Nota di lettura di Maristella Diotaiuti
per il volume Il quaderno segreto di Corradina, di Carla Benedetti, auto pubblicazione, 2017,
scritta in occasione della presentazione alle Cicale Operose.
Corradina è la nonna materna dell’autrice
che ha vissuto il periodo della fanciullezza in un collegio di suore a
Volterra, un istituto religioso per orfanelle, poiché aveva perso il papà e la
mamma non poteva accudirla.
Questo libro è davvero un racconto
delizioso, delicato, aggraziato, scorrevole. È un racconto leggero ma non
superficiale, i personaggi, pur dentro una forte coralità sono tutti molto ben
delineati, ognuno si staglia con la propria personalità, le proprie
caratteristiche, la propria individualità. È una lettura solo apparentemente
semplice, ma che in realtà offre molti punti di riflessione. Si parla
certamente delle vicende di questa fanciulla, della vita in collegio, delle
paure, dei sogni, delle curiosità, delle fantasie, delle solidarietà tra queste
ragazze che condividono un importante periodo della loro esistenza in un luogo
chiuso...
Ma poi il tema si allarga, e tocca anche
argomenti sociali, artistici, politici, storici, quali ad esempio, la rivolta
degli alabastrai nel 1893, gli anarchici di Volterra, il tema delle c.d.
fotografie sociali, molto diffuse a fine ‘800 e inizi ‘900, utili tra l’altro a
ricostruire aspetti della società del tempo.
(...)
Quindi in questo mondo chiuso, e che
vuole esserlo, apparentemente immobile, in realtà entra il mondo esterno,
quello reale, storico, ma anche quello immaginato, fantasticato dalle
fanciulle, quello desiderato. Anche il narrato si anima di fatti, di
avvenimenti grandi ma anche minuti, piccoli eventi, il tutto filtrato,
ingigantito e deformato dalla fantasia delle giovani donne.
(...)
Ma l’elemento che anima tutto il
racconto e fa da filo rosso a tutto il narrato è quello che poi dà il titolo al
libro: è un elemento segreto, misterioso ma anche magico, quasi fiabesco, una
sorta di rito iniziatico alla vita: appunto il “quaderno segreto” che circola
tra le ragazze più grandi, quelle che ad un certo punto diventano “signorine”,
come si diceva una volta, e che significativamente vanno ad abitare il piano
superiore del collegio.
È sorprendente ed estremamente
illuminante il fatto che questo elemento iniziatico sia legato alla scrittura.
Il linguaggio privilegiato è quello della poesia. La scrittura come strumento
di elevazione sociale, di rottura dei generi, di passaporto per la vita anche
pubblica, come strumento di conoscenza di sé e del mondo, strumento di
autonomia, di libertà.
Quello strumento che per secoli è stato
negato alle donne, e che è stato una conquista sofferta e combattuta, perché è
nella scrittura che si fa il mondo, la scrittura è il mondo.
E la scrittura a sua volta si lega alla
memoria: alla necessità di ricordare, scrivere per non perdere nulla del
vissuto, memoria come testimonianza anche storica. e in questo senso il
“quaderno di Corradina” si pone come un “documento” prezioso che ci parla del
tempo attraverso il tempo, e che non può e non deve andare perduto.
Letteratura diaristica: la scrittura
diaristica può essere considerata come un particolare genere letterario a cui
l’esperienza femminile ha dato un fondamentale contributo, un genere che però è
stato considerato dalla cultura patriarcale e maschilista come inferiore, una
sorta di sottobosco culturale, letteratura rosa, per intenderci, fatta di
sfoghi sentimentali e di abbandoni amorosi, letteratura intima e astorica. Lo
stereotipo è quello di pensare che le donne siano capaci di rappresentare solo
la complessità dei sentimenti ma non altri aspetti della realtà più importanti
e significativi.
Viceversa l’autobiografia, la scrittura
diaristica è sì scrittura intima della propria vita che però sceglie di
esternarsi al mondo, quando viene, intenzionalmente o casualmente, portata alla
luce. Le donne, ma anche gli uomini, scrivendo e raccontando in forma di diario,
hanno acquisito una straordinaria coscienza di sé e del rapporto tra esistenza,
biografia e storia. proprio perché la scrittura diaristica è a metà strada tra
espressione intima di sé e rappresentazione del sociale.
Ma soprattutto il diario è una scrittura
dell’attesa: si cerca un punto di svolta, una metamorfosi all’interno della
continuità della vita. Si tenta di ingannare il tempo ogni volta che si scrive
in una data, all’inizio della pagina.
È soprattutto verso la fine dell’800 e
l’inizio del ‘900 che in Italia questo dialogo con il tempo diventa una pratica
artistica, una forma con le sue regole e le sue funzioni. Esempi importanti di
scrittura diaristica in Italia ce ne sono tanti: Ungaretti, Pavese, Pasolini,
Montale, ma anche Sibilla Aleramo, Rossana Rossandra, Maria Zambrano, e fuori
d’Italia Kate Chopin, Doris Lessing, George Sand, Simone De Beauvoir,
Marguerite Duras, Christa Wolf, Ingeborg Bachmann, Simone Weil, Hannah Arendt.
Alba de Cespedes è l’esempio mirabile di capacità di far parlare personaggi
maschili e femminili, riuscendo a rendere perfettamente con la stessa potenza
narrativa e profondità la voce della protagonista donna di quello dell’uomo
(nel romanzo ‘rimorsi’).
In un certo senso il quaderno segreto di Corradina può essere inscritto in questo
filone.
Perché in questo senso la scrittura
femminile, in tutte le sue forme, anche in quella più privata di ricordi, di
memorie personali, offre un terreno privilegiato per decifrare il bisogno di
dire, di scrivere di sé, della propria nuova “nascita” al mondo, dei processi
di inclusione ed esclusione sociale cui vanno incontro scelte femminili non
omologabili nell’universo maschile.
Tema del ricamo, del filo: alla
scrittura in senso stretto si collega anche un altro tema presente nel libro,
che è senz’altro un altro tipo di scrittura, quello del ricamo. Un tema a me
molto caro perché ho praticato l’arte del ricamo, e perché mi riporta alla
memoria la mia infanzia, quando mia zia, ricamatrice e sarta esperta, riuniva
sul terrazzino di casa tutte le ragazze del paese che volevano imparare questo
mestiere. e anch’io sin da piccola fui iniziata a quest’arte.
Ricordo le risate, le chiacchiere, le
confidenze, tra le ragazze, e il rumore ritmato degli aghi che entravano ed
uscivano dalle tele tirate, tese sui telai, una specie di respiro, o meglio uno
scambio di parole in codice, uno schema di significato misterioso e proibito
che mi intrigava e che ancora oggi risento, molto spesso, come un canto, una
colonna sonora.
Insegnare il ricamo nei collegi, negli
istituti femminili era una pratica molto diffusa, e anche molto importante per
le donne, soprattutto le orfane, perché consentiva loro di imparare un mestiere
dignitoso e redditizio, che avrebbe permesso a molte donne di vivere del
proprio lavoro, e quindi acquisire un’autonomia, un’indipendenza altrimenti
impensabile. Soprattutto per quelle ragazze che non avevano una famiglia alle
spalle, o che avevano una situazione di indigenza o di disagio sociale che le
avrebbe costrette quasi certamente a lavori poco dignitosi.
Nel libro si parla molto del ricamo, e
Carla ci ha portato anche un canovaccio, un lavoro di ricamo eseguito proprio
da Corradina.
Dicevo del ricamo come una forma di
scrittura “altra”. infatti ricamare è come tessere trame. Il verbo tramare
deriva dal latino e significa : intrecciare fili, tessere una tela, ma anche
comporre, e in senso figurato inventare. Quindi si tesse un ricamo, una tela,
un tessuto, ma anche un racconto, un discorso, si intrecciano fili della
memoria, si intrecciano storie, reti di relazioni, legami.
L’arte del ricamo, del tessere, è
un’attività lenta, paziente, ritmata, ha una sua ritualità e ha dato vita, fin
dall’antichità, a moltissimi miti, ad un ricchissimo immaginario metaforico:
– il mito di Arianna: che, con il filo
del suo gomitolo, permette a Teseo di uscire dal labirinto, quindi dalla sua
condizione bestiale, dalla paura, dall’ignoranza.
– troviamo Penelope, con il suo
inesausto tessere e disfare le sua tela, nel tentativo di padroneggiare il
proprio destino, di restare fedele a se stessa prima ancora che al suo compagno
Ulisse, ma anche di bloccare, intrappolare il tempo tra la trama e l’ordito
della sua scrittura, di eternarsi attraverso la parola.
– e ancora il Mito di Aracne: la
fanciulla originaria della Lidia, che eccelleva tanto nell’arte della tessitura
da destare la collera di Athena che la tramutò in ragno.
– e non dimentichiamo le Parche che
nella mitologia greca, dominavano il filo del destino a cui gli umani sono
legati.
Storia del ricamo: il ricamo poi ha una
storia antichissima, è un’arte apparsa molto probabilmente in oriente, e poi
arrivata in occidente e diffusasi molto rapidamente.
Infatti sono state rinvenute in Egitto e
in Attica strisce decorative risalenti ai primi secoli dopo Cristo: e si pensa
fossero frutto di una scuola regolare e formalmente codificata data la loro
precisione ed accuratezza. e sono già presenti molti punti attuali quali il
punto fila, erba, il punto croce semplice e il gobelin. In Italia, e
precisamente in Sicilia, quest’arte inizia intorno all’anno mille, con la
presenza dei saraceni, degli arabi che vi introducono laboratori di tessitura e
di ricamo dai quali escono manti cerimoniali di grande pregio, infatti la
parola ricamo deriva dal lemma arabo raqm che significa segno, disegno.
La chiesa assegna al ricamo il compito
importante di edificazione religiosa: e infatti, soprattutto nel medioevo, le
figure religiose erano quasi inesauribili: figure del vecchio e nuovo
testamento, la crescente schiera di santi con un altrettanto nutrito numero di
avvenimenti interessanti e meravigliosi.
E poi dal medioevo in poi, almeno fino
al XVI sec., i ricami sono spesso portatori di tradizioni popolari e di poesia,
ma anche di leggende profondamente radicate nell’animo dei popoli.
Nel corso dei secoli cresce la maestria
dei ricamatori e dei tessitori, tanto che i loro manufatti sono degni di papi e
imperatori, ad es. il mantello da incoronazione del sacro romano impero,
ricamato con oro e perle, fu ordinato nel 1133 e portato a termine nel 1134,
ora è conservato in un museo di Vienna. Furono poi le maestranze arabo-sicule a
portare nelle altre corti della penisola italiana la tecnica e i decori del
ricamo.
e poi nel corso dei secoli in Europa
nasceranno e si diffonderanno molte scuole di ricamo, alcune davvero
prestigiose.
In Italia il laboratorio più importante
diviene quello di Firenze, tanto che l’arte del ricamo è conosciuta come “opus
florentinum”.
Nel ‘400 e ‘500 si realizza la
collaborazione tra le “arti maggiori” e le “arti minori”, e i grandi maestri
della pittura, come il botticelli e altri, preparano i cartoni per i
ricamatori.
Sembrerà strano ma l’arte del ricamo
nacque come prerogativa maschile, il ricamatore dava il suo nome alla propria
bottega, anche se esistono documenti che attestano anche la presenza femminile
e non solo monacale. In particolare era il passatempo preferito delle
nobildame, ed è per questo che nel 1500 vengono pubblicati i primi libri di
modelli di ricami. Una delle pubblicazioni più antiche sembra essere “il
burato”, un libro dei ricami di Alex Paganino, probabilmente del 1527.
Però la moda dei ricami diventerà sempre
di più una questione femminile, le “nobili e virtuose donne” europee troveranno
sempre di più in quest’arte un modo materiale e spirituale di evadere dalla
quotidianità familiare.
Si diffondono ovunque gli istituti di
religiose che accolgono giovinette abbandonate per insegnare loro un mestiere
di ricamatrice o merlettaia, e per aiutarle poi ad inserirsi degnamente in
società.
Nel ‘700 ci sarà un forte aumento di
ricami, soprattutto per l’abbigliamento maschile. Ma è nell’8oo che si avrà una
nuova rinascenza dell’arte del ricamo.
Gli imparaticci: anche nel collegio di
Corradina le ragazze erano iniziate a quest’arte, e si fa riferimento a un
particolare tipo di ricamo che è quello dell’ imparaticcio: che inizialmente,
in mancanza di libri, consisteva nell’abitudine di appuntare le figure o i punti
su un telo come esercizio, ma poi, dagli inizi del 1500, questi lavori
acquisteranno una propria identità, una propria connotazione con un nome
preciso. Nei paesi anglosassoni si chiamano samplers, dal latino exemplum, cioè
un modello da imitare. In Francia prendono il nome di marquoirs, che deriva da
“point de marque”, altro nome del punto croce, perché destinato a “marcare” la
biancheria.
In Italia si chiamano “imparaticci”,
cioè esercizi per le fanciulle.
Insomma l’imparaticcio o semplers èusato
come una sorta di quaderno di appunti, nel quale registrare motivi decorativi e
punti di lavorazione da consultare quando ce n’era bisogno. Ha lo scopo pratico
di campionario, e con questo nome compare nel libro, così lo chiama Corradina.
Dal ‘6oo in poi , quando cominciano a
diffondersi libri di ricamo, gli imparaticci assumono la veste di dimostrazione
di bravura. E tale funzione ha l’imparaticcio di cui parla Corradina.
Cresce l’abilità tecnica e si amplia la
vasta gamma di punti, fino però a prediligere il solo punto croce dall’800 in
poi. Gli alfabeti appaiono per la prima volta nel 1643, generalmente venivano
scritte tutte le lettere, eseguite in diverse dimensioni, maiuscole, minuscole,
semplici o contornate col punto scritto, o in scrittura gotica.
Dal 1700 in poi lo scopo pratico delle
origini è ormai dimenticato, l’imparaticcio diventa sempre più un oggetto
decorativo, con uno schema generale di motivi ben bilanciati e disposti attorno
ad un’asse centrale. (così è quello che deve eseguire Corradina)
Si arricchiscono di motivi
architettonici: si ricamano grandi case signorili, mulini a vento, templi
classici, ma anche figure umane quali pastorelli, cani, cervi, e una grande
varietà di animali.
L’imparaticcio assume anche una funzione
morale ed educativa: così appaiono trascritte poesie o preghiere o brani della
Bibbia.
L’imparaticcio finisce così con
l’assumere un duplice scopo: esercitare la scrittura e insegnare alle giovani i
precetti morali. Attraverso un metodo di lavoro si diffondeva una capillare e
costante educazione alle virtù religiose e ad una migliore alfabetizzazione.
Oggi l’imparaticcio è diventato oggetto
da collezione. Il suo interesse sta nella sua testimonianza storica, ci
trasmette sicuramente sensazioni d’altri tempi, e preziose informazioni dei
pensieri, della vita delle fanciulle nostre antenate.
Oggi il ricamo e il cucito sono
diventate tecniche espressive ricorrenti nell’arte, una pratica artistica
inaspettata che si sostituisce o si affianca al pennello, in una moderna
ricerca di supporti e materiali ‘alternativi’. E’ una scelta linguistica, un
mezzo espressivo che assume valenza politica: perché capovolge i luoghi comuni,
pone l’attenzione su ciò che abitualmente è ritenuto marginale, sovverte i
ritmi della comunicazione cui la società moderna ci ha abituati, riannoda i
fili di identità spezzate.
Se vi è possibile guardatevi i lavori di
Alighiero Boetti, di Ketty Tagliatti, di Arianna Fantin, e soprattutto di Maria
Lai, sarda scomparsa nel 2013, che affida alla tessitura, ai fili valori
importanti profondi, come il senso della famiglia, il senso dell’appartenenza
territoriale e alle comunità sarde.
In Maria Lai la stoffa, spesso cucita in
forma di libro, genera scritture indecifrabili e materiche che uniscono memoria
e fantasia.
Il filo stesso è tempo, è memoria
collettiva femminile, l’atto di cucire diviene ricerca e conoscenza di sé,
delle proprie origini e della propria cultura, cordone ombelicale che è legame
inscindibile.
Vedete quanto un piccolo libro come
quello scritto da Carla può farci riflettere, quanto può portarci lontano, e
riavvicinare nello stesso tempo.
Quindi ringrazio davvero Carla per
averlo scritto, ma prima di tutto Corradina per aver custodito così gelosamente
il suo quaderno e aver permesso noi di conoscere i suoi segreti.
M. D.