Nota di lettura (sintesi) di Maristella Diotaiuti per il volume Sirene si nasce. Le avventure di Allegra
& co., di Francesca Vitelli, Ilmondodisuk Edizioni, 2018, scritta
in occasione dell’evento Sul filo del
racconto, i saperi delle donne, con Maria Siricio (arte figurativa),
Maria Assunta Giaquinto (seta di San Leucio), Francesca Vitelli (autrice),
Donatella Gallone (Editrice Ilmondodisuk), Ottavio Lazzara (il
corallo, le corallaie).
Inizierei la
serata dedicata ai saperi delle donne
con il libro di Francesca Vitelli, Sirene si nasce, edito da ilmondodisuk, col sottotitolo illuminante le
avventure di allegra & co. Titolo e sottotitolo ci dicono già molto di questo libro, perché
il riferimento alle sirene ci dice già che è un racconto tutto al femminile, dove cioè a parlare sono le
donne, le voci che si levano sono voci di donne. E sappiamo quanto le voci delle sirene siano importanti,
perché sono la seduzione della
conoscenza, introducono alla
conoscenza, spingono alla
conoscenza di sé prima di tutto, e poi del mondo e degli
altri. Se morte procurano non è
certo morte fisica ma è simbolicamente morte a se stessi come uomini quando si rinuncia alla conoscenza. Non a caso Kafka parla di silenzio delle sirene in un racconto straordinario, un racconto di una pagina soltanto ma dove il genio di Kafka capovolge i termini della questione: Ulisse si tappa le orecchie insieme ai
suoi compagni e non si accorge che in
realtà le sirene tacciono e crede
che cantino. Non si accorge,
passando con la nave davanti allo
scoglio dove sono le sirene, che
i loro occhi sono pieni di lacrime e le loro bocche socchiuse e crede
che cantino, in realtà le sirene
tacciono (e poi scompaiono addirittura)
perché hanno visto quanto di oscuro e di terribile ci fosse nel suo
sguardo, e non vogliono più
sedurre, perché l’uomo-Ulisse
ha dentro di sé abissi inconfessabili,
inesplorati, che le sirene però
riescono a vedere. Forse qualcuno si
potrà salvare dal loro canto, ma non dal loro silenzio, perché il silenzio è un qualcosa di molto più
potente del canto, il silenzio non è quell’ assenza o quel vuoto
insignificante che sembra. Dentro al
silenzio delle sirene c’è la
rinuncia dell’uomo a comprendere
a comprendersi, a diventare uomo.
È questa la morte che provocano le sirene.
Le sirene ci mettono a confronto con noi stessi,
con la nostra coscienza, e ci spingono
a guardarci dentro. quando rinunciamo a questo moriamo. Quando tacciono siamo noi stessi a tacere a
noi stessi (scusatemi il bisticcio
delle parole). Per questo sono
scomode le sirene e sono state tramutate
da fanciulle bellissime in esseri orribili, in mostri, prima uccelli poi
pesci, assettati di morte. Ma le sirene raccontano un’altra storia.
Quindi, nel libro di Francesca sono queste donne-sirena a raccontarci delle storie, sono donne che non vogliono spegnere la loro voce
ma anzi si impongono in tutte le
loro contraddizioni, con le loro fragilità, le loro manchevolezze, i difetti, e
sono disponibili ad accettare le sfide e le difficoltà del momento, della vita.
Per questo nel libro c’è una coralità
di voci, il libro stesso è un
insieme di racconti, una raccolta
di racconti che mettono in scena le
avventure tragi-comiche di un gruppo
di amiche molto legate tra di loro.
Francesca ci
presenta una variegata galleria di
personaggi femminili, o meglio
personagge perché sono tutte
connotate al femminile, che si
raccontano senza nascondersi, anzi
facendo perno proprio sulle loro
‘presunte’ manchevolezze’, sui
loro ‘difetti’ chiamiamoli così,
le loro debolezze che poi sono anche i loro punti di forza, si
rivelano essere proprio ciò che le
rende uniche e speciali. Donne che ci vengono presentate nel loro
quotidiano, nel loro rapporto
con gli uomini, con il mondo del
lavoro, con i sentimenti,
l’amore, il sesso, la bellezza, e anche il trascorrere del tempo (nodo e snodo
cruciale esistenziale delle donne sì ma di tutti, anche degli uomini).
È un libro
molto piacevole, è scritto con una leggerezza che non è superficialità, faciloneria
o volubilità, ma è, come diceva Calvino
in Lezioni americane, un valore e non un difetto, è leggerezza che si sposa con levità e
che diviene un antidoto alla pietrificazione del mondo e alla sua opacizzazione,
Calvino, riprendendo le parole
di Paul Válery, consiglia di non essere
leggeri come la piuma – che cade al suolo per una legge di gravità che non
dipende da lei – ma come
l’uccello che riesce a sfruttare le correnti d’aria, vagando nei cieli seguendo la sua volontà e decidendo come muoversi. Il mondo cioè va dunque anche affrontato con un approccio leggiadro,
distaccato, ma mai privo di concentrazione, non con volubilità, ma con un diverso concetto di levità. il vivere è pesante, è noia, è dubbio,
ricerca, acquisizione di verità, messa in discussione, ed è la leggerezza a
mitigare tutto questo.
Ma al di là del racconto in sé, delle
vicende, dello svolgersi delle trame, in questo libro ci sono due elementi che sollevano delle riflessioni direi importanti: innanzitutto lo scardinamento che Francesca ha
realizzato dello stereotipo di
quello che viene chiamata catfight
(pro. ketfait), “la guerra tra gatte”
le donne che si accapigliano, lo stereotipo
che vuole le donne incapaci di solidarietà e di complicità, di sostegno reciproco. Una contrapposizione
tra donne che viene sollecitata
proprio dalla cultura patriarcale,
perché se la donna esiste attraverso
lo sguardo maschile allora è chiaro che ci deve essere invidia,
competizione, antipatia, diffidenza. Invece questi racconti di Francesca ci parlano di altro, della necessità di intrecciare relazioni tra donne,
anche nelle differenze, anche nella
possibilità di conflitto che è diverso
dallo scontro, dalla contrapposizione aggressiva, se non addirittura
violenta.
L’altro dato interessante che riguarda
la scrittura di Francesca, ed è il registro
stilistico che Francesca ha scelto per raccontarci di queste donne: e
cioè il registro ironico, l’ironia,
che non è sarcasmo, attenzione,
perché il sarcasmo è quasi sempre espressione
di insoddisfazione personale o di
compiacimento nell’umiliare gli altri. Invece l’ironia non è mai una
critica distruttiva fine a se stessa, ma è, come dire, un modo di
vivere, non riguarda solo le
cose che uno fa, ma quello che uno è, perciò non la si può praticare se non la si applica di continuo a se stessi.
L’ironia ha anche una componente di
creatività, è una scossa, uno sgambetto
del senso, un ribaltamento, è l’attivazione
di uno sguardo diverso e quindi introduce
spunti non abituali, introduce l’imprevisto. L’ironia è un modo di
mettere in discussione la comprensione di parole e gesti data per scontata (e quindi uno strumento di umana conoscenza. oltre
al fatto che può anche essere usata
come arma civile per combattere schemi e dogmatismi. E non sempre ha a che fare con il riso
anche se con questo ha grosse contiguità,
un buon pensiero ironico dovrebbe dare per scontato che a volte non ci sia
niente da ridere. perché l’ironia non
cambia la realtà, ma qualche
volta la esorcizza, aiuta ad
affrontarla.
[...]
M. D.