Appunti di Maristella Diotaiuti
per introdurre Ida Travi in occasione del Festival VOCI, a cura de Le Cicale Operose; nota di Maristella Diotaiuti, Ida Travi,
Una rivoluzione di senso, scritta per
La Giornata Mondiale della poesia, a cura de Le Cicale Operose.
[…]
Ho scelto la poesia di Ida Travi perché sintetizza,
rappresenta un po’ la summa di tutto
quanto stiamo dicendo sulla poesia:
– il recupero
dell’origine della poesia nella sua dimensione orale, sonora;
– la necessità di ridefinire il senso poetico restituendo alla poesia il ruolo che le è proprio, di
costruzione del mondo e di lettura del reale (per la capacità della
poesia di leggere e restituirci i segni della realtà);
– e poi la sua poesia rappresenta un momento fondamentale di verifica di come
oggi si possa fare poesia e di come realmente si fa poesia;
– e quanto e come l’antica oralità della poesia è stata recuperata e trasformata in performance (in segno corporeo)
prescindendo dalla scrittura.
La ricerca, il
lavoro di scrittura di Ida lo potremmo definire “un’esplorazione del “c’era una volta” della poesia, il racconto dell’incanto del poetico.
Perché la poesia di Ida tocca tutti gli
aspetti che essa coinvolge: cioè
scrittura, immagine, gesto, attorialità, voce e
anche silenzio.
Perché per Ida, ma possiamo anche dire in generale, la poesia non ha un’origine univoca, il poetico sta nella convergenza dei suoi
strumenti che non si possono
separare gli uni dagli altri. Infatti ascoltare Ida mentre ‘dice’ la sua poesia, i suoi versi, ci coinvolge in una esperienza plurisensoriale, ipnotica, ci trasporta in un flusso
sonoro quasi di nenia davvero originale, direi unico nel panorama della
poesia italiana contemporanea.
Ida Travi ha teorizzato
la sua poetica in due libri,
davvero straordinari, illuminanti e arricchenti, molto particolari perché si
muovono in bilico sul crinale del saggio e del testo poetico,
dando vita ad una scrittura densa ed
evocativa molto originale, i due libri sono L’aspetto orale della poesia
e Poetica
del basso continuo.
Nel saggio L’aspetto orale della poesia Ida affronta la tematica del rapporto tra oralità e scrittura, e
avvia una riflessione personale sul rapporto tra poesia e filosofia, in particolare tra lingua poetica e lingua materna, tematica che ha poi approfondito
negli anni a seguire in un gruppo di
studio con studiose della comunità
filosofica Diotima dell’Università di Verona.
In particolare la sua ricerca si è appuntata sulla differenza tra voce poetica e voce narrante.
per Ida quando il poeta legge da sé la
sua poesia ad alta voce in forma autentica, fonda ogni volta un evento nuovo,
un nuovo testo.
Infatti quando
Ida dice i suoi versi non legge
sulla pagina, ma si affida alla
memoria che può tradirla, può non ricordare l’ordine dei versi o non
ricordarli proprio, quindi crearne di nuovi, sconvolgere la sequenza dei versi delle poesie, ma è proprio questo che a Ida interessa, e anche a
noi, cioè quanto la poesia si fa
oltre la scrittura. Per Ida quindi una voce autenticamente poetica non può essere mai una voce recitante.
Nel saggio Poetica del basso continuo Ida elegge il basso continuo a guida del suo
discorso.
Scrive Ida: Nella musica[…] il basso continuo era
costituito da una chiave melodica che il musicista scriveva, appunto, in chiave
di basso e faceva da sostegno armonico a tutta la composizione. sul rigo però
non erano indicati gli accordi da suonare insieme alle note del basso, ma solo
numeri, che davano allo strumentista indicazioni su come improvvisare”)
Come si
traduce il basso continuo in poesia? Innanzitutto in una ostinata continua sperimentazione della parola, nel praticare una
scrittura ‘orizzontale’, nel non voler più salire teoricamente col
discorso, ma anzi abbassare,
comprimere, badare all’essenziale, scarnificare. Per analogia con la
musica, nella lingua significa
prediligere le parole semplici, quelle di cui abbiamo necessità, le parole che stanno in rapporto ai nostri bisogni, che segnalano la nostra fragilità umana.
Questo esercizio
di spoliazione, di rinuncia del
superfluo nella lingua ci mette
in relazione germinativa con la
lingua materna, ci fa recuperare il legame con questa. La lingua materna
è la prima lingua, una lingua primordiale, prelogica, la lingua delle parole semplici che ci pongono in rapporto con le cose concrete.
È la lingua della nominazione,
che nomina le cose prima del
significato, crea il mondo perché lo nomina, è il primo atto politico
per eccellenza, è il basso continuo per
eccellenza, quel brusio di
sottofondo che ci accompagna per tutta la vita, come un battito cardiaco di cui non siamo
coscienti ma c’è ed è vitale, come le
vibrazioni della terra che ci
scorrono sotto i piedi che a volte riusciamo anche a percepire ma che
sono continue. È tutto un mondo di
sensazioni, voci, suoni, percezioni il sogno, le cose e le immagini profonde
che le accompagnano in cui eri immerso
da piccolissimo e che ti porti
nella testa per sempre (Ida fa l’esempio di quando sei nella culla e ti
arrivano le voci dei tuoi genitori nella stanza accanto, insieme ai rumori
della vita).
Tutto questo
si addensa nella parola poetica, che quindi acquista un suo peso specifico perché si lega alla memoria del corpo che non è una memoria volontaria, di ricordi precisi, ma è la memoria di tutto un mondo di percezioni,
del sentimento dei suoni e delle voci, del calore provati un tempo e che va a intensificare la parola poetica. Quindi
la parola poetica allude a tutto questo.
Certo noi che leggiamo non sapremo mai
a cosa si allude, ma cogliamo
che la parola possiede un peso specifico che la lega alla memoria del
corpo.
È proprio
questo che connota, per Ida, il
linguaggio poetico: questo di più, questa capacità che ha parola poetica di
adunare in presenza persone, cose, mondi, vissuti, che ora alla lettera non sono presenti, ma che continuano
ad agire in noi.
La lingua materna porta con sé non solo la voce della
madre, ma anche il sogno, le cose e le immagini profonde che le accompagnano. Infatti
la poesia di Ida è una poesia per
immagini, e Ida ha imparato e impara mutua, deriva da alcuni grandi
registi sia la tecnica del taglio e del montaggio rigoroso, e sia l’arte
dell’immagine come sogno, sospensione del referente, esplorazione di mondi
immaginali.
Ida Travi cita una frase di Bergman che a me sembra fondamentale per il legame tra sogno, immagine e poesia: è come se volessi dire a me
stesso qualcosa che non voglio ascoltare da sveglio», pensando a Il posto delle fragole
(p. 90).
Tutta questa
sua visione del poetico Ida l’affida a una
comunità di esseri immaginari i Tolki, da una storpiatura della parola,
del verbo inglese, sono degli esseri
connotati dal linguaggio, sono i
parlanti, o meglio i ‘parlesseri’,
riprendendo un neologismo di Lacan, che vivono
in un mondo intermedio, un non-luogo,
è accanto a noi ma è distante da noi,
è un luogo liminare. È un luogo futuribile o di pura archeologia.
È comunque un luogo austero, desolato,
precario, dove ogni cosa è in
bilico, vacilla, è un universo
frammentato. Anche questi esseri,
i Tolki, non fanno altro che andare e venire. Aspettano, ma non si sa che cosa, si muovono in un’atmosfera di
inquietudine se non di angoscia, in un tempo
inceppato, indefinito e indefinibile. E noi, insieme alla poeta, guardiamo questi esseri muoversi accostando l’occhio a un taglio, a uno
spiraglio, cercando di mettere
insieme indizi, ma il piano
dell’azione si sposta continuamente. Così anche noi partecipiamo dello stesso senso di inquietudine e di
straniamento degli esseri che
sono dall’altra parte ma potrebbero benissimo essere dalla nostra parte.
Il rimando
alla nostra contemporaneità è evidente. Il messaggio che sottende alla riflessione e alla scrittura poetica
di Ida è di quelli fondanti: in
un mondo travolto da linguaggi sradicati, il compito dei poeti è di rimanere umani nel tempo della disumanizzazione
e di impegnarsi a ricostruire il corpo
sociale attraverso la ricostruzione del linguaggio.
Ida, dopo aver constatato
drammaticamente l’alienazione e la strumentalizzazione del linguaggio
nella nostra contemporaneità, rilevandone il chiacchiericcio vacuo e violento, auspica una rifondazione del linguaggio stesso, ripartendo da un
azzeramento di esso, dal silenzio. Dispiegare i nomi dal silenzio porta ad una trasformazione del rapporto tra noi e le cose, e a mettere ogni cosa e tutti sullo stesso piano:
eravamo alla stessa altezza la foglia ed
io.
Dice Ida: se ascolti il soffio sentirai la voce. Ed è quello che possiamo fare noi nel nostro
presente: ascoltare il soffio a tradurlo facendo lavoro di parola.
Ed è quello
che vogliamo fare noi stasera, perciò vi lascio alla lettura dei versi di Ida, all’ascolto dei versi perché si
può leggere anche con l’orecchio.
M. D.
Ida
Travi, Una rivoluzione di senso. Giornata Mondiale
della poesia, Livorno 21 marzo 2019 - Le Cicale operose "Ascoltare la
Poesia. La poesia di Ida Travi.
Maristella Diotaiuti
Nel giorno dedicato alla Poesia. Ascoltarla il primo
giorno di primavera. Come dire poesia germinativa, un fare che crea e ricrea il
mondo, partendo da un nuovo inizio, un antico inizio. Partendo dal linguaggio,
dalla prima voce, materna, quotidiana, che crea relazioni duali, nutrimento, e
figurazioni delle cose, del reale. Ascoltare il corpo-suono dei suoi versi -
scarni, essenziali, oggettivati e oggettivanti, eppure allusivi di nuova
significazione - come una nota costante rassicurante e destabilizzante, un
equilibrio sempre precario tra la fascinazione e l’urto, il senso e la perdita.
Perché la poesia di Ida Travi si muove in una zona di confine, in quella linea
sottile, forse inesistente, che separa pensiero e canto. Una zona liminale per
lo più indicibile, ma non per Ida Travi che scava le parole, o meglio le pulisce
di ogni tumescenza o dismisura, e ce le restituisce nella loro primigenia
libertà creativa. Riandare alla parola primigenia, essenziale, disincrostata,
restituire alla parola la sua libertà, quella di “essere” prima di
“significare”, farle parlare la lingua delle cose al loro primo apparire, prima
che il circuito della rappresentazione/significazione la rinchiuda nella gabbia
degli schemi, delle omologanti artificiali pulsioni alla visibilità senza suono
e senza sostanza. La poesia, quella vera, quella che chiede alla parola di
essere, nasce come “vocazione sovversiva”, e in quanto tale è sempre un fatto,
un fare eminentemente politico. Per questo le poesie di Ida Travi emergono
verticali in mezzo a un momento storico in cui sembra “Impossibile tornare al passato, impossibile/guardare al futuro”. E
allora? Ricominciare da zero, dal silenzio, ricominciare dal “tà-glio”: ecco la
coraggiosa proposta della poeta che ci offre tutti gli elementi per ritrovare
l’orizzonte utopico e ripetere l’inedito, ciascuno facendo la propria parte.
M. D.