mercoledì 22 gennaio 2025

Anila Hanxhari. Nota di lettura di Maristella Diotaiuti.

 


 

Nota di lettura di Maristella Diotaiuti per il volume Prismanima, di Anila Hanxhari, Terra d’ulivi Edizioni, 2023, scritta in occasione della presentazione alle Cicale Operose.

La poesia di Anila è l’esempio concreto, evidente di quello che vado dicendo con insistenza da tempo sulla poesia, che la poesia deve destabilizzare, scompigliare le carte, alterare il senso, togliere le certezze, deve mettere in crisi, traumatizzare, nel senso greco, cioè meravigliare e allertare, intimorire. La poesia non deve accarezzare, blandire, lusingare, ma viceversa deve scuotere, disturbare, deve fare male, all’orecchio, all’occhio, al cuore, alla testa, deve essere dissonante, stridente, abrasiva, deve ferire, creare tagli, faglie,

Qualcuno ha detto che i versi di Anila sono un pugno nello stomaco, provocano un ematoma emozionale in chi li legge; Rondoni l’ha definitacreatura della commozione” ma anche “senza facili sentimentalismi, sposa la concentrazione del diamante e del bacio”.

La poesia di Anila è disorientante, perché nei suoi versi non ci troviamo niente delle cose a cui siamo abituati in fatto di poesia: sono venute meno le tradizionali coordinate linguistiche comuni, le rassicuranti prospettive del canone poetico italiano.

È come se Anila fosse entrata nella tradizione poetica italiana a gamba tesa, come un elemento perturbante, portandoci dentro una forza innovativa e rigenerativa davvero potente e sovvertitrice e necessaria, urgente.

È come se ci fosse, c’è sempre come un guasto nella scrittura di Anila, un errore rispetto alla normale, tradizionale versificazione, ai modi consolidati, ma è un errore consapevole, voluto, ovviamente. C’è sempre una sorta di asincrono tra le componenti del verso, gli elementi formali del verso (sostantivi, aggettivi, tra il segno e il suono, tra grafia, ritmo e significante) uno scarto formale, che è anche scarto, slittamento di senso, attivazione di altre inedite significazioni. Un errore che ci allerta e che ci fa riflettere sulla poesia, sul ruolo della poesia, dei poeti, degli intellettuali. Quando leggerete le sue poesie (adesso ne leggeremo qualcuna) vi accorgerete di quello che stiamo dicendo, e vivrete una sorta di spaesamento, vi sentirete trascinati via via in un vortice linguistico, lessicale, ritmico, spiazzante e travolgente. E avremo bisogno di un diverso punto di appoggio, di osservazione, occorre attivare un altro sguardo, altre coordinate, o forse abbiamo bisogno solo di abbandonare ogni forma di equilibrio, di ogni senso perché in fondo il senso è proprio nella negazione di un senso predefinito.

Anila ci porta continuamente altrove, ci tira fuori dalla normalità, dalla ovvietà della comunicazione, della comunicazione letteraria, e ci porta verso “altri” livelli di percezione, di immaginazione, di decodificazione.

È chiaro che alla base di questa poesia c’è una profonda fiducia nei confronti della parola, della sua funzione taumaturgica, di azione prodigiosa, miracolosa (taumaturgico: dal greco thaumaturgos: composto da ‘thauma’, prodigio, miracolo e ‘ergon’, opera, lavoro), quindi parola come azione, opera, gesto. Infatti le sue sono vere e proprie azioni linguistiche oppositive, che si oppongono al potere, alla politica, al sistema, alla storia, ma anche al linguaggio normato, codificato, asservito alle logiche comunicative e di sistema,

ma lo fa, come dire, non a livello ideologico (attraverso i contenuti) ma attraverso lo stesso linguaggio che quindi si comporta come un gesto, come un corpo contundente, un’arma. La poesia di Anila così viene esercitando una forte funzione civile, morale, etica, una funzione che oggi ha perso, gli è stata sottratta, pur nella consapevolezza che la poesia in sé è sempre politica, civile, eversiva. Le parole utilizzate, create da Anila non si cristallizzano al piano del linguaggio ma rompono la tela immaginaria e giungono nel mondo tangibile del reale, contestandolo, azzerandolo e quindi ricreandolo.  Per questo la parola di Anila, e la poesia, non è mai astratta, anche quando crea apparati simbolici, allegorici, ma è sempre materiata, è fatta di terra, di umori di fiati e sangue. Lo stesso apparato simbolico, allegorico non tende alla verticalità, ma piuttosto alla orizzontalità, tocca il suolo.  

È stato necessario per Anila riportare la lingua, il linguaggio a un grado zero, a un non-luogo, per la rigenerazione continua della parola, la reiterazione all’infinito dell’atto di rinominazione, delle cose e del mondo, infatti ogni volta la creazione avviene dal nulla,ex nihilo, Anila quindi è una sorta di onomaturga: una creatrice di parole, di neologismi, di nuove parole, una creatrice di una nuova lingua (a partire dal titolo: prismanima).

Quindi la parola diventa dinamica, plasmabile. qui c’è tutto un lavoro continuo, intenso, inesausto sulla parola, appunto, tutta la poesia di Anila si appoggia sulla parola, una parola continuamente rivisitata, che si fa sorgiva ogni volta, come se Anila la dovesse conquistare di volta in volta, verso dopo verso, continuamente riempirla di nuovi sensi, nuovi significati, sottraendola così all’ovvietà, all’usura, al convenzionale. Una parola così affrancata dai legami di senso e dalle regole di uso corrente, non può che risultare, e risulta, visionaria, e alludere sempre a un’alterità extradenotativa. Insomma, siamo di fronte a una poesia, a uno stile, una versificazione del tutto personale, di assoluta novità e originalità.

Come dicevamo prima, il titolo è uno straordinario neologismo che mette insieme due parole “prisma” e “anima” e che quindi rimanda a una esperienza prismatica dell’anima di Anila: cioè la capacità di accogliere tutte le esperienze, luminose e oscure, e di farle incrociare, interagire, il mondo si mescola, diventa ‘uno’, ma nello stesso tempo, proprio come accade per il prisma, appaiono, individuandosi, i singoli aspetti, le singole componenti, e anche le singole figure archetipiche: il padre innanzitutto, la figlia, la luce, la terra d’origine. Quindi, l’anima, l’identità, attraversando il prisma della poesia rivela tutta la sua natura multipla, composita, proprio come fa la luce bianca che attraverso il prisma rivela la miriade di colori di cui è composta. In questa rifrazione esperienziale quindi c’è sicuramente quella identitaria, la doppia identità, il paese d’origine, l’Albania, Durazzo, la storia con le sue ombre, le sue opacità, le sue aberrazioni, le ingiustizie, c’è la stessa lingua d’origine, la cultura, l’immaginario di un popolo, e il paese d’accoglienza, l’Italia, quindi l’incontro-scontro con un’altra lingua, altra cultura, altra storia. Quindi Anila è abitatrice di due mondi, due culture, due lingue, soprattutto la lingua gioca un ruolo primario, perché l’italiano di Anila è la lingua conquistata, non lingua della migranza, né dell’esilio, come solitamente viene definita, ma piuttosto lingua del transito.

Nella poesia di Anila ci sono molte parole ricorrenti, ma c’è n’è una in particolare che credo sia una parola chiave nell’economia del testo, la parola “luce”, spesso associata alla parola “rivoluzione”, anche Pasolini ha utilizzato questa parola, ne “Le ceneri di Gramsci” se ricordo bene, e sempre associata alla parola “resistenza”, proprio per sottolineare la dimensione pura, quasi sacra della resistenza italiana contro l’impurità della storia, della storia, della guerra fascista e nazista.

Straordinariamente bella e potente la poesia di pag. 56, dove ci leggo una fiera dichiarazione di libertà, di autonomia, una presa di coscienza del proprio essere individuale, di essere uno, unico, esperienza biologica e sociale unica e non confondibile con una massa informe come ci vuole il potere costituito,  una poesia in cui Anila si riconosce con forza, come donna e come poeta, il diritto di dire sono io che decido. C’è una rivendicazione del femminile che è di Anila ma che è di tutte le donne, una rivendicazione di libertà di decidere del proprio corpo, delle proprie azioni, dei propri sentimenti, della propria vita, una rivendicazione che suona come un manifesto contro tutte le violenze sul corpo e la vita stessa, di tutti e delle donne in particolare. Ecco, questo stato di libertà è uno stato di grazia, quello rivendicato da Anila, un tale livello di coscienza che non si raggiunge facilmente, e che richiede molte sofferenze, molte cadute.

M. D.