venerdì 17 gennaio 2025

Anna Maria Dall'Olio. Nota di lettura di Maristella Diotaiuti.

 

Nota di lettura (sintesi) di Maristella Diotaiuti per il volume di Anna Maria Dall’Olio, Fruttorto sperimentale, La Vita Felice Edizioni, 2016, scritta in occasione della presentazione alle Cicale Operose.

Devo confessarvi che mi ha subito colpito sia la personalità di Anna Maria e soprattutto le sue poesie, poesie che ho faticato a leggere perché vedremo subito sono poesie difficili, sono costruite con una pasta dura, trattano una materia urticante, disturbante.
Esiodo sosteneva che la poesia è capace di esprimere un rapporto diretto con l’assoluto, di ri-nominare le cose, di aggiungere un nome al nome degli Dei, e quindi di raccogliere “l’alito divino”, e per questo il poeta ha la capacità di disvelare ciò che sarà e ciò che è stato, come dirà secoli dopo anche Pascoli, senza questa capacità della poesia di ri-nominazione non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo solitamente, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle.
Allora perché di questo fare della poesia si è storicamente persa la nozione, tanto che il suono della parola poetica è stato assimilato alla rappresentazione del falso e non a disvelamento di ciò che è, come diceva Esiodo? ancora oggi si parla spesso di poesia come del regno dell’inefficace, della parola che non fa. All’origine di questo pregiudizio sulla poesia vi è la posizione di Platone che ha affermato proprio una divergenza irrecuperabile tra il pensare che è il cercare il vero con il ragionamento e il poetare che per Platone è allontanarsi dal vero attraverso una sorta di infiammato furore. Questa interpretazione platonica della poesia purtroppo circola ancora oggi, nonostante le molte riletture e revisioni critiche.
Questa premessa mi permette di entrare nella poesia di Anna Maria, perché la sua poesia recupera totalmente il significato che Esiodo, e quindi il mondo classico, ha dato alla poesia, e lo fa sia attraverso un lavoro intenso di sperimentazione linguistica, un lavoro sul significante, sia attraverso la proposta tematica particolare, forte, che dispone per noi lettori.
Quindi la poesia di Anna Maria va letta e interpretata secondo questi due aspetti complementari, anzi strettamente connessi.
Dicevo prima che le poesie di Anna Maria sono difficili, ma la stessa Anna Maria si preoccupa di aiutarci, e lo fa chiaramente in una intervista, quando dice:

io scrivo alcune frasi, poi le riprendo, perché la poesia é fatta di forma e contenuto, in una somma che é numero e forza. ecco perché non c’è neanche una mia poesia che somigli ad un’altra. non c’è niente di casuale in quello che scrivo.

E’ una precisa dichiarazione di poetica, laboratorio poetico, di lucida adesione ad un determinato modo di fare poesia, in cui vi è una forte identità di forma e contenuto, quella che Pasolini chiamava “soggettiva libera indiretta”, applicando una tecnica cinematografica alla scrittura, attraverso la quale Pasolini, e la nostra Anna Maria, fanno parlare i personaggi, i fatti, gli avvenimenti, con la loro lingua, il loro linguaggio proprio, in una perfetta mimesi o realismo come lo vogliamo chiamare.
La sua è una forte e incessante sperimentazione linguistica e formale, aiutata anche dai suoi studi di esperanto che la liberano dalle strettoie della tradizione e dei canoni poetici, che le ha permesso così’ un atteggiamento ludico e inventivo senza però il pericolo dell’estetismo e dell’autoreferenzialità.
Sperimentazione presente già nel titolo: a.m. gioca un po' con noi lettori, ci disorienta, ma anche ci mette in guardia e ci da’ la cifra stilistica di tutta la raccolta: quindi il titolo: fruttorto sperimentale, dove fruttorto è un neologismo, una parola composta che rimanda alle attuali esperienze degli orti urbani, rimanda all’area semantica delle coltivazioni, delle messi, ed è una parola sovrabbondante, se vogliamo, che richiama alla mente una ricchezza della natura, una proliferazione di cose buone, pure, spontanee, che danno appagamento ai sensi, legami profondi e ancestrali con la terra, insomma rimanda a un eden perduto e perciò nostalgico.
Ma non è di questo eden che Anna Maria parla, infatti subito dopo vi è l’altro termine: sperimentale, che in posizione contrastiva ci scaraventa in un laboratorio asettico, di cavie e di vetrini, anche di crudeltà se vogliamo, in un luogo artificiale, di manipolazione innaturale della materia.
Un termine che se da una parte ammicca alla capacità umana di elaborazione e sconfinamento, dall’altra allude alla freddezza. alla durezza dell’agire umano, alla violenza applicata alla scienza.
Il titolo rimanda, si collega a una delle ultime poesie della raccolta giardino sperimentale, dedicata non a caso all’incidente avvenuto alla centrale nucleare di Fukushima in Giappone nel 2011 in seguito a un maremoto. Allo stesso modo funziona la prima poesia che apre la raccolta: una sorta di porta d’ingresso al testo, una specie di manifesto programmatico, un avvertimento al lettore: ci dice “quello che troverete dopo sono solo parole e basta, niente di nuovo" ; e l’interscambiabilità degli elementi costitutivi dei 3 versi centrali dimostra come Anna Maria manipoli la materia poetica e come le parole in campo possono rappresentare una realtà subito dopo smentita perché continuamente sottoposta al vaglio della ricerca, della scomposizione sperimentale.
In questa prima poesia, ma direi in tutte, la forma è esibita, e quindi inizialmente distrae, cioè l’attenzione si ferma sulla parola, ma poi il lettore è spinto inevitabilmente a cercare il senso.
Vi è quindi sottesa una denuncia nei confronti della dittatura della forma, denuncia riferita qui alla fiera del libro di Torino, quindi all’editoria, agli intellettuali di oggi che hanno smarrito il senso profondo del loro essere intellettuali. Ma ci rende partecipe anche del suo amore per i libri, per la poesia, del senso etico del suo lavoro.
Anna Maria poeta indaga nella materia nera del mondo, ci restituisce, costruisce per noi, volutamente una rappresentazione di un mondo in negativo, dominato da violenze, omicidi, stragi, attentati, guerre, in un ambiente irrimediabilmente compromesso, in cui alcune vittime addirittura esplodono, letteralmente, oppure bruciano, o vedono completamente negata la propria dignità umana. Ci sottopone episodi storici, scientifici, di cronaca, di costume, al vaglio e allo scandaglio dei mezzi linguistici, che sono usati come strumenti della scienza e della sperimentazione, i fatti, gli avvenimenti, sono posti su vetrini, sotto la lente del microscopio, e vivisezionati come cavie da laboratorio. lo fa appunto attraverso i mezzi, gli artifici della metrica e della retorica classiche, ma deformandole dall’ interno: assonanze, allitterazioni, metafore, metonimie, lo schema della ballata, della terzina ecc., ma rivisitate, riplasmate per poter linguisticamente aderire alla realtà diversa del nostro presente, per poter sovraesporre la anormale, abnorme normalità del vivere umano, del presente. Infatti a.m. usa spesso la parola e l’immagine dello ‘scoppio’, dello ‘scoppiare’

Allo stesso modo, ricorre nei versi l’immagine della fiamma, come ad es. ne: i miei occhi non si chiusero, dedicata alla tragedia del Moby Prince che prese fuoco proprio qui nel porto di Livorno, vicenda che racconta attraverso lo sguardo e il ricordo dell’unico superstite, il mozzo Alessio Bertrand. (…)
Su questa linea tematica, volta ad attraversare puntigliosamente i mali del vivere, il dramma dell’esistenza, le angosce e gli orrori della storia e del comportamento umano, procede gran parte della raccolta, e dove, tra l’altro, all’interno di questa narrazione le scansioni temporali sono azzerate: si parla di fatti accaduti oggi come nel lontano passato, di avvenimenti e personaggi della storia con la a maiuscola e di fatti e persone umili, minute, perché le violenze, le sopraffazioni, le tragedie, le brutture del vivere, non hanno coordinate temporali né geografiche. il tempo delineato da a.m. nella sua versificazione appartiene ad una dimensione chiusa, atemporale, bloccata, astorica, perché astorico è il male.
– come in crudel giovedì grasso, con strofe in lingua e in vernacolo friulano, in cui fa riferimento ad una insurrezione della povera gente contadina scoppiata in Friuli nel 1511 contro il clero e la nobiltà
– come in blues dei numeri, nella quale denuncia la condizione disumana della classe operaia, infatti fa riferimento all’incendio scoppiato nella fabbrica di camicette alla moda di New York il 25 marzo del 1911, nel quale morirono 164 operaie, la maggior parte di esse erano giovani donne italiane o ebree dell’Europa orientale. la fabbrica occupava gli ultimi tre piani di un palazzo di dieci piani, e 62 delle vittime morirono nel tentativo di salvarsi lanciandosi dalle finestre. non avevano altra via di fuga perché i proprietari della fabbrica li avevano chiusi a chiave per paura che rubassero o facessero troppe pause.
I proprietari della fabbrica al momento dell’incendio si trovavano al decimo piano per cui si misero facilmente in salvo lasciando morire gli uomini e le donne rimaste intrappolate.
– oppure come in Nancy wake che trae spunto da una partigiana britannica per condannare i crimini del nazismo. quindi siamo in tempi più vicini a noi.
Possiamo allora tranquillamente dire che Anna Maria poeta non è una intellettuale che sta alla finestra, ma sente su di sé tutta intera la responsabilità del suo essere intellettuale e poeta, di chi vede chiaramente le cose, le prevede, e deve raccontarle, attraversando tutto il dolore e la scomodità di questa narrazione, anche la impopolarità se vogliamo. perché non ci diletta, non ci diverte una tale poesia.
In questo suo ruolo attivo di pungolo per risvegliare coscienze assopite, non si concede nessun abbandono lirico né estetico, lo sguardo che registra il reale è quasi meccanico perché lo scenario è disturbante, a volte lacerante, occorre distanziarsene per evitare qualsiasi coinvolgimento emotivo che possa distorcere o edulcorare il messaggio di Anna Maria poeta. Raramente si concede il canto, ma canta senza musica, perché la realtà che vede non è musicabile.
Anna Maria ricorre a uno stile ibrido, a vari registri che spaziano dal realismo al lirismo, dal sublime all’umile, fino al registro più basso, aiutandosi a volte con l’ironia , come fa nella bella poesia di pag. 51 a Pescia, badali, a volte con l’adesione emotiva.
La sua versificazione si avvale di strategie narrative linguistiche e strutturali varie e molto efficaci e significative per l’economia del testo, cioè va dalla costruzione di un verso lineare a un verso più complesso utilizzando elementi come l’alternanza del discorso diretto e di quello indiretto ad esempio Barbera Livi, donna de’ berretti, poesia che racconta del lavoro femminile nel 1835 a Borgo Buggiano, in un berrettificio diretto da una donna che sottoponeva le operaie ad un regime lavorativo rigido e a una sorveglianza oppressiva (le donne non potevano scambiarsi una parola per non rallentare la produzione).
L’utilizzo di puntini sospensivi; versi a gradino; alcuni versi diluiscono l’ultima parola che precipita visivamente; alcune parole non si completano, restano come sospese anche nel senso; altre sono quasi urlate graficamente, il suono della parola è reiterato e come trascinato sulla pagina, occupa l’intero verso, con la ripetizione di un’unica vocale, una sorta di onomatopeia grafica, visiva; alcuni versi vengono scomposti con l’immissione massiccia e distanziante di spazi vuoti, bianchi, il verso è spesso come raffreddato dalla presenza di numeri o di caratteri estranei alla grafia letteraria e anche le poesie che sembrano formalmente più composte si rivelano dirompenti nel contenuto, ma soprattutto domina la tendenza a una versificazione oggettivante, nominale. cioè senza il verbo, con l’utilizzo di strategie enumerative come l’asindeto (elencazioni di termini, o coordinazione di più proposizioni senza l’uso di congiunzioni), una costruzione paratattica.
Ci sono versi che procedono per fotogrammi, per immagini, in una successione quasi ossessiva, martellante, in un climax ascendente molto efficace.
Ma quando nulla interviene a guastare la pausa lirica, il tono della poesia si innalza verso un canto inaspettato, come accade per es. nella poesia di pag. 32, carezza d’oro, carezza d’azzurro, sulla fine della seconda guerra mondiale pur nella consapevolezza che la terra è ancora lontana da una pace reale e duratura.
La coscienza del lettore nella determinazione del significato, gli impone una scelta da compiere ad ogni verso. Così chi legge la sua poesia si trasforma da lettore in “esecutore”.
E’ così che la poesia ri-nomina le cose e rifà il mondo, assolve cioè al suo compito supremo e inalienabile di cui appunto parlava Esiodo.
Allora grazie ad Anna Maria per aver scritto queste poesie e per aver voluto condividerle con noi.