venerdì 31 gennaio 2025

Claudia Ruggeri. Per il ciclo Clandestine, a cura di Maristella Diotaiuti.

 







Per il ciclo Clandestine, grandi poete dimenticate, alle Cicale Operose: Claudia Ruggeri,

a cura di Maristella Diotaiuti; Letture:Aldo Galeazzi; Musica: Nico Gori (piano, clarinetto).

Volumi di Claudia Ruggeri pubblicati con Terra d'ulivi Edizioni grazie all'azione meritoria di Elio Scarciglia di recupero dei testi di questa grande poetessa.



Cliccare sull'immagine per le letture di Aldo Galeazzi con il commento musicale di Nico Gori.


Appunti di Maristella Diotaiuti (Le Cicale Operose) per la presentazione dei volumi di Claudia Ruggeri.

Claudia Ruggeri e la sua poesia oltrecanone.

La poesia di Claudia Ruggeri si colloca in quella temperie culturale tra gli anni ‘80 e ‘90 del ‘900 in cui si andavano esaurendo le ultime spinte avanguardiste del gruppo ‘63, e quindi si andava verso una rinnovata spinta espressionista, e un diffuso simbolismo postmoderno sul modello forte di Milo De Angelis.

Ma questa attualità poetica non ha avuto una particolare influenza su Claudia Ruggeri-poeta così potentemente autoreferenziale, così lontana da avvicinamenti o compromessi, certo era però attenta a quanto accadesse intorno a sé. E anche la sua marginalità geografica, il fatto di essere una intellettuale Salentina, lontana rispetto ai grossi centri culturali ed editoriali, se l’ha esclusa da un immediato successo ha fatto anche in modo che la sua ricerca poetica si svolgesse senza condizionamenti.[…]

Claudia Ruggeri completa la sua prima raccolta “Inferno minore” dedicando e inviando il dattiloscritto a Fortini, accompagnandolo con la lettera del 1 marzo del 1990. Ma la risposta di Fortini la deluse moltissimo […], e da quel momento in poi Claudia non si sentirà capita né come persona né come poeta. Perché la poesia di Claudia Ruggeri è una poesia oltrecanone, nel senso che si colloca al di fuori del canone letterario da sempre declinato al maschile, nel senso che è una scrittura fortemente connotata al femminile, soprattutto nel suo essere scrittura dell’eccesso: eccessiva, ridondante, barocca, l’ha definita Fortini nella famosa lettera, Fortini invitava Ruggeri ad asciugare la sua parola poetica. E’ la stroncatura toccata in sorte a molte poete donne quali, ad esempio, Antonia Pozzi e Goliarda Sapienza. Lo stesso appunto viene oggi fatto alla scrittura di Beatrice Hastings, di essere ridondante.

In realtà la poesia di Ruggeri è una indagine, drammatica, dolorosa, sulla natura enigmatica del linguaggio, la sua inadeguatezza a descrivere la realtà, l’inconciliabilità tra significato e significante. La confusione, il disordine comunicativo, l’accumulo, appaiono a Ruggeri la soluzione più adatta per rappresentare il subbuglio della sua interiorità, e per rispecchiare, più in generale, lo spaesamento vissuto dall’uomo nella sua vita di ogni giorno. Ed è quindi una scrittura accumulativa, ridondante, perché deve lacanianamente compensare il vuoto che Ruggeri avverte come universale; la sua espressività proteiforme parte da una mancanza, da un’assenza, un vuoto che è di tutti, ma del quale non tutti sono pienamente consapevoli, solo il poeta, l’artista ne ha coscienza ed è suo compito convocare con la parola questo vuoto e cercare di colmarlo.

Claudia ha inventato una nuova lingua letteraria, un nuovo canone, come pochi sono riusciti nella sua generazione. Si tratta una lingua poetica tesa fino allo spasimo, in cui la parola è sempre fortemente stressata, aggredita con una forte esigenza di manipolazione (che sfocia nel dominio) un linguaggio in cui le parole sono continuamente caricate di sensi inediti e multipli. Claudia realizza un plurilinguismo e un pluristilismo molto simile a quello dantesco, in cui trovano posto tutte le letture, le conoscenze, i modelli di cui si è nutrita, un linguaggio svincolato da ogni convenzione e apparentemente privo di coerenza sintattica. Un pastiche linguistico fatto di incrinature, anche infrazioni, deformazioni lessicali, parole trobadoriche, riferimenti colti e popolari, tradizione italiana, orfismo, un simbolismo volutamente esasperato. E’ un linguaggio provocatoriamente antilirico: perché per Claudia la poesia non deve accarezzare il lettore, ma lo deve mettere in crisi, irritare, la poesia non deve mettere ordine, ma scompigliare, non deve domare il caos ma crearlo, la poesia non può essere accomodante, lenitiva, ma creare fratture, ferite, spaccature.

[...]

In quanto anarchica, la scrittura di Claudia è un problema per il lettore ma lo è soprattutto per la critica, per l’imperativo categorico che muove gli studiosi, gli esegeti, di catalogare, dare un nome, racchiudere in un canone le varie scritture. Un’operazione questa estremamente complessa, e a volte anche ingiusta, ma direi inopportuna se non proprio sbagliata, come nel caso della poesia di Claudia che non si riesce né si può né si deve collocare in un ambito, circoscrivere in una nozione ben definita. Le parole poetiche di cui si serve sono quasi impossibili da tradurre in un commento prosastico. Per cui ogni tentativo di lettura critica non può che essere provvisorio e superficiale.

Claudia era dentro una disperata vitalità (che bruciava la spazio tra i settenari e lo spazio bianco della pagina), che disperatamente voleva affermare la bellezza della vita, la bellezza persino della contraddizione, della fragilità, della indecisione. E Claudia era una donna sospesa, oscillante, bloccata su una soglia labile, sul confine. Non voleva rinunciare alla vita. ma era anche figlia di una terra tellurica, quella terra che convive quotidianamente con la morte, ha un rapporto speciale con le ombre, con dimensioni altre, e che ha generato la Sibilla, discendeva cioè da frasi che non si lasciano immediatamente decifrare ma che si ricompongono nell’animo di chi le coglie. Doveva parlare per ambiguità, e così ha fatto, perché solo nell’ambiguità poteva aderire alla totalità della creazione a cui aspirava, e in quell’ambiguità è rimasta sospesa.

Maristella Diotaiuti