Nota di lettura di Maristella Diotaiuti per il volume La faglia del fuoco, di Floriana Coppola, Il Laboratorio Edizioni, 2019.
Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Di quale sostanza è fatto l’amore? Cos’è la ferita d’amore? L’assenza è vuoto o tessuto cicatriziale che si fa narrazione? Le parole, il linguaggio, la poesia sono strumento adeguato a significare l’esperienza d’amore e la sua fine o, meglio, la sua trasformazione?
È la materia che innerva il suo ultimo lavoro poetico, la raccolta di versi dal titolo incisivo e fondante, La faglia del fuoco, con tutta la polisemia che lo caratterizza e ne amplifica il senso.
È questa, e altro ancora, la materia di indagine e di scrittura nella quale affonda le mani Floriana Coppola, senza timore di sporcarsi o ferirsi, per la natura incandescente di tale materia, per il disequilibrio costante a cui si va incontro nel muoversi su un crinale così accidentato. E’ la sfida e l’ardimento di chi ha dimestichezza con gli elementi sostanziali, come i colori, la carta, e gli esseri umani, i sentimenti e le parole.
Si tratta di un percorso meditativo-poetico, di un itinerario che prende le mosse da lontano e va lontano, attraversando la precedente silloge di Cambi di stagione – e altre mutazioni poetiche, edito da Oèdipus. L’una precedente all’altra. Una conseguente all’altra. E non è un caso.
Perché se le mutazioni avvengono anche in seguito ad una frattura, uno strappo, una lacerazione, è vero anche il contrario, si apre una faglia dopo aver modificato qualcosa, dopo aver provocato una crisi e innescato un cambiamento. La “faglia” di Floriana Coppola è dentro il sentimento d’amore, del quale Floriana scandaglia il sogno, la costruzione, la rappresentazione, ne verifica la tenuta, i punti di rottura, le fragilità e le persistenze, i confini del desiderio, dell’eros, le derive del domino e del possesso.
La misura poetica riflette l’estensione dell’amore, inteso come flusso di energia inviato da un indirizzo esistenziale ad un altro, da un ‘io’ a un ‘tu’, Ognuno va verso l’altro, non ritorna a se stesso e poi si perde, osserva acutamente Floriana, sperimentando la difficoltà di saper stare nel discorso a due, nell’incontro che è incantamento e specchio […] e diventare i tuoi occhi il mio specchio, ma anche constatazione e accettazione di scarto e dissomiglianza, L’altro che si ama è sempre uno straniero. Il fervore dell’attesa nutre il tempo narrato e il suo oggetto d’amore. E ancora: Non so ancora chi sei e tu non sai / chi sono io. Impermanenza e danno. Siamo / pianeti: si cercano dentro orbite infuocate / solo acqua sul fuoco e fuoco sull’acqua / ora trattengo tra le dita la paura dolcissima di te e di me […].
Il sentimento d’amore, dunque, come progetto esperienziale, come luogo di sperimentazione del sé e dell’altro che non può trasformarsi in un ‘noi’ indistinto, monadico e totemico, Femmina e maschio, senza mescolanza e senza confusione, siamo l’uno la discesa nell’altro e la sua consumazione cannibale [...], un ‘noi’ indistinto che non può non prelude a problematiche scissioni quando le scissioni diventano inevitabili, ma occorre stare nella consapevolezza che Non mi perdi non mi perderai mai.
Ecco la ‘faglia’, il vuoto che si apre tra due rive contrapposte, l’ambivalenza di un sentimento che nasce come totalizzante ma si scopre fragile e transitorio, Non permane l’amore, è un’onda che avvolge e dura il tempo esatto per travolgerti.
Su questi presupposti Floriana Coppola apre una serrata e intensa indagine poetica sull’identità dentro il legame sentimentale e del legame stesso, sul femminile, sul modo di intendere l’amore, l’eros, ma anche sulle parole, sul linguaggio, assumendo il linguaggio poetico a strumento di conoscenza e di scandaglio di sé e del mondo. Il linguaggio poetico diventa esso stesso esperienza di scrittura che permette la scrittura stessa, il linguaggio che riflette sul suo statuto di linguaggio e sulla sua capacità di ridefinire e restituire la realtà, e la realtà sfuggente dell’amore, complessa e multiforme con i suoi “segni inconciliabili”. La scrittura poetica si propone come l’unica capace di cogliere le potenzialità rigenerative dei cambiamenti e delle crisi, perché anche la poesia nasce dallo strappo, anzi la poesia è essa stessa crisi.
Così, lo scavo che era iniziato in “Cambi di stagione”, qui, nella “Faglia del fuoco”, diventa immersione nella materia oscura, discesa nel pozzo. Anche la scrittura si adegua, abbandona la versificazione di “Cambi di stagione” per prediligere il ritmo della prosa poetica, una prosa magmatica e incandescente, densa, ricca di echi, di rimandi. Prosa necessaria perché qui l’io è dialogante, è in relazione con un tu, siamo dentro un legame amoroso, erotico, che non ammette spezzature. Occorre un tessuto fitto di parole, un ordito e una trama perché si possa parlare d’amore, non bisogna prendere fiato. Così i testi poetici realizzano una narrazione unica che implica un chiamare e un rispondere, da una sponda all’altra della faglia, un tessuto di parole che si fa musica dentro un lessico alto e raffinato, intenso ed evocativo ma, nello stesso tempo materico e corporeo. Il corpo infatti, con la sua carica erotica, diventa la mappa di navigazione di questo viaggio e trasforma la scrittura poetica in scrittura del corpo e con il corpo.
Un corpo-scrittura che non teme né il cambiamento né la faglia, ma li invoca come epifanici, muovendosi nella frattura e nella contraddizione. Essere come l’Orlando di Virginia Woolf, evocato in una poesia di “Cambi di stagione”, multiforme e liminale, e, come Orlando, Floriana cammina tra due fuochi adesso il prima e il dopo / dove si rintana la parola e l’amore si invola a piedi scalzi.
Floriana, così, affida alle parole, alle parole poetiche, la sua personale e sofferta indagine sull’amore, ma che ci riguarda tutti, perché Anche le parole sono attrezzi per scavare, per togliere polvere, per aggiustare. Entrambi, linguaggio poetico e linguaggio amoroso sono uno strumento per esserci, per sentirsi esistente nella propria patria esistenziale. Entrambi, amore e poesia sono un pharmakon, medicina e veleno nello stesso tempo. Scrive Floriana: Ci si innamora dell’amore e diventiamo / schegge spezzate sul cuore asciutto dell’altro / scaglie ruvide ficcate nella pelle / fino in fondo – l’amore conosce solo innesti da togliere il fiato – l’anima solo incendi dolosi intorno alla casa, e Scrivo versi sghembi per placarmi, figli e radici del mio sonno eppure non placo questo dolore, si sposta con astio di penna da un cassetto all’altro dell’anima. Perché se da una parte Le parole / non fanno l’amore / fanno l’assenza, come dice un’altra straordinaria poeta, Alejandra Pizarnik, cioè dipingono il contorno del vuoto, cadendoci dentro, è anche vero che, scrive Coppola, L’assenza si fa casa, e più avanti La breccia è fatta di parole, cioè il linguaggio poetico è un antidoto al vuoto, una medicina. Elabora, così, un modo di pensare alla poesia come terapia interiore, recuperando un senso più profondo a questa: la poesia giunge dall’essere e all’essere riconduce. La poesia di Coppola è poesia di cura, ma in una accezione diversa da quella più comunemente condivisa, non di volontà di eludere il dolore, di cicatrizzare in fretta la ferita, la ferita d’amore, perché non sanguini più, ma, al contrario, avendo cura di tenerla sempre aperta, disinfettandola magari perché non si infetti, ma lasciarla visibile, perché lì la carne è viva, è ipersensibile, è il punto in cui si sente di più. Solo accettando la ferita, e il dolore della ferita, l’amore, anche quando finisce, quando fa male, può diventare un processo di conoscenza e di crescita, La ferita è zolla dissodata, scrive Floriana. Occorre, dunque, riempire lo squarcio di materia nobile, come nella tecnica giapponese del Kintsugi, valorizzando la crepa, impreziosendola con l’oro, dandole un nuovo aspetto che si fa narrazione. Per questo Floriana Coppola esibisce la propria ferita, la sovraespone, dichiarando la propria fragilità, e si consegna a noi Disarmata: una creatura senza carapace, riversa sulla sabbia cocente del tuo giorno e di ogni notte. Senza armature, senza maschere. Nuda.
E scrive poesie per offrire qualcosa di più eterno dell’amore. Per contrapporre alla caducità dell’amore qualcosa che duri, perché, come dice il filosofo Jean-Luc Nancy, La poesia è il tempo stesso […] è il tempo presente che, specializzandosi nel testo, declina la nostra singolarità, giocandola in uno scarto che ci tiene sensatamente nell’aperto del mondo […] opera perché il senso del presente non si chiuda. E così Floriana Coppola: L’idioma risale l’etimo della parola e fa / sangue e santa la strada, ogni strada. Ogni creatura che parla è in transito. Sogna di appartenere al mondo.
M: D.