venerdì 17 gennaio 2025

Francesca Vitelli. Nota di lettura di Maristella Diotaiuti.

 


Nota di lettura (sintesi) di Maristella Diotaiuti per il volume Sirene si nasce. Le avventure di Allegra & co., di Francesca Vitelli, Ilmondodisuk Edizioni, 2018, scritta in occasione dell’evento Sul filo del racconto, i saperi delle donne, con Maria Siricio (arte figurativa), Maria Assunta Giaquinto (seta di San Leucio), Francesca Vitelli (autrice), Donatella Gallone (Editrice Ilmondodisuk), Ottavio Lazzara (il corallo, le corallaie).

 

Inizierei la serata dedicata ai saperi delle donne con il libro di Francesca Vitelli, Sirene si nasce, edito da ilmondodisuk, col sottotitolo illuminante le avventure di allegra & co. Titolo e sottotitolo ci dicono già molto di questo libro, perché il riferimento alle sirene ci dice già che è un racconto tutto al femminile, dove cioè a parlare sono le donne, le voci che si levano sono voci di donne. E sappiamo quanto le voci delle sirene siano importanti, perché sono la seduzione della conoscenza, introducono alla conoscenza, spingono alla conoscenza di sé prima di tutto, e poi del mondo e degli altri. Se morte procurano non è certo morte fisica ma è simbolicamente morte a se stessi come uomini quando si rinuncia alla conoscenza. Non a caso Kafka parla di silenzio delle sirene in un racconto straordinario, un racconto di una pagina soltanto ma dove il genio di Kafka capovolge i termini della questione: Ulisse si tappa le orecchie insieme ai suoi compagni e non si accorge che in realtà le sirene tacciono e crede che cantino. Non si accorge, passando con la nave davanti allo scoglio dove sono le sirene, che i loro occhi sono pieni di lacrime e le loro bocche socchiuse e crede che cantino, in realtà le sirene tacciono (e poi scompaiono addirittura) perché hanno visto quanto di oscuro e di terribile ci fosse nel suo sguardo, e non vogliono più sedurre, perché l’uomo-Ulisse ha dentro di sé abissi inconfessabili, inesplorati, che le sirene però riescono a vedere. Forse qualcuno si potrà salvare dal loro canto, ma non dal loro silenzio, perché il silenzio è un qualcosa di molto più potente del canto, il silenzio non è quell’ assenza o quel vuoto insignificante che sembra. Dentro al silenzio delle sirene c’è la rinuncia dell’uomo a comprendere a comprendersi, a diventare uomo.

È questa la morte che provocano le sirene.

Le sirene ci mettono a confronto con noi stessi, con la nostra coscienza, e ci spingono a guardarci dentro. quando rinunciamo a questo moriamo. Quando tacciono siamo noi stessi a tacere a noi stessi (scusatemi il bisticcio delle parole). Per questo sono scomode le sirene e sono state tramutate da fanciulle bellissime in esseri orribili, in mostri, prima uccelli poi pesci, assettati di morte. Ma le sirene raccontano un’altra storia.

Quindi, nel libro di Francesca sono queste donne-sirena a raccontarci delle storie, sono donne che non vogliono spegnere la loro voce ma anzi si impongono in tutte le loro contraddizioni, con le loro fragilità, le loro manchevolezze, i difetti, e sono disponibili ad accettare le sfide e le difficoltà del momento, della vita. Per questo nel libro c’è una coralità di voci, il libro stesso è un insieme di racconti, una raccolta di racconti che mettono in scena le avventure tragi-comiche di un gruppo di amiche molto legate tra di loro.

Francesca ci presenta una variegata galleria di personaggi femminili, o meglio personagge perché sono tutte connotate al femminile, che si raccontano senza nascondersi, anzi facendo perno proprio sulle loro ‘presunte’ manchevolezze’, sui loro ‘difetti’ chiamiamoli così, le loro debolezze che poi sono anche i loro punti di forza, si rivelano essere proprio ciò che le rende uniche e speciali. Donne che ci vengono presentate nel loro quotidiano, nel loro rapporto con gli uomini, con il mondo del lavoro, con i sentimenti, l’amore, il sesso, la bellezza, e anche il trascorrere del tempo (nodo e snodo cruciale esistenziale delle donne sì ma di tutti, anche degli uomini).

È un libro molto piacevole, è scritto con una leggerezza che non è superficialità, faciloneria o volubilità, ma è, come diceva Calvino in Lezioni americane, un valore e non un difetto, è leggerezza che si sposa con levità e che diviene un antidoto alla pietrificazione del mondo e alla sua opacizzazione, Calvino, riprendendo le parole di Paul Válery, consiglia di non essere leggeri come la piuma – che cade al suolo per una legge di gravità che non dipende da lei ma come l’uccello che riesce a sfruttare le correnti d’aria, vagando nei cieli seguendo la sua volontà e decidendo come muoversi. Il mondo cioè va dunque anche affrontato con un approccio leggiadro, distaccato, ma mai privo di concentrazione, non con volubilità, ma con un diverso concetto di levità. il vivere è pesante, è noia, è dubbio, ricerca, acquisizione di verità, messa in discussione, ed è la leggerezza a mitigare tutto questo.

Ma al di là del racconto in sé, delle vicende, dello svolgersi delle trame, in questo libro ci sono due elementi che sollevano delle riflessioni direi importanti: innanzitutto lo scardinamento che Francesca ha realizzato dello stereotipo di quello che viene chiamata catfight (pro. ketfait), “la guerra tra gatte” le donne che si accapigliano, lo stereotipo che vuole le donne incapaci di solidarietà e di complicità, di sostegno reciproco. Una contrapposizione tra donne che viene sollecitata proprio dalla cultura patriarcale, perché se la donna esiste attraverso lo sguardo maschile allora è chiaro che ci deve essere invidia, competizione, antipatia, diffidenza. Invece questi racconti di Francesca ci parlano di altro, della necessità di intrecciare relazioni tra donne, anche nelle differenze, anche nella possibilità di conflitto che è diverso dallo scontro, dalla contrapposizione aggressiva, se non addirittura violenta.

L’altro dato interessante che riguarda la scrittura di Francesca, ed è il registro stilistico che Francesca ha scelto per raccontarci di queste donne: e cioè il registro ironico, l’ironia, che non è sarcasmo, attenzione, perché il sarcasmo è quasi sempre espressione di insoddisfazione personale o di compiacimento nell’umiliare gli altri. Invece l’ironia non è mai una critica distruttiva fine a se stessa, ma è, come dire, un modo di vivere, non riguarda solo le cose che uno fa, ma quello che uno è, perciò non la si può praticare se non la si applica di continuo a se stessi. L’ironia ha anche una componente di creatività, è una scossa, uno sgambetto del senso, un ribaltamento, è l’attivazione di uno sguardo diverso e quindi introduce spunti non abituali, introduce l’imprevisto. L’ironia è un modo di mettere in discussione la comprensione di parole e gesti data per scontata (e quindi uno strumento di umana conoscenza. oltre al fatto che può anche essere usata come arma civile per combattere schemi e dogmatismi. E non sempre ha a che fare con il riso anche se con questo ha grosse contiguità, un buon pensiero ironico dovrebbe dare per scontato che a volte non ci sia niente da ridere. perché l’ironia non cambia la realtà, ma qualche volta la esorcizza, aiuta ad affrontarla.

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M. D.