martedì 21 gennaio 2025

Luisa Trimarchi. Nota di lettura di Maristella Diotaiuti.

 



Nota di lettura (sintesi) di Maristella Diotaiuti per il volume Storia della bambina infranta. (Dialoghi-nudi), di Luisa Trimarchi, Puntoacapo Editrice, 2023, scritta in occasione della presentazione alle Cicale Operose nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

È un libro di poesie delicato e potente nello stesso tempo, intenso e leggero, ma di una leggerezza pensosa, un libro a volte straziante, a volte anche feroce, che tocca nel profondo, tocca noi donne (in quanto donne).  Perché parla di una bambina incompiuta, frantumata, quindi c’è dentro l’idea di qualcosa di violento, di brutale, un’azione, una forza, esterna alla bambina che la fa a pezzi, nel corpo e nell’anima, e le impedisce di vivere.

Questo è il tratto che rende il libro di Luisa fortemente e dolorosamente vicino ai fatti dei nostri giorni, e che lo giustifica, lo inserisce coerentemente nella giornata contro la violenza sulle donne. Luisa perciò ci racconta la storia della bambina protagonista del libro colta nella sua linea esistenziale, a partire dalla vita intrauterina fino alla morte e oltre, anche oltre la morte, ma è una storia che appartiene a tutte le bambine, tutte le ragazze, tutte le donne.

La bambina infranta non racconta una storia precisa, non indica una violenza o un fatto doloroso specifici, ma questa bambina soffre di un male comune a tutte le donne, diffuso, atavico, radicato e pervasivo e che ha tante sfaccettature, assume tanti volti, tante modalità. Un male sempre diverso nel modo di manifestarsi,  che è la cultura, il pensiero patriarcale, misogino, fallocentrico, pensieri che vanno a braccetto con il sistema economico liberista e neoliberista, che trovano nella violenza fisica la loro manifestazione più evidente ma che agiscono anche livello psicologico, agiscono su piani diversi, anche sommersi, meno individuabili e per questo ancor più pericolosi.

Quindi  in questo libro si parla sì di una bambina precisa, individuata, che però nello stesso tempo diventa plurale, multipla, perché incarna tutte le bambine, è la portavoce di tutte le donne silenziate, messe a tacere, infrante, frammentate, incompiute, inconcluse, spezzate da una concezione maschilista, dal pregiudizio atavico della presunta inferiorità delle donne.

È una bambina incompiuta, che va alla ricerca di una propria identità, che tenta di mettere insieme i pezzi del proprio essere, del proprio corpo. Ed è una bambina combattiva, alza la voce, batte colpi, fa rumore, e giustamente!

Per tornare al termine infranta, può significare anche donna prismatica, matrioska, molteplice. Quindi la bambina infranta è anche la donna che ha dentro di sé, tutte le possibili donne, una sorta di matrioska, perché ogni donna è un coacervo di cose, di volti, di caratteristiche, di sentimenti, di pulsioni, di possibilità, di aspetti della personalità anche contraddittori, quindi è franta anche in questo senso: può essere obbediente e ribelle nello stesso tempo, silenziosa e rumorosa, assordante, urlante, può essere delicata e forte, anche ruvida, sgarbata, dolce e sgradevole, buona e cattiva, anche feroce, rispettosa e dissacrante insieme. Insomma, una donna è tutto questo insieme. Invece ci vogliono univoche, dentro stereotipi precisi, gabbie, perché così siamo controllabili, addomesticabili, funzionali.

La bambina di Luisa non nasconde questo suo statuto plurimo e contraddittorio, anzi lo dice, lo manifesta, lo urla, lo attesta come elemento di ricchezza, come valore aggiunto.

In molte poesie nel libro di Luisa la bambina si racconta proprio nelle sue incoerenze, imperfezioni, nelle sue mancanze, nelle sue fragilità, anche con zone d’ombra, angosce, paure, abissi.

La bambina di Trimarchi mi ricorda la massaia di Paola Masino, del suo libro nascita e morte di una massaia, che vive chiusa in un baule, trascorre tutta la sua infanzia e fanciullezza in un baule, e che decide di uscire per compiacere alle richieste della madre e di una società, di un sistema che la vuole circoscritta in un ruolo, quella di moglie, madre, angelo del focolare. Massaia, come la chiama Masino, che si compenetrerà tanto in questo ruolo fino a non avere un nome proprio, un nome che la individui, fino a morirne, morte che coincide col ritorno nel baule, cioè ritorno all’utero. Quello che è accaduto tra un inizio e una fine non è stata nemmeno vita, e non ha nulla di edificante né di importante, è stata tutta compresa, identificata nel ruolo di massaia.

Ci sono poesie in cui assume anche tratti demoniaci. Ma per demoniaco si intende quella forza eversiva, la capacità di capovolgere le cose, di aprire faglie, conflitti, di essere rovinose, catastrofiche dove però catastrofe in questo caso, è l’azione dell’aratro che rivolta la terra, la ferisce, la taglia ma nello stesso tempo porta alla luce ciò che sta sotto, il sopra va sotto e viceversa, migliorando così le proprietà fisiche, chimiche, biologiche del terreno e lo predispone alle successive operazioni di concimatura e di semina (e di semina parla non a caso anche Luisa). *Catastrofe deriva dalla parola greca katastrophé in dipendenza del verbo greco katastrépho, e significa letteralmente “capovolgimento”, “rovesciamento”. Lo dice il prefisso greco katà-, che nel suo uso preposizionale più semplice esprime il movimento dall’alto verso il basso.

La bambina di Luisa Trimarchi non ha un nome, né un corpo intero, né una identità precisa, ma esiste in pezzi che possono comporsi unitariamente oppure no. Infatti, il paesaggio che Luisa disegna è desolato, ci sono pezzi ovunque, cocci di vetri e parti di corpo sparsi. Per questo è, resta una eterna bambina che non può completarsi in una adultita’ consapevole, liberamente scelta, voluta e completa (poesia di pag. 81). Anzi potremmo spingerci fino a dire che la bambina di Trimarchi non è nemmeno nata, perché non si nasce alla vita quando tutto quello che ci aspetta è chiusura, coercizione, negazione. E quindi non viene messa al mondo come invece si fa con i figli maschi, destinati, predestinati al mondo. Nel libro, quindi, è molto presente questa idea di non-vita e di morte, Luisa dedica una sezione della raccolta a questo tema (dialoghi post-mortem). Ma spesso la morte è anche vista come una rinascita, una possibilità di ritorno, e le donne hanno notoriamente questa capacità di risorgere, di risollevarsi anche dopo cadute rovinose, di riacquistare le forze, di ritornare a nuova vita anche dopo esperienze devastanti. Le donne in particolare sanno far tesoro anche di queste morti, di queste mutilazioni di vita.

Maria Zambrano parla delle persone come “natali” e non mortali, perché siamo dentro a continue rinascite, non si nasce una sola volta, ma nel corso della nostra vita moriamo a noi stessi continuamente quando facciamo esperienza,viviamo nuove cose, quando veniamo a contatto con diverse e nuove persone. Zambrano parla di dis-nasciste e di rinascite, e quindi torniamo a nascere ogni volta. Questa immagine della morte, della  dis-nascita e della rinascita mi fa avvicinare la bambina alla figura di Antigone: come Antigone, la bambina di Luisa parla da una cavità, da un sottosuolo, un angolo buio e appartato, come Antigone parla dalla tomba in cui è stata sepolta viva.  Cito ancora Zambrano: c’è un suo bellissimo libro, che vi invito a leggere se non l’avete già fatto, la tomba di Antigone, testo filosofico-poetico-teatrale del 1967, una nuova lettura in chiave filosofica del personaggio (personaggia) di Sofocle, ma è soprattutto una riscrittura di Antigone che la rende attualissima. Maria Zambrano riprende la figlia di Edipo là dove Sofocle l'abbandona, e discende con lei agli Inferi, che sono anche gli Inferi dell'anima, dei legami famigliari e sociali. Ed è molto interessante questo parlare da dentro una cavità, un sottosuolo, un angolo buio. Le donne hanno dimestichezza con le discese nei pozzi (carteggio Ginzburg –de Céspedes). Le donne hanno dimestichezza con le immersioni nelle zone più profonde del proprio essere, dei propri sentimenti, per far riemergere, portare alla luce le zone d’ombra, l’inconscio, le tracce interiori apparentemente smarrite. Per dire il non detto o l’indicibile. E poi le donne da sempre parlano dai margini, dagli anfratti, non viste e non ascoltate. Come Antigone, Cassandra, da sempre silenziate, rese invisibili, occultate.

La bambina di questo libro mi è sembrata una moderna Antigone per quel suo interrogarsi incessante, per quella sua capacità di abitare il dolore, di guardarlo in faccia e attraversarlo, farne esperienza e poi portare fuori questa sua esperienza, raccontarla, condividerla.

Anche i testi nella loro struttura rispecchiano questo dialogismo io-tu: ogni poesia ha una prima parte dove è la bambina a parlare in prima persona e poi una seconda parte dove ci sono le parole di questo interlocutore indefinito, quasi sempre tra parentesi, come un contraltare. È come una sorta di contraddittorio, come in un processo, dove c’è un imputato e un giudice, una giuria che giudica e sentenzia. Certo, il messaggio è chiaro: entrambe sono presenze necessarie poiché creatrici dell’altrui identità. Perché è nel confronto con l’altro, nel rispecchiamento dell’altro, che ci vediamo e ci individuiamo.

La bambina infranta ha bisogno dell’altro per riparare il proprio danno, cerca una via di salvezza chiedendo all’altro attenzione e cura, e per di più proprio a colui, a coloro che hanno provocato il danno.

Nel libro Luisa tocca anche il tema della maternità, questo nodo ancora irrisolto, e parla della madre snaturata, non conforme, quella che nella nostra società è vista come un’aberrazione, una mostruosità, perché c’è questa idea che tutte le donne devono essere madri e naturalmente buone madri, affettuose, accoglienti, accudenti, ma la realtà ci dice anche altro.

C’è un altro aspetto interessante, in tutto il suo percorso la bambina è sostenuta dal desiderio, è il collante, il filo che la ricuce, un essere desiderante, dove per desiderio si intende forza, energia, eros che le donne mettono in tutto quello che fanno, dallo scrivere una poesia, allo stare con le amiche, dal cucinare una pietanza all’incontro con il divino.

Ancora una volta mi appello all’etimologia: la parola latina è de-sidus: senza stella, dove però quel “de” non è privativo ma anzi indica la tensione verso qualcosa, significa partire da un bisogno, una mancanza per aspirare, tendere verso la realizzazione di qualcosa (desiderio è tensione, andare verso...)

Il messaggio finale che Luisa ci consegna non è disperante. Innanzitutto, come abbiamo già detto, la bambina è tenace, non si arrende, pur a pezzi, frantumata, infranta, si tiene insieme, si rammenda, c’è un collante fortissimo che la ricompone. Per ogni caduta, ogni silenzio, per ogni stigma, ogni morte c’è una ripartenza, un inizio, una rinascita. Da ogni morte nasce qualcosa di nuovo. Il messaggio finale è anzi di apertura, di speranza per un possibile futuro, per un mondo diverso da quello attuale, dove il femminile possa finalmente essere motore della storia, agire nella storia, e portare a maturazione i semi che sono stati disseminati dalle donne, lasciati a dimora nei solchi del mondo e della storia, del pensiero e della parola, da milioni di donne, che hanno scritto, lottato, teorizzato, agito, in silenzio, o urlando, vivendo e anche morendo.

Alla fine Luisa ci lascia una bellissima visione: la possibilità di un mondo futuro al femminile! Che ci auguriamo possa realizzarsi presto, per il beneficio di tutti.

*Vorrei chiudere con la lettura della poesia di pag. 86

 

M. D.