
quotidiani, ma spogliati del
loro aspetto abituale e osservati, percepiti come se fossero insoliti … e questo crea inquietudine.
Tra gli oggetti il più simbolico e
perturbante è senz’altro il taccuino,
un quaderno: un oggetto di una potenza inaudita. Il quaderno è una sorta di quaderno-testamento che funge da oggetto mediatore ma anche da oggetto-rivelatore, ma che in realtà
non rivela nulla, anzi, aggiunge
mistero a mistero. Il quaderno sul
quale il vecchio Santiago scrive
la sua verità, forse la verità, un quaderno che nessuno può aprire o leggere, perché è il confine invalicabile oltre il quale la mente umana non si può spingere, il limite del conoscibile,
sanciscono la finitezza dell’umano,
oltre quel limite c’è la morte o
la conoscenza assoluta totale,
non ci è dato sapere, se non vivendo la trasgressione, la violazione. Ma in quel diario c’è dell’altro: la
consapevolezza che la scrittura è
l’unico strumento capace di penetrare il mistero, di stare accanto e governare le forze che ci trascendono, l’elemento che al tempo
stesso governa e crea il caos. E non è un caso che a scrivere su questo quaderno sia un vecchio malato di Alzheimer, cioè
colui che si è spogliato di tutte le
caratteristiche che lo legavano alla condizione umana, a ciò che secondo noi definiscono l’umano:
la razionalità, la normazione, il pensiero logico. È il vecchio che ride, si prende gioco di chi crede nella realtà
fattuale, di chi si prende
troppo sul serio. Il riso
è portatore di sensi altri, scardina l’ordine costituto, mette in
ridicolo il potere, alleggerisce la
pesantezza della materia.
Il vecchio Santiago poi paradossalmente possiede le parole che gli altri personaggi non riescono a pronunciare,
che forse hanno smarrito, di parole non ce n’erano più, scrive Raffaella
nella primissima pagina. Si è così verificato un rovesciamento significativo: quello che credevamo malato in realtà non lo è, anzi è la c.d. sanità ad essere viceversa una
malattia. C’è quindi un
desiderio di autenticità, di un candore
arcaico, la nostalgia
dell’origine che ritroviamo
nell’appello alle energie cosmiche da cui le creature discendono e con cui
aspirano a ricongiungersi, che spesso Raffaella fa nei panni di Blanca, che prega l’oceano e l’universo.
L’esperienza
del perturbante, nel
romanzo di Raffaella, e per i
suoi personaggi, finisce per rivelarsi
un’occasione liberatoria di potenziamento del sé e di apertura a una dimensione
più consapevole dell’esistenza, il perturbante rappresenta la circostanza
dell’agnizione, l’autentico momento
in cui le apparenze si rivelano
ingannatrici e le ombre provvidenzialmente amiche.
M. D.
Nota di
lettura di Maristella Diotaiuti per il volume Qui abita un coniglio, di Raffaella Zinelli, Porto Seguro Edizioni, 2022. Alla presentazione Fiorenzo
Buti espone le sue opere pittoriche,
“Luce
astratta”.
Cifra narrativa (richiamando il
precedente lavoro dell’autrice) è questa commistione di realtà e immaginazione o, meglio, di trascendente, di sovrumano, commistione di razionalità e di irrazionalità,
di illogico, misterioso, arcano, e anche magico, che permette un tipo di lettura dinamica, partecipata da parte del
lettore che deve mettere in atto
slittamenti verso altri piani di lettura. Raffaella ci racconta una storia di ordinaria quotidianità in cui noi tutti possiamo ritrovarci, la storia di una
donna che, a metà della sua vita, intorno ai 40
anni, fa un po’ il bilancio
esistenziale e si accorge
che sta vivendo una vita che non le piace, non sente sua, soprattutto in
ambito lavorativo, con un lavoro
di educatrice precario, sottopagato
e sottostimato, non tutelato, e con rapporti interpersonali inautentici e a volte problematici. Una donna che vive in perenne disequilibrio nei confronti del mondo, o meglio di un certo tipo di mondo, sente che la vita è altro ed è altrove, e cerca la via per arrivarci.
Allora si innesca un lento progredire, faticoso, a volte doloroso, ma necessario, un cammino verso
se stessa, partendo da una realtà priva di significato per arrivare a una chiara conoscenza di sé, e
degli altri. naturalmente. Una sorta
di romanzo di formazione che è, cito
la definizione di Lukásc, precisata da Goldmann per il romanzo borghese 900esco, la storia di una ricerca degradata … di valori autentici, fatta da un eroe problematico, in un mondo degradato. Quindi è una narrazione che partendo dal dato
personale finisce per essere anche una cronaca sociale. Questo
libro è sostanzialmente un’autobiografia,
perché è scritto in prima persona, ci racconta e ci trasmette una sua personale esperienza, di donna, di individuo problematico alla
ricerca di una sua collocazione nel mondo, di una sua autenticità, impegnata nella costruzione di un suo universo valoriale al quale far coincidere la sua esistenza. Ma, nello stesso tempo questo libro diventa
una cronaca sociale, una denuncia, un atto di accusa nei confronti di tutto ciò che è inautentico, verso di un tipo di società
che ha smarrito il senso della comunità e i valori che dovrebbero tenerci uniti
come singoli individui ma in relazione con gli altri. La protagonista del
romanzo, Viola, è quindi
un individuo dimidiato cioè incompleto, parziale, ma soprattutto scisso: tra ciò che è realmente, quello che sa di essere, la sua
reale identità e , ciò che viceversa si vede fuori, quello che appare sul piano
sociale. Scissa tra ciò che vive e
ciò che vorrebbe vivere. Questo si
riflette anche sul piano della
scrittura del romanzo. Anche sul
piano della costruzione letteraria troviamo questa scissione. Infatti ci troviamo immersi
in due mondi, due piani contrapposti,
quindi, ma anche due tempi, in
cui, e questo è molto interessante: il piano
quello della realtà e della razionalità,
Zinelli ce lo disegna, lo rimanda grigio,
appiattito e senza colore, dominato da un tempo
statico, inceppato, in
cui anche i personaggi sono fermi, bloccati, solo apparentemente
si muovono, addirittura alcuni sono iperattivi (come ad esempio la professoressa Tritesi ribattezzata
Tristezzi dagli alunni), ma che in
realtà sono bloccati, girano su
se stessi, in una ripetitività sterile,
improduttiva , che non porta a nulla,
sono personaggi che non evolvono, e il loro tempo e il loro
agire è intransitivo
perché non si trasferisce sugli altri,
non ha conseguenze positive sugli altri.
L’altro piano che qui emerge ogni tanto, quello della autenticità,
della immaginazione, della creatività,
della irrazionalità, di
quella parte di noi che pure ci costituisce ma che non ci è richiesta, diciamo così, dalla società, non è utile alla società,
anzi è percepita come dannosa, pericolosa. È il piano che irrompe
nella pagina, e dà l’innesco al
tempo che finalmente procede, ed è a questo
punto che anche la narrazione si
accende, e si accende di colori
e di vitalità.
Il rimando ai dipinti di Fabrizio Buti qui esposti è immediato: nelle sue opere che rappresentano
appunto la riconquistata nuova luce,
la nuova consapevolezza di sé e del mondo, vi è il rimpossessarsi della materia ed è
questo il legame profondo che si può leggere tra la scrittura di Raffaella Zinelli e la pittura di Fiorenzo Buti, nella
quale ritrovo la stessa ricerca della
luce, una luce che sembra, o lo è almeno inizialmente intrappolata nel caos della materia,
nella materia informe, ma che in realtà esplode poi in tutta la sua
energia creativa. Ma questo dopo
tutto un processo di ripensamento e di manipolazione della materia, che parte dal corruttibile, dall’impuro, dagli scarti, che Brandi utilizza nelle sue
composizioni, parte dalla materia
indegna, quella che gli
alchimisti chiamano ‘terra dannata’, e attraverso una disgregazione della materia, approda ad un corpo materico
glorioso, fatto di sostanza
incorruttibile, una quintessenza
generata dall’unione degli elementi,
in questo caso di tutti i colori”. Dice
Tommaso D’Aquino, nel ‘trattato
sull’arte alchemica’ spiegando meravigliosamente tutto questo che
faticosamente cerco di dire:
e dopo un mese o due vorrai osservare i fiori vivaci e i colori
principali dell’opera, ovvero il nero, il bianco, il giallo citrino e il rosso,
allora senza alcuna altra operazione manuale, ma solo con la regolazione del
fuoco, ciò che era manifesto sarà nascosto; ciò che era nascosto sarà manifesto.
Ed è ciò che vedo, che leggo,
almeno io personalmente, nei quadri di
Fiorenzo , e che mi suggerisce
la scrittura di Raffaella.
Ritornando al libro, a questo mondo,
arido, privo di fantasia, di originalità, che ovviamente non è solo quello
della scuola ove l’autrice ne denuncia le storture, Raffaella contrappone,
propone, un altro mondo,
completamente antitetico, o
meglio un altro modo di vivere,
nel recupero della dimensione
emozionale, dell’autenticità
nelle relazioni con le persone
ma anche con la natura, il cosmo, le
creature viventi, con se stessi. Un mondo già presente, alluso
nel titolo stesso: Qui abita un coniglio, che ci riporta ad “Alice nel paese
delle meraviglie”, titolo che veramente apre a tutta una serie di significati, con il riferimento esplicito al bianconiglio di Alice,
figura ricca di archetipi e simboli. Non
a caso il coniglio viene spesso descritto come ‘animale guida’, come ‘Caronte’,
un traghettatore tra il nostro
mondo e l’altro, è colui che conduce, che chiede di essere seguito, ma anche nelle
pratiche yoga, come ‘svuotamento del sé,
regressioni ipnotiche, meditazioni alchemiche, o come l’apertura del terzo occhio. E soprattutto, nel romanzo di Carroll, il bianconiglio porta ‘sotto la terra’, unisce i due
mondi, spinge ad andare oltre lo specchio, ad entrare in se stessi, invita, cioè al ‘conosci te stesso’. Questa la funzione che ha il coniglio nel
romanzo di Raffaella, la stessa funzione che ha la donna, la vecchia Penelope: permettono di andare
in posti altrimenti non accessibili, offrono
possibilità. Il coniglio
e Penelope, sono la scintilla di curiosità che attiva il risveglio spirituale, la ricerca di senso, di se stessi, sono la spinta ad abbandonare quello che si era
prima, stritolati in un ingranaggio perverso, e avere il coraggio di entrare nel buco, nell’ignoto, entrare nella tana del coniglio significa
avere il coraggio del cambiamento, morire a se stessi per rinascere. Perché correre rischi può essere spaventoso,
ma stare fermi può essere ancora più spaventoso, senza correre rischi e sfidare noi stessi
non cresciamo e non miglioriamo. Ad ognuno di noi prima o poi nella vita ci si presenta questo coniglio o una figura misteriosa, un evento
inaspettato e apparentemente
inspiegabile che apre ad una
realtà altra, che sconvolge in
un solo attimo le convinzioni di una vita. Occorre quindi fare attenzione ai piccoli eventi
apparentemente insignificanti.
Ed è questo
il viaggio che fa Viola,
la protagonista del romanzo, alias Raffaella Zinelli, una vera e propria caduta, per poter
poi ritrovare la sua vera identità.
M. D.