venerdì 17 gennaio 2025

Adua Biagioli Spadi. Nota di lettura di Maristella Diotaiuti.

 


Nota di lettura di Maristella Diotaiuti per il volume L’alba dei papaveri, di Adua Biagioli Spadi, La Vita Felice Edizioni, 2015, scritta in occasione della presentazione alle Cicale Operose.

Dal titolo si comprende la poetica che sta alla base della scrittura di Adua, della sua visione del mondo. Adua ha accostato due parole apparentemente distanti, che appartengono a due realtà diverse, diverse anche a livello semantico, appartengono a due sfere sensoriali quasi inconciliabili, creando così una sorta di sinestesia che ci dice molto di Adua e del suo fare poesia:

-          l’alba: appartiene alla dimensione temporale, e rimanda all’elemento dell’aria, ed è fortemente simbolico, è cioè simbolo di speranza quotidiana di rinascita, di continua possibilità di rinnovamento, e coloristicamente ci parla di colori tenui, sfumati, sereni.

-         e poi il bianco rimanda ai culti egizi per la dea Iside, alla luna, alle fasi lunari che tanto ruolo giocano nella nostra vita anche biologica.

-         i papaveri: sono fiori di campo, spontanei, bellissimi, ma umili che però si stagliano alti su tutta la vegetazione circostante, quasi una sfida, e il loro colore solitamente è rosso acceso, tanto da farli somigliare a dei cuori, quindi ci rimanda alla sfera dei sentimenti, alla passione, ma anche alla condivisione, alla natura, all’attenzione per le piccole cose.

In campo ci sono già tutti gli elementi che nutrono la poesia di Adua e che troveremo nei suoi versi.

Il libro di Adua è un libro complesso, non facile, nonostante l’autrice abbia il dichiarato intento di comunicare il più possibile con il lettore, in realtà chiede a chi legge i suoi versi un impegno maggiore, un’attenzione costante, e insieme una disposizione alla condivisione, al comune sentire. che però si realizzerà solo alla fine, quando si chiude il libro, quando lo si è cioè attraversato tutto e quindi com-preso.

Perché  ognuno di noi avrà modo di riconoscersi in qualcosa di Adua, di rivedere una parte di sé, di ritrovarsi in un dolore, in una allegria, in una riflessione che accomuna, perché Adua parte dal dato personale, intimo, privato, ma questo poi si allarga diventando universale.

È un libro incredibilmente maturo per essere un’opera prima, in realtà si sente che i suoi versi hanno avuto un lungo periodo di gestazione, vengono da lontano. In generale per le opere artistiche, in particolare per la scrittura, si conosce il momento in cui materialmente vengono create o scritte ma si sono nutrite a lungo di un vissuto, di emozioni, sensazioni, conflitti, domande, e quant’altro, cioè di tutto ciò che si è stratificato e sedimentato nel tempo.

Nella sua poesia la parola possiede un peso specifico perché si lega alla memoria del corpo. Nella sua poesia le parole portano con loro il sentimento dei suoni, delle voci, del calore, e del colore, di sensazioni che ha sperimentato altrove e che adesso intensificano la parola stessa, la caricano di valenze e di echi. Noi che leggiamo non sapremo mai a cosa alluda Adua, ma cogliamo che la parola possiede un peso specifico, che aduna in presenza persone, cose, mondi, vissuti, esperienze. Ce lo dice la stessa Adua in alcuni versi di una bellissima poesia e fuori cosa c’è che recitano: da lontano viene quella cera/ attaccata alle dita nervose/ ricamo di ricordi.

La scrittura poi diventa il luogo privilegiato dove mettere a verifica questo percorso, la scrittura stessa diventa a sua volta un ulteriore percorso. Infatti tutta la raccolta è un lungo discorso con sé stessa e con il mondo, una sorta di flusso di coscienza, e la scrittura stessa si fa esperienza. Non a caso la raccolta non è divisa in nessuna sezione, non ha una struttura rigida predefinita, le liriche si succedono come in un lungo monologo, una sorta di narrazione di sé e del mondo che è lirica e drammatica insieme.

La scrittura di Adua è, direi, una scrittura “verticale”: affonda le radici nella materia nera dell’esistenza, ne esplora gli abissi, le cavità carsiche, non ha paura di immergerci le mani, non si ritrae di fronte al dolore, alla sconfitta, alla constatazione dei propri limiti e debolezze, di fronte alle brutture del vivere, di fronte alla finitezza del nostro essere, ma lo sguardo è rivolto verso l’alto, verso la trasparenza del cielo, dove Adua sembra scorgere nuove mappe dell’esistere, come ci dice mirabilmente nella poesia sguardo tra le stelle che è poi anche lo sguardo del poeta.

Il ricordo è il fondamento della scrittura in generale, e di quella di Adua in particolare. Il ricordo per Adua ha una particolare connotazione. Mi piace sottolineare che la parola ricordo deriva dal latino e il lemma si scompone in: re: (indietro) e cor: (cuore): quindi significa richiamare in cuore. Allora, il ricordare non è una semplice operazione mentale. Il ricordo richiama nel presente del cuore e del sentimento qualcosa che non è più qui o non è più adesso, ma che, per il solo tornare in cuore, rivive, non sotto forma di sogno o fantasticheria, ma come sentimento concreto, esperienza concreta (pensate all’immaginativa medievale, quella di Dante, quella che gli ha permesso di scrivere la Commedia). Così il ricordo è la possibilità concreta di consultare il passato, di interrogarlo, non per fuggire dal presente, persi nella nostalgia, ma per capire il presente, per essere capaci di cura e di responsabilità nel presente e quindi nel futuro. Per tenere alta la consapevolezza di chi siamo, da dove veniamo, e fin dove possiamo spingerci. Per non perdere niente della nostra vita. Niente e nessuno. In questo senso il ricordo in Adua gioca un ruolo primario quasi escatologico, ma sicuramente rigenerativo, nel senso che lungi dal generare nostalgia di un passato che non si può riproporre, diventa viceversa territorio fertile e fecondo di nuove possibilità per il futuro, nuove spinte al divenire.

Tema dei colori: non é  una circostanza secondaria il fatto che Adua sia anche una pittrice, la dimensione coloristica domina e permea i suoi versi, e conferiscono materia, consistenza e corporeità alla sua parola poetica. Sui legami tra parola e colore sono state elaborate molte e interessanti teorie, sul significato dei colori, sugli effetti fisiologici ma soprattutto psicologici ed emozionali dei colori, sulla correlazione tra colore e auto-percezione, percezione di sé,  addirittura sulla relazione solida che intercorre tra i significati attribuiti ai colori e il contesto sociale in cui questi significati maturano. Per i simbolisti, soprattutto, i colori hanno una natura fisica, vibratoria, che esercita effetti psicofisici sulla persona: ad esempio, il rosso è fisiologicamente attivante, mentre il blu è distensivo (ricordate la poesia di Rimbaud dove accosta i suoni vocalici ad alcuni colori facendo intervenire sensazioni di origine diversa, e ogni colore richiama alcune situazioni e oggetti indicando rapporti profondi che legano le cose). Straordinaria è la teorizzazione dei colori di Kandinskij, che associa ad ogni colore un suono, uno strumento musicale e quindi uno stato d’animo. Credo che anche Adua assegni ai colori una funzione importante. Non è un caso che la raccolta si apre proprio con una poesia dedicata a un colore: il titolo è proprio rosso.  Nella poesia di Adua i colori dilagano magmatici e si moltiplicano quasi per partogenesi: da un colore ne nasce un altro più intenso, in una gradazione in salita che si fa anche suono e corpo. In moltissime poesie ritroviamo versi che sembrano pennellate di colori e aggettivazioni coloristiche, colori usati come sostantivi. E poi ci sono delle liriche che si affermano proprio come dei dipinti, dei quadri, ad esempio la poesia Un inverno.

Tema della scrittura femminile  Le poesie di Adua sono inequivocabilmente “femminili”, e con questo aggettivo so di fare un’affermazione molto discussa, perché oggi si discute molto, anche polemicamente, se esiste una scrittura femminile e se sì in cosa consiste, in cosa si differenzia da quella maschile? Ho sentito spesso affermare non leggo libri scritti da donne, oppure quell’autrice mi piace, dato che scrive come un uomo. Quando, magari ingenuamente, domando perché, vengono fuori le stesse risposte: “le donne sono ridondanti, retoriche, scrivono di pancia, scrivono solo per le donne, a loro interessano solo i sentimenti, i rapporti, cose di cuore e roba del genere”. Quindi una sorta di sottobosco culturale, letteratura rosa per intenderci, poesia inferiore, fatta di sfoghi sentimentali e di abbandoni amorosi, poesia intima e astorica. e se per caso una donna scrive poesie civili, fa letteratura impegnata si dice “ha una scrittura virile, maschia”. Lo stereotipo è quello di pensare che le donne siano capaci di rappresentare solo la complessità dei sentimenti privati, intimi, ma non altri aspetti della realtà più importanti e seri, più significativi.

Virginia Woolf scriveva provocatoriamente: perché un libro che parla di guerra è un libro importante, mentre un libro che parla di amore non lo è.

Perché è brutta la parola “sentimento”? Ci spaventa? Di che sarebbe fatta la nostra esistenza? E allora esiste una scrittura della differenza? Esiste uno sguardo femminile? Una risposta la si può trovare proprio nel modo di fare poesia delle donne, e quindi di Adua che risponde attraverso la parola poetica che ha il coraggio di parlare della capacità delle donne di cadere nel pozzo e di uscirne con nuove conquiste, rinnovate vittorie; capacità di guardarsi dentro, di affrontare i propri abissi senza paura, di partire da sé per comprendere il mondo, di usare il corpo come una scrittura, e viceversa fare della scrittura un corpo. Ecco perché poi, anche Adua assegna un ruolo fondamentale alla poesia e quindi al poeta. E se leggiamo la poesia Immagino sia giunto ritroviamo proprio questo, la poesia infatti l’ho letta come una dichiarazione di poetica:

 

Immagino sia giunto

Anche l’attimo di un verso,

quello sparso del fuggire e del restare,

quello acceso al cuore del tornare.

Cercherò di nuovo te, allora,

nei bui abissi di profonde radici

oltre l’oltre che non vedo,

 

nell’eterno del mio verso.

 

Scelta linguistica La scrittura poetica di Adua non punta all’artificio metrico, ma si concentra sul significante che si carica di valenze plurime. Quello che le interessa è la dimensione della parola, il corpo-parola, sulla quale sperimenta tutti i possibili esiti, la tende, la forza, la smargina, realizza accostamenti semantici inediti e coraggiosi, ne amplifica il senso con ellissi, iperboli e metafore inusuali, fino ad arrivare a coniare neologismi, come ad esempio sprofumato o arrufolato, perché Adua sente ad un certo punto che le parole conosciute non bastano più per significare, veicolare, nuove realtà, nuove verità, un nuovo sentire, come dire “nuovi poeti cercano nuove parole”.

E poi c’è una varietà di registri linguistici che vanno dal parlato, quello quotidiano, umile, a un registro lirico e alto, densamente metaforico, semanticamente polisenso.

Una scrittura ricca e puntigliosa, nel senso che si avverte il lavoro minuzioso di scelta di ogni singola parola, niente è lasciato al caso, tutto è dovuto passare al vaglio del suo laboratorio, che però non è certamente asettico, ma anzi pulsante e incandescente.

Il mancato artificio metrico non deve quindi far pensare che la poesia di Adua sia una poesia spontanea, ingenua, immediata. anzi, per giungere a questa apparente semplicità si deve aver costruito un saldo possesso del mezzo linguistico, dove troviamo innanzitutto:

una costruzione di 4 strofe, di cui le prime due di tre versi, e poi in progressione la terza di 4 versi, e la quarta di 5 versi a simulare il progressivo sorgere della luna

la presenza preponderante di parole bisillabe, soprattutto nella prima strofa, con una ritmica accentuazione sulla seconda posizione metrica che restituisce l’immagine dello scorrere del tempo;

una forte allitterazione sulla lettera “t”, la “n”, la “m” nella prima strofa,

e nella seconda sulle lettere “c”, “r”, e nell’ultima strofa, quando ormai la luna si accampa nella sua candida interezza, una allitterazione sulla vocale “a” e la vocale ‘a’ è una lettera bianca;

e poi i versi si allungano, si distendono attraverso l’uso di parole plurisillabe, il verso diventa planus per ridarci l’immagine del fluire del fiume;                                        e poi troviamo la memoria che metaforicamente diventa un fiume che diventa infinito e immenso, e i due aggettivi si corrispondono e si rafforzano reciprocamente il senso, anche perché occupano la stessa importante posizione di inizio verso.

Insomma, tutta la poesia è costruita per darci l’immagine del sorgere della luna, che emerge lenta dal nero della notte: ecco le bisillabe.

- e poi si accampa in tutta la sua grandezza nello spazio, e si lascia ammantare dalle nuvole come in un gioco a nascondino.

- e poi lo scarto, lo scatto della memoria, la luna a pretesto di un ricordo, che appare e scompare come la luna, o come un fiume che fluisce immenso e poi si inabissa e poi ricompare in superficie. la doppia metafora.

 

Adua ci sussurra, non ci urla, che la tenerezza è rivoluzionaria, che l’amore è sovversivo, che la diversità è ricchezza, che il cambiamento è possibile, anzi indispensabile.

Adua vive il proprio testo, diventa un tutt’uno con esso, e lo fa con il suo corpo esposto, senza pelle, e per questo vulnerabile. e questo è il dono più grande e inestimabile che ci fa un poeta: regalarci la sua fragilità che noi sappiamo essere la sua grandezza.

Ecco, se la poesia può trovare una casa allora la trova nei versi di Adua.

 

M.D.