mercoledì 22 gennaio 2025

Ida Travi: Nota di lettura di Maristella Diotaiuti.

 


Appunti di Maristella Diotaiuti per introdurre Ida Travi in occasione del Festival VOCI, a cura de Le Cicale Operose; nota di Maristella Diotaiuti, Ida Travi, Una rivoluzione di senso, scritta per La Giornata Mondiale della poesia, a cura de Le Cicale Operose.

[…]

Ho scelto la poesia di Ida Travi perché sintetizza, rappresenta un po’ la summa di tutto quanto stiamo dicendo sulla poesia:

– il recupero dell’origine della poesia nella sua dimensione orale, sonora;

– la necessità di ridefinire il senso poetico restituendo alla poesia il ruolo che le è proprio, di costruzione del mondo e di lettura del reale (per la capacità della poesia di leggere e restituirci i segni della realtà);

– e poi la sua poesia rappresenta un momento fondamentale di verifica di come oggi si possa fare poesia e di come realmente si fa poesia;

– e quanto e come l’antica oralità della poesia è stata recuperata e trasformata in performance (in segno corporeo) prescindendo dalla scrittura.

La ricerca, il lavoro di scrittura di Ida lo potremmo definire “un’esplorazione del “c’era una volta” della poesia, il racconto dell’incanto del poetico. Perché la poesia di Ida tocca tutti gli aspetti che essa coinvolge: cioè scrittura, immagine, gesto, attorialità, voce e anche silenzio.

Perché per Ida, ma possiamo anche dire in generale, la poesia non ha un’origine univoca, il poetico sta nella convergenza dei suoi strumenti che non si possono separare gli uni dagli altri. Infatti ascoltare Ida mentre ‘dice’ la sua poesia, i suoi versi, ci coinvolge in una esperienza plurisensoriale, ipnotica, ci trasporta in un flusso sonoro quasi di nenia davvero originale, direi unico nel panorama della poesia italiana contemporanea.

Ida Travi ha teorizzato la sua poetica in due libri, davvero straordinari, illuminanti e arricchenti, molto particolari perché si muovono in bilico sul crinale del saggio e del testo poetico, dando vita ad una scrittura densa ed evocativa molto originale, i due libri sono L’aspetto orale della poesia e Poetica del basso continuo.

Nel saggio L’aspetto orale della poesia Ida affronta la tematica del rapporto tra oralità e scrittura, e avvia una riflessione personale sul rapporto tra poesia e filosofia, in particolare tra lingua poetica e lingua materna, tematica che ha poi approfondito negli anni a seguire in un gruppo di studio con studiose della comunità filosofica Diotima dell’Università di Verona.

In particolare la sua ricerca si è appuntata sulla differenza tra voce poetica e voce narrante. per Ida quando il poeta legge da sé la sua poesia ad alta voce in forma autentica, fonda ogni volta un evento nuovo, un nuovo testo.

Infatti quando Ida dice i suoi versi non legge sulla pagina, ma si affida alla memoria che può tradirla, può non ricordare l’ordine dei versi o non ricordarli proprio, quindi crearne di nuovi, sconvolgere la sequenza dei versi delle poesie, ma è proprio questo che a Ida interessa, e anche a noi, cioè quanto la poesia si fa oltre la scrittura. Per Ida quindi una voce autenticamente poetica non può essere mai una voce recitante.

Nel saggio Poetica del basso continuo Ida elegge il basso continuo a guida del suo discorso.

Scrive Ida: Nella musica[…] il basso continuo era costituito da una chiave melodica che il musicista scriveva, appunto, in chiave di basso e faceva da sostegno armonico a tutta la composizione. sul rigo però non erano indicati gli accordi da suonare insieme alle note del basso, ma solo numeri, che davano allo strumentista indicazioni su come improvvisare”)

Come si traduce il basso continuo in poesia? Innanzitutto in una ostinata continua sperimentazione della parola, nel praticare una scrittura ‘orizzontale’, nel non voler più salire teoricamente col discorso, ma anzi abbassare, comprimere, badare all’essenziale, scarnificare. Per analogia con la musica, nella lingua significa prediligere le parole semplici, quelle di cui abbiamo necessità, le parole che stanno in rapporto ai nostri bisogni, che segnalano la nostra fragilità umana.

Questo esercizio di spoliazione, di rinuncia del superfluo nella lingua ci mette in relazione germinativa con la lingua materna, ci fa recuperare il legame con questa. La lingua materna è la prima lingua, una lingua primordiale, prelogica, la lingua delle parole semplici che ci pongono in rapporto con le cose concrete. È la lingua della nominazione, che nomina le cose prima del significato, crea il mondo perché lo nomina, è il primo atto politico per eccellenza, è il basso continuo per eccellenza, quel brusio di sottofondo che ci accompagna per tutta la vita, come un battito cardiaco di cui non siamo coscienti ma c’è ed è vitale, come le vibrazioni della terra che ci scorrono sotto i piedi che a volte riusciamo anche a percepire ma che sono continue. È tutto un mondo di sensazioni, voci, suoni, percezioni il sogno, le cose e le immagini profonde che le accompagnano in cui eri immerso da piccolissimo e che ti porti nella testa per sempre (Ida fa l’esempio di quando sei nella culla e ti arrivano le voci dei tuoi genitori nella stanza accanto, insieme ai rumori della vita).

Tutto questo si addensa nella parola poetica, che quindi acquista un suo peso specifico perché si lega alla memoria del corpo che non è una memoria volontaria, di ricordi precisi, ma è la memoria di tutto un mondo di percezioni, del sentimento dei suoni e delle voci, del calore provati un tempo e che va a intensificare la parola poetica. Quindi la parola poetica allude a tutto questo. Certo noi che leggiamo non sapremo mai a cosa si allude, ma cogliamo che la parola possiede un peso specifico che la lega alla memoria del corpo.

È proprio questo che connota, per Ida, il linguaggio poetico: questo di più, questa capacità che ha parola poetica di adunare in presenza persone, cose, mondi, vissuti, che ora alla lettera non sono presenti, ma che continuano ad agire in noi.

La lingua materna porta con sé non solo la voce della madre, ma anche il sogno, le cose e le immagini profonde che le accompagnano. Infatti la poesia di Ida è una poesia per immagini, e Ida ha imparato e impara mutua, deriva da alcuni grandi registi sia la tecnica del taglio e del montaggio rigoroso, e sia l’arte dell’immagine come sogno, sospensione del referente, esplorazione di mondi immaginali.

Ida Travi cita una frase di Bergman che a me sembra fondamentale per il legame tra sogno, immagine e poesia: è come se volessi dire a me stesso qualcosa che non voglio ascoltare da sveglio», pensando a Il posto delle fragole (p. 90).  

 Tutta questa sua visione del poetico Ida l’affida a una comunità di esseri immaginari i Tolki, da una storpiatura della parola, del verbo inglese, sono degli esseri connotati dal linguaggio, sono i parlanti, o meglio i ‘parlesseri’, riprendendo un neologismo di Lacan, che vivono in un mondo intermedio, un non-luogo, è accanto a noi ma è distante da noi, è un luogo liminare. È un luogo futuribile o di pura archeologia. È comunque un luogo austero, desolato, precario, dove ogni cosa è in bilico, vacilla, è un universo frammentato. Anche questi esseri, i Tolki, non fanno altro che andare e venire. Aspettano, ma non si sa che cosa, si muovono in un’atmosfera di inquietudine se non di angoscia, in un tempo inceppato, indefinito e indefinibile. E noi, insieme alla poeta, guardiamo questi esseri muoversi accostando l’occhio a un taglio, a uno spiraglio, cercando di mettere insieme indizi, ma il piano dell’azione si sposta continuamente. Così anche noi partecipiamo dello stesso senso di inquietudine e di straniamento degli esseri che sono dall’altra parte ma potrebbero benissimo essere dalla nostra parte.

Il rimando alla nostra contemporaneità è evidente. Il messaggio che sottende alla riflessione e alla scrittura poetica di Ida è di quelli fondanti: in un mondo travolto da linguaggi sradicati, il compito dei poeti è di rimanere umani nel tempo della disumanizzazione e di impegnarsi a ricostruire il corpo sociale attraverso la ricostruzione del linguaggio.

Ida, dopo aver constatato drammaticamente l’alienazione e la strumentalizzazione del linguaggio nella nostra contemporaneità, rilevandone il chiacchiericcio vacuo e violento, auspica una rifondazione del linguaggio stesso, ripartendo da un azzeramento di esso, dal silenzio. Dispiegare i nomi dal silenzio porta ad una trasformazione del rapporto tra noi e le cose, e a mettere ogni cosa e tutti sullo stesso piano: eravamo alla stessa altezza la foglia ed io.

Dice Ida: se ascolti il soffio sentirai la voce. Ed è quello che possiamo fare noi nel nostro presente: ascoltare il soffio a tradurlo facendo lavoro di parola.

Ed è quello che vogliamo fare noi stasera, perciò vi lascio alla lettura dei versi di Ida, all’ascolto dei versi perché si può leggere anche con l’orecchio.

M. D.


Ida Travi, Una rivoluzione di senso. Giornata Mondiale della poesia, Livorno 21 marzo 2019 - Le Cicale operose "Ascoltare la Poesia. La poesia di Ida Travi. 

Maristella Diotaiuti

Nel giorno dedicato alla Poesia. Ascoltarla il primo giorno di primavera. Come dire poesia germinativa, un fare che crea e ricrea il mondo, partendo da un nuovo inizio, un antico inizio. Partendo dal linguaggio, dalla prima voce, materna, quotidiana, che crea relazioni duali, nutrimento, e figurazioni delle cose, del reale. Ascoltare il corpo-suono dei suoi versi - scarni, essenziali, oggettivati e oggettivanti, eppure allusivi di nuova significazione - come una nota costante rassicurante e destabilizzante, un equilibrio sempre precario tra la fascinazione e l’urto, il senso e la perdita. Perché la poesia di Ida Travi si muove in una zona di confine, in quella linea sottile, forse inesistente, che separa pensiero e canto. Una zona liminale per lo più indicibile, ma non per Ida Travi che scava le parole, o meglio le pulisce di ogni tumescenza o dismisura, e ce le restituisce nella loro primigenia libertà creativa. Riandare alla parola primigenia, essenziale, disincrostata, restituire alla parola la sua libertà, quella di “essere” prima di “significare”, farle parlare la lingua delle cose al loro primo apparire, prima che il circuito della rappresentazione/significazione la rinchiuda nella gabbia degli schemi, delle omologanti artificiali pulsioni alla visibilità senza suono e senza sostanza. La poesia, quella vera, quella che chiede alla parola di essere, nasce come “vocazione sovversiva”, e in quanto tale è sempre un fatto, un fare eminentemente politico. Per questo le poesie di Ida Travi emergono verticali in mezzo a un momento storico in cui sembra “Impossibile tornare al passato, impossibile/guardare al futuro”. E allora? Ricominciare da zero, dal silenzio, ricominciare dal “tà-glio”: ecco la coraggiosa proposta della poeta che ci offre tutti gli elementi per ritrovare l’orizzonte utopico e ripetere l’inedito, ciascuno facendo la propria parte.

M. D.