sabato 18 gennaio 2025

Carla Benedetti. Nota di lettura di Maristella Diotaiuti.

 



Nota di lettura di Maristella Diotaiuti per il volume Il quaderno segreto di Corradina, di Carla Benedetti, auto pubblicazione, 2017, scritta in occasione della presentazione alle Cicale Operose.

 

Corradina è la nonna materna dell’autrice che ha vissuto il periodo della fanciullezza in un collegio di suore a Volterra, un istituto religioso per orfanelle, poiché aveva perso il papà e la mamma non poteva accudirla.

Questo libro è davvero un racconto delizioso, delicato, aggraziato, scorrevole. È un racconto leggero ma non superficiale, i personaggi, pur dentro una forte coralità sono tutti molto ben delineati, ognuno si staglia con la propria personalità, le proprie caratteristiche, la propria individualità. È una lettura solo apparentemente semplice, ma che in realtà offre molti punti di riflessione. Si parla certamente delle vicende di questa fanciulla, della vita in collegio, delle paure, dei sogni, delle curiosità, delle fantasie, delle solidarietà tra queste ragazze che condividono un importante periodo della loro esistenza in un luogo chiuso...

Ma poi il tema si allarga, e tocca anche argomenti sociali, artistici, politici, storici, quali ad esempio, la rivolta degli alabastrai nel 1893, gli anarchici di Volterra, il tema delle c.d. fotografie sociali, molto diffuse a fine ‘800 e inizi ‘900, utili tra l’altro a ricostruire aspetti della società del tempo.

(...)

Quindi in questo mondo chiuso, e che vuole esserlo, apparentemente immobile, in realtà entra il mondo esterno, quello reale, storico, ma anche quello immaginato, fantasticato dalle fanciulle, quello desiderato. Anche il narrato si anima di fatti, di avvenimenti grandi ma anche minuti, piccoli eventi, il tutto filtrato, ingigantito e deformato dalla fantasia delle giovani donne.

(...)

Ma l’elemento che anima tutto il racconto e fa da filo rosso a tutto il narrato è quello che poi dà il titolo al libro: è un elemento segreto, misterioso ma anche magico, quasi fiabesco, una sorta di rito iniziatico alla vita: appunto il “quaderno segreto” che circola tra le ragazze più grandi, quelle che ad un certo punto diventano “signorine”, come si diceva una volta, e che significativamente vanno ad abitare il piano superiore del collegio.

È sorprendente ed estremamente illuminante il fatto che questo elemento iniziatico sia legato alla scrittura. Il linguaggio privilegiato è quello della poesia. La scrittura come strumento di elevazione sociale, di rottura dei generi, di passaporto per la vita anche pubblica, come strumento di conoscenza di sé e del mondo, strumento di autonomia, di libertà.

Quello strumento che per secoli è stato negato alle donne, e che è stato una conquista sofferta e combattuta, perché è nella scrittura che si fa il mondo, la scrittura è il mondo.

E la scrittura a sua volta si lega alla memoria: alla necessità di ricordare, scrivere per non perdere nulla del vissuto, memoria come testimonianza anche storica. e in questo senso il “quaderno di Corradina” si pone come un “documento” prezioso che ci parla del tempo attraverso il tempo, e che non può e non deve andare perduto.

 

Letteratura diaristica: la scrittura diaristica può essere considerata come un particolare genere letterario a cui l’esperienza femminile ha dato un fondamentale contributo, un genere che però è stato considerato dalla cultura patriarcale e maschilista come inferiore, una sorta di sottobosco culturale, letteratura rosa, per intenderci, fatta di sfoghi sentimentali e di abbandoni amorosi, letteratura intima e astorica. Lo stereotipo è quello di pensare che le donne siano capaci di rappresentare solo la complessità dei sentimenti ma non altri aspetti della realtà più importanti e significativi.

Viceversa l’autobiografia, la scrittura diaristica è sì scrittura intima della propria vita che però sceglie di esternarsi al mondo, quando viene, intenzionalmente o casualmente, portata alla luce. Le donne, ma anche gli uomini, scrivendo e raccontando in forma di diario, hanno acquisito una straordinaria coscienza di sé e del rapporto tra esistenza, biografia e storia. proprio perché la scrittura diaristica è a metà strada tra espressione intima di sé e rappresentazione del sociale.

Ma soprattutto il diario è una scrittura dell’attesa: si cerca un punto di svolta, una metamorfosi all’interno della continuità della vita. Si tenta di ingannare il tempo ogni volta che si scrive in una data, all’inizio della pagina.

È soprattutto verso la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 che in Italia questo dialogo con il tempo diventa una pratica artistica, una forma con le sue regole e le sue funzioni. Esempi importanti di scrittura diaristica in Italia ce ne sono tanti: Ungaretti, Pavese, Pasolini, Montale, ma anche Sibilla Aleramo, Rossana Rossandra, Maria Zambrano, e fuori d’Italia Kate Chopin, Doris Lessing, George Sand, Simone De Beauvoir, Marguerite Duras, Christa Wolf, Ingeborg Bachmann, Simone Weil, Hannah Arendt. Alba de Cespedes è l’esempio mirabile di capacità di far parlare personaggi maschili e femminili, riuscendo a rendere perfettamente con la stessa potenza narrativa e profondità la voce della protagonista donna di quello dell’uomo (nel romanzo ‘rimorsi’).

In un certo senso il quaderno segreto di Corradina può essere inscritto in questo filone.

Perché in questo senso la scrittura femminile, in tutte le sue forme, anche in quella più privata di ricordi, di memorie personali, offre un terreno privilegiato per decifrare il bisogno di dire, di scrivere di sé, della propria nuova “nascita” al mondo, dei processi di inclusione ed esclusione sociale cui vanno incontro scelte femminili non omologabili nell’universo maschile.

Tema del ricamo, del filo: alla scrittura in senso stretto si collega anche un altro tema presente nel libro, che è senz’altro un altro tipo di scrittura, quello del ricamo. Un tema a me molto caro perché ho praticato l’arte del ricamo, e perché mi riporta alla memoria la mia infanzia, quando mia zia, ricamatrice e sarta esperta, riuniva sul terrazzino di casa tutte le ragazze del paese che volevano imparare questo mestiere. e anch’io sin da piccola fui iniziata a quest’arte.

Ricordo le risate, le chiacchiere, le confidenze, tra le ragazze, e il rumore ritmato degli aghi che entravano ed uscivano dalle tele tirate, tese sui telai, una specie di respiro, o meglio uno scambio di parole in codice, uno schema di significato misterioso e proibito che mi intrigava e che ancora oggi risento, molto spesso, come un canto, una colonna sonora.

Insegnare il ricamo nei collegi, negli istituti femminili era una pratica molto diffusa, e anche molto importante per le donne, soprattutto le orfane, perché consentiva loro di imparare un mestiere dignitoso e redditizio, che avrebbe permesso a molte donne di vivere del proprio lavoro, e quindi acquisire un’autonomia, un’indipendenza altrimenti impensabile. Soprattutto per quelle ragazze che non avevano una famiglia alle spalle, o che avevano una situazione di indigenza o di disagio sociale che le avrebbe costrette quasi certamente a lavori poco dignitosi.

Nel libro si parla molto del ricamo, e Carla ci ha portato anche un canovaccio, un lavoro di ricamo eseguito proprio da Corradina.

Dicevo del ricamo come una forma di scrittura “altra”. infatti ricamare è come tessere trame. Il verbo tramare deriva dal latino e significa : intrecciare fili, tessere una tela, ma anche comporre, e in senso figurato inventare. Quindi si tesse un ricamo, una tela, un tessuto, ma anche un racconto, un discorso, si intrecciano fili della memoria, si intrecciano storie, reti di relazioni, legami.

L’arte del ricamo, del tessere, è un’attività lenta, paziente, ritmata, ha una sua ritualità e ha dato vita, fin dall’antichità, a moltissimi miti, ad un ricchissimo immaginario metaforico:

– il mito di Arianna: che, con il filo del suo gomitolo, permette a Teseo di uscire dal labirinto, quindi dalla sua condizione bestiale, dalla paura, dall’ignoranza.

– troviamo Penelope, con il suo inesausto tessere e disfare le sua tela, nel tentativo di padroneggiare il proprio destino, di restare fedele a se stessa prima ancora che al suo compagno Ulisse, ma anche di bloccare, intrappolare il tempo tra la trama e l’ordito della sua scrittura, di eternarsi attraverso la parola.

– e ancora il Mito di Aracne: la fanciulla originaria della Lidia, che eccelleva tanto nell’arte della tessitura da destare la collera di Athena che la tramutò in ragno.

– e non dimentichiamo le Parche che nella mitologia greca, dominavano il filo del destino a cui gli umani sono legati.

 

Storia del ricamo: il ricamo poi ha una storia antichissima, è un’arte apparsa molto probabilmente in oriente, e poi arrivata in occidente e diffusasi molto rapidamente.

Infatti sono state rinvenute in Egitto e in Attica strisce decorative risalenti ai primi secoli dopo Cristo: e si pensa fossero frutto di una scuola regolare e formalmente codificata data la loro precisione ed accuratezza. e sono già presenti molti punti attuali quali il punto fila, erba, il punto croce semplice e il gobelin. In Italia, e precisamente in Sicilia, quest’arte inizia intorno all’anno mille, con la presenza dei saraceni, degli arabi che vi introducono laboratori di tessitura e di ricamo dai quali escono manti cerimoniali di grande pregio, infatti la parola ricamo deriva dal lemma arabo raqm che significa segno, disegno.

La chiesa assegna al ricamo il compito importante di edificazione religiosa: e infatti, soprattutto nel medioevo, le figure religiose erano quasi inesauribili: figure del vecchio e nuovo testamento, la crescente schiera di santi con un altrettanto nutrito numero di avvenimenti interessanti e meravigliosi.

E poi dal medioevo in poi, almeno fino al XVI sec., i ricami sono spesso portatori di tradizioni popolari e di poesia, ma anche di leggende profondamente radicate nell’animo dei popoli.

Nel corso dei secoli cresce la maestria dei ricamatori e dei tessitori, tanto che i loro manufatti sono degni di papi e imperatori, ad es. il mantello da incoronazione del sacro romano impero, ricamato con oro e perle, fu ordinato nel 1133 e portato a termine nel 1134, ora è conservato in un museo di Vienna. Furono poi le maestranze arabo-sicule a portare nelle altre corti della penisola italiana la tecnica e i decori del ricamo.

e poi nel corso dei secoli in Europa nasceranno e si diffonderanno molte scuole di ricamo, alcune davvero prestigiose.

In Italia il laboratorio più importante diviene quello di Firenze, tanto che l’arte del ricamo è conosciuta come “opus florentinum”.

Nel ‘400 e ‘500 si realizza la collaborazione tra le “arti maggiori” e le “arti minori”, e i grandi maestri della pittura, come il botticelli e altri, preparano i cartoni per i ricamatori.

Sembrerà strano ma l’arte del ricamo nacque come prerogativa maschile, il ricamatore dava il suo nome alla propria bottega, anche se esistono documenti che attestano anche la presenza femminile e non solo monacale. In particolare era il passatempo preferito delle nobildame, ed è per questo che nel 1500 vengono pubblicati i primi libri di modelli di ricami. Una delle pubblicazioni più antiche sembra essere “il burato”, un libro dei ricami di Alex Paganino, probabilmente del 1527.

Però la moda dei ricami diventerà sempre di più una questione femminile, le “nobili e virtuose donne” europee troveranno sempre di più in quest’arte un modo materiale e spirituale di evadere dalla quotidianità familiare.

Si diffondono ovunque gli istituti di religiose che accolgono giovinette abbandonate per insegnare loro un mestiere di ricamatrice o merlettaia, e per aiutarle poi ad inserirsi degnamente in società.

Nel ‘700 ci sarà un forte aumento di ricami, soprattutto per l’abbigliamento maschile. Ma è nell’8oo che si avrà una nuova rinascenza dell’arte del ricamo.

Gli imparaticci: anche nel collegio di Corradina le ragazze erano iniziate a quest’arte, e si fa riferimento a un particolare tipo di ricamo che è quello dell’ imparaticcio: che inizialmente, in mancanza di libri, consisteva nell’abitudine di appuntare le figure o i punti su un telo come esercizio, ma poi, dagli inizi del 1500, questi lavori acquisteranno una propria identità, una propria connotazione con un nome preciso. Nei paesi anglosassoni si chiamano samplers, dal latino exemplum, cioè un modello da imitare. In Francia prendono il nome di marquoirs, che deriva da “point de marque”, altro nome del punto croce, perché destinato a “marcare” la biancheria.

In Italia si chiamano “imparaticci”, cioè esercizi per le fanciulle.

Insomma l’imparaticcio o semplers èusato come una sorta di quaderno di appunti, nel quale registrare motivi decorativi e punti di lavorazione da consultare quando ce n’era bisogno. Ha lo scopo pratico di campionario, e con questo nome compare nel libro, così lo chiama Corradina.

Dal ‘6oo in poi , quando cominciano a diffondersi libri di ricamo, gli imparaticci assumono la veste di dimostrazione di bravura. E tale funzione ha l’imparaticcio di cui parla Corradina.

Cresce l’abilità tecnica e si amplia la vasta gamma di punti, fino però a prediligere il solo punto croce dall’800 in poi. Gli alfabeti appaiono per la prima volta nel 1643, generalmente venivano scritte tutte le lettere, eseguite in diverse dimensioni, maiuscole, minuscole, semplici o contornate col punto scritto, o in scrittura gotica.

Dal 1700 in poi lo scopo pratico delle origini è ormai dimenticato, l’imparaticcio diventa sempre più un oggetto decorativo, con uno schema generale di motivi ben bilanciati e disposti attorno ad un’asse centrale. (così è quello che deve eseguire Corradina)

Si arricchiscono di motivi architettonici: si ricamano grandi case signorili, mulini a vento, templi classici, ma anche figure umane quali pastorelli, cani, cervi, e una grande varietà di animali.

L’imparaticcio assume anche una funzione morale ed educativa: così appaiono trascritte poesie o preghiere o brani della Bibbia.

L’imparaticcio finisce così con l’assumere un duplice scopo: esercitare la scrittura e insegnare alle giovani i precetti morali. Attraverso un metodo di lavoro si diffondeva una capillare e costante educazione alle virtù religiose e ad una migliore alfabetizzazione.

Oggi l’imparaticcio è diventato oggetto da collezione. Il suo interesse sta nella sua testimonianza storica, ci trasmette sicuramente sensazioni d’altri tempi, e preziose informazioni dei pensieri, della vita delle fanciulle nostre antenate.

Oggi il ricamo e il cucito sono diventate tecniche espressive ricorrenti nell’arte, una pratica artistica inaspettata che si sostituisce o si affianca al pennello, in una moderna ricerca di supporti e materiali ‘alternativi’. E’ una scelta linguistica, un mezzo espressivo che assume valenza politica: perché capovolge i luoghi comuni, pone l’attenzione su ciò che abitualmente è ritenuto marginale, sovverte i ritmi della comunicazione cui la società moderna ci ha abituati, riannoda i fili di identità spezzate.

Se vi è possibile guardatevi i lavori di Alighiero Boetti, di Ketty Tagliatti, di Arianna Fantin, e soprattutto di Maria Lai, sarda scomparsa nel 2013, che affida alla tessitura, ai fili valori importanti profondi, come il senso della famiglia, il senso dell’appartenenza territoriale e alle comunità sarde.

In Maria Lai la stoffa, spesso cucita in forma di libro, genera scritture indecifrabili e materiche che uniscono memoria e fantasia.

Il filo stesso è tempo, è memoria collettiva femminile, l’atto di cucire diviene ricerca e conoscenza di sé, delle proprie origini e della propria cultura, cordone ombelicale che è legame inscindibile.

Vedete quanto un piccolo libro come quello scritto da Carla può farci riflettere, quanto può portarci lontano, e riavvicinare nello stesso tempo.

Quindi ringrazio davvero Carla per averlo scritto, ma prima di tutto Corradina per aver custodito così gelosamente il suo quaderno e aver permesso noi di conoscere i suoi segreti.

 

M. D.