Per il ciclo Clandestine, grandi poete dimenticate, alle Cicale Operose: Claudia Ruggeri,
a cura di Maristella Diotaiuti; Letture:Aldo Galeazzi; Musica: Nico Gori (piano, clarinetto).
Volumi di Claudia Ruggeri pubblicati con Terra d'ulivi Edizioni grazie all'azione meritoria di Elio Scarciglia di recupero dei testi di questa grande poetessa.
Appunti di Maristella Diotaiuti (Le
Cicale Operose) per la presentazione dei volumi di Claudia Ruggeri.
Claudia Ruggeri e la sua poesia
oltrecanone.
La poesia di Claudia Ruggeri si colloca
in quella temperie culturale tra gli anni ‘80 e ‘90 del ‘900 in cui si andavano
esaurendo le ultime spinte avanguardiste del gruppo ‘63, e quindi si andava
verso una rinnovata spinta espressionista, e un diffuso simbolismo postmoderno
sul modello forte di Milo De Angelis.
Ma questa attualità poetica non ha avuto
una particolare influenza su Claudia Ruggeri-poeta così potentemente
autoreferenziale, così lontana da avvicinamenti o compromessi, certo era però
attenta a quanto accadesse intorno a sé. E anche la sua marginalità geografica,
il fatto di essere una intellettuale Salentina, lontana rispetto ai grossi
centri culturali ed editoriali, se l’ha esclusa da un immediato successo ha
fatto anche in modo che la sua ricerca poetica si svolgesse senza
condizionamenti.[…]
Claudia Ruggeri completa la sua prima
raccolta “Inferno minore” dedicando e inviando il dattiloscritto a Fortini,
accompagnandolo con la lettera del 1 marzo del 1990. Ma la risposta di Fortini
la deluse moltissimo […], e da quel momento in poi Claudia non si sentirà
capita né come persona né come poeta. Perché la poesia di Claudia Ruggeri è una
poesia oltrecanone, nel senso che si colloca al di fuori del canone letterario
da sempre declinato al maschile, nel senso che è una scrittura fortemente
connotata al femminile, soprattutto nel suo essere scrittura dell’eccesso:
eccessiva, ridondante, barocca, l’ha definita Fortini nella famosa lettera,
Fortini invitava Ruggeri ad asciugare la sua parola poetica. E’ la stroncatura
toccata in sorte a molte poete donne quali, ad esempio, Antonia Pozzi e
Goliarda Sapienza. Lo stesso appunto viene oggi fatto alla scrittura di
Beatrice Hastings, di essere ridondante.
In realtà la poesia di Ruggeri è una
indagine, drammatica, dolorosa, sulla natura enigmatica del linguaggio, la sua
inadeguatezza a descrivere la realtà, l’inconciliabilità tra significato e
significante. La confusione, il disordine comunicativo, l’accumulo, appaiono a
Ruggeri la soluzione più adatta per rappresentare il subbuglio della sua
interiorità, e per rispecchiare, più in generale, lo spaesamento vissuto dall’uomo
nella sua vita di ogni giorno. Ed è quindi una scrittura accumulativa,
ridondante, perché deve lacanianamente compensare il vuoto che Ruggeri avverte
come universale; la sua espressività proteiforme parte da una mancanza, da
un’assenza, un vuoto che è di tutti, ma del quale non tutti sono pienamente
consapevoli, solo il poeta, l’artista ne ha coscienza ed è suo compito
convocare con la parola questo vuoto e cercare di colmarlo.
Claudia ha inventato una nuova lingua
letteraria, un nuovo canone, come pochi sono riusciti nella sua generazione. Si
tratta una lingua poetica tesa fino allo spasimo, in cui la parola è sempre
fortemente stressata, aggredita con una forte esigenza di manipolazione (che
sfocia nel dominio) un linguaggio in cui le parole sono continuamente caricate
di sensi inediti e multipli. Claudia realizza un plurilinguismo e un
pluristilismo molto simile a quello dantesco, in cui trovano posto tutte le
letture, le conoscenze, i modelli di cui si è nutrita, un linguaggio svincolato
da ogni convenzione e apparentemente privo di coerenza sintattica. Un pastiche
linguistico fatto di incrinature, anche infrazioni, deformazioni lessicali,
parole trobadoriche, riferimenti colti e popolari, tradizione italiana,
orfismo, un simbolismo volutamente esasperato. E’ un linguaggio
provocatoriamente antilirico: perché per Claudia la poesia non deve accarezzare
il lettore, ma lo deve mettere in crisi, irritare, la poesia non deve mettere
ordine, ma scompigliare, non deve domare il caos ma crearlo, la poesia non può
essere accomodante, lenitiva, ma creare fratture, ferite, spaccature.
[...]
In quanto anarchica, la scrittura di
Claudia è un problema per il lettore ma lo è soprattutto per la critica, per
l’imperativo categorico che muove gli studiosi, gli esegeti, di catalogare,
dare un nome, racchiudere in un canone le varie scritture. Un’operazione questa
estremamente complessa, e a volte anche ingiusta, ma direi inopportuna se non
proprio sbagliata, come nel caso della poesia di Claudia che non si riesce né
si può né si deve collocare in un ambito, circoscrivere in una nozione ben
definita. Le parole poetiche di cui si serve sono quasi impossibili da tradurre
in un commento prosastico. Per cui ogni tentativo di lettura critica non può
che essere provvisorio e superficiale.
Claudia era dentro una disperata
vitalità (che bruciava la spazio tra i settenari e lo spazio bianco della
pagina), che disperatamente voleva affermare la bellezza della vita, la
bellezza persino della contraddizione, della fragilità, della indecisione. E
Claudia era una donna sospesa, oscillante, bloccata su una soglia labile, sul
confine. Non voleva rinunciare alla vita. ma era anche figlia di una terra
tellurica, quella terra che convive quotidianamente con la morte, ha un
rapporto speciale con le ombre, con dimensioni altre, e che ha generato la
Sibilla, discendeva cioè da frasi che non si lasciano immediatamente decifrare
ma che si ricompongono nell’animo di chi le coglie. Doveva parlare per
ambiguità, e così ha fatto, perché solo nell’ambiguità poteva aderire alla
totalità della creazione a cui aspirava, e in quell’ambiguità è rimasta
sospesa.