Nota di lettura (sintesi) di Maristella Diotaiuti per il volume di Anna Maria Dall’Olio, Fruttorto sperimentale, La Vita Felice Edizioni, 2016, scritta in occasione della presentazione alle Cicale Operose.
Devo confessarvi che mi ha
subito colpito sia la personalità di Anna Maria e soprattutto le sue poesie,
poesie che ho faticato a leggere perché vedremo subito sono poesie difficili,
sono costruite con una pasta dura, trattano una materia urticante, disturbante.
Esiodo sosteneva che la poesia è capace di
esprimere un rapporto diretto con l’assoluto, di ri-nominare le cose, di
aggiungere un nome al nome degli Dei, e quindi di raccogliere “l’alito divino”,
e per questo il poeta ha la capacità di disvelare
ciò che sarà e ciò che è stato, come dirà secoli dopo anche Pascoli, senza
questa capacità della poesia di ri-nominazione non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo solitamente, ma non
potremmo nemmeno pensarle e ridirle.
Allora perché di questo fare della poesia si è
storicamente persa la nozione, tanto che il suono della parola poetica è stato
assimilato alla rappresentazione del falso e non a disvelamento di ciò che è,
come diceva Esiodo? ancora oggi si parla spesso di poesia come del regno
dell’inefficace, della parola che non fa. All’origine di questo pregiudizio
sulla poesia vi è la posizione di Platone che ha affermato proprio una
divergenza irrecuperabile tra il pensare che è il cercare il vero con il
ragionamento e il poetare che per Platone è allontanarsi dal vero attraverso
una sorta di infiammato furore. Questa interpretazione platonica della poesia
purtroppo circola ancora oggi, nonostante le molte riletture e revisioni critiche.
Questa premessa mi permette di entrare nella
poesia di Anna Maria, perché la sua poesia recupera totalmente il significato
che Esiodo, e quindi il mondo classico, ha dato alla poesia, e lo fa sia
attraverso un lavoro intenso di sperimentazione linguistica, un lavoro sul
significante, sia attraverso la proposta tematica particolare, forte, che
dispone per noi lettori.
Quindi la poesia di Anna Maria va letta e
interpretata secondo questi due aspetti complementari, anzi strettamente
connessi.
Dicevo prima che le poesie di Anna Maria sono
difficili, ma la stessa Anna Maria si preoccupa di aiutarci, e lo fa
chiaramente in una intervista, quando dice:
io scrivo alcune frasi, poi le riprendo, perché la poesia é fatta di forma e contenuto, in una somma che é numero e forza. ecco perché non c’è neanche una mia poesia che somigli ad un’altra. non c’è niente di casuale in quello che scrivo.
E’ una precisa dichiarazione di poetica,
laboratorio poetico, di lucida adesione ad un determinato modo di fare poesia,
in cui vi è una forte identità di forma e contenuto, quella che Pasolini
chiamava “soggettiva libera indiretta”, applicando una tecnica cinematografica
alla scrittura, attraverso la quale Pasolini, e la nostra Anna Maria, fanno
parlare i personaggi, i fatti, gli avvenimenti, con la loro lingua, il loro
linguaggio proprio, in una perfetta mimesi o realismo come lo vogliamo
chiamare.
La sua è una forte e incessante sperimentazione
linguistica e formale, aiutata anche dai suoi studi di esperanto che la
liberano dalle strettoie della tradizione e dei canoni poetici, che le ha
permesso così’ un atteggiamento ludico e inventivo senza però il pericolo
dell’estetismo e dell’autoreferenzialità.
Sperimentazione presente già nel titolo: a.m.
gioca un po' con noi lettori, ci disorienta, ma anche ci mette in guardia e ci
da’ la cifra stilistica di tutta la raccolta: quindi il titolo: fruttorto sperimentale, dove fruttorto è
un neologismo, una parola composta che rimanda alle attuali esperienze degli
orti urbani, rimanda all’area semantica delle coltivazioni, delle messi, ed è
una parola sovrabbondante, se vogliamo, che richiama alla mente una ricchezza
della natura, una proliferazione di cose buone, pure, spontanee, che danno
appagamento ai sensi, legami profondi e ancestrali con la terra, insomma
rimanda a un eden perduto e perciò nostalgico.
Ma non è di questo eden che Anna Maria parla,
infatti subito dopo vi è l’altro termine: sperimentale, che in posizione
contrastiva ci scaraventa in un laboratorio asettico, di cavie e di vetrini,
anche di crudeltà se vogliamo, in un luogo artificiale, di manipolazione
innaturale della materia.
Un termine che se da una parte ammicca alla
capacità umana di elaborazione e sconfinamento, dall’altra allude alla
freddezza. alla durezza dell’agire umano, alla violenza applicata alla scienza.
Il titolo rimanda, si collega a una delle
ultime poesie della raccolta giardino
sperimentale, dedicata non a caso all’incidente avvenuto alla centrale
nucleare di Fukushima in Giappone nel 2011 in seguito a un maremoto. Allo
stesso modo funziona la prima poesia che apre la raccolta: una sorta di porta
d’ingresso al testo, una specie di manifesto programmatico, un avvertimento al
lettore: ci dice “quello che troverete dopo sono solo parole e basta, niente di
nuovo" ; e l’interscambiabilità degli elementi costitutivi dei 3 versi
centrali dimostra come Anna Maria manipoli la materia poetica e come le parole
in campo possono rappresentare una realtà subito dopo smentita perché
continuamente sottoposta al vaglio della ricerca, della scomposizione
sperimentale.
In questa prima poesia, ma direi in tutte, la
forma è esibita, e quindi inizialmente distrae, cioè l’attenzione si ferma
sulla parola, ma poi il lettore è spinto inevitabilmente a cercare il senso.
Vi è quindi sottesa una denuncia nei confronti
della dittatura della forma, denuncia riferita qui alla fiera del libro di
Torino, quindi all’editoria, agli intellettuali di oggi che hanno smarrito il
senso profondo del loro essere intellettuali. Ma ci rende partecipe anche del
suo amore per i libri, per la poesia, del senso etico del suo lavoro.
Anna Maria poeta indaga nella materia nera del
mondo, ci restituisce, costruisce per noi, volutamente una rappresentazione di
un mondo in negativo, dominato da violenze, omicidi, stragi, attentati, guerre,
in un ambiente irrimediabilmente compromesso, in cui alcune vittime addirittura
esplodono, letteralmente, oppure bruciano, o vedono completamente negata la
propria dignità umana. Ci sottopone episodi storici, scientifici, di cronaca,
di costume, al vaglio e allo scandaglio dei mezzi linguistici, che sono usati
come strumenti della scienza e della sperimentazione, i fatti, gli avvenimenti,
sono posti su vetrini, sotto la lente del microscopio, e vivisezionati come
cavie da laboratorio. lo fa appunto attraverso i mezzi, gli artifici della
metrica e della retorica classiche, ma deformandole dall’ interno: assonanze,
allitterazioni, metafore, metonimie, lo schema della ballata, della terzina
ecc., ma rivisitate, riplasmate per poter linguisticamente aderire alla realtà
diversa del nostro presente, per poter sovraesporre la anormale, abnorme
normalità del vivere umano, del presente. Infatti a.m. usa spesso la parola e
l’immagine dello ‘scoppio’, dello ‘scoppiare’
Allo stesso modo, ricorre nei versi l’immagine
della fiamma, come ad es. ne: i miei
occhi non si chiusero, dedicata alla tragedia del Moby Prince che prese
fuoco proprio qui nel porto di Livorno, vicenda che racconta attraverso lo
sguardo e il ricordo dell’unico superstite, il mozzo Alessio Bertrand. (…)
Su questa linea tematica, volta ad attraversare
puntigliosamente i mali del vivere, il dramma dell’esistenza, le angosce e gli
orrori della storia e del comportamento umano, procede gran parte della
raccolta, e dove, tra l’altro, all’interno di questa narrazione le scansioni
temporali sono azzerate: si parla di fatti accaduti oggi come nel lontano
passato, di avvenimenti e personaggi della storia con la a maiuscola e di fatti
e persone umili, minute, perché le violenze, le sopraffazioni, le tragedie, le
brutture del vivere, non hanno coordinate temporali né geografiche. il tempo
delineato da a.m. nella sua versificazione appartiene ad una dimensione chiusa,
atemporale, bloccata, astorica, perché astorico è il male.
– come in crudel
giovedì grasso, con strofe in lingua e in vernacolo friulano, in cui fa
riferimento ad una insurrezione della povera gente contadina scoppiata in
Friuli nel 1511 contro il clero e la nobiltà
– come in blues
dei numeri, nella quale denuncia la condizione disumana della classe
operaia, infatti fa riferimento all’incendio scoppiato nella fabbrica di
camicette alla moda di New York il 25 marzo del 1911, nel quale morirono 164
operaie, la maggior parte di esse erano giovani donne italiane o ebree
dell’Europa orientale. la fabbrica occupava gli ultimi tre piani di un palazzo
di dieci piani, e 62 delle vittime morirono nel tentativo di salvarsi
lanciandosi dalle finestre. non avevano altra via di fuga perché i proprietari
della fabbrica li avevano chiusi a chiave per paura che rubassero o facessero
troppe pause.
I proprietari della fabbrica al momento
dell’incendio si trovavano al decimo piano per cui si misero facilmente in
salvo lasciando morire gli uomini e le donne rimaste intrappolate.
– oppure come in Nancy wake che trae spunto da una partigiana britannica per
condannare i crimini del nazismo. quindi siamo in tempi più vicini a noi.
Possiamo allora tranquillamente dire che Anna
Maria poeta non è una intellettuale che sta alla finestra, ma sente su di sé
tutta intera la responsabilità del suo essere intellettuale e poeta, di chi
vede chiaramente le cose, le prevede, e deve raccontarle, attraversando tutto
il dolore e la scomodità di questa narrazione, anche la impopolarità se
vogliamo. perché non ci diletta, non ci diverte una tale poesia.
In questo suo ruolo attivo di pungolo per
risvegliare coscienze assopite, non si concede nessun abbandono lirico né
estetico, lo sguardo che registra il reale è quasi meccanico perché lo scenario
è disturbante, a volte lacerante, occorre distanziarsene per evitare qualsiasi
coinvolgimento emotivo che possa distorcere o edulcorare il messaggio di Anna
Maria poeta. Raramente si concede il canto, ma canta senza musica, perché la
realtà che vede non è musicabile.
Anna Maria ricorre a uno stile ibrido, a vari
registri che spaziano dal realismo al lirismo, dal sublime all’umile, fino al
registro più basso, aiutandosi a volte con l’ironia , come fa nella bella
poesia di pag. 51 a Pescia, badali, a
volte con l’adesione emotiva.
La sua versificazione si avvale di strategie
narrative linguistiche e strutturali varie e molto efficaci e significative per
l’economia del testo, cioè va dalla costruzione di un verso lineare a un verso
più complesso utilizzando elementi come l’alternanza del discorso diretto e di
quello indiretto ad esempio Barbera Livi,
donna de’ berretti, poesia che racconta del lavoro femminile nel 1835 a
Borgo Buggiano, in un berrettificio diretto da una donna che sottoponeva le
operaie ad un regime lavorativo rigido e a una sorveglianza oppressiva (le
donne non potevano scambiarsi una parola per non rallentare la produzione).
L’utilizzo di puntini sospensivi; versi a
gradino; alcuni versi diluiscono l’ultima parola che precipita visivamente;
alcune parole non si completano, restano come sospese anche nel senso; altre
sono quasi urlate graficamente, il suono della parola è reiterato e come
trascinato sulla pagina, occupa l’intero verso, con la ripetizione di un’unica
vocale, una sorta di onomatopeia grafica, visiva; alcuni versi vengono
scomposti con l’immissione massiccia e distanziante di spazi vuoti, bianchi, il
verso è spesso come raffreddato dalla presenza di numeri o di caratteri
estranei alla grafia letteraria e anche le poesie che sembrano formalmente più
composte si rivelano dirompenti nel contenuto, ma soprattutto domina la
tendenza a una versificazione oggettivante, nominale. cioè senza il verbo, con
l’utilizzo di strategie enumerative come l’asindeto (elencazioni di termini, o
coordinazione di più proposizioni senza l’uso di congiunzioni), una costruzione
paratattica.
Ci sono versi che procedono per fotogrammi, per
immagini, in una successione quasi ossessiva, martellante, in un climax
ascendente molto efficace.
Ma quando nulla interviene a guastare la pausa
lirica, il tono della poesia si innalza verso un canto inaspettato, come accade
per es. nella poesia di pag. 32, carezza d’oro, carezza d’azzurro, sulla fine
della seconda guerra mondiale pur nella consapevolezza che la terra è ancora
lontana da una pace reale e duratura.
La coscienza del lettore nella determinazione
del significato, gli impone una scelta da compiere ad ogni verso. Così chi
legge la sua poesia si trasforma da lettore in “esecutore”.
E’ così che la poesia ri-nomina le cose e rifà
il mondo, assolve cioè al suo compito supremo e inalienabile di cui appunto
parlava Esiodo.
Allora grazie ad Anna Maria per aver scritto
queste poesie e per aver voluto condividerle con noi.