lunedì 20 gennaio 2025

Salvatore Basile, Marco Proietti Mancini. Nota di lettura di Maristella Diotaiuti.

 



Nota di lettura (sintesi) di Maristella Diotaiuti per i volumi Cinquecento catenelle d’oro, di Salvatore Basile, Garzanti Editore, 2022, e Parlando dei miei giorni. Vita di Giulia, di Marco Proietti Mancini, Augh! Edizioni, 2022, utilizzata in occasione della presentazione dei due Autori alle Cicale Operose.

Sono due libri straordinari, per la potenza delle storie raccontate, per le figure di donne protagoniste dei racconti, due donne indomite e orgogliose, che non si lasciano piegare dalle avversità, forti, coraggiose, devianti, sfidanti, libere. E sono libri belli, cosa non secondaria, anche per la scrittura stessa, delicata, poetica, lirica, quella di Basile, forte, dirompente, realistica quella di Mancini, ma entrambe coinvolgenti ed emozionanti.  

Questi due libri parlano di donne, sono sostanzialmente una biografia, o meglio un’autobiografia, perché sono scritti in prima persona, perché sono le donne stesse che si raccontano, ci raccontano la loro vita, la loro personale esperienza di individui problematici alla ricerca di una loro collocazione nel mondo, di una loro autenticità, sono impegnate nella costruzione di un loro universo valoriale al quale far coincidere le loro esistenze. Infatti, non a caso, entrambi i libri si aprono con un prologo in cui sono proprio le due protagoniste ad annunciarsi, ad accamparsi sulla pagina, si presentano e parlano direttamente al lettore, annunciano l’inizio della loro storia, il racconto della loro storia. Ed entrambi i libri si chiudono con un epilogo, una sorta di resoconto finale, come a chiudere un cerchio, come a voler dare un senso al proprio vissuto e darlo attraverso il racconto, la scrittura, l’esperienza della scrittura.  

Nello stesso tempo, questi due libri diventano una cronaca sociale, una denuncia, un atto di accusa nei confronti di tutto ciò che è inautentico, compresi i rapporti interpersonali, una denuncia di un tipo di società con certe dinamiche, certe strutture di potere, di certe istituzioni come la famiglia, la comunità di un paese, ma si tratta in ogni caso di un particolare tipo di autobiografia, un’autobiografia per interposta persona, se così si può dire, soprattutto nel caso del libro di Marco, proprio per le circostanze da cui si è generato il libro. Ciò implica una assunzione di identità, oltre che di responsabilità, si tratta di indossare i panni di un altro, in questo caso di una donna, pensare come pensa lei, sentire come sente lei, provare le sue emozioni, le sue paure, percepire il corpo come può percepirlo una donna.

[…]

Per entrambe le donne protagoniste dei due romanzi, Maria e Giulia, ci sono due strade da poter percorrere, due alternative: una via legata alla memoria, in continuità con il passato, con le coordinate della loro storia, con la famiglia e l'ambiente d'origine, rimanendo nei pressi dell'origine (la casa dei genitori, il paese/la città/la natura dove sono nate e hanno vissuto); ma c’è un’altra possibilità, di immaginare il futuro nella discontinuità dell’origine, seguendo un percorso esistenziale tutto personale che permette di individuarsi altrove, in un altro ambiente, in un altro mondo e con altre persone al di là delle origini. Questa seconda via è faticosa, comporta l'elaborazione del lutto per la separazione dall'origine, elaborazione che però non significa cancellazione del passato, ma interiorizzazione di ciò che siamo stati nell'origine.

[…]

Cinquecento catenelle d’oro, di Salvatore Basile.

Il racconto di Salvatore Basile è ambientato nel salernitano, in un piccolo paese arretrato, ignorante, superstizioso, dominato ancora da strutture e logiche feudali (siamo alla fine dell’800). Maria ha subito la prepotenza, l’arroganza di un potere rozzo e senza scrupoli che l’ha costretta a scelte che non avrebbe mai voluto fare. Maria, nel racconto, è vista dai paesani come una stravagante, una visionaria, una pazza da interdire, da estromettere, da ostracizzare. Le vicende di Maria avranno poi un certo esito che ovviamente non svelo.         

Nel narrato di cinquecento catenelle d’oro l’immaginazione, la fantasia è il motore del romanzo, quello che fa procedere la narrazione, è l’innesco della trama, intorno alla immaginazione ruoteranno da un certo momento in poi le vicende dei personaggi con l’irruzione nella vita di Maria delle fotografie che si muovono, del cinematografo (scelta dell’autore non causale, vista la professione di regista di Salvatore Basile). L’immaginazione qui assolve a una funzione di liberazione, è rivoluzionaria (celebre l’espressione di Marcuse: L’immaginazione al potere”, che divenne slogan dei movimenti studenteschi del ’68).

Ma ce ne parlerà meglio Salvatore Basile.

 


Parlando dei miei giorni. Vita di Giulia, di Marco Mancini

Più che l’immaginazione, il desiderio per Giulia è quella forza sotterranea che le permette di ripensarsi continuamente, di ricostruirsi ogni volta, e soprattutto di allontanarsi in maniera forte da tutto quello che vuole ingabbiarla, di vivere molte vite. È il dis-nascere di cui parla Maria Zambrano, È per rinascere che siamo nati, dis-nascere per rimettersi al mondo, continuamente, scriveva. Lo stare al mondo, secondo Zambrano, va continuamente riguadagnato e riconfigurato. Non si nasce una sola volta per tutte, ma si rinasce continuamente a contatto con gli eventi della vita, della storia che capitano. È un incessante mettersi ed essere messi al mondo quello che si sperimenta. La condizione dell’uomo è quella di un uomo mai nato del tutto che ha bisogno di portare a termine questo evento, vivendo ulteriori nascite. Ecco, Giulia è proprio dentro questo flusso. Giulia è un essere de-siderante, nel senso etimologico di de-siderare = cioè senza stelle, entrare in zone buie, mettersi a rischio, per tentare anche percorsi originali, inediti, fuori norma, fuori centro, sollecitati dalla curiosità, dalla passione, dalla conoscenza. L’eros è per Giulia l’energia primaria da cui trae origine ogni sua azione, è momento di libertà e di creatività. Il desiderio, l’eros che Giulia utilizza è desiderio di espansione di se stessa prima di tutto, dentro di sé, ma anche verso gli altri. È una energia che Giulia immette in qualsiasi cosa faccia.

Questo tipo di lettura dell’eros di Giulia, impedisce di pensare banalmente al lavoro di prostituta (che Giulia ad un certo punto decide di fare) come esclusivamente un fatto di sesso, di vendita, di mercificazione del proprio corpo, gli dà altri sensi (che non vi dico, per non togliervi il gusto della lettura) . Giulia mi ha fatto pensare a un personaggio femminile del Decameron di Boccaccio, Alatiel (la protagonista della settima novella della seconda giornata del Decameron) che attraversa un nutrito numero di avventure sessuali, per ritrovare alla fine una verginità perduta, e compiere il proprio destino stabilito all’inizio di andare in sposa al re del Garbo e lo fa come pulzella, come fanciulla illibata. Ed è interessante il fatto che in tutta la vicenda Alatiel è priva del linguaggio e dunque non può opporsi ( è priva della possibilità di arginare la sua riduzione a merce da parte degli ammiratori), ostenta una sorta di sonnolenta passività nelle vicende di sesso e sangue che la vedono coinvolta. Sul silenzio di Alatiel si sono scritti fiumi di inchiostro. Molti l’hanno letto come una forma di passività, una acquiescenza ai voleri del maschio, una obbedienza al suo ruolo di femmina. Ma trovo interessante la riflessione di Marcuse, secondo il quale era lecito vedere in Alatiel uno schermo per le altrui fantasie, per cui il protagonista della storia è piuttosto il desiderio maschile che mette in scena se stesso e si crea una larva femminile spersonalizzata e senza voce, compiacente, pronta ad adeguarsi. Potremmo addirittura domandarci se c'è davvero una donna in questo testo di Boccaccio e per Giulia chiederci se c’è davvero una prostituta.

La prostituzione di Giulia è molto simile a quella di Alatiel: non riguarda Giulia, ma i suoi clienti, e quindi costringe noi osservatori giudicanti, noi lettori magari pruriginosi a un cambiamento di sguardo, di prospettiva, di analisi. Ed anche questo ribaltamento e’ molto interessante. Giulia vive la sua prostituzione come una esperienza come un’altra, un ulteriore tassello della sua crescita progressiva, nell’acquisizione della propria autentica identità, e lo fa attraverso il suo corpo (che è quello che realmente è suo, quello che realmente possiede), che però non è la stessa esperienza dei suoi clienti, che vivono quel momento di sesso concluso in se stesso, non porta ad alcuna crescita, come un momento di consumo che finisce quando finisce. Non è così per Giulia.

Non a caso Alatiel ritrova alla fine la capacità della parola, e nel discorso che fa al padre dimostra di aver fatto esperienza e si inventa una storia diversa da quella reale, ma perché per lei è andata proprio così: cioè racconta di aver trascorso quattro anni in una vita sana e incontaminata (in un convento). Ed è lo stesso atteggiamento, in una chiave diversa, che Giulia ha nei confronti di un personaggio in particolare, che non vi dico per non anticiparvi nulla.

Una cosa però la posso dire, e cioè che Marco è stato bravissimo a trattare questo argomento spinoso, lo ha fatto con rispetto e delicatezza, senza indulgere in particolari pur restituendo tutta la durezza dell’esperienza.

 

Matrilinearità, rispecchiamento.

Nelle storie di Maria e di Giulia sembrerebbe che la genealogia di donne, la trasmissione dei saperi, venga interrotta. Ma è una interruzione solo apparente, perché viene recuperata e ricostruita sia da Maria che da Giulia, e anche dalle rispettive madri, in particolare dalla madre di Maria.

Nel libro di Salvatore Basile è paradigmatica la scena del colloquio madre-figlia dove sono evidentissime le distanze tra le due. Al confronto drammatico tra la madre che si pone come la vestale dell’ordine patriarcale e dell’ordine sociale, del potere tutto maschile, del potere baronale, la figlia Maria contrappone una consapevolezza e una dignità, una libertà veramente straordinarie, antitetica a questa.

Anche nel libro di Marco Mancini c’è la scena in cui Giulia parte con l’auto e la madre resta ferma sulla strada, annichilita, completamente incapace di gestirsi e di gestire gli eventi, e poi la scena, verso la fine, antitetica, del recupero, in cui ancora con un’auto Giulia fa il percorso inverso verso un materno che a sua volta nel frattempo è cambiato, si è evoluto.

In entrambi i casi avviene qualcosa. Innanzitutto un ribaltamento del rispecchiamento: sono le madri a rispecchiarsi nelle figlie, a trovare esempio nelle figlie, e a mettere in atto tutta una serie di fatti, interiori ed esteriori, che le porterà a una maggiore consapevolezza di sé, ad una crescita vera e propria, a una rinascita. E per le figlie, Maria e Giulia, avviene un recupero importante con la madre, reale o simbolica che sia.

M. D.